Conrad Gessner
Historiae animalium liber III qui est de Avium natura - 1555
De Gallina
trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti
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¶ Nonnulli
purgant domunculas gallinarum et nidos, ipsasque aves sulphure, asphalto,
picea, [431] (πεύκαις.)[1]
sed et ferri laminam aut clavorum capita atque lauri surculos imponunt
nidis, ut quae ad arcenda prodigia (διοσημείας,
tempestates[2])
omnia magnam vim habere videatur, Leontinus. |
¶
Alcuni purificano le casette delle galline e i nidi nonché gli uccelli
stessi con zolfo,
bitume,
colofonia (peúkais – con torce di legno di pino) ma
mettono nei nidi anche una lamina di ferro o teste di chiodi come pure
dei rametti di alloro, in quanto sembra che queste cose abbiano il
grande potere di tenere lontani tutti i fenomeni prodigiosi (diosëmeías,
le calamità), Leontinus – un geoponico. |
¶ Ius de
carne salsa gallinis mortiferum existimatur. item liquor e vini aut
eiusdem faecis vapore vi ignis collectus, ni fallor. ¶ Ut gallinae
vertigine afficiantur, Ὄρνιθας
σκοτῶσαι: Frumentum
maceratum lasere et melle mixtis, obijcito, Berytius. videtur autem hoc
fieri, non tantum ad gallinas, sed alias etiam aves, feras praesertim,
capiendas. quanquam haec inter ea quae de gallinis scribuntur in
Geoponicis Graecis legantur{.}<,> Andreas a Lacuna hoc fieri ait,
ut gallinae vertiginosae non fiant[3].
quod ego probare non possum, cum neque verba Graeca sic habeant: neque
talis aliqua laseris vis legatur apud scriptores, sed potius plerisque
animalibus prope venenosa. Pecora enim tradunt eo sumpto cum aegrotant,
aut sanari protinus, quod fere consequitur, aut emori. si quando
inciderit pecus in spem nascentis, hoc deprehendi signo: ove, cum
comederit, protinus dormiente, capra sternutante. serpentes avidissimas
vini admistum rumpere. praecipitasse se quendam ex alto cum in dentium
dolore cavis addidisset inclusum cera. |
¶
Il brodo ottenuto da carne salata è ritenuto letale per le galline.
Parimenti il liquido ottenuto dal vino o dal vapore della sua feccia
mediante il fuoco, se non erro. ¶ Affinché le galline vengano colte da
vertigini, Órnithas skotôsai
– Stordire gli uccelli: Dà da mangiare del
frumento macerato in una miscela di succo di
silfio e di miele,
Berytius - un geoponico. Ma sembra che ciò debba avvenire non tanto per
catturare le galline, ma anche gli altri uccelli, soprattutto quelli
selvatici. Anche se ciò lo si legge tra le cose che si scrivono nelle
Geoponiche greche a proposito delle galline,
Andrés de Laguna dice che ciò lo si fa affinché le galline
non vengano colpite da vertigini. Ma io non posso approvarlo, dal
momento che né le parole greche esprimono ciò, né si legge presso gli
scrittori che il silfio possiede un simile dote, ma piuttosto che per la
maggior parte degli animali è quasi velenosa. Infatti dicono che il
bestiame, quando sta male, dopo averlo assunto, o guarisce subito, il
che per lo più accade, oppure muore. Qualora un animale si trovasse in
attesa di un parto, lo si arguisce da questo segno: una pecora, dopo
averlo mangiato, subito si addormenta, una capra starnutisce. Se
mischiato fa scoppiare i serpenti che sono assai avidi di vino. Un tale
si è precipitato dall'alto avendolo collocato incluso nella cera dentro
alle carie durante un mal di denti. |
¶ Contra
morbos gallinarum. Pullis iam validioribus factis, atque ipsis matribus
etiam vitanda pituitae pernicies erit. quae ne fiat, mundissimis vasis,
et quam purissimam praebebimus aquam. nam in cohorte per aestatem
consistens, immunda, stercorosa, pituitam (coryzam, nostri vocant das
pfipfe) eis concitat, Columella et Paxamus. Nec minus gallinaria semper
fumigabimus, et emundata stercore liberabimus, Columella[4].
Inimicissima gallinaceo generi pituita, maximeque inter messis et
vindemiae tempus, Plin.[5]
Id vitium maxime nascitur cum frigore et penuria cibi laborant aves.
item cum ficus aut uva immatura nec (videtur menda) ad satietatem
permissa est, quibus scilicet cibis abstinendae sunt aves: eosque ut
fastidiant efficit uva labrusca de vepribus immatura lecta, quae cum
farre triticeo minuto cocta (Plinius simpliciter cibo incoctam dari
iubet, alibi cum farre miscendam[6])
obijcitur esurientibus: eiusque sapore offensae aves, omnem aspernantur
uvam, Columella[7].
Uvae florem in cibis si edere gallinacei, uvas non attingunt, Plinius
(alibi[8]:)
fortassis autem oenanthen[9]
e Graeco uvae florem transtulit. A Dioscoride quidem memoratur genus
vitis sylvestris sterile, quod fructum non profert, sed florem tantum
quem oenanthen vocant[10].
Similis ratio est etiam caprifici, quae decocta cum cibo praebetur
avibus, et ita fici fastidium creat, Columella. Praeservans contra
coryzam seu gravedinem remedium: Origanum humectans (in aqua macerans)
da bibendum, Leontinus. |
¶
Contro le malattie delle galline.
Ai pulcini, quando si sono irrobustiti, e alle madri stesse, bisognerà
evitare che si ammalino di quel disastro rappresentato dalla pipita.
Affinché essa non si verifichi, daremo da bere dell'acqua più
pura possibile in recipienti estremamente puliti. Infatti durante
l'estate rimanendo sporca e inquinata dalle feci in cortile, fa sorgere
in essi la pituita (la corizza, i nostri la chiamano pfipfe), Columella
e Paxamus, un geoponico. Per i polli la pipita è assai dannosa,
specialmente nel periodo compreso tra la mietitura e la vendemmia,
Plinio. Questa malattia insorge soprattutto quando i volatili soffrono
di freddo e di scarsità di cibo. Parimenti quando il fico o l'uva non
sono ancora maturi e non (sembra un errore) sono disponibili fino a
saziarsene, cioè cibi dai quali i volatili debbono astenersi: e affinché
ne provino un'avversione è efficace l’uva
selvatica - o lambrusca, raccolta acerba tra i cespugli spinosi, e
quando hanno fame viene data da mangiare cotta con farina fine di grano
(Plinio consiglia semplicemente che venga data cotta nel cibo, in un
altro passo di mescolarla con farro): e i volatili, disgustati dal suo
sapore, rifiutano ogni tipo di uva, Columella. I polli, se nei
mangimi mangiano il fiore dell'uva, non aggrediscono l'uva, Plinio (in
un altro passo), infatti forse ha tradotto fiore dell'uva dal greco oinánthë.
In effetti da Dioscoride viene menzionato un tipo sterile di vite
selvatica il quale non fa frutti, ma solo un fiore che chiamano oinánthë.
La stessa cosa si applica anche al caprifico
- o fico selvatico – il quale, ben cotto, viene dato da mangiare ai
volatili, e così determina un’avversione per il fico, Columella.
Rimedio profilattico del catarro o raffreddore: Dà da bere dell'origano facendolo inumidire (facendolo macerare in acqua),
Leontinus. |
¶ Gallinacei
generis pituitae medicina in fame: et cubatus[11]
in fumo, si utique ex lauro et herba savina[12]
fiat, (savinae herbae fumi adversus hunc morbum vis alibi[13]
etiam ab eo celebrantur:) penna per transversas inserta nares, et per
omnes dies mota. cibus allium cum farre: aut aqua perfusus, in qua
laverit noctua: aut cum semine vitis albae coctus, et quaedam alia,
Plin.[14]
Idem ligustri acinos alibi hoc malum sanare docet, nimirum in cibo.[15]
Pituita gallinis nasci solet, quae alba pellicula linguam vestit
extremam. haec leviter unguibus vellitur, et locus cinere tangitur, et
allio trito plaga mundata conspergitur, Palladius[16].
Sunt qui spicas allii tepido madefactas oleo faucibus earum inferant, (inserant,)
Columella[17].
Alii mica (lego, spica) trita cum oleo faucibus inseritur, Palladius.
Allia minutim scissa in calidum oleum inijciens, illis ubi refrixerint,
ora gallinarum colluito. quod si illa etiam voraverint, efficacius
restituentur, Paxamus. Allio rostri foramina inunge: aut in aquam ipsum
allium conijciens, potandum dato, Leontinus. Aliqui in lotio humano
elixantes allia, rostrum gallinae fovent: verum circumspecte, ne
scilicet portio aliqua in oculos illabatur, Paxamus. Lotio ablue, (rostra
nimirum et ora,) Leontinus. Quidam hominis urina tepida rigant ora, et
tandiu comprimunt, dum eas amaritudo cogat per nares emoliri pituitae
nauseam, Columella. |
¶
Il rimedio contro la pipita dei polli consiste nel digiuno e nel dormire
appollaiati in mezzo al fumo, specialmente se lo si fa con alloro e erba
sabina - Juniperus
sabina - (il potere del fumo dell'erba sabina contro questa
malattia viene decantato da Plinio anche in un altro passo), dopo aver
inserito una penna messa di traverso nelle narici e muovendola tutti i
giorni. Il cibo consiste in aglio con farro, oppure inzuppato di acqua
nella quale si sia bagnata una civetta, oppure fatto cuocere con dei
semi di vite bianca – Bryonia dioica, e alcuni altri rimedi,
Plinio. Sempre Plinio in un passo insegna che le bacche di ligustro
guariscono questa malattia, messi indubbiamente nel cibo. Nelle galline
abitualmente si sviluppa la pituita, quella pellicola bianca che ricopre
l'estremità anteriore della lingua. La si asporta delicatamente con le
unghie e l'area viene spruzzata di cenere e la piaga, dopo essere stata
ripulita, viene cosparsa con aglio trito, Palladio. Alcuni mettono loro
in bocca degli spicchi di aglio bagnati in olio tiepido, Columella.
Viene messa in bocca una briciola (io dico uno spicchio) di aglio
tritata con olio, Palladio. Ponendo dell'aglio finemente tritato in olio
caldo, quando si è raffreddato applicalo nella bocca delle galline. In
quanto, anche se lo mangiassero, guariranno più rapidamente, Paxamus.
Strofina i fori del becco – le narici – con dell'aglio: oppure dallo
da bere mettendo l'aglio stesso nell'acqua, Leontinus. Alcuni, facendo
cuocere l'aglio in urina umana, fanno degli impacchi al becco della
gallina: ma con cautela, cioè, affinché nulla di ciò vada a finire
negli occhi, Paxamus. Lava con urina (indubbiamente il becco e la
bocca), Leontinus. Alcuni bagnano la bocca con urina umana tiepida e la
mantengono chiusa fino a quando il gusto amaro non le costringe a
espellere attraverso le narici il fastidio provocato dalla pituita,
Columella. |
Uva quoque
quam Graeci ἀγρίαν
σταφυλήν vocant, (staphisagria, Pallad.[18])
cum cibo (assidue, Palladius. sola, aut mista orobo, Paxamus[19])
mista prodest. vel eadem pertrita, et cum aqua potui data, Columella[20].
Munda etiam scilla, macerataque ex aqua, atque exhibita cum farina, idem
praestat, Paxamus[21].
Sunt qui ex origano, hyssopo et thymo suffimentum molientes, caput
gallinae exponant ut fumum excipiat, allioque perfricent eius rostrum,
Paxamus. Atque haec remedia mediocriter laborantibus adhibentur. nam si
pituita circumvenit oculos, et iam cibos avis respuit, ferro
rescinduntur genae, (scalpello aperiuntur quae sub gena consistunt
partes, Paxamus,) et coacta sub oculis sanies omnis exprimitur. atque
ita paulum triti (subtilissime, Paxamus) salis vulneribus infriatur,
Columella[22].
Vide supra etiam in C. |
Giova
anche l'uva che i Greci chiamano agrían staphylën - Bryonia
alba o brionia
bianca (Palladio scrive stafisagria - Delphinium staphisagria) mescolata al cibo (data con assiduità, Palladio dice da sola,
oppure come dice Paxamus mescolata alla veccia). Oppure la stessa agrían
staphylën - Bryonia alba
o brionia bianca – finemente tritata e data da bere con acqua,
Columella. Anche la scilla - forse la Scilla maritima - ripulita e macerata
in acqua, e data da mangiare con farina, ottiene lo stesso risultato,
Paxamus. Alcuni allestendo un suffumigio a base di origano, issopo e timo, vi piazzano la testa della gallina affinché ne riceva il fumo, e
le sfregano con aglio il becco, Paxamus. Tuttavia
questi rimedi vengono usati per soggetti poco ammalati. Infatti se la
pipita ha circondato gli occhi e ormai il volatile rifiuta i cibi, si
incidono le palpebre con un ferro (con un bisturi vengono aperte quelle
aree che si trovano al di sotto della palpebra, Paxamus) e tutta la
saniosità che si è raccolta sotto agli occhi viene spremuta. E
successivamente viene sfregato sulle ferite un pochino di sale tritato (Paxamus
dice che deve essere tritato molto fine), Columella. Vedi prima anche
nel paragrafo C. |
¶ Si pituita
et sanies circumvenit oculos, etc. lege quae proxime retro ex Columella
recitavimus. Si amarum lupinum comedant, sub oculis illis grana ipsa
procedunt, quae nisi acu leviter apertis pelliculis auferantur,
extinguunt (oculos, Crescentiensis, qui haec ita recitat, ac si remedia
quae sequuntur, ex portulacae succo, etc. ad hunc ipsum affectum
pertineant, quod mihi non probatur: et Paxamus etiam aliter habet,) {Columel.}
<Palladius>. Oculos portulacae succo forinsecus, et mulieris lacte
curemus: vel Ammoniaco sale, cui mel et cyminum aequale miscentur, (particulas
affectas fovendo. caeterum ad umbram ducendae sunt, Paxamus,) Idem [Crescentiensis][23]. |
¶
Se la pipita e la saniosità ha circondato gli occhi, etc., vedi ciò
che ho riferito poco fa da Columella. Se dovessero mangiare l'amaro
lupino, sotto ai loro occhi si formano delle granulosità, le quali, se
non vengono asportate mediante
un ago dopo aver aperto con delicatezza la pellicina che le ricopre,
portano alla morte (mettono fuori uso gli occhi, dice Pier de’
Crescenzi, il quale riferisce così queste cose, e che se i rimedi che
seguono, ottenuti dal succo della portulaca, etc. sono indicati in
questa stessa malattia, il che a me non sembra giusto: e anche Paxamus
riferisce diversamente), Palladio. Dobbiamo curare gli occhi con
applicazioni esterne di succo di portulaca e di latte di donna: oppure con
cloruro d’ammonio al quale vengono mescolati in parti eguali del
miele e del cumino (scaldando le piccole aree, inoltre - i polli - sono
da condurre all'ombra, Paxamus), sempre Pier de’ Crescenzi. |
¶ Pediculos
gallinarum (quibus plurimum infestantur, praecipue cum incubant,
Crescent.) perimit staphisagria, et torrefactum cyminum pari pondere, et
pariter tunsa cum vino: et amari lupini aqua, (sylvestris lupini
decoctum in aqua, Paxamus,) si penetret secreta pennarum, Palladius et
Paxamus. ¶ Diarrhoea correptas curabis, si farinae (ἀλφίτων.
polentae, Cornarius[24])
quantum manu apprehendi possit tantundemque ex cera vino laevigans,
atque pastam coficiens, ante alium cibum obtuleris devorandum: aut
pomorum[25]
etiam, [432] cydoniorumve decoctum bibendum. Quae mala, etiam sub
cineribus cocta, auxiliantur, Paxamus. |
¶
I pidocchi delle galline (dai quali vengono parecchio infestate,
specialmente quando covano, Pier
de’ Crescenzi) li fa morire la stafisagria e il cumino
torrefatto in ugual peso, e pestati insieme con del vino: e l'acqua di
lupino amaro (un decotto in acqua di lupino selvatico, Paxamus) se entra
nei recessi delle piume, Palladio e Paxamus. ¶ Potrai curare quelle
colpite da diarrea se rendendo omogeneo con del vino quanto di farina (alphítøn
– farina d'orzo – Cornarius lo traduce con polenta d'orzo) può
essere preso con una mano e altrettanto di cera, e facendone un pastone
lo darai da mangiare prima di qualsiasi altro cibo: o anche se darai da
bere un decotto di mele oppure di mele cotogne. Queste mele, anche fatte cuocere sotto le ceneri, sono d’aiuto; Paxamus. |
[1] La fonte da cui Gessner trae i brani dei Geoponici è rappresentata dalla traduzione latina di Andrés de Laguna (1541). Dobbiamo tuttavia riconoscere che la traduzione di Janus Cornarius (1543) è assai più intelligibile, in quanto certi termini di Laguna avrebbero bisogno di una lunga disquisizione per poterne ricavare l'esatto significato. Una riprova che anche Gessner non si fidasse della traduzione di Laguna è il fatto che offre al lettore il termine greco πεύκαις, lasciandolo pienamente libero di interpretarselo. Il primo pretesto per una lunga disquisizione è asphalto che giustamente Cornarius rende con bitumine, cui fa seguito il greco peúkais che Laguna, nonostante sia un plurale, traduce col singolare picea, mentre Cornarius lo traduce col plurale tedis. Il vocabolo greco femminile peúkë significa pino di varie specie, e il latino picea significa pino selvatico (si pensi alla Picea excelsa o Picea abies, abete rosso o peccio), ma peúkë è poi passato a indicare un oggetto in legno di pino, quindi la torcia. È assai probabile che Leontino prescrivesse di dare una pennellata di fuoco - non certo alle galline, bensì ai pidocchi che talora pullulano nei pollai, nonché a virus e batteri ancora sconosciuti a quei tempi - servendosi di torce, tedis come traduce Cornarius, confezionate con legno resinoso di pino. Se dobbiamo tradurre picea di Laguna in un modo da poterci adeguare a come lo zolfo si presenta (bisogna spargerlo con le mani o con un attrezzo idoneo), dobbiamo rendere picea con pece greca o colofonia, residuo della distillazione della trementina. § Ecco l'equivalente testo di Janus Cornarius: Aliqui domunculas et nidos purgant, imo etiam ipsas gallinas sulphure et bitumine et tedis. Sed et ferri laminam aliquam, aut clavorum capita, et lauri ramulos nidis imponunt. Haec enim adversus prodigiosos ac monstrosos partus auxiliaria pharmaca esse putantur. § Per comprendere la parte finale di questa citazione bisogna tenere presente che il titolo di questo capitolo (XI in Laguna, XVII in Cornarius) tratto dal libro XIV dei Geoponica, errori a parte, suona rispettivamente così: Ut gallina magna ova edant. cap. xi. ex Leontino. – Ut gallina magna ova pariat, & de custodia ovorum. Leontij. cap. xvii. § L'edizione in greco di Teubner ha le galline al plurale: Ὄρνιθας μεγάλα ὠὰ τίκτειν, καὶ περὶ τῆς τῶν ὠῶν φυλακῆς. Λεοντίνου. (Geoponica sive Cassiani Bassi Scholastici De Re Rustica Eclogae - recensuit Henricus Beckh - Teubner – Stoccarda e Lipsia – 1994 - pagina 417 - libro 14, capitolo 11) § Leontij di Cornarius non è in sé e per sé un errore: egli traduce Λεοντίνου con Leontij in quanto nei Geoponica – per esempio, in apertura del libro i - lo stesso autore ricorre nelle vesti di Λεοντίου.
[2] La proposta di Gessner di tradurre διοσημείας (segni di Zeus, presagi celesti) con tempestates (calamità) mi pare assai più confacente di quella di Laguna (prodigia – fenomeni prodigiosi, esseri mostruosi) e di Cornarius (prodigiosos ac monstrosos partus – deposizione di uova mostruose). Infatti costoro colgono solo parzialmente nel segno, in quanto le calamità che possono colpire un nido sono parecchie. Sappiamo appunto da Plinio che era buona cosa mettere nei nidi un chiodo di ferro per difendere gli embrioni dai tuoni. Naturalis historia X,152: Si incubitu tonuit, ova pereunt; et accipitris audita voce vitiantur. Remedium contra tonitrus clavus ferreus sub stramine ovorum positus aut terra ex aratro. - Se tuonerà durante l'incubazione, le uova si rovinano: e se hanno udito la voce del falco vanno a male. Un rimedio contro il tuono è rappresentato da un chiodo di ferro posto sotto la lettiera delle uova, oppure della terra presa dall'aratro. § Ecco il testo greco relativo a questa profilassi proposta da Leontinus: Ἀλλὰ καὶ σιδήρου ἔλασμά τι ἐντιθέασιν, ἢ κεφαλὰς ἥλων, καὶ δάφνης κλωνία ταῖς νεοττίαις. Δοκεῖ γὰρ ἀλεξιφάρμακον εἶναι πρὸς τὰς διοσημείας.
[3] Forse senza saperlo, Gessner sta convalidando la traduzione di Janus Cornarius sul fatto di far venire le vertigini alle galline, contrapponendosi giustamente alla sua fonte dei Geoponica, Andrés de Laguna, che non si capisce da dove abbia tratto la negazione non. Però Gessner è più acuto da un punto di vista ornitologico: secondo lui ὄρνιθας può benissimo essere tradotto con galline, ma andrebbe soprattutto interpretato con uccelli in senso lato, puntualizzando che magari conviene rendere vertiginosi gli uccelli selvatici per poi riuscire a catturarli. § Ecco il testo completo di questo telegrafico capitolo presente nella traduzione dei Geoponica di Andrés de Laguna (1541): Ut gallinae vertiginosae non fiant. Cap xiii. Ex Berytio. Melle cui laser permistum sit, frumentum ungito, apponitoque. § La traduzione di Janus Cornarius (1543) suona così: Ut gallinae tenebris offusis vertiginosae fiant. Berytij Cap. xix. Laser et mel misceto, et in ipsis frumentum macerato, idque gallinis obijcito. § Ed ecco il testo greco tratto da Geoponica sive Cassiani Bassi Scholastici De Re Rustica Eclogae (recensuit Henricus Beckh - Teubner – Stoccarda e Lipsia – 1994) pagina 419 - libro 14, capitolo 13: Ὄρνιθας σκοτῶσαι. Βηρυτίου. Λάσαρ μέλιτι μίξας βρέχε τὸν σῖτον, καὶ παράβαλε.
[4] De re rustica VIII,5,20: Saepe etiam validioribus factis atque ipsis matribus etiam vitanda pituitae pernicies erit. Quae ne fiat, mundissimis vasis et quam purissimam praebebimus aquam. Nec minus gallinaria semper fumigabimus et emundata stercore liberabimus.
[5] Naturalis historia X,157: Inimicissima autem omni generi pituita maximeque inter messis ac vindemiae tempus. Medicina in fame et cubitus in fumo, utique si e lauru aut herba sabina fiat, pinna per traversas inserta nares et per omnes dies mota; cibus alium cum farre aut aqua perfusus, in qua maduerit noctua, aut cum semine vitis albae coctus ac quaedam alia.
[6] Naturalis historia XIV,99: Universi numquam maturescunt, et si prius quam tota inarescat uva incocta detur cibo gallinaceo generi, fastidium gignit uvas adpetendi. - Roberto Ricciardi afferma che non si trova in Plinio un passo in cui si parli della labrusca cum farre.
[7] De re rustica VIII,5,23: Id porro vitium maxime nascitur cum frigore et penuria cibi laborant aves, item cum per aestatem consistens in cohortibus fuit aqua, item cum ficus aut uva inmatura nec ad satietatem permissa est, quibus scilicet cibis abstinendae sunt aves. Eosque ut fastidiant efficit uva labrusca de vepribus inmatura lecta, quae cum hordeo triticeo minuto cocta obicitur esurientibus, eiusque sapore offensae aves omnem spernantur uvam. Similis ratio est etiam caprifici, quae decocta cum cibo praebetur avibus, et ita fici fastidium creat.
[8] Naturalis historia XXIII,12: Uvae florem in cibo si edere gallinacei, uvas non attingunt.
[9] Il vocabolo greco di genere femminile oinánthë significa: gemma della vite, vite silvestre, fiore della vite, fiore della clematide.
[10] Nell'edizione del De materia medica di Jean Ruel del 1549, e di conseguenza in quella di Pierandrea Mattioli del 1554, si parla della vite selvatica oenanthe nel libro V capitolo V.
[11] Si accetta cubatus di Gessner anche se dovrebbe suonare cubitus. Lo si accetta in quanto l'infinito del verbo cubo è cubare, mentre il supino suona cubitum.
[12] Per deferenza nei confronti di Gessner, e per il fatto che savina ricorre due volte di seguito, accettiamo questo termine al posto di sabina.
[13] Naturalis historia XXIV,102: Herba Sabina, brathy appellata a Graecis, duorum generum est, altera tamarici folium similis, altera cupresso; quare quidam Creticam cupressum dixerunt. A multis in suffitus pro ture adsumitur, in medicamentis vero duplicato pondere eosdem effectus habere quos cinnamum traditur. Collectiones minuit et nomas conpescit, inlita ulcera purgat, partus emortuos adposita extrahit et suffita. Inlinitur igni sacro et carbunculis cum melle; ex vino pota regio morbo medetur. Gallinacii generis pituitas fumo eius herbae sanari tradunt.
[14] Naturalis historia X,157: Inimicissima autem omni generi pituita maximeque inter messis ac vindemiae tempus. Medicina in fame et cubitus in fumo, utique si e lauru aut herba sabina fiat, pinna per traversas inserta nares et per omnes dies mota; cibus alium cum farre aut aqua perfusus, in qua maduerit noctua, aut cum semine vitis albae coctus ac quaedam alia.
[15] Naturalis historia XXIV,74: Ligustrum si eadem arbor est, quae in oriente cypros, suos in Europa usus habet. sucus discutit nervos, articulos, algores; folia ubique veteri ulceri, cum salis mica et oris exulcerationi prosunt, acini contra phthiriasin, item contra intertrigines vel folia. Sanant et gallinaceorum pituitas acini.
[16] Opus agriculturae I, XXVII De gallinis, 2: Pituita his nasci solet, quae alba pellicula linguam vestit extremam. Haec leviter unguibus vellitur et locus cinere tangitur et allio trito plaga mundata conspergitur. Item allii mica trita cum oleo faucibus inseritur: staphis agria etiam prodest, si cibis misceatur assidue.
[17] De re rustica VIII,5,21: Quod si tamen pestis permanserit, sunt qui micas alii tepido madefaciant oleo et faucibus inferant. Quidam hominis urina tepida rigant ora, et tamdiu conprimunt dum eas amaritudo cogat per nares emoliri pituitae nauseam. Uva quoque, quam Graeci agrian staphylen vocant, cum cibo mixta prodest, vel eadem pertrita et cum aqua potui data.
[18] Opus agriculturae I, XXVII De gallinis, 2: Pituita his nasci solet, quae alba pellicula linguam vestit extremam. Haec leviter unguibus vellitur et locus cinere tangitur et allio trito plaga mundata conspergitur. Item allii mica trita cum oleo faucibus inseritur: staphis agria etiam prodest, si cibis misceatur assidue.
[19] Anche Paxamus ha stafìs agría: καὶ σταφὶς δὲ ἀγρία καταμόνας ἢ καὶ σὺν ὀρόβῳ μιχθεῖσα ὠφελεῖ. (Geoponica sive Cassiani Bassi Scholastici De Re Rustica Eclogae - recensuit Henricus Beckh - Teubner – Stoccarda e Lipsia – 1994)
[20] De re rustica VIII,5,21: Quod si tamen pestis permanserit, sunt qui micas alii tepido madefaciant oleo et faucibus inferant. Quidam hominis urina tepida rigant ora, et tamdiu conprimunt dum eas amaritudo cogat per nares emoliri pituitae nauseam. Uva quoque, quam Graeci agrian staphylen vocant, cum cibo mixta prodest, vel eadem pertrita et cum aqua potui data.
[21] Καὶ σκίλλα καθαρθεῖσα [...]. (Geoponica sive Cassiani Bassi Scholastici De Re Rustica Eclogae - recensuit Henricus Beckh - Teubner – Stoccarda e Lipsia – 1994) - Plinio Naturalis historia XIX,93: Proxima hinc est bulborum natura, quos Cato in primis serendos praecipit celebrans Megaricos. verum nobilissima est scilla, quamquam medicamini nata exacuendoque aceto. Nec ulli amplitudo maior, sicuti nec vis asperior. Duo genera medicae, masculae albis foliis, feminae nigris. Sed tertium genus est cibis gratum, Epimenidu vocatur, angustius folio ac minus asperum.
[22] De re rustica VIII,5,22: Atque haec remedia mediocriter laborantibus adhibentur. Nam si pituita circumvenit oculos et iam cibos avis respuit, ferro rescinduntur genae, et coacta sub oculis sanies omnis exprimitur. Atque ita paulum triti salis vulneribus infria[n]tur.
[23] Si tratta di una delle rare sviste di Gessner. Infatti la citazione non è tratta da Columella, bensì da Palladio, come specifica Pier de' Crescenzi a pagina 320 di De omnibus agriculturae partibus et de plantarum et animalium generibus, edizione di Basilea del 1548 del Ruralium commodorum libri XII: Si amarum lupinum comedant, sub oculis suis ipsa grana procedunt, ut ait Palladius, quae nisi acu leviter apertis pelliculis auferantur, oculos extinguunt, portulacae succus forinsecus et mulieris lacte curari eas affirmant, vel armoniaco sale, cui mel et cyminum aequaliter misceantur, pediculis etiam plurimum molestantur, et praecipue cum incubant, quos perimit staphisagria pariter infusa cum vino, et amari lupini aqua, si penetrat secreta pennarum. § Palladio Opus agriculturae I, XXVII De gallinis, 2-3: Si amarum lupinum comedant, sub oculis illis grana ipsa procedunt. Quae nisi acu leviter apertis pelliculis auferantur, extinguunt. [3] Oculos portulacae suco forinsecus et mulieris lacte curemus, vel ammoniaco sale, cui mel et cyminum aequale miscentur. Peduclos earum perimit stafis agria et torrefactum cyminum, paria et pariter tunsa cum vino et amari lupini aqua, si penetret secreta pennarum.§ A mio avviso le granulosità non sono un effetto dei lupini, bensì una manifestazione cutanea del difterovaiolo aviario. Vedi il lessico alla voce Pipita.
[24] L'impiego della cera in caso di dissenteria era consigliato anche da Dioscoride (II,76 nell'edizione di Pierandrea Mattioli, 1554). § Paxamus: Διάῤῥοιαν δὲ ἰάσῃ ἀλφίτων χειροπληθὲς καὶ κηροῦ τὸ ἶσον οἴνῳ μίξας, καὶ μάζας ποιήσας, καὶ διδοὺς πρὸ τῆς ἄλλης τροφῆς· (Geoponica sive Cassiani Bassi Scholastici De Re Rustica Eclogae - recensuit Henricus Beckh - Teubner – Stoccarda e Lipsia – 1994) § Andrés de Laguna: At diarrhoea correptas curabis, si farinae quantum manu apprehendi possit, tantundemque ex cera vino levigans, atque pastam conficiens, ante alium cibum obtuleris devorandum: [...] (Geoponica libri XIII-XX, 1541) § Janus Cornarius: Alvi pro<>fluvio medeberis, polentae manus plenae mensura et cerae pari copia, vino ammixtis, et in massas coactis, si has ante reliquum cibum praebueris. (Cassii Dionysii Uticensis de agricultura libri XX, 1543)
[25] Paxamus ha μήλων = pomi, mele, con cui pertanto si traduce pomorum.