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Gallo
combattente shamoide dipinto in India
ai tempi della dinastia Moghul (1526-1857)
durante il regno di Nur-ud-din Salim Jahangir (1605-1627)
La nostra vita deve obbedire a
regole dettate dalla società. È la conditio
sine qua non se vogliamo entrare a far parte del consesso umano. Diventare
una tessera di questo variopinto mosaico è ovviamente un’arma a doppio
taglio, in quanto possiamo fruirne i vantaggi e soffrirne le costrizioni, tant’è
che abitare questa giungla anziché un eremo è spesso una scelta cruciale.
Le imposizioni sociali non si servono solo di leggi. Si
dice che le norme legislative sono state create appositamente dall’uomo per
imporre una regola ai rapporti interpersonali, al fine - spesso illusorio - di
preservare sia la vita che il patrimonio dell’individuo. Non è infrequente
invece che le costrizioni e i condizionamenti siano ispirati da una filosofia
demagogica cui sottende un’avidità di denaro travestita da Buon Samaritano.
Volete un esempio pratico di un falso atteggiamento da Buon
Samaritano? A quanto debba corrispondere la colesterolemia umana è un
problema irrisolto e dibattuto da decenni, non certo prossimo all’epilogo.
Ricordo che molti anni fa, novello discepolo di Esculapio, appresi che una
colesterolemia pari a 280 mg% era il limite massimo accettabile. Oggi si
sopporta a mala pena un 220! Se volete un consiglio spassionato, non
rincorrete queste elucubrazioni della chimica biologica. Guardate invece a
quell’enorme business che ruota
attorno al colesterolo: il variopinto e redditizio mercato degli
ipolipemizzanti.
Ha un bel dire il Ministero della Sanità che il primo
passo verso un colesterolo accettabile non è un farmaco bensì una dieta
corretta! Nessuno la segue, non perché è svogliato, ma perché l’industria
alimentare deve comunque tirare.
Limitare il tipo di derrate straripanti dai supermercati comporterebbe l’abolizione
di posti di lavoro. La prevenzione si fa dalla culla e fin dall’età
neonatale dovrebbe essere assicurata un’alimentazione che non debba
comportare una riedizione aggiornata del Pater
noster, essendo fuor di dubbio che, se vogliamo pregare bene e rispettare
Iddio, oggi dovremmo recitare così: “...non
darci oggi il nostro pane quotidiano!”.
Siamo circondati da lipidi, siamo soffocati da gente
grassa che è così non certo perché possiede clorofilla al posto dell’emoglobina,
insomma, non è rigogliosa perché sfrutta l’anidride carbonica dell’atmosfera.
Ai tempi di Hitler fu dimostrato in modo incontrovertibile che il peso
corporeo è come un conto in banca: se continui ad attingere senza
rifocillarlo, gli zeri continuano a scendere sino all’estinzione. Sta ai
Governanti impostare correttamente il nostro modo di alimentarci, guidando l’industria
alimentare e favorendo l’attività agricola. Noi non possiamo far altro che
fruire delle loro trovate.
Nella prevenzione delle malattie cardiovascolari non è
solamente contemplata la lotta al colesterolo e al fumo: c’è anche il sacrosanto
dovere di evitare lo stress mentale!
Ma qual'è la Nazione che ha fatta sua la regola di evitare continui traumi
psichici ai Cittadini?
Pare che i legislatori si divertano a sognare di notte per
raccontare di giorno. Qualcuno aveva ventilato di vederci girare in tre su di
un’auto per le vie delle metropoli: sarebbe bastato acchiappare 2 marocchini
lavavetri al primo incrocio di periferia e il gioco era fatto. L’idea per
fortuna non ebbe seguito. L’unico guaio fu quello di propalare questa
trovata, gettando nello sgomento i commercianti orafi, che preferiscono
viaggiare in incognito per ovvi motivi. A nessuno è vietato pensare, è solo
un obbrobrio parlare di certe fantasie!
A proposito del fumo di tabacco voglio solo ricordare che noi
fumatori rendiamo meno pesanti i balzelli, in quanto provvediamo noi
allo stipendio delle Forze Armate. Da ciò emerge che la mafia del fumo, così come la
mafia della droga, sono economicamente validi ed efficienti. Non vale la
pena di prendere sul serio queste mie affermazioni. Voglio solo esprimere
quanto sia complicata la società e come sia insulso bandire crociate ora
contro questo, ora contro quell’altro: i fatti sono talmente concatenati e
intricati che non è semplice trovare il bandolo della matassa.
I Governi non si dedicano a una sincera prevenzione dell’aterosclerosi
per puri motivi economici, e sempre per gli stessi motivi non aboliscono la
caccia. Se per un improvviso raptus cessasse la belligeranza
tra uomo e natura, sarebbe davvero interessante vedere come se la caverebbe
una doppietta d’oro. Qualsiasi provetto cacciatore armato non di
doppietta, bensì di fotofucile con un 1000 mm a diaframma anziché
catadiottrico, tornerebbe a casa col carniere vuoto!
La caccia fotografica non è propagandata né stimolata. I
Governi propagandano a seconda di come tira la Borsa Valori. Ora tocca all’Amazzonia
assicurare l’ossigeno al mondo! E pensare che mi sono nauseato gli occhi
sorvolando l’interminabile verde brasiliano interrotto nella sua monotonia
solo dal serpeggiare limaccioso dei fiumi. Giunto in Italia, volevo quasi
cimentarmi dall’aereo in una partita sull’enorme scacchiera padana! A
conti fatti, i Brasiliani possono morire di fame, invece noi dobbiamo nutrire
le alghe dell’Adriatico coi concimi che la terra non sa più trattenere.
Ai tempi di Mussolini il sabato era dei Balilla: forza!
tutti a fare sport! Mens sana in
corpore sano! Oggi, per reggere una mazza da golf, ci vuole la visita
specialistica. Non ci sarebbe nulla da ridire se, dopo aver dato l’illusione
che la Medicina Sportiva serve a far prevenzione, e che Madre Patria ci vuole
tutti sani, e gratis, si continuasse a dare libero accesso a questa
stramaledetta prevenzione. Invece no, perché i conti non tornano in quanto si
sono creati posti di lavoro in sovrappiù. Allora lo sport viene penalizzato
dal ticket. Mussolini bastonava chi non figliava coi primi spermatozoi, che
sono anche i più baldanzosi. Mio padre si trovò a pagare la tassa del
celibato in quanto si era attardato a procrearmi per una prolissa malattia intercorrente. Mussolini premiava le famiglie
prolifiche, oggi devi guardarti dall’avere prole, perché quando un figlio
non ancora in grado di guadagnare - ma solo di spendere - deve ricorrere a una
radiografia al mignolo, ti decurta il bilancio di una bella porzione! Mi
domando quale sia la funzione del Ministero della Famiglia! Il ticket è il
deterrente del Popolo e della Massa, non certo dei Legislatori, che senz’altro
di ticket ne pagano poco, quel poco che basta per far vedere demagogicamente
che anche loro sono dei Cittadini.
Perché sciupare tutti questi strali smussi, inoffensivi e
fuori moda? Solo per dimostrare che la Società ci ha ridotti a larve,
incapaci di uccidere un Animale per procurarci il cibo. Dobbiamo demandare il
compito di carnefice ad altri, siamo però capaci di uccidere fagiani e lepri
solo per scaricare l’aggressività che altrimenti si riverserebbe dentro e
fuori gli stadi, megastrutture ludiche che ben presto si trasformeranno in
nuova fonte d’introiti per l’insaziabile Erario: giocheremo al Totomorto.
Da più parti si preme per abolire lo sport nazionale
spagnolo, la corrida. Ho avuto la ventura di assistere volutamente a una sola
mandata di tauroecatombe, e posso affermare di essere contrario alla corrida
per un solo motivo: non viene rispettata la dignità del toro, in quanto si
gioca ad armi impari. È troppo comodo infiggere una spada in un animale
preagonico e ansimante, coi polmoni invasi dal sangue fatto sgorgare dai picadores!
La corrida, di cui non conosco l’origine storica ma che posso tuttavia
ipotizzare, è la trasfigurazione dell’antica necessità dell’uomo di
procurarsi cibo, quando affrontava il toro in una battuta di caccia dove tutti
i partecipanti avevano la loro funzione, ritualizzata ora nell’arena.
Nessuno vieta la caccia per sopravvivere. Una legge
morale, che sta scritta solo nel cuore dell’uomo, impone il rispetto per
tutto ciò che è espressione di Dio: l’Universo.
C’è gente che uccide i neonati e gli inermi, poi
arriccia il naso perché due galli combattono ad armi pari. Si tappezzano le
strade intitolandole a Giudici massacrati, si accetta la boxe, e poi si mette
fuori legge uno sport che ha precise ragioni genetiche: l’istinto combattivo
del gallo, indipendente dalla difesa del territorio e della sua femmina.
Abramo Lincoln fu un tenace difensore delle gallomachie. Rispose così a un
cittadino che sollecitava una legge contro i combattimenti tra galli: “Amico,
è da molto tempo che il Creatore
permette agli uomini
intelligenti, creati a sua immagine e somiglianza, di lottare in pubblico. Non
sarò certo io a privare i galli dello stesso diritto e privilegio.”
Col trascorrere dei secoli l’uomo ha adottato le
soluzioni cosiddette migliori: si
impone a certe razze di polli di non covare, e finiremo per fornire un bell’utero
al maschio, affinché la femmina dell’Uomo sia libera da impegni terreni,
per dedicarsi anima e corpo alla gestione della Res
Publica, come ci insegna Irene Pivetti, cattolica al 100% ma non covatrice!
Ma poi la nostra Irene ci ha ripensato.
In mezzo a questo guazzabuglio, teso a sovvertire la
natura, viene a trovarsi suo malgrado anche il Gallo Combattente, con tutte le
sue esigenze e i suoi diritti. Io non sono né verde né rosso né di
qualsivoglia colore. Divento verde dalla bile di quando in quando, specie se
mi trovo vis-à-vis con l’egoismo
e l’incongruenza. Oggi si critica una barriga
de aluguel, una pancia da affittare, un utero preso a prestito, ma nessuno
ha mai criticato Abramo per essersi accoppiato, su preciso invito della
sterile moglie Sara, con la serva egiziana Agar, dalla quale nacque Ismaele,
che secondo la tradizione biblica fu il capostipite degli Arabi.
Poi si dice che un figlio nasce solo da un atto d’amore!
Sappiamo tutti che un figlio nasce anche dall’egoismo dovuto al desiderio di
immortalità. Il Foscolo affidava alla poesia il compito dell’immortalità,
in quanto la poesia vince di mille
secoli il silenzio; c’è chi l’affida a una tomba sontuosa, chi a un
sangue del suo sangue. Torniamo ad Abramo. Fu egoista né più né meno degli
egoisti odierni, e doveva avere senz’altro la certezza di essere Lui il fertile di casa, non certo per essersi sottoposto a un esame
microscopico dello sperma, ma per rivelazione divina o, molto più
verosimilmente, per altre esperienze d’alcova.
Oggi sappiamo che la sterilità coniugale spetta
percentualmente in ugual misura ai due sessi, e concediamo ad Abramo di non
esserne informato, essendo ai suoi tempi l’era
dei lumi ancora abbastanza lontana. Mi torna alla mente la ridicola
situazione di quel mio Paziente che doveva di mala voglia sottoporsi all’esame
dello sperma per valutare la sua sterilità coniugale, di mala voglia in quanto proprio poco tempo prima aveva dovuto ricorrere all’aborto per aver
soddisfatto le voglie di una ragazzina.
La legge ebraica concedeva ad Abramo la possibilità di
attuare in qualche modo la legittima aspirazione di un qualsiasi marito.
Invece la legge di numerosi Paesi non
concede al Gallo Combattente di essere se stesso,
di realizzare un istinto che ha nel
sangue.
Possiamo tralasciare i dati storici sull’impiego sacrale
e ludico del pollo già riferiti nel primo volume. Voglio raccontare la mia
esperienza. Intorno al Natale del 1994 sotto due chiocce hanno visto la luce
10 vispi pulcini, figli di gloriosi Combattenti Brasiliani, Shamo o Shamoidi,
nati da uova che hanno felicemente attraversato l’Atlantico insieme a
Eduardo, di ritorno da una capatina in Brasile, sua terra natia. Un giorno,
mentre vezzeggiavo un pulcino, venni ripagato con una beccata al labbro da
parte di un’implume femminuccia di quella nidiata. Fu prontamente perdonata,
è ovvio. Ne trassi però un insegnamento: che
rapidità, e che forza! Un altro giorno, quando la nidiata di diavoletti
non aveva ancora due mesi d’età, vidi un maschio che cercava di saltare
addosso a una delle due chiocce della comune,
e interpretai il fatto come dovuto a una precocità sessuale, pur sapendo che
si trattava di un’ipotesi di comodo.
L’osservazione mi permise successivamente di chiarire
gli avvenimenti e il comportamento: tra chiocce e pulcini stava instaurandosi
un rapporto d’insofferenza reciproca, sfociata senz’altro in qualche
scaramuccia che aveva causato una ferita al petto di una femmina, prontamente
suturata. Anche la seconda chioccia, molto più mite, dimostrò lo stesso
comportamento di insofferenza della prima, e anch’essa fu allontanata per
impedire che la scaramuccia degenerasse in battaglia. Furono poi allontanati
anche i maschi per lasciare tranquille le sorelle, in quanto non era
infrequente osservare balzi e colli avvinghiati come accade nell’arena. Ecco
perché ce l’hanno nel sangue. Io non li ho ammaestrati alla lotta, anzi,
per quel poco che li ho seguiti, li ho umanizzati alla Don Abbondio. Ho preferito però sottrarli alle mie tenere grinfie e
lasciarli crescere secondo natura.
Ars telorum. Dopo le filippiche alle quali mi sono abbandonato con piacere, vorrei
spiegare il titolo affibbiato a questo paragrafo: ars telorum potrebbe
tradursi con artiglieria, che Manlio Cortelazzo fa
derivare dal francese artilleur,
rifacimento di art, arte, di un
precedente atilier, preparare, di
origine germanica. Non posso certo contestare quest’interpretazione, però
ricordo un fatto preciso: servii la patria come Dirigente del Servizio Sanitario del 51° Reggimento d’Artiglieria
Pesante; un Ufficiale dell’Arma mi gettò lì per lì l’etimologia di
quest’arte guerriera: Ars telorum,
arte dei telum, parola latina di
etimologia incerta che significa arma da getto, proiettile, freccia, strale,
giavellotto; poi, in genere, ogni arma offensiva: spada, pugnale, lancia,
scure, corno aguzzo del toro, raggio del sole, membro virile; Finsterbusch
dice che a Roma i galli venivano armati con un tellum
[leggi telum, ndA] d’argento o di
bronzo. Quindi telum era anche lo
sperone artificiale.
Gallo
combattente shamoide - 1812
con piume spuntate e armato di speroni artificiali
stampa dell'artista inglese Benjamin Marshall (1768-1835)
È giunto il momento di raccogliere le notizie che riguardano la genetica del Combattente. Ahimè, sono nulle. Salvo uno studio del 2006, Genetic relatedness among wild, domestic and Brazilian Fighting Roosters (Brazilian Journal of Poultry Science / Revista Brasileira de Ciência Avícola), in cui in base a dati scientifici si conclude che il Combattente Brasiliano discende dal Gallus gallus e che appartiene alla sottospecie Gallus gallus domesticus.
Genetic
relatedness among wild, domestic
and Brazilian Fighting Roosters
Attualmente non esiste alcuna ricerca sistematica sulla genetica
delle caratteristiche psicologiche del Combattente, per cui non è possibile
dare un repertorio di geni implicati nelle qualità richieste per essere un
buon Gallo d’arena. Il nostro approccio, che può costituire una traccia per
coloro che volessero tuffarsi in questo campo inesplorato della genetica, si
limiterà pertanto a sottolineare le caratteristiche peculiari di queste
razze, che fondamentalmente possono essere distinte in Combattenti di
velocità e Combattenti di resistenza.
Combattenti
di velocità: combattono molto rapidamente, ma sono sprovvisti di
resistenza, per cui gli avversari sono armati di punte, telum, o di lame, slashers;
in questo modo uno dei due contendenti risulta vincitore prima di aver
esaurito le proprie energie. Sono i Bankivoidi.
Combattenti
di resistenza: combattono in modo pesante e solamente coi loro speroni,
al massimo vi viene applicato in punta l’apice dello sperone di un gallo
deceduto; non esiste il rischio di conclusione prematura della tenzone per
morte improvvisa traumatica. Si tratta dei Malesioidi.
L’attitudine al combattimento è senza dubbio di origine
genetica ma la sua trasmissione è abbastanza complicata e deve essere
suffragata da dati scientifici che riescano a discernere il genotipo dal
fenotipo, fenotipo ottenuto ovviamente ricorrendo alle specifiche tecniche d’allenamento
e d’allevamento.
Possiamo fare una precisazione sul tipo morfologico
richiesto a un combattente, e non possiamo negare che la morfologia è
indubbiamente d’origine genetica: un gallo con zampe corte, collo corto e
spalle larghe generalmente sarà più forte di un gallo a zampe lunghe, collo da
cigno e corpo delicato. Il primo può contare sul fatto che gli basta uno
spazio minore per ergersi e sferrare l’attacco, coadiuvato dal peso del
corpo, mentre l’altro deve ricorrere a un dispendio energetico maggiore.
Che piaccia o non piaccia, voglio concludere con una
massima brasiliana:
Mais vale um dia de galo de briga, |
Val
più un giorno da gallo combattente, |
In Brasile le lotte tra galli, proibite il 18 maggio 1961,
furono subito riammesse con Decreto n° 1233 del 22-6-1962: questo fatto è la
riprova che in seno a una qualsivoglia Società il concetto di moralità è
spesso frutto del potere politico. La rapida mutazione legislativa si verificò quando era Primo Ministro
Tancredo Neves. Il difensore delle gallomachie brasiliane pare sia morto in
seguito a breve malattia [infezione
generalizzata!]: era il 14 marzo 1985, giorno del ricovero in ospedale,
nonché vigilia della sua investitura a Presidente della Repubblica
Federativa. Gli succedette Sarney, del quale ebbi occasione di ammirare il
capitombolo finale, sostituito dal nobile e drogato millantatore Fernando
Collor de Mello. Come al solito i migliori se ne vanno in fretta e in
silenzio.
Avevo promesso di scriverti
durante le ferie, ed eccomi qua, al mio primo giorno di vacanze, con la penna
in mano a raccontarti le mie esperienze sui polli, che tu reputi tanto
importanti.
Inizierò da un fatto che mi è capitato ultimamente e che
mi ha incuriosito molto. Per avere maggiori possibilità di ottenere soggetti
di buona qualità, io cerco di creare più gruppi, e questo comporta il fatto
di dover spostare spesso i gruppi di femmine presso i maschi, e in molti casi
anche di mischiare femmine tra loro. I gruppi femminili sono composti da un
numero limitato, che può oscillare da 1 a 5. Io mi sono trovato a dover
mischiare due galline che erano rimaste per alcuni mesi ciascuna con il suo
maschio; queste femmine si combattono all’inizio, cosa che io lascio fare
per alcune decine di minuti, quando intervengo dividendole e riavvicinandole,
dopo aver fatto loro sbollire l’eccitazione, fino a quando una delle due
rinuncia al combattimento e fugge, atteggiandosi come si conviene in questi
casi: nascondendo la faccia e così via.
Questa volta però le cose sono andate diversamente: ogni
volta che riavvicinavo le contendenti, esse ricominciavano a combattere con
più accanimento, i colpi che si infliggevano erano sempre più insidiosi e
forti. La cosa si è protratta per ben tre giorni, anche se a turno mettevo
una delle due galline sotto a una gabbia di rete in modo che potessero
vedersi, ma non combattere. Alla mattina e alla sera cercavo di rimetterle
insieme, e siccome ricominciavano i combattimenti, tornavo a dividerle. Al
terzo giorno, finalmente, la gallina che aveva riportato più ammaccature
durante gli scontri, accennava, con il suo verso e con il tipico gesto di
abbandono, a fuggire e a lasciare il campo di battaglia. Cosa insolita è che
questo gesto lo ha ripetuto per ben tre volte, intervallandolo con una ripresa
disperata dei combattimenti. Al terzo tentativo era evidente che fosse
definitivo, e in cuor mio pensavo di aver risolto il problema, ed è iniziata
- se così si può dire - la seconda fase, che consiste nel mettere in diversi
punti del pollaio del mangime, in modo che la gallina perdente possa mangiare
- anche se in questo caso la vincitrice la rincorreva più o meno assiduamente
- permettendo così alla fuggitiva una ripresa in salute più repentina.
Ebbene, a questo punto, questa gallina che io ritenevo
geneticamente molto importante e quindi di grande valore, si è rifiutata di
nutrirsi, fino a quando è sopraggiunta la morte. Secondo me era rimasta
troppi mesi da sola con il gallo e non accettava più la presenza di un’altra
femmina che fosse dominante e nell’ambito del suo territorio.
Un caso simile si è verificato l’anno scorso. Al
momento della formazione dei gruppi per l’allevamento ho dovuto unire tre
galline provenienti da pollai diversi. Conoscevo bene le mie galline: una era
vecchia e di buona razza, molto aggressiva e anche forte, all’incirca di 4
anni, la seconda per me altrettanto pregiata di 3 anni, e una pollastra.
Quella più vecchia stava covando, e ho pensato che molto probabilmente era il
momento migliore per metterle insieme, in quanto avrebbe opposto meno
resistenze data la sua occupazione nel badare al nido, e intanto avrebbe
cominciato ad abituarsi alla presenza delle altre due, e inoltre, essendo
chioccia, era senza dubbio fisicamente più debole e quindi meno velleitaria.
Subito sono iniziati i combattimenti: alle prime zuffe la
pollastra ha desistito, seguita dalla chioccia che era indaffarata più per il
nido che per altro. A questo punto pensavo di aver risolto il problema, la
vita del gruppo era diventata regolare; la vecchia gallina ha continuato a
covare per 4-5 giorni ancora, poi ha lasciato il nido; la sua cova non era
reale, in quanto l’avevo lasciata solo per farla riposare. Nei giorni che
seguirono andò scemando il suo verso di chioccia, e fuggiva dalla nuova
venuta; questo durò all’incirca 12-14 giorni, finché riuscì a recuperare
appieno le forze con il cibo, con il giusto movimento muscolare, nonché il
peso che aveva perso durante la cova. Quando si sentì sufficientemente in
forze diede battaglia alla sua convivente dominante. Alla sera la trovai
ammaccata ma ancora tutta accesa e bellicosa, mentre la sua avversaria aveva
gli occhi completamente chiusi e la testa di volume raddoppiato. A niente sono
valse le mie medicazioni e cure: il giorno successivo era morta e la vecchia
gallina aveva ripreso il dominio del pollaio.
Un altro fatto significativo per lo studio del
comportamento dei galli combattenti, o più generalmente dei polli, mi è
successo solo alcune settimane fa, dopo la tua visita. Una domenica sera ho
finito tardi un lavoro, il tempo era abbastanza brutto ed era piovuto. Per
questo motivo portavo un cappello di colore blu mischiato ad altri colori
abbastanza vistosi, che mi era servito per proteggermi dalla pioggia. Ero
abbastanza stanco e dovevo ancora dar da mangiare ai miei animali. Quindi, con
malavoglia ho preparato tutto il becchime e ho iniziato il solito giro. Le
cose sono procedute bene fino a quando non ho dato del becchime al mio gallo
migliore, chiamato Forte perché ha
al suo attivo due vittorie al torneo con avversari di degno rispetto. Quando
ho allungato la mano per versargli le granaglie, sono stato beccato all’avambraccio,
una beccata dolorosissima che mi ha fatto sgorgare immediatamente sangue dalla
ferita. La reazione che ho avuto, condizionata dalla stanchezza e dalla
fatica, è stata impulsiva: ho afferrato il cappello che portavo in testa -
inzuppato d’acqua e quindi di un certo peso - e ho cominciato a tirare di
scherma con il gallo, colpendolo ripetutamente in viso. I colpi inferti con il
pesante cappello lasciavano ogni volta il mio avversario disorientato e
meravigliato, ma via via più inferocito. Quando gli davo spazio, lui balzava
verso di me afferrando il cappello con il becco e poi colpiva con gli speroni,
e così via, fino a quando, avendo il braccio indolenzito, lui è riuscito a
strapparmi di mano il cappello, ghermendoselo ben bene con il becco e
colpendolo ripetutamente con gli speroni.
La cosa continuò alcuni minuti, e capii di aver commesso
un errore ad attizzare in quel modo l’animale, in quanto faticai molto a
rinchiuderlo nel suo serraglio, perché rivolgeva le sue attenzioni anche a
me, non solo al cappello. Sapevo che ora dovevo stare in guardia da Forte
molto più di prima, molto probabilmente adesso ero annoverato tra i suoi
nemici, come generalmente fanno gli altri galli quando trovano qualcuno che
accetta il combattimento con loro, o anche semplicemente li infastidiscono con
movimenti ripetuti fatti a breve distanza da loro, o quando si vuol toccare le
loro galline.
Il mio all’erta è durato alcuni giorni, durante i quali
il mio avversario non mi degnava di attenzioni, o quasi, perché solo una
volta o due ha cercato di aggredirmi, cosa che ha allentato in me la guardia e
così non ho messo in atto tutto il riguardo dovuto e necessario in queste
situazioni, e alcune sere dopo, durante la distribuzione della razione di fine
giornata, mi ero completamente scordato di aver nuovamente in testa il
fatidico cappello variopinto. Giunto al box di Forte ho aperto la porta in
metallo e ho guardato il gallo che era attento ai miei movimenti, appollaiato
su di un nido a circa 50 centimetri d’altezza. Ho notato in lui uno sguardo
molto più acceso del solito, ma, siccome non si muoveva, ho parlato per
tranquillizzarlo, fissandolo negli occhi, e con la mano sinistra cercavo il
recipiente nel quale versare il cibo per lui e per la sua compagna. Proprio
nel momento in cui ho abbassato lo sguardo per afferrare la ciotola sentii un
tonfo sulla testa e un dolore lancinante alla fronte e al naso, punti in cui
era riuscito a colpirmi con gli speroni, fortunatamente poco appuntiti. Ho
immediatamente abbandonato il campo, con rivoli di sangue che mi correvano in
viso, mi sono voltato per vedere se Forte mi inseguiva, dal momento che la
botta aveva anche annebbiato un po’ la mia vista. Con meraviglia ho scorto
che Forte si vendicava con il cappello che alcuni giorni prima avevo usato per
colpirlo. Lo afferrava saldamente con il becco e poi lo colpiva con cattiveria
e precisione con gli speroni; quando cadeva tra l’erba alta lo afferrava, lo
alzava e lo colpiva con tanta forza da scaraventarlo a una certa distanza da
lui. A questo punto mi sono allontanato per medicarmi e valutare l’entità
della ferita. Al mio ritorno sul posto, dopo circa un quarto d’ora, il gallo
si aggirava a breve distanza dal cappello, guardingo nei suoi confronti,
facendo a tratti lo scatto per andare a beccarlo.
A questo punto bisogna fare due considerazioni. La prima:
come spiega il libro che mi hai prestato - Lo
stupido pollo? - in cui l’autore, Erich Baeumer, dice che i polli
reagiscono a input istintivi, e questo in Forte è confermato dall’individuare
l’avversario in un cappello variopinto che lo aveva percosso alcuni giorni
prima. In secondo luogo: alcuni anni addietro, tramite una mia collega - il
cui marito era titolare di una cattedra all’Università di São Paulo per l’insegnamento
della storia e della lingua giapponese - avevo avuto la possibilità di farmi
tradurre un libro giapponese che avevo ottenuto in un modo molto rocambolesco
e che trattava delle razze dei polli, dando ampio spazio a quelli da
combattimento: nella definizione del gallo campione si asseriva che per essere tale il soggetto deve
riunire diverse caratteristiche, quali: forza, precisione, capacità di
colpire l’avversario al momento opportuno, resistenza al dolore. Senza tutte
queste qualità il gallo non riuscirebbe ad emergere. Dalla mia breve
esperienza di allevatore di galli combattenti devo dire che in fondo questo è
vero, aggiungendo che per essere un fuoriclasse il gallo deve possedere anche
un briciolo d’intelligenza, deve capire quando e in che modo colpire l’avversario,
requisito fondamentale che rientra in una delle caratteristiche appena
elencate. Questo lo si può vedere in diversi combattimenti: quando l’animale
si trova in particolare difficoltà, l’avversario intensifica i colpi per
indurlo ad abbandonare il campo. Oppure, quando un soggetto viene accecato, l’avversario
continua a colpirlo dal lato dal quale non riesce più a difendersi, in quanto
non riesce a vedere e quindi non riesce più a schivare i colpi.
Ci sono animali che modificano il combattimento a seconda
delle caratteristiche aggressive dell’avversario. Ad esempio: un gallo che
tecnicamente combatte a viso aperto, sferra i suoi colpi più insidiosi
direttamente al volto dell’avversario, dal davanti, senza evitarlo,
mantenendo la testa alta, prediligendo l’attacco frontale senza tanta
scherma e a suo piacere. Lo stesso soggetto, con un avversario più pesante e
più alto, è indotto a variare completamente le sue tecniche d’assalto,
magari aggirandolo e colpendolo alle spalle, mettendo la testa al riparo sotto
l’ala dell’avversario e colpendo quando trova un varco nella guardia,
evitando sempre il confronto diretto, colpendo quasi sempre di sfuggita con
una scherma micidiale per disorientare l’avversario. Ora, per fare tutto
questo, un animale deve avere un minimo di raziocinio. Secondo me non è
sufficiente credere in uno spiccato spirito di autoconservazione. Su questo mi
interesserebbe sapere anche le tue impressioni e avere un tuo giudizio, visto
che io da profano non riesco a spiegarmelo in altro modo. A rafforzare di più
la mia tesi esistono razze di combattenti abituati a impiegare una tecnica
simile alla guerriglia, ossia, impegnano l’avversario con alcuni colpi molto
secchi e improvvisi, poi si danno alla fuga e costringono l’avversario all’inseguimento.
Improvvisamente si fermano e colpiscono nuovamente all’improvviso, prendendo
di sorpresa la controparte che si trova impreparata, e così via. Questa
tecnica è però affine a quella dei soggetti di taglia piccola. Essi si
comportano così perché sanno che, sfidando direttamente l’avversario,
avrebbero la peggio, perché essi l’hanno valutato più forte o più
pesante. Triste è dover ammettere che questi soggetti, se sono liberi - e non
rinchiusi in un’arena - hanno percentualmente la meglio sull’antagonista,
proprio grazie a questa loro tecnica di toccata e fuga.
Ora, queste diversità di tecnica nell’impegnare il
nemico, non credo si possano attribuire solamente a un impulso istintivo.
Forse l’animale valuta a priori l’avversario e sceglie di conseguenza il
modo più vantaggioso di impegnarlo.
Nel 1995 ho intrapreso un viaggio in Tailandia. Molti
frequentatori di mostre e combattimenti mi raccontavano che questa era la
regione che offriva le maggiori possibilità di materiale eccezionale. La cosa in seguito si rivelò falsa, perché
io trovai sì dei soggetti da importare, ma si tratta di razze un po’
particolari che in confronto alle nostre dimostrano minor resistenza. A parer
mio la causa di ciò risiede nel fatto che la popolazione è estremamente
povera e non ha quindi la possibilità di rinsanguare gli allevamenti con
soggetti giusti, senza contare il fatto che vengono accoppiati solo i soggetti
giovani, in quanto gli altri finiscono meno gloriosamente in padella.
Riuscii a trovare delle uova provenienti da due località
diverse: dall’area all’interno di Bangkok e dall’area di Pattaya, verso
il confine della Cambogia. Siccome le prime uova da me trovate erano di
Bangkok, dove ho dovuto ritornare per l’imbarco aereo, mi accordai con il
mio committente di portarmele all’aeroporto la sera stessa della partenza.
Mi portò più uova di quante glie ne avessi commissionate, visto che le
pagavo bene, facendo razzia anche di quelle che erano sotto a una sua
chioccia, avvisandomi che a distanza di 2-3 giorni si sarebbero schiuse. Io
ero molto stanco perché avevo avuto un contrattempo con la valigia, e così
ritirai tutte le uova senza discutere e senza mercanteggiare sul prezzo.
In cuor mio ero molto scettico circa l’utilizzo di
quelle uova che erano in parte covate, ma le imballai con le altre e coi
dovuti riguardi, e, essendo ormai miscelate alle altre, non potevo certo
mettermi a disquisire. Durante il volo le tenni sempre con me come bagaglio a
mano, e, sbarcato in patria, salutai frettolosamente la compagnia per
dirigermi subito da mia moglie Elsa che era venuta in auto ad attendermi all’aeroporto
di Navegantes. Strada facendo, mentre raccontavo le avventure di quel viaggio,
dopo poche parole mia moglie mi interruppe per dirmi che udiva un pigolio
tipico dei pulcini. Io, sarcastico, le dissi che già molte persone mi avevano
preso in giro per il singolare interesse che mi aveva spinto ad affrontare un
viaggio così lungo, e che la sua ironia poteva essermi risparmiata. Elsa
ribadì che non si trattava di sarcasmo, e che sentiva ancora pigolare. Mi
affrettai allora ad aprire la lampo della borsa e a rompere l’imballo
superiore per verificare le condizioni delle mie uova. Con grande sorpresa vi
scorsi due pulcini già completamente asciutti e uno che stava rompendo la
sommità dell’uovo.
Devo dire che se questo fatto non fosse successo a me e ne
avessi udito solo il racconto, non ci avrei creduto, perché in questi anni mi
sono dedicato a numerose schiuse con chiocce e con incubatrici, e so che il
momento della schiusa è quello più delicato per una buona riuscita della
covata. Molte volte si stanno schiudendo delle uova alle quali attribuisco un’estrema
importanza, e se vedo che il pulcino si attarda a uscire, lo aiuto, rompendo
parte del guscio o scollando la pellicina dal dorso, e così via. Mi sono reso
conto in seguito che questo è uno sbaglio, in quanto questi pulcini hanno
delle tare per le quali la natura stessa li ha già condannati, e il mio
intervento fa sì che li faccia soffrire più a lungo. Il pulcino che con
forza rompe il guscio per affacciarsi a questo mondo, è un soggetto che non
ha problemi, difficilmente avrà le dita storte, o cadrà sulle gambe, o avrà
delle debolezze fisiche di qualsivoglia sorta.
Ritornando alle uova tailandesi, lo scadenzario delle
nascite dei pulcini fu il seguente: 3 nacquero sull’aereo, 1 dopo quindici
giorni, 2 dopo diciassette giorni, e 15 dopo un’incubazione normale di tre
settimane. I soggetti che ho avuto, e che ho tuttora, sono animali con
caratteristiche molto primitive: avvertono i pericoli con anticipo rispetto
agli altri, sono più selvatici
perché non si lasciano accarezzare come accade invece per gli altri, volano
per distanze maggiori rispetto ai loro cugini
già da tempo accasati, si mimetizzano se inseguiti dall’uomo o da animali,
in modo da non essere scorti fra le foglie secche e le sterpaglie, tanto che a
volte rischiano di farsi calpestare pur di non muoversi, mostrando un
comportamento simile ai nostri fagiani.
Parecchie volte accade che in seno alle covate si
inneschino dei combattimenti fratricidi, con il rischio di compromettere l’intera
nidiata o, sicuramente, i soggetti più interessanti. Per ovviare a tale
inconveniente, uno dei rimedi è quello di immettere nella nidiata un gallo
già adulto, meglio ancora se ha compiuto i due anni, perché accudisce i
novelli con attenzione, certe volte pari a quella della chioccia, invitandoli
a mangiare, riscaldandoli sotto le proprie ali e, soprattutto, assestando
delle forti beccate ai più irrequieti e irascibili, convincendoli a una
convivenza forzatamente tranquilla. Il fatto di riuscire a mantenere la pace
tra i pulcini significa aver raggiunto l’obbiettivo che ci eravamo prefissi,
anche se in alcuni casi può verificarsi che il gallo adulto colpisca in modo
troppo duro i pargoli a lui affidati, oppure si accanisca in particolar modo
con alcuni soggetti, tanto da traumatizzarli a tal punto da far sì che egli
non venga più dimenticato.
Successivamente i polli verranno suddivisi uno per gabbia
e al momento giusto verranno portati a combattere. A questo punto può
accadere che se l’avversario è dello stesso colore del gallo che aveva
svolto il ruolo da paciere nei confronti dei novelli, questo non venga
attaccato, in quanto la presenza di quel gallo nell’arena incute rispetto e
se il giovane gallo venisse da lui attaccato non opporrebbe alcuna resistenza,
dandosi a una fuga sfrenata. Questa situazione può crearsi anche quando i
maschi di una stessa covata vengono lasciati per troppo tempo insieme: il
soggetto dominante si impone con forza e aggressività sui compagni, cosicché
costoro rimangono terrorizzati per tutta la vita, fuggendo sempre di fronte a
un avversario con caratteristiche simili al loro dominante.
A volte questo comportamento viene completamente
capovolto. Ho avuto soggetti che da subito si sono dimostrati fortissimi,
riscuotendo il rispetto di tutti i compagni, e una volta adulti hanno
combattuto molto bene, manifestando così chiaramente la loro stoffa
congenita. D’altronde ho avuto anche soggetti che devono dire grazie alla
loro buona stella per aver loro permesso di raggiungere la maturità, in
quanto erano pulcini piccoli, schivi, spennacchiati per le troppe beccate, ai
quali non era mai permesso di saziarsi, dovendosi nutrire solo dei resti
lasciati dai loro compagni. Non li uccidevo solo per casi fortuiti, magari
perché altri soggetti che ritenevo migliori mi erano morti o si erano
rovinati, oppure semplicemente perché si era liberato un posto.
A un tratto della loro vita questi soggetti fioriscono,
ossia, subiscono una vera e propria metamorfosi, diventando molto strutturati
e forti. Nella maggior parte dei casi si facevano notare perché attaccavano
all’improvviso i loro coetanei dominanti e li uccidevano. Questo è uno dei
pochi casi in cui l’animale non si ferma fino a quando non ha finito l’avversario.
A testimonianza di questo posso addurre almeno quattro casi nei quali il
pollastrello schivo si è trasformato in un gallo degno di tutto rispetto.
In due occasioni mi sono trovato a dover introdurre, per
motivi di spazio, un gallo di forza e coraggio provati sul campo, nel
serraglio dove tenevo il galletto americano,
il garnizé, come è detto qui
in Brasile. Il galletto americano è un bantam ibrido che io tengo con le sue
compagne per utilizzarle principalmente nella cova. Nell’introdurre il mio gladiatore
nel serraglio in cui dominava il galletto, ne seguivo gli avvenimenti, per non
avere in seguito delle amare sorprese. Da subito il galletto lanciava la sfida
e si apprestava a combattere, ma nei due casi menzionati si è verificato come
tra Davide e Golia. Dopo i primi colpi di studio, il gladiatore abbandonava il
campo di battaglia in fretta e furia, inseguito dal galletto, e non vi era
più verso di ricucire una convivenza, e nei due casi in cui ho insistito ho
in pratica rovinato il combattente, perché ha perso il suo comportamento,
senza più combattere con la dovuta convinzione, abbandonando la lotta dopo
poche iniziali scaramucce.
Può essere che al momento della coabitazione forzata con
il bantam il combattente stesse iniziando la muta, anche se non posso
affermare ciò con sicurezza. Con sicurezza posso dire che precedentemente,
quando l’avevo fatto combattere, non avevo avuto problemi di sorta, perché
prima ne valuto le condizioni e lo stato di salute.
Una regola fondamentale di tutte le nidiate di combattenti
- difficile da spiegare - sono gli scontri fratricidi che avvengono più o
meno attorno al compimento del secondo mese di vita. Solitamente le covate
raggiungono quest’età senza grandi problemi, quando, a un tratto, si
innescano dei combattimenti causati dalle pollastrelle più belle e più
sviluppate, che, come impazzite, aggrediscono tutti, sia maschi che femmine,
senza alcuna distinzione. Una volta distribuite le prime beccate a casaccio,
si ha una reazione a catena: ogni soggetto colpito inizia a contrastare lo
sfidante o attraverso un’opposizione ferma e decisa, oppure, dopo alcune
beccate, scappa, andando a sfidare qualche altro soggetto, forse ritenuto meno
forte.
In capo ad alcuni minuti si ha l’intera nidiata intenta
a combattere. Gli effetti sono molteplici e devastanti: le coppie di
combattenti si isolano e si azzuffano sin quando si rovinano completamente,
asportando tutta la cute che ricopre la scatola cranica, certe volte fino alla
base del collo. Talora si aggiunge al duetto un altro elemento, e si giunge
agli stessi risultati in tempi più lunghi. In altri casi uno dei pollastrelli
più sviluppati attacca la madre, con due possibili risultati: se la chioccia
è una bantam, spesse volte ha la peggio, mentre, se è una combattente
gigante la si deve allontanare, altrimenti uccide i soggetti che l’hanno
sfidata, e a volte non solo quelli. Le pollastrelle che hanno dato il via alla
zuffa hanno la peggio in breve tempo, e solo in alcuni casi riportano delle
conseguenze irrimediabili; quelli che ne traggono lesioni più gravi sono i
maschi, anche perché combattono più a lungo. Alcuni di loro non sono ancora
riconoscibili se galletti o meno, ma dall’intensità del combattimento si
può dedurre che sono maschi con una certa sicurezza.
Fondamentale è intervenire immediatamente a sedare la
sommossa, altrimenti si rischia di perdere l’intera chiocciata. La tecnica
che ritengo più efficace consiste nell’isolare i soggetti più focosi,
rinchiudendoli momentaneamente al buio o sotto a piccoli recinti di rete senza
cibo e acqua, in modo che i soggetti si possano vedere senza beccarsi. La
seconda fase consiste nel somministrare molto cibo agli altri soggetti in modo
da appesantirli con i processi digestivi. Per quelli che sono stati separati
è importante tenerli assetati e digiuni, in modo che, reimmessi nella covata,
si avventeranno sul cibo, tralasciando l’istinto aggressivo per quello di
autoconservazione. È importante che la reimmissione sia repentina,
tergiversando magari nel separarli se si azzuffassero, in modo che si
ammacchino a dovere, il che li farà desistere successivamente dal riattaccare
briga. Se trascorresse troppo tempo per la loro reintroduzione, si
rischierebbe di avere il rifiuto del soggetto, in quanto tutti gli altri lo
aggredirebbero, obbligando l’allevatore a isolarlo definitivamente.
Trascorso questo periodo cruciale, i polli formano la loro
scala gerarchica che servirà a regolamentare la vita di gruppo, a partire
dall’alimentazione - punto cruciale - per finire con tutto quanto fa parte
di una normale vita comunitaria di un pollaio. In seguito la crescita prosegue
tranquilla e difficilmente si verificheranno altri combattimenti. La cosa
curiosa e inspiegabile, come io e tu abbiamo già avuto modo di discutere, è
che dopo questa fase i pollastrelli non combattono più, anzi, salvo qualche
eccezione, rifiutano a lungo la lotta, sino a quando non avranno raggiunto lo
sviluppo sessuale che li rimetterà nuovamente in competizione.
Ora, io non riesco a spiegarmi questo fatto con
presupposti scientifici, come invece potresti fare tu. Io attribuisco questo
comportamento a una qualche concentrazione di ormoni. Non so se sia verosimile
o meno, anche se bisogna tener conto di una cosa che può essere significativa
nella comprensione di un comportamento siffatto: trascorse alcune settimane
caratterizzate da una difficile convivenza, i maschi - fatto salvo quello
dominante - hanno un comportamento che non esiterei a definire molto
effeminato. In molti casi fuggono persino dalle pollastrelle e hanno un
atteggiamento proprio simile al loro. Io, per tutta tranquillità, divido i
due sessi, maschi da una parte e femmine dall’altra, per poi dare il via a
una rigorosa selezione.
L’atteggiamento tenuto dai maschi è di facile rilievo,
ed è del tutto contrario all’indole di un galletto. Fino a quando non
inizierà a cantare non ritroverà più il coraggio di cercare di imporsi
sugli altri, né quel tipico atteggiamento superbo del gallo, momento in cui,
in pratica, ha raggiunto lo sviluppo sessuale. È
per questo che io penso che
tutto ciò sia forse dovuto a una diversa concentrazione ormonale, o a
qualcosa di simile. A parer mio, raggiungendo il completamento dello sviluppo,
si stabilizza anche la produzione di ormoni caratteristica del maschio.
Altro fatto curioso che può aver luogo in qualsiasi
momento della vita della covata, è quando improvvisamente un componente non
viene più accettato dai compagni, a prescindere dal suo sesso. Può capitare
che nasca una zuffa in cui tutti si accaniscono con lo stesso compagno, e a
nulla valga il suo momentaneo allontanamento, in quanto, a un successivo
tentativo di reinserimento nel gruppo, dopo poco le cose riprenderanno l’andazzo
di prima. Basta infatti che uno dei compagni dia una beccata alla vittima
designata e che questa si metta a strillare dal dolore, che l’attenzione
generale si concentrerà su di lui, con la ripresa del carosello iniziale.
Questo tipo di comportamento coinvolge percentualmente in modo maggiore le
femmine rispetto ai maschi, e in alcuni casi mi è capitato di vedere che è
la chioccia ad accanirsi contro il pulciotto. È evidente che per mettere fine
alla persecuzione si debba allontanare la chioccia oppure il malcapitato.
In queste poche pagine ti ho descritto quei fatti che ho
ritenuto più interessanti e curiosi, che forse ti possono fornire qualche
notizia utile per le tue ricerche. Sono sempre a tua disposizione per
chiarimenti o approfondimenti in merito a un problema così complesso come è
il comportamento dei polli in genere, e dei combattenti in particolare.
In seno alle razze domestiche
esistono spiccate differenze di temperamento: i polli mediterranei, come
Ancona e Livorno, hanno la tendenza a essere più nervosi rispetto agli
asiatici, come Brahma e Cocincina. Nonostante questo postulato, ci si imbatte
spesso in variazioni individuali che confermerebbero l’opposto, tant’è
che talora i giudici parlano di Cocincina selvatiche e di Livorno tranquille.
Tuttavia il temperamento è una caratteristica che viene ereditata e che
diventa un tratto distintivo sia di una varietà che di una razza.
Per avere qualche successo in allevamento bisogna disporre
di un maschio che si pavoneggia, che non ha paura di nulla e ama assumere
delle pose. Un maschio svogliato, anche se domestico, non deve fare il
genitore. I vari ceppi presentano differenze nel desiderio sessuale e nella
frequenza d’accoppiamento: un buon Don
Giovanni è un ottimo soggetto da esporre e da usare come riproduttore.
Impegnarsi a selezionare per ottenere il temperamento
ideale è un affar serio. Uno dei temperamenti che conviene evitare di
tramandare è l’accanimento e la cattiveria con cui certi maschi, e talora
certe femmine, attaccano coloro che li accudiscono. Tenuto conto di tutto
ciò, risulta palese che pretendere un temperamento ottimale associato al
vigore, ricercare una rispondenza al tipo standard, un peso accettabile e un
colore del piumaggio eccezionale, diventa un’impresa quasi titanica.
L’allevatore deve tuttavia ricordare che un pollo non è
così sciocco come si potrebbe pensare. Se l’allevatore è nervoso,
infonderà i suoi stati d’animo ai suoi animali e non potrà far altro che
constatare che i suoi ceppi mediterranei sono più nervosi di quanto
comporterebbe la loro dotazione genetica. Una persona tranquilla, che quindi
si muove con fare altrettanto tranquillo, se si è dedicata solo un pochino a
comprendere la psicologia dei polli, è in grado di cambiare completamente il
comportamento del suo ceppo che altrimenti svolazzerebbe a ogni minimo
turbamento dell’ambiente.
Prima di analizzare l’istinto
di cova ritengo opportuno fornire dati essenziali sulle strutture anatomiche
maggiormente implicate in questo tratto comportamentale abbastanza complesso.
Per notizie sull’ovulazione si veda il capitolo VIII-1.3.
L’ipotalamo appartiene a quella parte dell’encefalo che va sotto il nome di diencefalo, del quale costituisce la porzione lateroinferiore. Il diencefalo termina inferiormente in una struttura a imbuto - l’infundibolo - che si continua distalmente nel lobo nervoso dell’ipofisi, o neuroipofisi.
Fig 18 - 1.
Rappresentazione
schematica dell’encefalo di uccello in sezione sagittale
che mostra i rapporti del diencefalo con l’epifisi e con l’ipofisi.
L’ipotalamo comprende
numerosi nuclei che vengono distinti
nelle regioni anteriore, mediale, posteriore e posteriore mediale. A
questi nuclei, nel loro complesso, giungono afferenze da diverse regioni del
telencefalo, dal tetto ottico, dal chiasma ottico, dal mesencefalo e dal
cervelletto. Le vie efferenti interessano di nuovo il tetto ottico, il tronco
encefalico e alcuni centri telencefalici.
L’ipotalamo
acquista particolare importanza come regolatore generale della componente
vegetativa del nevrasse. Nei suoi nuclei esistono centri implicati nel
controllo della termoregolazione, dell’attività respiratoria e
cardiovascolare, dell’assunzione del cibo e dell’acqua, delle funzioni
riproduttive e del comportamento sociale (aggressività, sequenze legate al
corteggiamento, ecc.).
Le
strette connessioni tra l’ipotalamo e i centri a esso vicini, soprattutto il
telencefalo e il tetto ottico, fanno sì che in queste funzioni l’ipotalamo
sia assistito da una serie di influssi che tra l’altro trasferiscono ai
suoi centri il complesso di esperienze ricavate dagli organi di senso ed
elaborate dai differenti centri del nevrasse. L’ipotalamo, quindi, rappresenta un importante anello di congiunzione tra vita di
relazione e vegetativa.
Tra
le sue vie efferenti, a questo riguardo, vanno ricordate quelle che provengono
dai nuclei sopraottico e paraventricolare e che trasportano il neurosecreto all’eminenza mediana - porzione anteroventrale dell’infundibolo
- e alla neuroipofisi (tratto
sopraotticoipofisario); un tratto tuberoipofisario, invece, deriva da
un nucleo infundibolare compreso in questa porzione dell’ipotalamo.
Il
neurosecreto contiene importanti principi ormonali, parte dei quali vengono
inviati alla vicina adenoipofisi e ne influenzano l’attività. Per queste
caratteristiche l’ipotalamo appare anche come l’organo di integrazione tra
sistema nervoso e apparato endocrino.
L’ipofisi è una piccola ghiandola accolta nella sella
turcica che è scavata sulla superficie dorsale dell’osso sfenoide. Questa
ghiandola è in stretto rapporto, superiormente, con la regione ipotalamica
del diencefalo al quale è collegata dal peduncolo ipofisario.
L’ipofisi
presenta due componenti di origine diversa:
-
il lobo anteriore - o adenoipofisi - e la parte tuberale, che derivano da un’estroflessione
dell’ectoderma della volta dello stomodeo embrionale
-
il lobo posteriore o neuroipofisi, che invece è una propaggine del sistema
nervoso e si collega all’infundibulo ipotalamico attraverso il peduncolo
ipofisario.
Fig. 18 - 2. Rappresentazione schematica dell’ipofisi di un pollo adulto
Ormoni dell’adenoipofisi
- Gonadotropine: sono ormoni
glicoproteici, come nei mammiferi, che agiscono stimolando lo sviluppo e l’attività
della gonade in entrambi i sessi.
Le gonadotropine si distinguono in ormone
follicolostimolante (FSH) e ormone luteinizzante (LH). Nella femmina l’FSH
induce l’accrescimento dei follicoli ovarici. L’LH, in piccole quantità,
agisce sinergicamente con l’FSH, ma soprattutto interviene nella
stimolazione dell’attività endocrina e nella determinazione dell’ovulazione,
anche se, secondo taluni, questa funzione è regolata da un terzo ormone non
ancora identificato.
Nel maschio l’FSH sostiene la
spermatogenesi, mentre l’LH (chiamato in questo caso ICSH = interstitial
cell stimulating hormone) agisce sulle cellule di Leydig del testicolo
avviandone l’attività endocrina che consiste nella sintesi di androgeni.
La regolazione dell’immissione in
circolo delle gonadotropine dipende, come per altre tropine ipofisarie, da
alcuni ormoni secreti dall’ipotalamo: i fattori rilascianti. Questi vengono prodotti in nuclei delle aree prechiasmatica e
lateroinfundibolare e sono trasportati in forma di neurosecreto lungo i
neuriti sino all’eminenza mediana,
porzione anteriore dell’infundibolo.
Qui ha origine un sistema vasale
portale: i capillari della regione confluiscono in venule che raggiungono la
vicina adenoipofisi ove ricapillarizzano (sistema
portale ipotalamo-ipofisario) prima
di dare origine alle venule definitive destinate al circolo di ritorno
vascolare. I fattori rilascianti hanno così la possibilità di contattare le
cellule secernenti ipofisarie modificandone opportunamente la funzione. L’esistenza
dei fattori rilascianti le gonadotropine negli uccelli è ben documentata
anche se essi non sono stati ancora purificati; è probabile che siano dei
polipeptidi, come nei mammiferi, dove un solo principio sembra regolare l’immissione
in circolo sia dell’FSH che dell’LH.
Nell’ipotalamo della femmina
esisterebbero due centri regolatori distinti: il primo consentirebbe la
secrezione tonica di gonadotropine necessarie al mantenimento e alla funzione
basale delle gonadi; il secondo - centro
del ciclo - sarebbe invece
responsabile della secrezione episodica di fattore rilasciante che provoca l’immissione
in circolo di notevoli quote di LH necessarie all’ovulazione. Questo secondo
centro risente della quantità di progesterone circolante, nel senso che un
aumento di questo ormone secreto dall’ovario è all’origine della sua
stimolazione (effetto feedback positivo).
Nell’ipotalamo del maschio, invece,
sarebbe presente solo il centro che governa la secrezione tonica delle
gonadotropine (centro tonico).
- Prolattina:
è un ormone proteico. Come nella
maggior parte dei vertebrati, la prolattina degli uccelli è composta da una
sequenza di 199 aminoacidi con 3 ponti disolfuro per un peso molecolare che si
aggira sui 23.000 Da o dalton. La prolattina di un uccello non è uguale per tutte le
specie, in quanto esistono differenze nella sequenza degli aminoacidi in base
alla specie d'appartenenza (Peter
Sharp, 2009). Somministrata alla femmina induce l’istinto alla
cova, la tendenza a costruire il nido, il comportamento tipico delle cure
parentali e blocca lo sviluppo dei follicoli ovarici e quindi l’ovulazione.
Parte degli effetti comportamentali sono stati ottenuti anche nei maschi. La
sintesi della prolattina aumenta di molto nella femmina che cova o che alleva
i pulcini. Il nome di prolattina deriva dal fatto che nella donna predispone
la mammella alla lattazione e la mantiene.
I
rapporti tra ipotalamo e rilascio
della prolattina non sono ben chiari; recentemente è stata indicata la
possibilità che esista un fattore stimolante il rilascio di questo ormone, ma
altre ricerche non hanno convalidato pienamente tale osservazione.
- Tireotropina
(TSH): è deputata alla stimolazione
della tiroide. È probabile che alcune regioni dell’ipotalamo anteriore
elaborino un fattore rilasciante questo ormone.
- Ormone adrenocorticotropo
(ACTH): interviene sulla porzione corticale dell’adrenale
[1]
inducendo la sintesi di ormoni
steroidi, soprattutto corticosterone.
- Ormone dell’accrescimento
(GH): è responsabile del normale accrescimento postnatale sino allo stadio
adulto.
Il lobo
posteriore o neuroipofisi rappresenta
un organo di accumulo e rilascio di ormoni prodotti nell’ipotalamo cui è
connesso attraverso il peduncolo ipofisario. Dai nuclei sopraottico e
paraventricolare dell’ipotalamo giunge attraverso il tratto
sopraotticoipofisario il neurosecreto che contiene tre ormoni polipeptidici
formati da nove aminoacidi: ossitocina, mesotocina e vasotocina.
L’ossitocina
e la mesotocina appaiono essere gli ormoni a funzione ossitocica - cioè stimolatrice
del parto - e probabilmente il secondo è fisiologicamente più importante del
primo: entrambi intervengono come vasodepressori e stimolano l’attività
contrattile dell’ovidutto; quest’ultima funzione acquista una certa
rilevanza ai fini della deposizione delle uova.
La vasotocina
ha effetto antidiuretico, ma
esplica anche attività di tipo ossitocinico sull’ovidutto. Come i
precedenti ormoni sarebbe perciò interessata nella regolazione dell’ovodeposizione.
La vasotocina, inoltre, agisce sui processi metabolici generali come è
dimostrato dal fatto che la sua somministrazione è seguita da iperglicemia.
L’epifisi
- o ghiandola pineale, per la sua somiglianza a una pigna -
è un piccolo organo accolto in uno spazio compreso tra i poli posteriori
degli emisferi cerebrali e la parte anteriore del cervelletto. Ventralmente è
collegata mediante un peduncolo alla volta del terzo ventricolo diencefalico.
Volume e forma dell'epifisi variano nelle diverse specie; nei gallinacei tende ad
assumere un aspetto grossolanamente conico (in un pollo adulto è lunga 3-5 mm
e larga 2) e un colore giallo scuro.
Nell’animale
adulto la ghiandola
si presenta costituita da un complesso di piccoli follicoli o rosette intervallati allo stroma connettivale ove hanno sede numerosi vasi
sanguigni e terminazioni nervose soprattutto di tipo adrenergico. I vasi e i
nervi passano attraverso la pia madre applicata intimamente all'organo.
I principali elementi cellulari dell’epifisi
sono i pinealociti
che tappezzano i follicoli. Ne sono stati descritti differenti tipi, forse
stadi di una stessa cellula. Caratteristica di un tipo è la sua somiglianza
con gli elementi sensitivi della retina; essi possiedono un segmento esterno
fornito di ciglio che richiama nella struttura quello delle cellule dei coni e
dei bastoncelli. La pineale, infatti, appartiene filogeneticamente agli organi
parietali dei primi vertebrati nei quali, con ogni probabilità, aveva la
capacità di percepire la luce. Strutture di questo tipo sono tuttora
sviluppate in alcuni pesci, negli anfibi e persino nei rettili. Sembra
escluso, comunque, che negli uccelli questi pinealociti siano sensibili a
radiazioni luminose. In un secondo tipo cellulare predomina l’aspetto secernente per
la sovrabbondanza di granuli di secreto, specialmente nel segmento esterno. Un
terzo tipo, infine, rassomiglia alle cellule della nevroglia con numerosi
prolungamenti protoplasmatici.
melatonina o melanotonina - N-[2-(5-metossi-1H-indol-3-il)etil]etanammide
Il principale ormone secreto dall’epifisi
è la melatonina,
o
melanotonina,
un indolo O-metilato di cui è
ben conosciuta la sintesi sia in vivo
che in vitro. Negli estratti
epifisari sono state identificate altre sostanze tra cui la serotonina, alcune
amine biogene e l’istamina.
La funzione dell’epifisi negli
uccelli presenta numerosi punti dubbi in quanto le ricerche sperimentali,
basate sulla pinealectomia e sulla somministrazione di melatonina, hanno dato
spesso risultati contraddittori. Sembra ben documentato un rapporto tra
epifisi e attività delle gonadi. La melatonina rallenterebbe lo sviluppo di
queste ultime nell’animale in accrescimento o ne potrebbe limitare la
funzione nell’adulto.
Il meccanismo di queste azioni
resta comunque ipotetico. In accordo con quanto osservato nei mammiferi,
esso potrebbe coinvolgere dei gruppi di neuroni adrenergici dell’ipotalamo i
quali possono regolare il flusso del neurosecreto e dei fattori rilascianti
lungo il tratto ipotalamoipofisario. L’ormone epifisario, infatti, provoca
un rallentamento nel rilascio delle gonadotropine e, in definitiva, un minor
sviluppo delle gonadi.
L’epifisi è certamente sensibile
alla luce che però non la raggiunge direttamente ma attraverso una complicata
via partente da zone del capo, compreso l’occhio, e facente tappa nel
diencefalo, nel mesencefalo e nel midollo spinale. Di qui, attraverso l’innervazione
simpatica, le stimolazioni verrebbero trasferite all’epifisi. È ben
documentato, infatti, che la noradrenalina, mediatore chimico delle sinapsi
simpatiche, incrementa il rilascio della melatonina.
L’epifisi, con ogni probabilità,
esplica anche altre funzioni. Tra queste, di notevole importanza è l’intervento
nella regolazione di alcuni ritmi circadiani (attività cicliche nell’arco
delle 24 ore che interessano sia funzioni della vita di relazione che di
quella vegetativa). È ben dimostrato, a questo riguardo, che l’attività
motoria di molti uccelli segue un preciso ritmo circadiano regolato appunto
dall’epifisi in associazione con altri centri del nevrasse (orologi
biologici). Per le ipotesi circa l’implicazione dell’epifisi nella
pigmentazione melanica si veda il vol.II - XXVIII - 15.3.
Affrontiamo
questo complesso problema grazie alla traduzione quasi integrale del
prestigioso lavoro di
Peter Sharp Neurobiology of the onset of incubation behaviour in birds (1997).
L’inizio dell’incubazione è la
fase culminante di una complessa interazione ambientale e ormonale che ha come
risultato un cambiamento drammatico del comportamento. Un uccello timido
quando non sta incubando, non appena si instaura la cova rimarrà nel nido e
spesso lo difenderà da un predatore.
I meccanismi neuroendocrini
responsabili dell’avvio dell’incubazione sono stati studiati in modo molto
approfondito in tre specie: il tacchino, il pollo domestico e la tortora
domestica, Streptopelia risoria. Nel tacchino e nel pollo è la sola
femmina la responsabile dell’incubazione di un discreto numero di uova: il
maschio non prende parte a questa attività e non instaura un vincolo di
coppia con la femmina. Al contrario la tortora instaura un saldo vincolo di
coppia e ambedue i sessi svolgono il compito di incubare le due uova della
nidiata, con la femmina che cova di notte e il maschio di giorno.
I
fattori ambientali giocano un ruolo chiave nel dare l’avvio alla cova sia
nel pollame - includendo sotto questo termine sia il tacchino che il pollo -
che nella tortora. L’incubazione viene fortemente inibita se l’uccello
viene spostato in un ambiente nuovo oppure se viene mantenuto in condizioni di
affollamento dove gli torna impossibile reperire un luogo conveniente per
nidificare. Al contrario, l’incubazione viene incoraggiata da un luogo in
cui l’uccello si sente al sicuro dai predatori. Idealmente, un sito siffatto
richiede caratteristiche tali da garantire un nascondiglio e una protezione,
unitamente a una buona visuale su tutto ciò che sta all’intorno.
Il processo di domesticazione della
tortora e del pollame ha reso questi soggetti meno esigenti circa le
caratteristiche di un buon nido rispetto a quanto accade nei loro consimili
non addomesticati. Una coppia di tortore tenute in gabbia con un po’ di
materiale utile per nidificare accetta facilmente una ciotola per nido. Allo
stesso modo le femmine di pollo domestico e di tacchino tenute in gruppo al
suolo accetteranno facilmente come nido un angolo poco illuminato o una
cassetta.
La presenza di un luogo atto a
nidificare non indurrà l’istinto di cova fintanto che gli uccelli si
trovano in periodo riproduttivo. Sia nella tortora che nel pollame l’inizio
dell’attività riproduttiva viene influenzato dalla durata delle ore diurne:
in condizioni di illuminazione naturale il fattore chiave del fotoperiodismo -
che sincronizza il ciclo annuale della funzione riproduttiva - è
rappresentato dalla riduzione delle ore di luce in autunno, con successivo
aumento delle ore di luce durante la primavera in grado di fornire uno stimolo
addizionale per l’attività riproduttiva.
Sia la tortora che il pollame sono
in grado di deporre uova senza accoppiarsi. Nella femmina di tortora,
diversamente da quanto accade nel pollame, il corteggiamento da parte di un
maschio stimola le sue vocalizzazioni, che con un meccanismo di retroazione -
o feedback - attraverso percorsi nervosi che coinvolgono l’apparato uditivo
sono in grado di stimolare il follicolo ovarico e l’ovulazione. Nel maschio
di tortora gli stimoli situazionali sono anch’essi importanti nello
stimolare l’inizio dell’incubazione, specialmente le informazioni uditive
e visive che provengono dalla femmina che nidifica.
Nel pollame l’importanza degli
stimoli situazionali di tipo sociale atti a stimolare l’incubazione non sono
stati valutati in modo completo. È possibile che il corteggiamento da parte
del maschio possa contribuire ad accelerare la frequenza della deposizione,
così come è possibile che l’incubazione venga incoraggiata dalla vista di
altre femmine che iniziano a covare. La situazione meglio documentata è l’incremento
della temperatura ambiente, che tuttavia non si capisce bene come possa agire:
l’azione della temperatura potrebbe essere mediata attraverso l’associarsi
di una modificazione dell’assunzione di cibo oppure attraverso una riduzione
dell’attività in generale.
Forse il fattore ambientale più
potente nell’incoraggiare l’incubazione sia nella tortora che nel pollame
è rappresentato dalla presenza di uova nel nido. Una tortora che ha già
costruito il nido ma che non ha ancora deposto, può essere indotta a covare
prematuramente se nel nido vengono poste le uova. Nel pollame l’incubazione
viene inibita se le uova vengono rimosse dal nido. Quest’osservazione è uno
dei fattori che incoraggia l’uso di gabbie in batteria per la produzione di
uova, dal momento che l’uovo rotola via da sotto la gallina non appena l’ha
deposto.
L’informazione proveniente dalle
uova è sia visiva che tattile. Una gallina - come osservato da Steen e Parker
- si metterà a covare accovacciandosi vicino al suo gruppo di uova anche se
sono ricoperte da una rete metallica. Tuttavia, anche se la gallina e la
tacchina non hanno uova sotto di loro, l’area cutanea di cova trasmette
ancora delle informazioni tattili perché esse premono il corpo contro il
suolo. L’importanza delle informazioni sensoriali derivanti dall’area di
cova nel dare inizio all’incubazione è illustrata da uno studio nella
tacchina: i nervi che si distribuiscono all’area di cova furono recisi prima
della produzione fotoindotta di uova; nessuna delle tacchine così trattate
mostrò istinto di cova, mentre un numero significativo di soggetti di
controllo mostrò l’istinto di incubazione.
Sia
nella tortora che nel pollame gli ormoni steroidei giocano un ruolo
fondamentale nel dare l’avvio all’incubazione. La femmina di tortora
risponde al corteggiamento del maschio con un incremento della secrezione di
ormone luteinizzante - LH - che a sua volta stimola lo sviluppo finale dei
follicoli ovarici. La rapida crescita dei follicoli ovarici si accompagna a un
incremento della produzione di estrogeni il cui accresciuto tasso plasmatico
stimola la risposta sessuale al corteggiamento del maschio.
Allo stesso modo nella gallina e
nella tacchina l’aumentato tasso ematico di estrogeni derivante dalla rapida
crescita dei follicoli prima dell’avvio della fase depositiva stimola l’accovacciamento,
che negli uccelli equivale alla lordosi - o inarcamento - della colonna
vertebrale dei mammiferi.
Durante la fase finale della sua
maturazione il follicolo ovarico preovulatorio rilascia nel sangue un’elevata
quantità di progesterone che fornisce lo stimolo ormonale per la costruzione
del nido e per le attività inerenti al nido che si associano alla deposizione
dell’uovo. Sia nella tortora che nel pollame l’induzione della costruzione
del nido e delle attività ad esso associate dovute al progesterone dipende
dalla precedente esposizione agli estrogeni.
Nella femmina di tortora la
deposizione del primo e del secondo uovo è strettamente associata alla
completa espressione dell’istinto di incubazione. Al contrario, la gallina e
la tacchina depongono elevate quantità di uova e i comportamenti relativi al
nido che si associano con la deposizione di ogni singolo uovo si ripetono nei
giorni successivi per settimane o mesi.
Con l’approssimarsi dell’inizio
della cova la gallina e la tacchina trascorrono progressivamente maggior
quantità di tempo nel nido in occasione della deposizione dell’uovo.
Infine, cominciano a stare accovacciate sul nido durante la notte e nel giro
di un giorno si sviluppa completamente l’istinto di cova che si traduce nel
fatto che se ne stanno nel nido per la maggior parte della giornata.
Nel pollame, diversamente alla
tortora, è necessario un fattore addizionale per trasformare le attività
relative al nido in un comportamento completo di cova. Questa conclusione è
suffragata da esperimenti su tortora e pollame sottoposti a ovariectomia e a
trattamento con estrogeni, nei quali la successiva somministrazione di
progesterone è in grado di indurre la cova nella tortora e le attività
inerenti al nido nel pollame.
L’incremento sequenziale di
estrogeni e di progesterone responsabili dell’induzione della cova nella
tortora femmina non è in grado di spiegare lo sviluppo della cova nel
maschio. Nel maschio di tortora l’istinto all’incubazione può essere
facilmente ottenuto con il progesterone, la cui azione viene facilitata dalla
presenza di estrogeni. Una spiegazione di ciò può essere ottenuta attraverso
tre osservazioni. In primo luogo: il progesterone, probabilmente originatosi
nella ghiandola adrenale, è presente nel sangue del maschio di tortora, ma il
suo tasso non varia durante il ciclo riproduttivo. In secondo luogo: nella
tortora maschio in fase di corteggiamento la concentrazione del testosterone
ematico va incontro ad aumento. In terzo luogo: l’ipotalamo del maschio di
tortora contiene l’enzima aromatasi che converte il testosterone in
estrogeno. È pertanto possibile che l’aumento del testosterone ematico nel
maschio in corteggiamento abbia come risultato un aumento locale di estrogeno
ipotalamico grazie all’aromatasi, con conseguente aumento della risposta al
progesterone presente in circolo e facilitazione dell’espressione dell’istinto
di cova come risposta a stimoli situazionali forniti dalla femmina che
nidifica e dalla presenza delle uova.
Un
aumento della secrezione di prolattina si associa all’espressione dell’istinto
di cova sia nella tortora che nel pollame. Ciò che maggiormente differenzia
il pollame dalla tortora è il fatto che nella gallina e nella tacchina la
concentrazione plasmatica di prolattina va aumentando durante l’instaurarsi
di un completo istinto di cova, mentre nella tortora la concentrazione
plasmatica di prolattina non aumenta se non dopo 4-5 giorni da quando ha
cominciato a covare.
Questa differenza può essere
spiegata molto facilmente dal fatto che nella gallina e nella tacchina è
richiesto un fattore addizionale per poter trasformare le attività inerenti
al nido dipendenti dagli estrogeni e dal progesterone in un istinto di cova
completo. Tale fattore è rappresentato dalla prolattina e si è potuto
dimostrarlo attraverso la somministrazione di prolattina in tacchine
ovariectomizzate e trattate con estrogeni e progesterone. Inoltre, la
dimostrazione che è necessario un incremento plasmatico di prolattina per l’espressione
dell’istinto di cova proviene dall’osservazione che in galline bantam l’immunizzazione
attiva contro la prolattina è in grado di sopprimere la cova senza
interferire con l’ovodeposizione.
La soppressione della produzione di
prolattina in galline bantam dedite alla cova ricorrendo a un’immunizzazione
passiva contro l’ormone rilasciante la prolattina (VIP, vasoactive
intestinal polypeptide) provoca l’abbandono del nido. Anche nella tacchina
la soppressione della produzione di prolattina attraverso un’immunizzazione
attiva contro il VIP impedisce l’instaurarsi dell’istinto di cova senza
intaccare l’ovodeposizione.
In base all’osservazione in
tacchine in fase depositiva che la perfusione intracranica di prolattina
induce un istinto di cova completo, si suppone che la prolattina agisca
direttamente a livello cerebrale.
Esiste la prova che nella tortora la
prolattina aiuta a mantenere l’istinto di cova ma che non è essenziale
perché esso si manifesti. Si è giunti a questa conclusione osservando che la
somministrazione periferica di prolattina è in grado di mantenere la
disposizione a covare in tortore private del nido. A differenza di quanto
accade nella tacchina, la somministrazione cerebrale di prolattina nella
tortora allo scopo di mantenere il desiderio di cova non è stata seguita da
successo.
Un fattore responsabile dell’aumento
della secrezione di prolattina nella tortora e nel pollame che stanno covando
è probabilmente rappresentato dall’informazione tattile proveniente dal
nido e dalle uova trasmessa dall’area cutanea deputata alla cova. Lo si può
dedurre dal fatto che allontanando dal nido la tortora e il pollame mentre
stanno covando si verifica un’immediata riduzione del tasso ematico di
prolattina, con un suo immediato aumento facendo ritorno al nido e riprendendo
la cova. La sola eccezione a tale osservazione riportata in letteratura
riguarda la tortora: i livelli di prolattina sono già bassi in soggetti che
covano ancora dopo un’incubazione che è stata artificialmente protratta nel
tempo.
La stimolazione tattile da parte
dell’area di cova nel pollame può anche giocare un ruolo chiave nello
stimolare la secrezione di prolattina osservata all’inizio della cova. Lo si
può dedurre dall’osservazione di galline bantam in cui la secrezione di
prolattina aumenta in modo progressivo durante i 4-5 giorni che precedono l’inizio
dell’incubazione. Inizialmente questo aumento si verifica di notte in
galline che sono in procinto di mettersi a covare e coincide con il tempo
durante il quale la gallina se ne sta nel nido nottetempo. Questo soffermarsi
nel nido nottetempo crea una situazione in cui l’incremento della
stimolazione tattile dell’area di cova può avere come risultato un
incremento della secrezione di prolattina, che a sua volta può rafforzare il
desiderio di stare nel nido, per trasformarlo progressivamente in un istinto
di cova completo.
Lo sviluppo dell’area cutanea di
cova può pertanto rappresentare uno dei fattori in grado di determinare la
frequenza con cui la gallina e la tacchina cominciano a mostrare il desiderio
di covare dopo che si è avviata l’ovodeposizione. Il suo sviluppo
dipenderebbe dagli estrogeni o dal testosterone che agiscono in modo sinergico
con la prolattina.
È stata proposta un’ipotesi di
lavoro al fine di spiegare il meccanismo con cui prende avvio l’istinto di
cova nella gallina e nella tacchina. Il primo passo che conduce all’instaurarsi
dell’incubazione è rappresentato dall’incremento della secrezione di
estrogeni dovuta alla rapida crescita dei follicoli ovarici. Gli estrogeni
agiscono direttamente sull’ipofisi anteriore per farne aumentare lo
spontaneo rilascio di prolattina e ambedue i tipi di ormoni agiscono insieme
nel promuovere lo sviluppo dell’area cutanea di cova. L’incremento della
secrezione di prolattina abbassa la soglia neurologica di risposta a stimoli
situazionali come nido e uova allo scopo di incoraggiare una prolungata
permanenza nel nido. L’informazione tattile proveniente dall’area di cova
stimola un’ulteriore rilascio di prolattina con ulteriore rinforzo dell’interesse
per rimanere nel nido, trasformando progressivamente questo interesse nel giro
di pochi giorni in un istinto di cova completo.
Una volta che l’istinto di cova si
è instaurato si assiste a una regressione degli organi deputati alla
riproduzione e la concentrazione plasmatica degli steroidi gonadici diminuisce
come conseguenza della riduzione della secrezione di gonadotropine. L’elevata
concentrazione plasmatica di prolattina nei soggetti che stanno covando è in
grado di mantenere l’istinto all’incubazione senza che sia necessaria la
presenza di steroidi gonadici. Ciò è dimostrato da rilievi fatti in galline
e tacchine che stanno covando: l’ovariectomia non disturba la cova.
Negli
uccelli la secrezione di prolattina è controllata in modo prevalente da
neurormoni ipotalamici stimolatori piuttosto che dall’azione inibente da
parte della dopamina come accade nei mammiferi. L’incremento della
prolattina plasmatica osservabile nella tortora e nel pollame dedito alla cova
implica un ruolo da parte del sistema neuroendocrino nell’integrazione a
livello del sistema nervoso centrale degli stimoli situazionali e dei segnali
ormonali steroidei che inducono o che mantengono l’incubazione. Questa
conclusione è suffragata dall’osservazione nella tacchina che lesioni
ipotalamiche sono in grado di sopprimere l’incremento della prolattina
plasmatica che si associa alla cova.
Il principale segnale neuroendocrino
- sia nella tortora che nel pollame - responsabile della secrezione di
prolattina è rappresentato dal 28 aminoacidi neuropeptide, o VIP, o
vasoactive intestinal polypeptide. In vitro questo neuropeptide è in grado di
stimolare in modo specifico la secrezione ipofisaria di prolattina nella
gallina e nella tacchina. La risposta al VIP viene incrementata durante la
cova e in presenza di estrogeni.
Studi immunocitochimici nella
tortora e nel pollame dimostrano che le terminazioni nervose contenenti il VIP
sono abbondanti a livello dell’eminenza mediana dell’ipotalamo, dove il
VIP viene rilasciato al fine di stimolare la secrezione di prolattina. Queste
terminazioni nervose contenenti VIP prendono origine da cellule nervose
localizzate nelle pareti laterali dell’ipotalamo basale. La prova che queste
cellule controllano la secrezione di prolattina in uccelli che stanno covando
proviene in parte da studi morfologici. Nel pollame e nella tortora le
dimensioni e il numero visibile di corpi cellulari dotati di terminazioni
VIP-ergiche vanno incontro ad aumento parallelamente all’espressione dell’istinto
di cova e/o all’aumento della secrezione di prolattina. I neuroni contenenti
VIP dislocati in altre parti dell’ipotalamo non mostrano le modificazioni
morfologiche che si associano allo sviluppo dell’istinto di cova. La prova
morfologica che l’attività dei neuroni VIP-ergici dell’ipotalamo basale
è aumentata durante l’incubazione è supportata dalla misurazione diretta
del VIP ipotalamico: nella gallina e nella tacchina durante la cova esiste un
rapido incremento della quantità di VIP nell’ipotalamo basale, incremento
che è direttamente correlato a quello dell’mRNA del VIP.
Il ruolo chiave del VIP nello
stimolare la secrezione di prolattina in galline che covano è ulteriormente
supportata dall’osservazione che il VIP stimola la sintesi dell’mRNA della
prolattina e, pertanto, della prolattina stessa. Per ultimo vale la pena
ricordare che, come si è potuto dimostrare nella tacchina, a livello dell’ipofisi
anteriore esistono recettori specifici per il VIP la cui abbondanza aumenta
quando la concentrazione di prolattina ipofisaria è ai massimi valori nella
femmina che sta covando.
Sono
piuttosto limitate le informazioni sui percorsi nervosi e sui
neurotrasmettitori implicati nella trasduzione degli stimoli ambientali e
ormonali steroidei al fine di indurre la secrezione di prolattina e l’istinto
di cova. I siti cerebrali nei quali la prolattina potrebbe mantenere l’istinto
di cova sono stati mappati nella tortora. Il plesso corioideo è stato
identificato come la porta d’ingresso della prolattina ematica nel cervello
e sono stati rilevati numerosi siti di legame per la prolattina a livello
della porzione cerebrale anteriore, essendo più abbondanti nell’ipotalamo,
particolarmente nell’area preottica e nella regione basale adiacente all’eminenza
mediana.
È
noto a tutti che esistono razze di polli che covano bene e volentieri, mentre
altre razze sono state selezionate al solo scopo di produrre uova cercando di
estirpare il loro naturale istinto di cova. Possiamo dire che la Livorno
bianca ha assecondato questo desiderio commerciale, diventando il vanto della
selezione eseguita negli USA.
Attuata tale selezione, i genetisti
hanno cominciato ad abbozzare le prime ipotesi su come venga trasmesso l’istinto
di cova, o come venga geneticamente inibito. I primi studi dimostrarono che l’istinto
di cova ha una base poligenica, con un effetto maggiore legato al sesso. La
revisione degli studi su tali presunti geni localizzati sul cromosoma Z - e
implicati nel controllo dell’istinto di cova - ha condotto a rinnegare una
simile ipotesi. Esperimenti recenti riportati nel lavoro di Michael Romanov (2001) testimoniano
che nel pollo l’istinto di cova non viene controllato da un gene o da geni
maggiori localizzati sul cromosoma Z, e che pertanto debbono esserne
responsabili geni maggiori autosomici. Se sul cromosoma Z esiste un gene
responsabile dell’istinto di cova, esso è uno di almeno tre geni, che
includono due geni autosomici dominanti, dei quali uno inibisce e l’altro
causa l’istinto di cova, probabilmente con influenza equivalente.
In
base agli studi ormonali sull’istinto di cova che abbiamo appena analizzato,
dovremmo concludere che quando una gallina sta covando sarebbe praticamente
impossibile che deponga un uovo. Vorrei addurre le mie osservazioni, non certo
allo scopo di confutare una simile asserzione, ma per mettere in risalto come
la biologia, quando si intreccia con l’etologia e con la mente di un
animale, diventi una scienza molto più probabilistica di quanto non lo sia
già per natura.
La mia prima osservazione risale al
1998: si trattava di una femmina di Combattente della Sonda
[2]
che deponeva in media 8-9 uova
in primavera e in settembre. In primavera non raccolsi le sue uova perché
viveva in frutteto in libera compagnia di tutti gli altri galli, e quando
divenne chioccia la gratificai permettendole di diventare madre di pulcini
Appenzeller spitzhauben. Terminato il suo compito di madre, allora la isolai
con il suo gallo.
Dopo alcune settimane dall’inizio
dell’isolamento della coppia, la gallina cominciò a deporre. Raccolsi le
prime 4 uova della combattente e le affidai a una Pekin che stava covando 4
uova sue, che hanno un guscio dello stesso colore di quelle della combattente,
ma sono di dimensioni minori. La Pekin accettò lo scambio e posi le sue 4
uova nel nido della combattente, la quale depose altre 5 uova che affidai a un’altra
chioccia.
Per poterle permettere di essere
madre dei suoi figli, speravo che la combattente non smettesse di deporre,
nonostante fossi conscio che in media deponeva 8-9 uova e che aveva ormai
raggiunto quota 9. Nel frattempo le 4 uova della Pekin si trovavano sempre nel
nido della combattente.
Il giorno dopo aver deposto il suo
nono uovo, la combattente era chioccia, ma fuori dal nido, e camminava tutto
il giorno in compagnia del suo gallo. Mi spiacque non poterla assecondare
nella possibilità di essere madre dei suoi pulcini, ma sarebbe stato
pericoloso alterare la situazione di cova della seconda chioccia, quella
utilizzata per le 5 uova della combattente.
Nel tardo pomeriggio esplorai il
nido della combattente e vi trovai un decimo uovo da lei deposto. Allora
rimossi le uova della Pekin, lasciando nel nido solo questo suo uovo.
Il giorno successivo la combattente
rimase nel suo nido per il giorno intero. Prima di notte volli esplorarlo e vi
trovai un secondo uovo. La stessa cosa si verificò il giorno seguente: un
terzo uovo.
La mia deduzione è la seguente:
questa femmina di Combattente della Sonda non accettò come sue le 4 uova
della Pekin presenti nel suo nido, in quanto di dimensioni minori rispetto
alle sue, per cui la sua mente l’ha spinta a deporre alcune uova nonostante
si fosse avviata la situazione ormonale e comportamentale della cova.
Un'altra
esperienza circa la deposizione di un uovo da parte di una gallina da qualche
giorno chioccia, risale al 1999.
Nel
recinto dei palmipedi vivevano una Pekin e il suo gallo, nonché un’altra
gallina che è un ibrido dalle marcate caratteristiche di Wyandotte nana.
Questa
gallina, che chiameremo W, e che è un'ottima covatrice, cercò di deporre
uova in svariati punti del recinto, volando anche nel nido dei piccioni e
determinando la scomparsa di un piccioncino nato da pochi giorni pur di
deporre le sue uova in un posto sicuro.
Io
eliminai sempre queste sue numerose uova in quanto non erano fecondate.
Infatti il gallo Pekin arrivò nel recinto dei palmipedi parecchio tempo dopo,
quando la Pekin, avendo terminato di fare da mamma a 3 pulcini, era pronta
all'accoppiamento.
La
Pekin cominciò a deporre le sue uova in un nido che avevo ricavato dividendo
a metà una cassetta da frutta, di quelle profonde, adagiata in modo tale che
il duplice nido fosse visibile a chi entrava nel recinto. Anche la W iniziò a
deporre nello stesso scomparto della Pekin, ma sottrassi periodicamente le
uova della W in quanto non desideravo avere degli ibridi.
Raggiunto
un certo numero di uova nel nido, che erano tutte della Pekin, la W iniziò a
covare, e dopo 4-5 giorni cominciò a covare anche la Pekin. Ma, a differenza
di quanto ho visto verificarsi sia in galline che in anatre, le due chiocce
non covavano in coppia: infatti la Pekin aveva spodestato la W che scelse di
starsene accucciata davanti alla Pekin continuando nel suo comportamento da
chioccia, ma covando il nudo terreno.
Dopo
alcuni giorni trovai la W nell'altro nido, quello in fianco alla Pekin. La
sollevai e vidi che aveva deposto un uovo e che se lo stava covando. Allora
rimossi questo uovo inaspettato e travasai un certo numero di uova dal nido
della Pekin in quello della W, in modo da accontentare anche la W nel suo
desiderio di diventare madre. A tempo debito le due galline divennero madri
contemporaneamente.
In
base al complesso gioco ormonale che conduce alla cova diventa difficile
accettare che stimoli psichici riescano a sovvertire una sequenza ovulatoria,
ormonale e comportamentale che parrebbe ormai prestabilita e determinata. Ma
in natura nulla è categorico. Solo ulteriori studi potranno spiegare quanto
ho avuto la possibilità di osservare.
Mortua gallina
Morta la gallina
il gallo non cova
in quanto fa solo da baby sitter
1 - L’istinto di cova nel gallo e nel cappone
Basandoci sui dati dell’odierna biologia, forse tanto il gallo quanto il cappone potrebbero covare. Nella letteratura antica questa possibilità viene chiaramente segnalata solo per il gallo e solo da un autore, cioè da Claudio Eliano (Palestrina, Roma ca. 170 - ca. 235), mentre nella letteratura rinascimentale troviamo tanto il gallo quanto il cappone in grado di incubare le uova, e talora il gallo che le depone prima di incubarle. Anneo Seneca[1] affermò Sacra populi lingua est, la parola del popolo è sacra, e a lui fece eco secoli più tardi Alcuino[2] con Vox populi, vox Dei, voce del popolo, voce di Dio. Vediamo se per caso questi assiomi si attagliano anche al cappone e al gallo nel ruolo di chiocce che covano.
2 - Il gallo che cova negli antichi testi greci e latini
Come abbiamo appena detto, scorrendo gli antichi testi greci e latini ci imbattiamo in una sola testimonianza sul gallo che cova e fa nascere i pulcini, quella di Eliano. Le rimanenti testimonianze - sia rinascimentali che odierne - relative a un gallo che cova e che poi si prende cura della prole, sono delle pure illazioni degli interpreti dei testi antichi, oppure si tratta di esatte osservazioni di biologia ma, dati i tempi in cui furono effettuate, vennero involontariamente valutate in modo erroneo.
Tuttavia è assai probabile che anche l’unica antica e categorica testimonianza del gallo che cova sia una manipolazione e una trasfigurazione da parte di Eliano di dati risalenti a cinque secoli prima, nei quali un gallo siffatto non era minimamente contemplato.
Procediamo per ordine cronologico. Chi per primo ha scritto qualcosa sul gallo che si prende cura della prole alla morte della gallina fu Aristotele (384-322 aC) che ne parla nel libro IX dell'Historia animalium. Potrebbe trattarsi però dello pseudo-Aristotele, in quanto sia il libro IX che il libro X dell'Historia animalium sarebbero delle aggiunte non aristoteliche[3]. Per semplicità diciamo che chi scrisse fu Aristotele. Il frammento greco di questo testo che ci interessa è riportato nell'Ornithologia Latina di Filippo Capponi (1979):
Ἤδη δὲ καὶ τῶν ἀρρένων τινὲς ὤφθησαν· ἀπολομένης τῆς θηλείας αὐτοὶ περὶ τοὺς νεοττοὺς τὴν τῆς θηλείας ποιούμενοι σκευωρίαν, περιάγοντές τε καὶ ἐκτρέφοντες οὕτως ὥστε μήτε κοκκύζειν ἔτι μήτ’ὀχεύειν ἐπιχειρεῖν.
La traduzione letterale in italiano di questo passo dell'Historia animalium IX,49 (613b 13-16) suona così:
E si sono visti persino alcuni maschi, essendo morta la femmina, prendersi essi stessi cura dei pulcini come la femmina, portandoli in giro e allevandoli, cosicché non si mettono né a cantare e neanche ad accoppiarsi.
La traduzione in latino di Giulio Cesare Scaligero (1619) è la seguente:
Iam vero mares quidam visi sunt amissa gallina, ipsimet apparatum ferre pullis: eos etiam circumducere et enutrire ita, ut non amplius cucuriant, aut veneri operam dent.
Perciò Aristotele non parla di uova covate dal maschio, ma afferma solamente che il gallo si prende cura di pulcini già nati, e non specifica se emette o non emette dei richiami per invitarli a mangiare. Inoltre Aristotele mette in evidenza la perdita non di uno, bensì di due comportamenti del gallo: non canta e non si accoppia. Come vedremo molto più avanti, i galli trattati con prolattina per via parenterale si prendono cura dei pulcini anziché ucciderli oppure lasciarli morire per incuria, mostrano una riduzione delle dimensioni sia dei testicoli che della cresta, la scomparsa del canto e una mancanza di impulso sessuale, effetti che vengono annullati dalla contemporanea somministrazione di FSH (ormone follicolostimolante) oppure di androgeni.
Circa tre secoli dopo è Plinio il Vecchio (23/24-79 dC) a parlarci del gallo che svolge funzioni materne. Secondo Capponi il sintetico brano di Plinio è tratto da quello di Aristotele. Come al solito Plinio è molto stringato, con una sintassi che non è certo quella di Cicerone. Ecco il frammento tratto dalla Naturalis historia X,155:
Narrantur et mortua gallina mariti earum visi succedentes in vicem et reliqua fetae more facientes abstinentesque se cantu.
Si narra anche che dopo la morte di una gallina si sono visti i loro maschi darle il cambio e compiere come una puerpera le cose rimaste da fare e astenersi dal canto.
Neppure nel testo di Plinio compaiono le uova da covare. Egli si limita a dire che il gallo subentra con mansioni di puerpera alla gallina morta: quindi i pulcini sono già nati. Plinio dice che il gallo non canta e non specifica affatto se abbia anche indossato la cintura di castità, omettendo quindi l’ultima considerazione di Aristotele.
Ed eccoci a una mistificazione moderna del testo di Plinio, e quindi anche di quello di Aristotele. L’editrice Einaudi ha curato la traduzione della Naturalis historia di Plinio e a pagina 504/505 del II volume (1983) troviamo il gallo pliniano che cova al posto della mortua gallina:
Narrantur et mortua gallina mariti earum visi succedentes in vicem et reliqua fetae more facientes abstinentesque se cantu.
Si narra anche che alla morte di una gallina i galli sono stati visti darsi il cambio alla cova al suo posto e svolgere tutti i compiti di una chioccia che ha avuto pulcini ed astenersi anche dal canto.
A mio avviso quanto proposto da Einaudi stravolge sia il testo di Plinio, sia la sua fonte rappresentata da Aristotele: nessuno dei due autori ha affermato che il gallo si mette a covare, ma dicono che si limita a fare da bambinaia.
La traduzione edita da Einaudi contiene quindi un’illazione, in quanto il verbo covare o un suo equivalente non viene usato né da Aristotele né tanto meno da Plinio. Un conforto sull’esattezza di questo nostro punto di vista ci viene da D’Arcy Wentworth Thompson il quale in A glossary of Greek Birds (1895) facendo riferimento al testo di Aristotele specifica che “a cock sometime, after the hen’s death, rears the brood and ceases to crow”. Quindi, anche secondo D’Arcy Thompson, il gallo si limita ad allevare la nidiata (rears the brood), senza che l’abbia fatta nascere: a ciò aveva già provveduto la gallina prima di morire. Inoltre nella sua traduzione dell'Historia animalium di Aristotele (1910) il frammento rispecchia completamente quanto espresso in A glossary of Greek Birds: On the death of a hen a cock has been seen to undertake the maternal duties, leading the chickens about and providing them with food, and so intent upon these duties as to cease crowing and indulging his sexual propensities.
Capponi sintetizza così la notizia di Plinio: “sostituzione dei Galli nell’adempimento di tutte le funzioni della madre morta.” È chiaro che Capponi esclude la cova da parte del gallo, in quanto la gallina morta, per il fatto di essere diventata madre, doveva già aver ultimato l’incubazione delle uova.
Circa un secolo e mezzo dopo Plinio, Claudio Eliano (ca. 170 - ca. 235) è l’unica fonte antica ad affermare inequivocabilmente che, morta la gallina, il gallo si mette a covare al suo posto. Stranamente né Capponi né d’Arcy Thompson - foss’anche solo come curiosità - citano il testo di Eliano. Ecco il brano di Eliano contenuto in La natura degli animali, libro IV, capitolo 29:
Τῆς δὲ ὄρνιθος ἀπολωλυίας, ἐπῳάζει αὐτὸς, καὶ ἐκλέπει τὰ ἐξ ἑαυτοῦ νεόττια σιωπῶν· οὐ γὰρ ᾄδει τότε θαυμαστῇ τινι καὶ ἀπορρήτῳ αἰτίᾳ, ναὶ μὰ τόν· δοκεῖ γάρ μοι συγγινώσκειν ἑαυτῷ θηλείας ἔργα καὶ οὐκ ἄρρενος δρῶντι τηνικάδε.
Questa ne è la traduzione letterale:
Morta la gallina, egli stesso cova, e fa schiudere i propri figlioletti standosene in silenzio; perché non canta in quel periodo di tempo è dovuto a un qualche motivo strano e misterioso, per Zeus; infatti mi sembra sia consapevole che così sta svolgendo le mansioni di una femmina e non di un maschio.
Secondo Francesco Maspero, che ha curato la traduzione integrale in italiano de La natura degli animali (1998), qualora Eliano riferisca qualcosa di cui è stato testimone si premura di farcelo sapere. E in questo capitolo 29 del libro IV, dedicato interamente al gallo, Eliano non accenna neppure di sfuggita al fatto che qualcuno dei vari aneddoti riferiti sia caduto sotto la sua osservazione. Ne consegue che Eliano non parrebbe essere stato testimone oculare di un gallo che cova e che fa schiudere le uova.
Sempre secondo Maspero, molto probabilmente Eliano non consultò direttamente le opere zoologiche di Aristotele, nonostante lo nomini una cinquantina di volte: avrebbe invece consultato l’epitome aristotelica di Aristofane di Bisanzio (ca. 260 - ca. 180 aC). Inoltre, sempre secondo Maspero, Eliano espone ciò che racconta più col piglio del letterato che non con la serietà dello scienziato.
Orbene, non si pretende certo che Eliano possedesse le nozioni della moderna biologia né dell’attuale etologia, che oltretutto non sono indispensabili, e che erano sconosciute anche ad Aristotele e a Plinio. Però, se confrontiamo Aristotele - e quindi Plinio - con quanto riferito da Eliano, possiamo renderci conto che il loro gallo, che fa solo la baby sitter, può essere accettabile, e talora osservabile anche da noi del XXI secolo, mentre è assai più pericoloso l'accettare che un gallo venga pervaso dall’istinto di cova con tutto il relativo sovvertimento ormonale.
Tuttavia la scienza ci insegna a non essere assolutisti. Infatti un maschio che cova, non appartenente al genere Gallus ma con esso imparentato, e che mai fu descritto in questa veste, è il tacchino – Meleagris gallopavo – sottordine Galli, superfamiglia Phasianoidea, famiglia Meleagridae. Di ciò non esiste un'attestazione isolata, quasi fosse una rara avis, ma ripetute importantissime testimonianze che un giorno - in quanto tali - spero verranno stilate nero su bianco da Marino Morosini e da Viviano Masconni: si tratta di soggetti di razza Cröllwitzer verosimilmente imparentati solo a causa del nome della razza d'appartenenza e non per il rispettivo albero genealogico recente.
Nonostante ciò, ora mi abbandonerò all’assolutismo che ho appena criticato. Infatti sono dell’avviso che Eliano abbia trattato la notizia aristotelica da letterato, da poeta, trasfigurando così la fonte stagirita (Aristotele era nato a Stagira nella Penisola Calcidica). E il bello è che tutti gli elementi di Aristotele sono presenti nel testo di Eliano:
- la gallina che muore
- la prole
- il gallo che sta zitto
- il gallo che si sente un po’ femmina.
Il gallo che sta zitto equivale al gallo che non fa chicchirichì di Aristotele e Plinio. Plinio aveva omesso di riferire che il gallo non si accoppia quando fa la bambinaia. Eliano non lo dice esplicitamente, ma plagia il gallo facendogli scaturire la consapevolezza che sta svolgendo compiti prettamente femminili. È indubbio che un gallo in questo stato mentale non si sognerebbe affatto di corteggiare una gallina.
È ovvio tuttavia che la trasfigurazione più importante del testo aristotelico da parte di Eliano è quella del gallo che si assume quelle mansioni che la gallina stava svolgendo al momento della morte. Quindi, secondo Eliano, se al momento della morte la consorte stava covando, ebbene, il gallo si mette nel nido e fa schiudere le uova: questo sì che è un marito responsabile, un coniuge coi fiocchi!
Un marito coi fiocchi di questo tipo esiste in natura, vive nel Nuovo Mondo e precisamente in California. È la Quaglia della California – Lophortyx californica ribattezzata Callipepla californica – il cui maschio, mortua gallina, o comunque, se la sua femmina durante la cova rimane vittima di un incidente, porta a termine la cova da solo. Ma Eliano non poteva conoscerlo questo volatile.
Quaglia della California
Perciò, dopo queste elucubrazioni interpretative - che dovrebbero corrispondere al vero - possiamo sentirci in diritto di affermare che probabilmente gli antichi non si sono mai imbattuti in un gallo che si sia messo a covare. Ma in un gallo che aveva deposto un uovo, sì, erano incappati, ma in tempi molto più recenti, allorché quel povero gallo di Basilea alla veneranda età di 11 anni fu decapitato e messo al rogo nel 1474. O quando quel povero attempato gallo olandese venne strangolato perché oltre ad aver deposto l’uovo si era pure messo a covarlo: ce lo ha steso nero su bianco il medico e astrologo olandese Levinus Lemnius (1505-1568)[4] e lo vedremo più avanti.
O forse il gallo di Eliano, diversamente da quello di Aristotele e di Plinio, era un intersesso ormonale? Era un intersesso come quello di Basilea e dell’Olanda?
Per la trattazione degli intersessi ormonali e del ginandromorfismo si veda vol. II, XXIV.7. Qui basti ricordare che in letteratura sono riportati moltissimi casi di galline mascolinizzate. Una revisione dei dati a partire dall’epoca aristotelica è stata compiuta da Forbes. Crew riferisce un caso estremo di cambiamento di sesso in una Orpington che, dopo aver a lungo deposto e covato uova, verso i 3 anni e ½ assunse le sembianze di un maschio e, un anno dopo, divenne padre di due pulcini. L’autopsia dimostrò la presenza di 2 grossi testicoli dotati di deferenti, di un ovaio atrofizzato e di un piccolo ovidutto a sinistra. Si ricordi inoltre che qualunque malattia dell’ovaio che ne provochi la scomparsa darà luogo agli stessi effetti del suo invecchiamento fisiologico. L’atrofia ovarica può determinare, specie nel genere Gallus, la trasformazione della gonade rudimentale destra in testicolo con secrezione ormonale e talora con gametogenesi maschile. Se il parenchima ovarico residuo sarà ancora sufficientemente attivo, la gallina, pur conservando il suo piumaggio femminile, acquisterà la cresta, il canto e il comportamento sessuale del gallo. Se però l’attività ovarica diventasse insufficiente, si aggiungeranno speroni e piumaggio maschile, e il soggetto diventerà un maschio fenotipicamente completo.
3 - Il gallo che cova nei testi rinascimentali
Passiamo ora al Rinascimento e cerchiamo di scoprire se a quel tempo qualcuno accettava che il gallo potesse covare. A quell’epoca ci si stava ancora districando con molta fatica dalle pastoie scientifiche del passato: esistevano troppi ipse dixit da contestare e spesso era meglio tacere anziché abbozzare ipotesi personali non suffragate da dati inoppugnabili. Infatti Conrad Gessner (1516-1565) nella sua Historia Animalium (1555) è molto preciso - ma alquanto asettico - nel riferire i dati del passato di cui ci stiamo occupando, e non si abbandona a illazioni, alle quali invece non saprà sottrarsi 45 anni più tardi Ulisse Aldrovandi (1522-1605) nel II volume della sua Ornithologia (1600).
Prima di affrontare questo capitolo servendoci dei testi dei naturalisti, analizziamo ciò che scrisse un enciclopedico, il francese Jean Tixier (1480-1524), che non può far testo per la nostra ricerca, in quanto compilatore e non ricercatore. In Officinae epitomes tomus secundus (1560) alla voce Gallus possiamo leggere che quando muore la chioccia è lui a covare. Infatti il lungo testo relativo al gallo quasi esordisce con siffatta affermazione. Gallus nuntius est lucis, Latonae charus, quod ei parienti astiterit. Mortua foemina ova incubat, gloriam sentit, noscit sidera, it cubitum cum sole, imperitat suo generi, et regnum, in quacumque domo fuerit, exercet. – Si tratta di una collezione di notizie condensate tratte da svariati autori e lascio a voi il piacere di identificarli leggendo il testo di Gessner relativo al pollo. Ciò che a noi interessa è il fatto che l'affermazione mortua foemina ova incubat è senz'altro tratta da Eliano.
Cominciamo da Gessner, citando quanto è contenuto a pagina 384 del III volume della Historia animalium, e si tratta di un contenuto estremamente preciso di cui Einaudi avrebbe dovuto tener conto, poiché il gallo che cova è solo quello di Eliano:
Mares visi nonnulli sunt, qui cum forte foemina interisset, ipsi officio matris fungerentur, in pullos ductando, fovendo, educando, ita, ne de caetero vel cucurire, vel coire appeterent, Aristot. Narrantur et mortua gallina mariti earum visi succedentes in vicem, et reliqua foetae more facientes, abstinentesque se a cantu, Plinius. Quin et iam inde a primo ortu naturae, ita nonnulli mares effoeminati proveniunt, ut neque cucuriant, neque per coitum agere velint, et venerem eorum qui tentent supervenire patiantur, Aristot. Matrice gallina extincta, is ipse incubat, et pullos ex ovis excludit, ac tum silentio utitur, quod sane sibi conscius sit se muliebre munus obire, et parum viriliter facere, Aelianus. Galli partus gallinarum levare, et doloris participatione solari videntur, dum placida et exili voce eis accinunt, Oppianus in Ixeut. Maritus etiam inter bruta partus dolores intelligit, et plurimi ex eis parientibus foeminis condolent, συνωδίνει, ut gallinacei: quidam etiam excludendo iuvant, ut columbi, Porphyrius 3. de abstin. ab animatis. |
Si sono visti alcuni maschi i quali, se per caso era morta la femmina, essi stessi si assumevano il compito della madre nei confronti dei pulcini, guidandoli, riscaldandoli, allevandoli, tant’è che non si curavano d’altro, né di cantare né di accoppiarsi, Aristotele. Si narra anche che dopo la morte di una gallina si sono visti i loro maschi darle il cambio e compiere come una puerpera le cose rimaste da fare e astenersi dal canto, Plinio. In verità già fin dalla nascita alcuni maschi si presentano così effeminati che né cantano né desiderano accoppiarsi, e sopportano la bramosia di quelli che tentano di calcarli, Aristotele. Quando una gallina che ha deposto muore, lui stesso cova, e fa uscire i pulcini dalle uova, e allora se ne sta in silenzio, in quanto senza dubbio è conscio che si assume un compito femminile e che si comporta in modo poco mascolino, Eliano. Sembra che i galli diano sollievo al parto delle galline e che le consolano compartecipando al dolore quando le accompagnano nel canto con una voce tranquilla ed esile, Oppiano di Apamea in Ixeutica. Anche tra gli animali sforniti di raziocinio il maschio riesce a comprendere i dolori del parto, e moltissimi di loro partecipano al dolore, synødínei, quando le femmine partoriscono, come i galli: alcuni aiutano anche nell’incubazione, come i colombi, Porfirio 3. De abstinentia ab animatis. |
Il testo di Eliano riportato da Gessner in Historia animalium corrisponde alla traduzione curata da lui e dal naturalista francese Pierre Gilles (1490-1555) edita a Zurigo nel 1556. Come possiamo notare dallo stralcio di questa edizione delle opere di Eliano – Claudii Aeliani opera quae extant omnia – in Historia animalium di Gessner manca l'apprezzamento per il silenzio cui va incontro il gallo riportato fra parentesi, in quanto non di Eliano ma dei due traduttori: (res admiratione digna). Se abbiamo voglia di cavarci gli occhi e leggere l'equivalente testo greco, possiamo altresì notare che Gessner e Gilles tralasciano di tradurre οὐ γὰρ ᾄδει τότε θαυμαστῇ τινι καὶ ἀπορρήτῳ αἰτίᾳ, ναὶ μὰ τόν (perché non canta in quel periodo di tempo è dovuto a un qualche motivo strano e misterioso, per Zeus;). Si tratta di una svista? Forse. Fatto sta che anche l'affidabilissimo Gessner talora qualche peccatuccio lo commette.
E ora vediamo il testo di Aldrovandi: è praticamente equivalente a una parte di quello che abbiamo desunto da Gessner, eccetto la comparsa di un gallo e di un cappone indotti ambedue a fare la baby sitter. Fin qui non c’è nulla di strano: prendersi cura dei pulcini non equivale a covare le uova. Anche in questo brano il gallo che cova è come al solito quello di Eliano. Da Ornithologia II, pagina 226:
Haec itaque omnia Porta, qui etiam docet, quomodo Gallus, vel capus in mortuae, vel educere pullos Gallinae nolentis locum succedat. Iubet autem illi ostendi pullos, et blande manibus dorsum pertractando praeberi cibum, ut manibus edere assuescat, et cicur fiat. Mox pectus deplumando urticis perfricari atque ita paucis interiectis horis adeo optime pullos recepturum promittit, et cibum eis exhibiturum, ut vix unquam mater Gallina tale fecerit. Verum ipsemet Aristoteles Gallos nonnullos visos esse testatur, qui cum forte {faemina} <femina> interiisset, ipsi officio matris fungerentur, pullos ductando, fovendo, educando, ita ne de caetero, vel cucur<r>ire, vel coire appeterent. Et Aelianus Galli laudes prosequens{;}<,> Matrice Gallina, <i>nquit, extincta, ipse incubat; et pullos ex ovis excludit, ac tum silentio utitur. Idem etiam testatur Plinius, Narrantur, inquiens, et mortua Gallina mariti earum visi succedentes invicem, et reliqua foetae more facientes, abstinentesque se a cantu. Quae cum ita sint, Gallos aliquando absque {homiuum} <hominum> opera, Gallinarum officio functos fuisse manifesto constat. |
E così tutte queste cose le riferisce Giambattista Della Porta - in Magiae naturalis IV,26 - il quale ci informa anche di come un gallo o un cappone subentri a una gallina che è morta oppure che non vuole allevare i pulcini. Infatti egli si raccomanda che gli vengano mostrati i pulcini, e mentre delicatamente con le mani gli si tocca il dorso, di offrirgli del cibo, affinché si abitui a mangiare dalle mani e diventi mansueto. In seguito spiumandogli il petto di sfregarlo con ortiche e garantisce che così, dopo poche ore, accoglierà così bene i pulcini, e fornirà loro il cibo, che quasi mai una gallina madre si sarebbe comportata così. In verità lo stesso Aristotele[5] è testimone del fatto che si sono visti alcuni galli i quali, se per caso era morta la femmina, essi stessi si assumevano il compito della madre guidando, riscaldando, allevando i pulcini, tant’è che non si curavano d’altro, né di cantare né di accoppiarsi. Ed Eliano[6], continuando le lodi del gallo, dice Quando muore una gallina che depone, lui stesso cova, e fa uscire i pulcini dalle uova, e allora se ne sta in silenzio. Anche Plinio[7] riferisce la stessa cosa dicendo Si narra anche che dopo la morte di una gallina si sono visti i loro maschi darle il cambio e compiere come una puerpera le cose rimaste da fare e astenersi dal canto. Stando così le cose, risulta chiaramente che talvolta i galli, senza l’intervento degli esseri umani, si sono assunti il compito delle galline. |
A pagina 228 Aldrovandi invita apertamente a procurarsi un gallo o un cappone che facciano da baby sitter qualora una gallina abbandoni i suoi pulcini. Si tratta di un consiglio tratto da Giambattista Della Porta e già riferito a pagina 226. Ecco Aldrovandi Ornithologia II, pagina 228:
Cavendum item ne plures quam triginta uni nutrici committantur. Negant enim omnes fere Geoponici hoc numero ampliorem gregem posse ab una nutriri. Sin autem Gallinarum aliqua suos deserat, timeasque ne ita deserti intereant, cura, ut Gallus, vel Capus nutricis munere fungatur. Quod quomodo praestare possis, superiori capite ex Io. Baptista Porta ostendi. |
Bisogna evitare che a una sola chioccia vengano affidati più di trenta. Infatti quasi tutti i geoponici negano che una nidiata più grande di questo numero possa venir allevata da una sola chioccia. Ma se qualcuna tra le galline dovesse abbandonare i suoi pulcini, e tu temessi che, così abbandonati, muoiano, fa in modo che un gallo oppure un cappone assolva al compito di nutrice. In che modo ti sia possibile ottenerlo l’ho spiegato nel capitolo precedente traendolo da Giambattista Della Porta. |
Ma ecco che sette pagine più avanti, per schierarsi – apparentemente – dalla parte del filosofo Porfirio[8] (ca. 233 - ca. 305), Aldrovandi fa dire ad Aristotele che il gallo cova se muore la gallina. Da Ornithologia II, pagina 235:
Gallus vero tum ideo quoque amorem, benivolentiamque suam illam manifestat, dum se doloris, quo coniuges suas affici credit, consortem cantu longe alio, quam cucur<r>itu, sed Gallinarum cantui simillimo {attestatnr} <attestatur>. Meminit eius Oppianus his verbis: Galli partus Gallinarum levare, et doloris participatione solari videntur, dum placida, et exili voce eis accinunt: dissentiens in eo ab Aristotele, quem Gallinas absque dolore parere, authorem esse supra diximus. Unde item Porphyrium falsum ita scripsisse dicendum est: Maritus etiam inter bruta partus dolores intelligit, et plurimi ex eis, parientibus {faeminis} <feminis> condolent, ut Gallinacei: quidam etiam excubando iuvant, ut Columbi. Verum visus est aliquando Gallus, teste Aristotele, mortua Gallina, eius munus obire, hoc est, vel incubare ova, vel iam natos pullos educare, insigni sane benevolentiae signo. |
In verità perciò anche il gallo rivela l’amore e quel suo affetto allorquando, attraverso un canto ben diverso dal chicchirichì, ma molto simile al canto delle galline, testimonia di essere compartecipe del dolore dal quale lui crede siano pervase le sue consorti. Oppiano di Apamea - in Ixeutica - fa menzione di ciò con queste parole: Sembra che i galli diano sollievo al parto delle galline e che le consolano compartecipando al dolore quando le accompagnano nel canto con una voce tranquilla ed esile: trovandosi a questo riguardo in disaccordo con Aristotele[9] il quale afferma che le galline partoriscono senza dolore, come abbiamo detto in precedenza. Per cui bisogna dire che parimenti Porfirio - in De abstinentia ab animalibus III - ha scritto una menzogna nel modo seguente: Anche tra gli animali sforniti di raziocinio il maschio riesce a comprendere i dolori del parto, e moltissimi di loro partecipano al dolore quando le femmine partoriscono, come i galli: alcuni aiutano anche nell’incubazione, come i colombi. In verità, testimone Aristotele, talora, morta la gallina, si è visto un gallo assumersi i suoi compiti, cioè, o covare le uova, oppure allevare i pulcini già nati, senza dubbio come segno evidente di affetto. |
Quindi, pur di salvare Porfirio, il quale, diversamente da Aristotele, concedeva alle galline di soffrire quando partoriscono, Aldrovandi si dimentica del passo aristotelico riportato in modo corretto a pagina 226 e fa sì che i galli, secondo Porfirio partecipi solamente dei dolori del parto, si lascino andare anche a covare, come fanno i colombi.
Si tratta di un lapsus indotto in parte da Porfirio, ma solo in minima parte: infatti Aldrovandi, invece di mettersi a fantasticare e a coinvolgere ingiustamente Aristotele, avrebbe dovuto solo fare attenzione ai due punti che separano Gallinacei da quidam. Questi due punti introducono il discorso di Porfirio sul fatto che alcuni maschi di uccelli, contrariamente ai galli, si mettono anche a covare, come i piccioni, i quali passano dalle parole ai fatti, spingendosi al di là di un semplice vocalismo per alleviare il dolore da ovodeposizione delle loro compagne. Ammesso e non concesso che esista un dolore da ovodeposizione. Penso che la gallina - e qualsiasi altro volatile - quando depone si senta liberata da un corpo estraneo, si senta sgravata di un peso, e non soffra, se non raramente, per il passaggio dell’uovo attraverso l’orifizio cloacale. Tant’è che tutto il vociare della gallina dopo aver deposto l’uovo a me sembra un prolungato strillo di gioia più che di dolore.
4 - Intervallo ovodepositorio
Oggi le cose stanno in questi termini: le galline più vip hanno la ventura di andare a esplorare col gallo dove deporre l’uovo, lo decidono insieme e lo fanno in assoluto silenzio. La gallina si accovaccia e spesso il gallo monta di guardia finché la consorte si è sgravata.
La gallina ha
deciso col gallo dove deporre l'uovo:
sul davanzale di una mia finestra, dove ha continuato a deporre per diversi
giorni.
27 febbraio 2007
La gallina può dare il segnale di voler deporre emettendo dei periodici co-co-co che hanno un volume del tutto sommesso anche se di tonalità tendente all’acuto, ed emette i suoi co-co-co mentre gironzola come assorta, quasi fingendo di cercare qualcosa.
Dopo aver deposto l'uovo, la gallina si sofferma a coccolare il frutto del parto e poi esce dal nido cominciando a cantare a squarciagola, facendo un gran clamore - o un gran casino che dir si voglia - imitata spesso dalle altre galline che in quel momento stanno vagabondando. Ma, ciò che rompe effettivamente i timpani, è quando anche la schiera dei galli si unisce al coro delle femmine, cantando però come una gallina che ha deposto, e un gallo che canta da gallina è mille volte più petulante e indisponente in quanto non ha la voce adatta per farlo. È come quando Luciano Pavarotti voleva cantare dei brani che solo il Reuccio, solo Claudio Villa poteva elargire senza tema di sgarrare.
D’estate, con le finestre aperte, sono stato costretto parecchie volte a cercare di zittire questo assordante coro lanciando in frutteto caraffate di acqua, riuscendo però a ottenere solo una momentanea interruzione del clamore: c'è sempre un ultimo gallo che emette un’ultima vociata femminea, subito ripresa in modo unanime dal coro dei colleghi che paiono posseduti da un ciclo periodico coatto, come quello di certi cani che non riescono a smettere di abbaiare, un ciclo reiterantesi e automantenentesi.
Finalmente pian piano, e in tempi variabili, il tutto va spegnendosi. Questo reiterarsi ciclico e coatto del canto della gallina è correttamente messo in evidenza da Aldrovandi quando a pagina 219 afferma: “…e sempre schiamazzando annuncia di aver partorito e se lo si impedisce, non appena viene lasciata a se stessa, si mette a cantare.”
Se io fossi un corvo mi precipiterei a cogliere il frutto di un sì elaborato parto, e il corvo è tanto intelligente che lo farebbe se potesse individuare il nido, essendo ormai capace di rubare persino i soldi appena partoriti da un bancomat.
Non sono ancora riuscito a capire perché la gallina annunci a tutto il mondo che è nato un futuro pulcino e un prelibato boccone, del tutto dimentica che i predatori sono sempre in agguato e contravvenendo così stupidamente a tutte le regole del mimetismo.
Non è un canto di dolore il suo, bensì di gioia, e probabilmente la gallina deve avvertire un gran sollievo dopo essersi sgravata, un punto questo su cui Aldrovandi non si sbilancia. Un corpo estraneo in cloaca - fatte le debite eccezioni - non fa piacere neppure agli esseri umani. Inoltre, se le espressioni in uso, come è loro dovere, esprimono qualcosa di reale, si capisce perché la defecazione venga spesso eufemizzata in beneficio di corpo.
Non è da dimenticare poi il fatto che in vagina, dove l’uovo soggiorna pochissimo, si verifica una rivoluzione, nel puro senso etimologico del termine: l’uovo, che era andato scendendo col polo acuto quasi fosse uno spartineve, giunto in vagina si rigira in modo tale da abbandonare la cloaca col polo ottuso. Per la gallina una siffatta rivoluzione potrebbe magari risultare in qualche modo piacevole come la suzione del capezzolo materno da parte del neonato, tuttavia la distensione orizzontale della vagina da parte dell’uovo è alquanto rapida e improvvisa e non passa senz’altro inavvertita dalla partoriente.
Ovviamente solo una gallina transgenica del quarto millennio potrebbe dirci come stanno le cose, sia durante che dopo il parto e perché canta, ponendo fine a queste nostre insulse elucubrazioni alle quali manca la voce della prima attrice. I palmipedi schiamazzano, e schiamazzano parecchio. Ma non ho mai colto un’anatra o un’oca in flagrante schiamazzo sia prima che appena dopo aver deposto: loro partoriscono in silenzio e c’è da presumere che le sensazioni da cui vengono pervase durante lo sgravamento non siano molto dissimili da quelle della gallina. Aspettiamo quindi anche il palmipede transgenico.
Ciò che è certo, ammesso che il Gallo rosso della giungla sia il principale progenitore del pollo domestico, è che un Gallo della giungla puro, oggi sempre più raro, è un essere estremamente silenzioso, come sottolinea ancora una volta Khin May Nyunt, tanto da non sbraitare affatto e tanto da non sbattere assolutamente le ali in modo osceno come invece fanno i nostri polli quando vengono maneggiati. E la sua consorte resta silenziosa anche dopo aver deposto l’uovo.
E stando alle affermazioni di Ludo Pinceel (2001) non solo la femmina di Gallus gallus non si sgola nell’annunciare al mondo intero il gaudium magnum della nuova nascita: si comporta così anche la femmina del Sonnerat che lui alleva. Anche Nicholas Collias (2001) mi ha affermato di non aver mai udito una femmina di Gallus gallus cantare dopo aver deposto l’uovo.
È pensabile che quanto accade e viene percepito nell’ultimo tratto dell’apparato genitale, sia identico nei palmipedi, nelle galline della giungla, nella gallina domestica. Potrebbe quindi dipendere, nell’ultimo caso, dall'evoluzione di un tratto comportamentale i cui motivi la gallina transgenica ci riferirà. A mio parere le nostre galline non gridano di dolore, altrimenti lo farebbero anche gli altri pennuti appena citati.
Comunque: o Aldrovandi non ha mai avuto un pollaio, oppure il pollaio ce l’aveva ma molto distante da casa, oppure ai suoi tempi le galline facevano casino sia prima che dopo aver deposto l’uovo. Soprattutto, in mancanza di esperienza diretta, egli non ha meditato sulle parole di Columella, che danno ragione al sottoscritto: De re rustica VIII,5 - Adsiduus autem debet esse custos et speculari parientes, quod se facere gallinae testantur crebris singultibus interiecta voce acuta. - Inoltre il custode deve stare attento e osservare le galline quando depongono, in quanto ne danno avviso con frequenti voci gutturali alle quali intercalano un grido acuto.
Uovo senza guscio
non di gallo ma di gallina
foto di Guido Comasini - 5 dicembre 2007
5 - Ripresa delle elucubrazioni
Facciamo ora un passo indietro e prendiamo in analisi il testo di Aldrovandi di pagina 221, dove il nostro Ulisse è impegnato a disquisire sulle varie anomalie che si possono osservare a carico dell’uovo. È qui che parla dell’anziano gallo olandese che aveva deposto un uovo e lo covava.
Quod vero nonnulli dicant [eiusmodi ovum] testa carere, sed adeo durae pellis esse, ut fortissimis ictibus resistat, id plane fabulosum esse existimo, uti etiam quod vulgus in tota Europa existimat, ex eo basiliscum generari, maxime si a rubeta, vel bufone excludatur. Levinus Lemnius medicus praestantissimus propria sese experientia comprobatum habere tradit, Gallum non {aedere} <edere> tantum ovum, sed incubare etiam. Scribit autem in civitate Zirizaea, atque insulae huius ambitu duos annosos Gallos non tantum ovis suis incubasse, verum etiam fustibus aegre ab illo opere abigi potuisse, atque ita, quoniam cives eam persuasionem concepissent, ex eiusmodi ovo basiliscum emergere, ovum {conterisse} <contrivisse>, et Gallum strangulasse. |
Circa il fatto che alcuni asseriscono che un uovo siffatto - un uovo di gallo - manca di guscio, ma che è dotato di una pelle così dura da resistere a traumi fortissimi, io lo ritengo del tutto inventato, come anche ciò che il popolo di tutt’Europa ritiene, che cioè ne viene generato un basilisco, soprattutto se viene covato da un rospo velenoso o da un rospo comune. Levino Lemnio, medico veramente eccellente, tramanda di aver confermato attraverso la propria esperienza che il gallo non solo depone un uovo, ma che lo cova anche. Scrive infatti che nella città di Zierikzee - sull’isola di Schouwen Duiveland in Zelanda - e nel territorio di quest’isola due galli attempati non solo si erano messi a covare le loro uova, ma che a fatica fustigandoli li si era potuti dissuadere da tale compito, e così, poiché gli abitanti si erano convinti che da un siffatto uovo sarebbe emerso un basilisco, ruppero l’uovo e strangolarono il gallo. |
Verum quicquid hic, aliique dicant, ego ne iurantibus quidem crediderim, tantum abest, ut Gallum id in fimo ponere, ut eius calore {foecundetur} <fecundetur>, aut ab incubantibus id rubetis basiliscum generari credam, ut nonnulli etiam nugati sunt. Haud interim negarim Gallum quid ovo simile ex conglobata intus putri concretione, maxime in ultimo eius senio, cum non amplius coit, concipere, ovum integrum una cum testa excludere minime credam. Hoc enim in matrice perfici ratio dictat. Ut autem a viro totum {foetum} <fetum> excludi nemo dixerit, ita neque a Gallo, qui cum Philosophorum, tum medicorum dogmatibus edoctus loquitur. |
In verità, qualunque cosa dicano sia lui che altri, io non lo crederei neppure se lo giurassero, tanto è lontano dalla realtà il fatto che un gallo deponga un uovo nel letame allo scopo di venir fecondato dal suo calore, o che io creda che venga generato un basilisco se l’uovo viene incubato da rospi velenosi, come alcuni si sono anche presi burla di dire. Nel contempo non mi sentirei di negare il fatto che un gallo sia in grado di concepire qualcosa di analogo a un uovo grazie a una aggregazione putrida conglobata al suo interno, soprattutto alla fine della sua vecchiaia quando non si accoppia più, ma non crederei assolutamente che sia in grado di produrre un uovo vero fornito di guscio. La ragione impone che esso viene compiutamente realizzato nella femmina. Poiché infatti nessuno ha mai affermato che un feto compiuto nasce da un uomo, così non dovrà neppure affermare che è nato da un gallo, anche se chi parla è una persona addottorata sia in filosofia che in medicina. |
Siamo di fronte a un caso di ginandromorfismo dovuto all’età: galline che acquisiscono le fattezze dei galli (forse come la undicenne gallina di Basilea travestita da gallo e messa al rogo nel 1474 assieme all'uovo deposto), con conservazione della capacità di deporre magari anche un solo uovo e di volerlo incubare pur essendosi vestite da gallo.
Vorrei aggiungere che le annotazioni di Aldrovandi sono precise su alcuni punti. Oggi sappiamo che il tuorlo è in grado di stimolare meccanicamente la produzione dell’albume: infatti questo può essere ottenuto anche con sfere d’ambra, d’osso o di cera collocate all’inizio dell’ovidutto. Anche le feci deviate artificialmente verso l’ovidutto vengono ricoperte d’albume. Le uova senza tuorlo d’origine spontanea dimostrano tuttavia che un corpo estraneo non è di capitale importanza per la loro formazione: tali uova, costituite solo da albume e guscio, sono anche dette uova di gallo, e sono frequenti verso la fine del periodo depositivo, ovviamente della gallina. Lo stesso Thomas Browne (Londra 1605 - Norwich 1682) nel 1646 così scriveva a questo proposito nel suo Pseudodoxia Epidemica (III,vii): “[...] as we have made trial in some which are termed Cocks’ eggs: Ovum Centennium, or the last egge, which is a very little one.” Dove centennium è un neologismo che significa centesimo, il centesimo uovo.
Le uova di gallina senza tuorlo, sfrondate delle fantasie del passato, vengono fondamentalmente distinte in due classi:
- uova contenenti parassiti o altri corpi estranei che hanno svolto funzioni di stimolo meccanico
- uova prive di qualsiasi incluso cui possa essere attribuita la produzione abnorme di albume.
In questo secondo caso l’ipotesi più accreditata è quella secondo
cui il solo accumulo di albume nelle sezioni albuminifere dell’ovidutto è
in grado di stimolare successivamente la formazione del rivestimento calcareo.
A pagina 221,
appena prima del passo testé citato, Aldrovandi scrive: Taceo modo mihi bis, terve a viris etiam non plebeis, sed fide
dignissimis ovum allatum, quod e Gallo natum affirmabant. - Accenno appena al
fatto che due o tre volte, anche da uomini non da strapazzo, ma oltremodo
degni di fede, mi fu portato un uovo che affermavano essere nato da un gallo.
A questo punto è ovvio chiedersi da che tipo di galli provenissero le uova osservate da Aldrovandi: da una poularde di sviluppo? cioè da una gallina non castrata ma le cui gonadi non si erano sviluppate in modo normale, oppure da qualche pollo con un diverso curriculum vitae? Sembrerebbe più verosimile la seconda ipotesi dato che sempre a pagina 221 afferma: edere autem id inquiunt, cum iam decrepitus esse incipit, ac senectute confici, idque nonnullis septimo, nono, aut ad summum decimoquarto aetatis anno evenire - dicono infatti che lo depone quando già comincia a essere decrepito e consumato dalla vecchiaia, e ad alcuni accade al settimo, al nono o soprattutto al quattordicesimo anno d’età.
Sappiamo per certo che una femmina, nella quale siano contemporaneamente presenti tessuto testicolare e ovarico, di solito presenta una cresta di tipo maschile, ma conserva il piumaggio femminile.
Ma, oltre che da congenita presenza di tessuto testicolare e ovarico, esiste anche un ginandromorfismo da deficienza ovarica: è noto da secoli che le galline invecchiando si dotano spesso di speroni, e che alcune vecchie femmine - galline, fagiane, anatre -, terminato il ciclo depositivo, spesso nel giro di numerose mute acquisiscono il piumaggio del maschio. L’esame anatomopatologico mostra la presenza di un’atrofia più o meno completa dell’ovaio.
La spiegazione di questo ginandromorfismo è facile: a causa della vecchiaia, l’ovaio ha cessato di condizionare il piumaggio femminile e di inibire gli speroni, permettendo a questi e al piumaggio neutro di svilupparsi. Il piumaggio maschile si completerà nel giro di una o di alcune mute a seconda della soglia di risposta delle piume in ricrescita e a seconda del tasso degli ormoni circolanti. Inoltre, anche qualunque malattia dell’ovaio che conduca alla scomparsa della gonade, avrà gli stessi effetti dell’invecchiamento fisiologico.
L’atrofia ovarica può determinare, specie nella gallina, altri effetti: la trasformazione della gonade rudimentale destra in testicolo con secrezione ormonale talora associata a gametogenesi maschile. Se il parenchima ovarico residuo è ancora sufficientemente attivo, la gallina, pur conservando il suo piumaggio femminile, acquisterà la cresta, il canto e il comportamento sessuale del gallo. Se l’attività ovarica è insufficiente, si aggiungeranno speroni e piumaggio maschile, e il soggetto diventerà un maschio fenotipicamente completo.
Qualora l’atrofia ovarica non fosse completa e se l’utero svolgesse ancora alcune funzioni, ecco che un siffatto soggetto potrebbe deporre uova costituite magari solo da albume, oppure con qualche abbozzo di tuorlo: forse è questo il caso dell’uovo rotto consegnato ad Aldrovandi, come riferisce sempre a pagina 221: Item vix ante octiduum nescio quis ruptum ad me attulit, quod vitello omnino carere dixisses. Erat enim totum ferme album: inerat tamen quod media parte aliquo pacto flavesceret: habebat etiam quod iam quasi ad generationem vergeret. - Ugualmente, circa otto giorni fa, non so chi me ne ha portato uno rotto, che avresti detto mancare totalmente di tuorlo. Infatti era quasi completamente bianco: tuttavia nella parte centrale c’era un qualcosa che in qualche modo tendeva al giallo: possedeva anche un qualcosa come se già tendesse verso la generazione.
Non fu solo Aldrovandi a essere contattato per esprimere un giudizio su uova deposte da galli. Simon Wilkin (1790-1852) pubblicò nel 1836 le opere complete di Sir Thomas Browne. In un’annotazione a III,vii di Pseudodoxia Epidemica di Browne, Wilkin così scrisse: “At the end of the volume for 1710 of the History of the French Royal Academy is a curious account transmitted by M. Lapeyronie of Montpellier, of some "cock’s eggs" which a farmer had brought to him, with the assurance that had been laid by a cock and would be found to contain, instead of yolk, the embryo of a serpent. One of these eggs, opened in the presence of several scavans, was found devoid of yolk, but exhibiting a coloured particle in the centre, which was considered as the young serpent. The cock having been given up to M. Lapeyronie for dissection, the farmer very soon brought some more of these little eggs, having discovered that they were laid by a hen!”
Tuttavia - e c’è sempre un tuttavia - a pagina 235 Aldrovandi, mentre è impegnato in un panegirico sulle ottime qualità comportamentali del gallo nei confronti della prole e del suo harem, ritorna sul gallo di Eliano che si mette a covare se muore la compagna. Anche stavolta Aldrovandi non esprime alcun dissenso su quanto riferito da Eliano.
Res item summa admiratione digna est, Gallum tum silentio uti, et pulchellam illam suam vocem, cucur<r>itum inquam, celare nosse, cum mortua Gallina coniuge sua, ipse eius officio fungens ova incubat, quod id mulierem decere, et parum virile esse non ignoret, ut idem Aelianus[10] memoriae prodidit. |
Parimenti è una cosa degna di estrema meraviglia il fatto che il gallo se ne sta in silenzio e sa nascondere quella sua voce graziosa, cioè il chicchirichì, allorquando, morta la gallina che era la sua compagna, lui stesso cova le uova assumendosene il compito, sebbene non sia ignaro del fatto che ciò si addice a una femmina e che è poco maschile, come lo stesso Eliano ha tramandato. |
Che Aldrovandi credesse nel fatto che un gallo potesse covare? È un dubbio che rimane, e credo che dovremmo chiedere l’intervento di una medium per venire a capo di questo busillis.
Possiamo e dobbiamo puntualizzare che il gallo fa da bambinaia non solo mortua gallina, ma anche viva gallina. In condizioni logistiche favorevoli - quando cioè ho potuto permettere al gallo di isolarsi con la sua compagna durante la cova - ho potuto osservarlo più di una volta allevare i pulcini con la chioccia, ma solo di giorno, in quanto alla sera andava sempre ad appollaiarsi, cedendo la prole alla femmina. Invece, nel 2003, Viaviano Masconni dovette subire un tonfo al cuore quando, durante un controllo notturno, si rese conto che sotto la chioccia Brahma c’era solo una parte della nidiata. Che fosse stata decimata da un predatore? Magari da un ratto? No. Il resto della prole stava trascorrendo la notte sotto le ali paterne, in quanto il gallo Brahma era rimasto al suolo come la sua compagna, e fungeva anche lui da bambinaia.
6 - Galli ovaioli del XXI secolo
Gulliver e Colorado
I primi dati su Gulliver e Colorado, i galli ovaioli cileni, compaiono in resoconti giornalistici del 20 ottobre 2005:
San Antonio Chile - Mientras la
comunidad científica internacional se preocupa por la posibilidad de una
pandemia de gripe aviar, una antigua criadora de aves de la ciudad chilena de
San Antonio aseguró el miércoles que sus dos recios gallos... ponen huevos.
Pilar Hungría, que desde hace 30 años mantiene un bullicioso gallinero en
esta ciudad costera, 100 km al oeste de Santiago, dijo que se sorprendió aun
más cuando rompió uno de los huevos y descubrió que no tenía yema, según
informó Radio Digital FM.
El conservador del Museo de Ciencias Naturales de San Antonio, José Luis
Brito, aventuró que lo más probable es que uno de los gallos - o los dos -
"tenga trastornos hormonales y haya desarrollado un tejido ovárico"
que le permite poner los huevos.
Pero el veterinario Hernán Rojas, jefe del Departamento de Protección
Pecuaria del SAG (Servicio Agrícola y Ganadero), no coincidió con este diagnóstico
y estimó que hay una confusión de "apariencia". "Puede ser un
problema de que fenotípicamente, o sea por fuera, el animal parezca gallo,
pero no sea gallo", dijo Rojas. "Un gallo bien gallo... no debería
poner huevos", concluyó.
www.absurddiari.com
Il 25 ottobre 2005 la notizia viene sfruttata per stimolare i neuroni dei lettori:
Gallo ponedor - Hay una pregunta
con truco bastante tonta, a la que, por regla general, sólo responden los muy
niños o los muy tontos: ¿De qué color ponen los huevos los gallos de plumas
blancas?
Aunque se considere y se sepa que los gallos no ponen huevos, tarea
exclusivamente reservada a sus coquetas compañeras de corral, resulta que,
ahora, de pronto han aparecido dos ejemplares que sí lo hacen: en San Antonio
de Chile. Los machos ponedores son propiedad de una granjera de
aquella ciudad llamada Pilar Hungría. La noticia de los dos gallos que ponen
huevos habría quedado, seguramente, en mera anécdota, sino fuese porque
algunos expertos y científicos se han interesado por el asunto y han opinado
al respecto. Conviene aclarar que los huevos puestos por los plumados bichos
propiedad de doña Pilar son algo raros: carecen de yema.
Algunos de los especialistas interesados en el enigma aventuran la posibilidad
de que estas aves padezcan trastornos hormonales que les hayan llevado a
producir un tejido ovárico, y otros, por el contrario, esgrimen la teoría de
que los gallos de marras acaso sólo lo parezcan y que sean, en realidad,
gallinas con aspecto masculinizado, si es que se puede decir así. Pero,
si esta última fuese la respuesta a la interrogante surgida a raíz del extraño
caso, ¿por qué los huevos estas gallinas machorras, o así, se componen, en
su interior, exclusivamente de clara?...
Aquí, dejo al lector sumido en sus pensamientos y criterios al respecto, ya
que un servidor, sin más datos que los contenidos, muy sucintamente, en la
noticia de agencia, no se atreve a meter baza en tan apasionante polémica.
No obstante, sí recuerdo a quienes estén interesados en la cuestión que, al
menos desde el punto de vista legendario, en La Gomera sí había gallos que
ponían huevos. Bueno. Para ser exactos y respetuosos con las tradiciones
populares, había gallos que ponían un huevo. Solamente uno. Eran gallos
viejos, espectacularmente grandes, que hacían su puesta - el huevo solía ser
también enorme - minutos antes de morir. De ese huevo nacía el basilisco, el mítico monstruo con
cuernos, cuerpo de serpiente, patas de ave y cola acabada en forma de lanza.
El basilisco era un ser fabuloso que fulminaba con la mirada a quien se atrevía
a contemplarlo, y que únicamente podía ser destruido poniéndole un espejo
delante, para que se mirase a sí mismo. El gallo gomero que ponía ese huevo
emitía, por cierto, en el momento de hacerlo, un grito horrísono que sumía
en el temor a quien lo escuchaba. Algo así como un desafine desmesurado, en
OT, de la celebre y maltratadísima Idaira.
www.eldia.es
Aggiornamento del 27 ottobre 2005
Colorado, el gallo chileno que pone
huevos, está estresado - Santiago de Chile - No se sabe si Colorado
está estresado o estresada, porque los exámenes realizados al peculiar
gallo-pone-huevos de San Antonio aún no determinan si es hembra, macho o un
hermafrodita. La última opción se presenta como la más certera, según el
veterinario Sebastián "Lindorfo" Jiménez, que ha analizado al plumífero.
"Exámenes de sangre para medir hormonas sexuales, fundamentalmente estrógenos
y progesterona, revelaron valores diez veces más bajos que una gallina
adulta. También hicimos una cirugía para ver las gónadas, pero hubo una
hemorragia y no pudimos. Además, mandamos muestras de plumas
para análisis cromosómicos", detalló.
Colorado está
acompañado de su colega Gulliver. "Le sirve de apoyo moral porque está
tenso al estar fuera de su hábitat. No ha puesto más huevos", dijo Jiménez.
Pilar Hungría, dueña de la extraña ave, aseguró que cuando Colorado vuelva
al gallinero pasará sus días en paz y no terminará en una cacerola, como le
exigen algunos vecinos que ven una maldición en el inusual caso.
www.absurddiari.com
Alcuni mesi più tardi la notizia viene riferita in modo meno succinto e con un finale dai risvolti commerciali scontati e riservati alle star, ma il busillis biologico rimane irrisolto:
E i galli fanno le uova
In Cile, due galli, Gulliver e Colorado
sono diventati due star perché fanno uova,
come le galline, ma senza il tuorlo!
di Modesto Caleffi
Caribe Mundo - N° 31 Luglio 2006
Sarà colpa
dell’aviaria, o forse di un'inquietante mutazione genetica…? Fatto sta che
nessuno al momento sembra in grado di capirlo e darsi una precisa risposta!
Comunque sia il fatto certo è che in Cile, una coppia di galli apparentemente
normali, riesce a deporre le uova proprio come le galline.
Gulliver e Colorado, così sono stati chiamati i due pennuti di proprietà di
Pilar Hungría, contadina che vive e lavora a San Antonio, 100 km a ovest di
Santiago, non sarebbero comunque in grado di fare uova normali. Tutte quelle
raccolte, infatti, non contengono tuorlo ma solo albume.
Del fenomeno si stanno occupando il curatore del museo di scienze naturali di
San Antonio, José Luis Brito e una équipe di veterinari che, al momento, non
sembra capire cosa stia realmente succedendo ai due animali. Secondo gli
esperti quanto osservato potrebbe essere il risultato di un importante
scompenso ormonale che ha poi attutito la virilità dei due galli fino a
trasformarli in pseudo-galline.
Il capo del dipartimento di protezione animale del Cile, Hernán Rojas,
ritiene invece che si tratti di un banale errore della signora Hungría:
“Gulliver e Colorado potrebbero sembrare galli ma non esserlo”.
“Certo”, ha spiegato Rojas, “entrambi presentano grosse creste rosse, e
all’apparenza non sembrano affatto galline, ma non tutti siamo fatti allo
stesso modo”. La contadina la pensa ovviamente in modo diverso e sottolinea:
“Sono trent’anni che faccio questo lavoro, so riconoscere un gallo da una
gallina”.
Davvero un bel rebus scientifico, non c’è che dire! Secondo Rodrigo Ruiz,
professore universitario di veterinaria, si tratterebbe di un vero e proprio
scherzo della natura! Tanto bizzarro ed estremamente raro quanto mai
interessante da studiare. Sempre Ruiz afferma che la natura, in questo caso,
ha voluto mescolare le carte: nei due animali, infatti, coesistono
caratteristiche fisiche sia maschili che femminili, prova ne è che rivelano
comportamenti tipici sia dei galli che delle galline. Hector Venegas,
anch’egli professore universitario, pare invece essere meno entusiasta della
cosa e secondo lui Gulliver e Colorado sono sempre galline che però hanno
assunto per caso ormoni maschili e quindi hanno iniziato a sviluppare
peculiarità tipiche dei galli.
Intanto però alla signora Pilar Hungría sono piovute offerte plurimilionarie
per comprare i suoi galli e, dopo una iniziale resistenza, pare che la signora
Hungría abbia ceduto ad alcuni pubblicitari canadesi, per un progetto ancora
sconosciuto, Gulliver, per una cifra di tutto rispetto, ossia tremila dollari,
poco meno di 2.500 Euro. In cambio però l’anziana fattrice ha chiesto
espressamente che non venga fatto nessun esperimento scientifico sul super
pennuto!
7 - Il cappone covatore e baby sitter
nei testi
antichi e rinascimentali
E veniamo al cappone che cova. Nessuno degli autori antichi lo riferisce, e non ne fanno menzione né Filippo Capponi né D’Arcy Thompson nelle loro revisioni dell’antica letteratura greca e latina.
Solo Capponi, dopo aver citato la frase di Plinio (quella della Naturalis historia X,155), soggiunge a titolo personale: “Ma soltanto i polli castrati diventano, di fatto, delle galline e, in determinate circostanze e con qualche accorgimento, possono anche covare e guidare una covata di pulcini.”
La sua frase sa di un sentito dire, ed egli non specifica le fonti di questo cappone baby sitter, né le fonti o la fonte del cappone che cova, che magari potrebbe essere Gessner. Le fonti a mia disposizione sono costituite da Gessner e da Aldrovandi, i quali citano rispettivamente Alberto Magno (ca. 1200-1280) e Giambattista Della Porta (1535-1615) a proposito del cappone che si prende cura dei pulcini, mentre il cappone che cova dopo essere stato ubriacato viene riferito solamente da Gessner e sembrerebbe una notizia desunta da allevatori, magari svizzeri, anche se la prassi di ubriacare tacchine e galline per costringerle a covare doveva essere alquanto diffusa in Italia, e lo era in tempi anche recenti. In tempi recentissimi c’è chi ricorre addirittura a metodi ben più drastici, nonché coercitivi, per indurre una gallina alla cova: la rinchiude in una scatola di cartone e la libera solo alla sera, in una gabbia, per lo stretto tempo necessario allo svolgimento delle altre funzioni vitali, essendone la respirazione costantemente assicurata da fori praticati nel cartone.
Vediamo prima il cappone che fa solo la bambinaia. Conrad Gessner, Historia Animalium III, pagina 385:
Recentiores quidam de gallo castrato scribunt, si pectore et ventre deplumatus urticis perfricetur, pullos fovendos admittere, quod eo fotu pruritum quem urticae excitarunt mitigari sentiat. atque ita delectatum, in posterum etiam pullos amare, ducere, pascere: quod se observasse et miratum esse Albertus tradit. |
Alcuni autori più recenti scrivono a proposito del gallo castrato che, se viene strofinato con le ortiche dopo essere stato spiumato a livello del ventre e del petto, egli accoglie i pulcini per riscaldarli, in quanto con questo tipo di riscaldamento avvertirebbe che il prurito suscitato dalle ortiche viene mitigato. E che avendo provato piacere in questo modo, anche per il futuro amerà, guiderà, alleverà i pulcini: Alberto Magno riferisce di aver osservato ciò e di essere rimasto stupito. |
Ulisse Aldrovandi, Ornithologia II, pagina 226:
Haec itaque omnia Porta, qui etiam docet, quomodo Gallus, vel capus in mortuae, vel educere pullos Gallinae nolentis locum succedat. Iubet autem illi ostendi pullos, et blande manibus dorsum pertractando praeberi cibum, ut manibus edere assuescat, et cicur fiat. Mox pectus deplumando urticis perfricari atque ita paucis interiectis horis adeo optime pullos recepturum promittit, et cibum eis exhibiturum, ut vix unquam mater Gallina tale fecerit. |
E così tutte queste cose le riferisce Giambattista Della Porta, il quale ci informa anche di come un gallo o un cappone subentrino a una gallina che è morta oppure che non vuole allevare i pulcini. Infatti egli si raccomanda che gli vengano mostrati i pulcini, e mentre delicatamente con le mani gli si tocca il dorso, di offrirgli del cibo, affinché si abitui a mangiare dalle mani e diventi mansueto. In seguito spiumandogli il petto di sfregarlo con delle ortiche e garantisce che così, dopo poche ore, accoglierà così bene i pulcini, e indicherà loro il cibo, che quasi mai una gallina madre si sarebbe comportata così. |
Come abbiamo appena accennato, circa il cappone che viene indotto anche a covare, l’unica fonte è rappresentata da Conrad Gessner, Historia Animalium III, pagina 412:
Capus ventre et pectore deplumatus et perfricatus urticis, pullos fovere et pascere solet, etc. ut recitavimus in Gallo D. Sunt qui hoc modo affectum, non pullos modo curare, sed ova etiam incubare dicant: praesertim si pane vino madente inebrietur, et mox ebrius in loco obscuro ovis imponatur. Sic enim cum ad se redierit, ova propria existimantem, perficere aiunt. |
Il cappone, dopo che è stato spiumato a livello del ventre e del petto e che è stato strofinato con le ortiche, è solito riscaldare e allevare i pulcini, etc., come abbiamo scritto nel paragrafo D. riguardante il gallo. Alcuni affermano che, dopo essere stato trattato in questo modo, non solo si prende cura dei pulcini, ma che cova anche le uova: specialmente se viene inebriato con pane inzuppato nel vino, e non appena ubriaco viene collocato sopra alle uova in un posto buio. Dicono infatti che così, quando è tornato in sé, giudicando le uova come sue, le porta alla schiusa. |
Qualora avessimo il coraggio di sussurrare che, come riferito da Gessner, un cappone può mettersi a covare, forse la biologia non sarebbe in grado di smentirci. Vediamone il perché.
8 - Ormoni & Ormoni
La prolattina è un ormone proteico dell’adenoipofisi, o ipofisi anteriore. Come nella maggior parte dei vertebrati, la prolattina degli uccelli è composta da una sequenza di 199 aminoacidi con 3 ponti disolfuro per un peso molecolare che si aggira sui 23.000 Da o dalton (dal cognome del chimico inglese John Dalton, 1766-1844, al quale si deve il termine daltonismo di cui egli stesso era affetto). Il dalton - Da - è l'unità di massa atomica pari a un dodicesimo della massa di un atomo dell’isotopo 12 del carbonio (12C), corrispondente a circa 1,6598 x 10-24 g. La prolattina di un uccello non è uguale per tutte le specie, in quanto esistono differenze nella sequenza degli aminoacidi in base alla specie d'appartenenza (Peter Sharp, 2009). Somministrata a una femmina di uccello, la prolattina induce l’istinto di cova, la tendenza a costruire il nido, il comportamento tipico delle cure parentali e blocca lo sviluppo dei follicoli ovarici, e quindi l’ovulazione. Parte degli effetti comportamentali sono stati ottenuti anche nei maschi. La sintesi della prolattina aumenta di molto nella femmina che cova o che alleva i pulcini. Il nome di prolattina deriva dal fatto che nella donna predispone la mammella alla lattazione e la mantiene. I rapporti tra ipotalamo e rilascio della prolattina non sono ben chiari. Recentemente è stata indicata la possibilità che esista un fattore stimolante il rilascio di questo ormone, ma altre ricerche non hanno convalidato pienamente tale osservazione.
Un aumento della secrezione di prolattina si associa all’espressione dell’istinto di cova sia nella tortora che nel pollame. Ciò che maggiormente differenzia il pollame dalla tortora è il fatto che nella gallina e nella tacchina la concentrazione plasmatica di prolattina va aumentando durante l’instaurarsi di un completo istinto di cova, mentre nella tortora la concentrazione plasmatica di prolattina non aumenta se non dopo 4-5 giorni da quando ha cominciato a covare.
Questa differenza può essere spiegata molto facilmente dal fatto che nella gallina e nella tacchina è richiesto un fattore addizionale per poter trasformare le attività inerenti al nido, dipendenti dagli estrogeni e dal progesterone, in un istinto di cova completo. Tale fattore è rappresentato dalla prolattina e si è potuto dimostrarlo attraverso la somministrazione di prolattina in tacchine ovariectomizzate e trattate con estrogeni e progesterone. Inoltre, la dimostrazione che è necessario un incremento plasmatico di prolattina per l’espressione dell’istinto di cova proviene dall’osservazione che in galline bantam l’immunizzazione attiva contro la prolattina è in grado di sopprimere la cova senza interferire con l’ovodeposizione.
In base all’osservazione in tacchine in fase depositiva che la perfusione intracranica di prolattina induce un istinto di cova completo, si suppone che la prolattina agisca direttamente a livello cerebrale.
Esiste la prova che nella tortora la prolattina aiuta a mantenere l’istinto di cova ma che non è essenziale perché esso si manifesti. Si è giunti a questa conclusione osservando come la somministrazione periferica di prolattina sia in grado di mantenere la disposizione a covare in tortore private del nido. A differenza di quanto accade nella tacchina, la somministrazione cerebrale di prolattina nella tortora allo scopo di mantenerne il desiderio di cova non è stata seguita da successo.
Un fattore responsabile dell’aumento della secrezione di prolattina nella tortora e nel pollame che stanno covando è probabilmente rappresentato dall’informazione tattile proveniente dal nido e dalle uova trasmessa dall’area cutanea deputata alla cova, la piastra incubatrice. Lo si può dedurre dal fatto che allontanando dal nido la tortora e il pollame mentre stanno covando si verifica un’immediata riduzione del tasso ematico di prolattina, con un suo immediato aumento al ritorno al nido e alla ripresa della cova. La sola eccezione a tale osservazione riportata in letteratura riguarda la tortora: i livelli di prolattina sono già bassi in soggetti che covano ancora dopo un’incubazione che è stata artificialmente protratta nel tempo.
La stimolazione tattile della futura piastra incubatrice nel pollame può anche giocare un ruolo chiave nello stimolare la secrezione di prolattina osservata all’inizio della cova. Lo si può dedurre dall’osservazione di galline bantam in cui la secrezione di prolattina aumenta in modo progressivo durante i 4-5 giorni che precedono l’inizio dell’incubazione. Inizialmente questo aumento si verifica di notte in galline che sono in procinto di mettersi a covare e coincide con il tempo durante il quale la gallina se ne sta nel nido nottetempo. Questo soffermarsi nel nido nottetempo crea una situazione in cui l’incremento della stimolazione tattile dell’area di cova può avere come risultato un incremento della secrezione di prolattina, che a sua volta può rafforzare il desiderio di stare nel nido, per trasformarlo progressivamente in un istinto di cova completo.
Lo sviluppo dell’area cutanea di cova può pertanto rappresentare uno dei fattori in grado di determinare la frequenza con cui la gallina e la tacchina cominciano a mostrare il desiderio di covare dopo che si è avviata l’ovodeposizione. Il suo sviluppo dipenderebbe dall'effetto degli estrogeni o del testosterone che agiscono in modo sinergico con la prolattina.
È stata proposta un’ipotesi di lavoro al fine di spiegare il meccanismo con cui prende avvio l’istinto di cova nella gallina e nella tacchina. Il primo passo che conduce all’instaurarsi dell’incubazione è rappresentato dall’incremento della secrezione di estrogeni dovuto alla rapida crescita dei follicoli ovarici. Gli estrogeni agiscono direttamente sull’ipofisi anteriore per farne aumentare lo spontaneo rilascio di prolattina e ambedue i tipi di ormoni agiscono insieme nel promuovere lo sviluppo dell’area cutanea di cova. L’incremento della secrezione di prolattina abbassa la soglia neurologica di risposta a stimoli situazionali come nido e uova allo scopo di incoraggiare una prolungata permanenza nel nido.
L’informazione tattile proveniente dall’area di cova stimola un ulteriore rilascio di prolattina con ulteriore rinforzo dell’interesse per rimanere nel nido, trasformando progressivamente questo interesse nel giro di pochi giorni in un istinto di cova completo. Una volta che l’istinto di cova si è instaurato si assiste a una regressione degli organi deputati alla riproduzione e la concentrazione plasmatica degli steroidi gonadici diminuisce come conseguenza della riduzione della secrezione di gonadotropine. L’elevata concentrazione plasmatica di prolattina nei soggetti che stanno covando è in grado di mantenere l’istinto all’incubazione senza che sia necessaria la presenza di steroidi gonadici. Ciò è dimostrato da rilievi fatti in galline e tacchine che stanno covando: l’ovariectomia non disturba la cova.
9 - Riscontri sperimentali
1 – Nel Gallus domesticus, sia maschio che femmina, la secrezione di prolattina è costante e variabile.
Freeman Physiology and Biochemistry of the Domestic Fowl vol. 1 (1971) pagina 444 - Nei mammiferi la secrezione di prolattina è cronicamente inibita dall’ipotalamo. Le osservazioni di Meites e Nicoll (1966) dimostrano invece che nel pollo domestico esiste una stimolazione ipotalamica di secrezione di prolattina da parte dell’adenoipofisi. È assodato pertanto che anche nel gallo esiste una situazione di secrezione costante di prolattina: infatti Burrows e Byerly (1936) dimostrarono che l’ipofisi di galline che covano possiedono un maggior contenuto di prolattina rispetto sia ai maschi che alle galline in fase di deposizione.
2 – Il trattamento dei galli e delle galline con prolattina suscita un istinto di cova e da bambinaia.
Freeman vol. 1 pagina 444 - Riddle (1963) ha dimostrato che l’iniezione di prolattina nel pollo dava come risultato un comportamento di istinto di cova sia nei galli che nelle galline, sia che queste fossero o non fossero in periodo depositivo. Nelle femmine si verifica una riduzione del tessuto ovarico e della produzione di estrogeni, che abitualmente sfocia in un arresto della deposizione. Reperti analoghi sono stati riferiti anche da Nalbandov (1945), il quale è anche stato in grado di dimostrare che i maschi trattati con prolattina per via parenterale si prendono cura dei pulcini anziché ucciderli oppure lasciarli morire per incuria. Anche i galli sottoposti a trattamento mostrarono una riduzione delle dimensioni sia dei testicoli che della cresta, la scomparsa del canto e una mancanza di impulso sessuale (come puntualizzato da Aristotele), effetti che venivano annullati dalla contemporanea somministrazione di FSH oppure di androgeni.
3 – Abitualmente è la gallina che cova e che si dedica alle cure parentali, ma in numerose specie di uccelli questi compiti vengono condivisi da maschio e femmina.
Albert Fivizzani Hormonal basis of male parental care and female intrasexual competition in sex-role reversed birds (1990) pagina 273 - Negli uccelli la competizione per l’accoppiamento è abitualmente una caratteristica del maschio, mentre le cure parentali - incubazione e allevamento dei piccoli - vengono solitamente condivise, oppure competono in prima istanza alla femmina come accade per il genere Gallus. L’inversione di questi tipici ruoli, cioè la femmina che si dà a una competizione sfrenata per l’accoppiamento mentre i maschi forniscono gran parte o tutte le cure parentali, è raro tra gli uccelli, in quanto si verifica in circa l’1% di tutte le specie aviarie.
Actitis macularia in abito nuziale
In alcune specie come la Actitis macularia e la Jacana spinosa le femmine delimitano e difendono il territorio, competono con accanimento per accaparrarsi i maschi, ma possono contribuire all’allevamento dei piccoli, sia direttamente condividendo col maschio l’incubazione e l’allevamento (Actitis macularia), oppure indirettamente attraverso la difesa dei pulcini (Jacana spinosa).
Jacana spinosa
Le tre specie di falaropi, Phalaropus tricolor (falaropo di Wilson), Phalaropus fulicarius (falaropo dal becco largo) e Phalaropus lobatus (falaropo dal becco sottile) mostrano la forma più estrema di inversione dei ruoli sessuali riscontrabile tra gli uccelli, con una poliandria sequenziale che assicura una discendenza numerosa. Orbene, Fivizzani (1990) ha potuto dimostrare in Actitis macularia e nelle tre specie di Falaropi che i tassi ematici di prolattina sono maggiori nei maschi che stanno covando rispetto alle femmine. Dopo la schiusa si osserva una riduzione del tasso di prolattina che sembra dipendere da cambiamenti degli stimoli che si associano alla schiusa. Prima dell’incubazione i livelli di testosterone sono maggiori nei maschi rispetto alle femmine, mentre i livelli di estradiolo sono più alti nelle femmine. All’instaurarsi dell’incubazione i livelli maschili di androgeni si abbassano in modo precipitoso sino a raggiungere quelli delle femmine. Se attraverso l’impianto di capsule al silicone si dovesse mantenere elevato il tasso di testosterone nei maschi che stanno covando, si osserverebbe o un’interruzione della cova oppure una riduzione della sua frequenza. – Nota Il cappone si trova costantemente in uno stato di carenza di androgeni.
Phalaropus fulicarius
Non disponiamo di dati ormonali su quanto stiamo per riferire, ma lo riportiamo per completezza in quanto ci troviamo di fronte a un altro maschio che cova. Il maschio di Kiwi (Apteryx australis e Apteryx owenii) si occupa della cova delle due uova mediamente deposte dalla femmina (l'Apteryx australis mantelli o Kiwi striato del nord depone un solo uovo), una cova che dura 83-93 giorni, in capo ai quali il poveretto, già più mingherlino della compagna, ha perso il 20% del suo peso. Nel frattempo la femmina rimane fedele al marito, non si comporta cioè come le femmine di Actitis macularia, dei Falaropi e delle Jacane, che praticano la poliandria. Da notare tuttavia che la poliandria è in grado di assicurare un maggior numero di discendenti. Forse anche per questo il Kiwi è diventato sempre più raro.
Se non bastasse, dobbiamo citare anche il pinguino imperatore - Aptenodytes forsteri - descritto dallo zoologo inglese George Robert Gray nel 1844 dopo averlo scoperto nei mari antartici. Grazie al greco antico lo denominò aptenodytes (aptën, genitivo aptênos = senza ali e dýtës = tuffatore) mentre forsteri ricorda il naturalista tedesco Johann Reinhold Forster che aveva accompagnato il capitano James Cook durante il suo secondo viaggio nel Pacifico (1772-75) quando aveva battezzato 5 specie di pinguini. Il pinguino imperatore è l'unica delle 17/20 specie di pinguini in cui è solo il maschio a occuparsi completamente della cova. È il più grande degli uccelli appartenenti alla famiglia dei pinguini (Spheniscidae): sia il maschio che la femmina raggiungono la lunghezza di 122 cm e un peso di 22-37 kg a seconda del periodo in cui vengono osservati, in quanto per esempio un maschio, tra corteggiamento e cova, può perdere sino a 20 kg. Abita esclusivamente le coste antartiche ed è la specie che vive più a sud: i circa 400.000 esemplari vivono sui ghiacci nei mari antartici a latitudini comprese fra i 66 e i 78 gradi. Le femmine tra maggio e giugno depongono un solo uovo di grosse dimensioni (460/470 g) che dopo poco tempo viene passato al maschio per la cova, mentre la femmina ritorna ai suoi usuali territori di pesca. L'incubazione, che dura dai 62 ai 67 giorni, avviene nel pieno dell'inverno antartico quando la temperatura può scendere anche a -60 °C con venti che possono raggiungere i 200 km orari.
Aptenodytes forsteri - Pinguino imperatore
Il maschio mette l'uovo sopra le sue zampe ricoprendolo con una sorta di tasca ventrale, non mangia e, come già si è detto, il suo peso corporeo si riduce in maniera notevole. Se il piccolo nasce prima del ritorno della madre, il maschio lo nutre con una sorta di secrezione gastrica biancastra. Al rientro della madre il maschio torna a pescare e a nutrirsi e il piccolo viene poi alimentato da entrambi i genitori fino all'indipendenza, ovvero intorno ai 4 mesi. I pinguini nutrono solo il loro piccolo, il cui riconoscimento avviene tramite una sorta di fischio modulato emesso dal pulcino e udibile a lunga distanza. Anche il pinguino reale - Aptenodytes patagonicus - depone un solo uovo, a differenza delle rimanenti specie che ne depongono due, che tuttavia viene covato da entrambi i genitori con turni di 2-3 settimane per un totale di 52-56 giorni, tenendolo anch'essi fra le zampe senza utilizzare un nido.
Carsten Schradin e Gustl Anzenberger (Anthropologisches Institut und Museum – Zürich) in Prolactin, the Hormone of Paternity (1999) riportano l'andamento della prolattinemia in maschi e femmine di 25 specie di uccelli appartenenti a 9 diversi ordini: fatta eccezione per rare varianti, in tutti i maschi dediti alla cova e alle cure parentali, compresi il pinguino reale (Aptenodytes patagonicus), la Actitis macularia, i Phalaropus tricolor e lobatus, la prolattinemia è elevata durante l'incubazione. Per cui possiamo presumere che senz'altro lo stesso accada nei maschi di pinguino imperatore, come in effetti dimostrano gli studi di Hervé Lormée, Pierre Jouventin, Olivier Chastel e Robert Mauget (Endocrine correlates of parental care in an antarctic winter breeding seabird, the Emperor Penguin, Aptenodytes forsteri - 1999). Come vedremo, per il maschio di Kiwi non possediamo referenze scientifiche, ma è facile supporre che accada la stessa cosa.
4 – L’area cutanea ventrale deputata a scaldare le uova.
Freeman vol. 5 pagina 256 - Sulla superficie ventrale degli uccelli esiste un’area cutanea che è deputata a riscaldare le uova durante l’incubazione. Quest’area va incontro a sviluppo qualunque sia il sesso dell’uccello che si dedica alla cova. Nel pollo domestico ciò accade solo nelle femmine, mentre nei falaropi, essendo solo i maschi a incubare, solo in essi quest’area cutanea va incontro a modificazioni, mentre nella quaglia[11] ciò accade sia nel maschio che nella femmina in quanto condividono la responsabilità della cova. In alcune specie si osserva che quest’area cutanea va incontro a una muta localizzata, mentre in altre specie i soggetti la spiumano. Anatomicamente si può osservare che in quest’area i vasi sanguigni vanno incontro a una spiccata ipertrofia, che viene stimolata, a tempo opportuno, dall’azione sinergica degli estrogeni oppure del testosterone, della prolattina e del progesterone. Un’area di incubazione è stata sperimentalmente indotta mediante l’iniezione di ormoni sia nella femmina del passero, sia nel passero maschio nel quale quest’area normalmente non va incontro a sviluppo (Selander e Yang, 1966). La risposta è stata impressionante, con incremento fino a cinque volte dello spessore dell’epidermide, fino a sette volte del numero di vasi sanguigni dermici e fino a sei volte del diametro dei vasi sanguigni principali, cui si associò un marcato edema. – Nota Il cappone, affinché accudisca i pulcini, viene strofinato a livello del ventre con le ortiche, che creano iperemia, e lo stesso si fa per indurlo a covare, magari inebriandolo anche col vino e mettendolo al buio.
5 - Circolo vizioso fra stimolazione cutanea e produzione di prolattina.
Alcuni dati che vedremo sono già stati riferiti nelle pagine precedenti. In base all’osservazione in tacchine in fase depositiva che la perfusione intracranica di prolattina induce un istinto di cova completo, si suppone che la prolattina agisca direttamente a livello cerebrale.
L’importanza delle informazioni sensoriali derivanti dall’area di cova nel dare inizio all’incubazione è illustrata da uno studio nella tacchina: i nervi che si distribuiscono all’area di cova furono recisi prima della produzione fotoindotta di uova; nessuna delle tacchine così trattate mostrò istinto di cova, mentre un numero significativo di soggetti di controllo mostrò l’istinto di incubazione.
Un fattore responsabile dell’aumento della secrezione di prolattina nella tortora e nel pollame che stanno covando è probabilmente rappresentato dall’informazione tattile proveniente dal nido e dalle uova trasmessa dall’area cutanea deputata alla cova. Lo si può dedurre dal fatto che allontanando dal nido la tortora e il pollame mentre stanno covando si verifica un’immediata riduzione del tasso ematico di prolattina, con un suo immediato aumento facendo ritorno al nido e riprendendo la cova. La sola eccezione a tale osservazione riportata in letteratura riguarda la tortora: i livelli di prolattina sono già bassi in soggetti che stanno ancora covando dopo che un’incubazione è stata artificialmente protratta nel tempo.
La stimolazione tattile da parte dell’area di cova nel pollame può anche giocare un ruolo chiave nello stimolare la secrezione di prolattina osservata all’inizio della cova. Lo si può dedurre dall’osservazione di galline bantam in cui la secrezione di prolattina aumenta in modo progressivo durante i 4-5 giorni che precedono l’inizio dell’incubazione. Inizialmente questo aumento si verifica di notte in galline che sono in procinto di mettersi a covare e coincide con il tempo durante il quale la gallina se ne sta nel nido nottetempo. Questo soffermarsi nel nido nottetempo crea una situazione in cui l’incremento della stimolazione tattile dell’area di cova può avere come risultato un incremento della secrezione di prolattina, che a sua volta può rafforzare il desiderio di stare nel nido, per trasformarlo progressivamente in un istinto di cova completo.
Lo sviluppo dell’area cutanea di cova può pertanto rappresentare uno dei fattori in grado di determinare la frequenza con cui la gallina e la tacchina cominciano a mostrare il desiderio di covare dopo che si è avviata l’ovodeposizione. Il suo sviluppo dipenderebbe dagli estrogeni o dal testosterone che agiscono in modo sinergico con la prolattina.
Per cui
teoricamente il gallo potrebbe covare
Molto più facile che lo faccia il cappone
10 - Come e perché covano galline, tacchine e tortore
Nel tacchino – con le dovute riserve, come vedremo appresso – così come nel pollo è la sola femmina la responsabile dell’incubazione di un discreto numero di uova: il maschio non prende parte a questa attività e non instaura un vincolo di coppia con la femmina. Al contrario la tortora instaura un saldo vincolo di coppia e ambedue i sessi svolgono il compito di incubare le due uova della nidiata, con la femmina che cova di notte e il maschio di giorno.
Forse il fattore ambientale più potente nell’incoraggiare l’incubazione sia nella tortora che nel pollame è rappresentato dalla presenza di uova nel nido. Una tortora che ha già costruito il nido ma che non ha ancora deposto, può essere indotta a covare prematuramente se nel nido vengono poste le uova. Nel pollame l’incubazione viene inibita se le uova vengono rimosse dal nido, anche se ciò non sempre si verifica, in quanto si possono vedere galline che pur di covare covano il suolo privo di uova.
L’informazione proveniente dalle uova è sia visiva che tattile. Una gallina - come osservato da Steen e Parker - si metterà a covare accovacciandosi vicino al suo gruppo di uova anche se sono ricoperte da una rete metallica. Tuttavia, anche se la gallina e la tacchina non hanno uova sotto di loro, l’area cutanea di cova trasmette ancora delle informazioni tattili perché esse premono il corpo contro il suolo. L’importanza delle informazioni sensoriali derivanti dall’area di cova nel dare inizio all’incubazione è illustrata da uno studio nella tacchina: come abbiamo già riferito, i nervi che si distribuiscono all’area di cova furono recisi prima della produzione fotoindotta di uova; nessuna delle tacchine così trattate mostrò istinto di cova, mentre un numero significativo di soggetti di controllo mostrò l’istinto di incubazione.
Sia nella tortora che nel pollame gli ormoni steroidei giocano un ruolo fondamentale nel dare l’avvio all’incubazione. La femmina di tortora risponde al corteggiamento del maschio con un incremento della secrezione di ormone luteinizzante - LH - che a sua volta stimola lo sviluppo finale dei follicoli ovarici. La rapida crescita dei follicoli ovarici si accompagna a un incremento della produzione di estrogeni il cui accresciuto tasso plasmatico stimola la risposta sessuale al corteggiamento del maschio.
Allo stesso modo, nella gallina e nella tacchina l’aumentato tasso ematico di estrogeni derivante dalla rapida crescita dei follicoli prima dell’avvio della fase depositiva, stimola l’accovacciamento, che negli uccelli dal punto di vista comportamentale equivale alla lordosi - o inarcamento - della colonna vertebrale dei mammiferi.
Durante la fase finale della sua maturazione, il follicolo ovarico preovulatorio rilascia nel sangue un’elevata quantità di progesterone che fornisce lo stimolo ormonale per la costruzione del nido e per le attività inerenti al nido che si associano alla deposizione dell’uovo. Sia nella tortora che nel pollame l’induzione della costruzione del nido e delle attività a esso associate dovute al progesterone, dipende dalla precedente esposizione agli estrogeni.
Nella femmina di tortora la deposizione del primo e del secondo uovo è strettamente associata alla completa espressione dell’istinto di incubazione. Al contrario, la gallina e la tacchina depongono elevate quantità di uova e i comportamenti relativi al nido che si associano con la deposizione di ogni singolo uovo si ripetono nei giorni successivi per settimane o mesi.
Con l’approssimarsi dell’inizio della cova la gallina e la tacchina trascorrono progressivamente maggior quantità di tempo nel nido in occasione della deposizione dell’uovo. Infine, cominciano a stare accovacciate sul nido durante la notte e nel giro di un giorno si sviluppa completamente l’istinto di cova che si traduce nel fatto che se ne stanno nel nido per la maggior parte della giornata.
Nel pollame, diversamente dalla tortora, è necessario un fattore addizionale per trasformare le attività relative al nido in un comportamento completo di cova. Questa conclusione è suffragata da esperimenti su tortora e pollame sottoposti a ovariectomia e a trattamento con estrogeni, nei quali la successiva somministrazione di progesterone è in grado di indurre la cova nella tortora e le attività inerenti al nido nel pollame.
L’incremento sequenziale di estrogeni e di progesterone responsabili dell’induzione della cova nella tortora femmina non è in grado di spiegare lo sviluppo della cova nel maschio. Nel maschio di tortora l’istinto all’incubazione può essere facilmente ottenuto con il progesterone, la cui azione viene facilitata dalla presenza di estrogeni.
Una spiegazione di ciò può essere ottenuta attraverso tre osservazioni. In primo luogo: il progesterone, probabilmente originatosi nella ghiandola adrenale, è presente nel sangue del maschio di tortora, ma il suo tasso non varia durante il ciclo riproduttivo. In secondo luogo: nella tortora maschio in fase di corteggiamento la concentrazione del testosterone ematico va incontro ad aumento. In terzo luogo: l’ipotalamo del maschio di tortora contiene l’enzima aromatasi che converte il testosterone in estrogeno. È pertanto possibile che l’aumento del testosterone ematico nel maschio in corteggiamento abbia come risultato un aumento locale di estrogeno ipotalamico grazie all’aromatasi, con conseguente aumento della risposta al progesterone presente in circolo e facilitazione dell’espressione dell’istinto di cova come risposta a stimoli situazionali forniti dalla femmina che nidifica e dalla presenza delle uova.
11 - Intersessi in seno al genere Gallus
Il tipo di intersesso più frequente è una femmina che assume i caratteri sessuali secondari del gallo. Tali soggetti hanno creste ben sviluppate e, se giungono alla muta, acquisiscono un piumaggio di tipo maschile. Alcuni cantano come galli e montano le galline. In ogni caso che fu possibile esaminare, si osservarono situazioni patologiche a carico dell’ovaio, che per lo più era invaso da tessuto neoplastico.
Sperimentalmente è stato dimostrato che, dopo rimozione o distruzione dell’ovaio, di solito esclusivamente sinistro, si sviluppa una gonade dal lato destro che può essere o un testicolo o un ovotestis, cioè un po’ testicolo e un po’ ovaio. In presenza di ovotestis, sono gli androgeni a indurre la comparsa dei caratteri maschili.
In letteratura sono riportati moltissimi casi di galline mascolinizzate. Una revisione dei dati a partire dall’epoca aristotelica è stata compiuta da Forbes. Crew riferisce un caso estremo di cambiamento di sesso in una Orpington che, dopo aver a lungo deposto e covato uova, verso i 3 anni e ½ assunse le sembianze di un maschio e, un anno dopo, divenne padre di due pulcini. L’autopsia dimostrò la presenza di 2 grossi testicoli dotati di deferenti, di un ovaio atrofizzato e di un piccolo ovidutto a sinistra.
La trasformazione inversa, da gallo a gallina, non avviene spontaneamente, ma può essere indotta sperimentalmente con l’impianto sottocutaneo di una compressa da 15 mg di dietilstilbestrolo, che provoca riduzione della cresta e la comparsa di caratteristiche metaboliche femminili. I galli bellicosi vengono ammansiti e, se il trattamento coincide con la muta, assumono un piumaggio di tipo femminile. Gli stessi effetti si ottengono somministrando ai galletti il diacetato di dienestrolo, un altro estrogeno sintetico.
Ginandromorfismo
Si tratta della coesistenza di caratteri sessuali maschili e femminili nello stesso soggetto: maschi con tratti femminili o femmine con tratti maschili. Tuttavia, solo eccezionalmente vengono interessati i maschi. Si può citare il caso di un gallo tubercoloso dotato di piumaggio femminile, quello di un altro gallo il cui piumaggio si femminilizzò a due anni d’età con testicoli e tiroide strutturalmente anormali. Ancora un caso: un gallo Livorno acquisì un piumaggio femminile e all’autopsia fu dimostrato un carcinoma del testicolo. Questi tre casi si possono spiegare sia con un abbassamento della soglia di risposta del piumaggio all’ormone maschile, sia con un aumento dell’ormone femminile di origine testicolare la cui azione si palesa a livello del piumaggio.
Tutti gli altri casi di ginandromorfismo riguardano femmine che hanno acquisito caratteri maschili, e ciò si spiega sia attraverso la fisiologica azione sul piumaggio e sugli speroni da parte degli estrogeni (induzione di piume femminili - inibizione della crescita degli speroni) che in questi casi vengono a mancare, sia attraverso la bipotenzialità sessuale delle femmine degli Uccelli.
Ginandromorfismo da deficienza ovarica
È noto da secoli che le galline, invecchiando, si dotano spesso di speroni, e che alcune vecchie femmine - galline, fagiane, anatre - terminato il ciclo depositivo, spesso acquisiscono, nel giro di numerose mute, il piumaggio del maschio. L’esame anatomopatologico svela un’atrofia più o meno completa dell’ovaio. La spiegazione è facile: a causa della vecchiaia, l’ovaio ha cessato di condizionare il piumaggio femminile e di inibire gli speroni, permettendo a questi e al piumaggio neutro di svilupparsi. Il piumaggio maschile si completerà nel giro di una o di alcune mute a seconda della soglia di risposta delle piume in ricrescita e a seconda del tasso degli ormoni circolanti.
Qualunque malattia dell’ovaio che ne causi la scomparsa avrà gli stessi effetti dell’invecchiamento fisiologico. L’atrofia ovarica può determinare, specie nella gallina, altri effetti: la trasformazione della gonade rudimentale destra in testicolo con secrezione ormonale e talora con gametogenesi maschile. Se il parenchima ovarico residuo è ancora sufficientemente attivo, la gallina, pur conservando il suo piumaggio femminile, acquisterà la cresta, il canto e il comportamento sessuale del gallo. Se l’attività ovarica è insufficiente, si aggiungeranno speroni e piumaggio maschile, e il soggetto diventerà un maschio fenotipicamente completo.
12 - Un altro maschio che cova: il tacchino
Come abbiamo già detto al paragrafo 2, la scienza ci insegna a non essere assolutisti. Infatti un maschio che cova non appartenente al genere Gallus ma con esso imparentato e che mai fu descritto in questa veste, è il tacchino – Meleagris gallopavo – sottordine Galli, superfamiglia Phasianoidea, famiglia Meleagridae. Di ciò non esiste una testimonianza isolata, quasi fosse una rara avis, ma ripetute importantissime testimonianze che un giorno spero verranno stilate nero su bianco da Marino Morosini e da Viviano Masconni: si tratta di soggetti di razza Cröllwitzer verosimilmente imparentati solo a causa del nome della razza e non per il loro albero genealogico recente.
Nel frattempo emergono altre testimonianze sia italiane che straniere, e in tacchini che non sono obbligatoriamente bianconeri come il Cröllwitzer. In un caso riesco finalmente a sedurre l'allevatore a fare un prelievo di sangue al suo tacchino che cova allo scopo di determinarne la prolattinemia. Il campione di sangue viene affidato a un laboratorio per analisi umane, e in data 22/4/2008 il responso è il seguente:
< 0,50 -- Valori nominali normali: Uomo 3-25 ng/ml
Al che rimango frustrato. Mi domando e dico: visto che in tutti gli uccelli che covano – salvo piccole varianti – siano essi maschi che femmine la prolattinemia si innalza, possibile che nel maschio di tacchino essa non si degni di raggiungere il valore minimo normale di 3 ng/ml?
Ci dormo sopra parecchie notti, mi rituffo nella prolattinemia ornitologica e mi sorge un dubbio: non è che per caso il metodo di determinazione della prolattinemia negli umani non è adatto a quella dei volatili? Consulto telefonicamente due laboratori di analisi umane, tra cui quello del suddetto responso, e ambedue sono dell'avviso che la metodica di laboratorio usata deve essere verosimilmente impiegata solo a scopo umano.
Non contento, ho bisogno di un supporto da parte di chi si dedica all'endocrinologia comparata e fortuna vuole – è proprio il caso di dirlo – che grazie a internet riesco a mettermi in contatto con la Professoressa Mariafosca Franzoni della Facoltà di Scienze dell'Università di Torino, Dipartimento di Biologia Animale e dell'Uomo. Martedì 25 agosto le espongo il problema via telefono e glielo sintetizzo in una email. Prima di sera già ricevo l'agognata risposta: la Professoressa Franzoni si associa al mio punto di vista e concorda sul fatto che quel valore di prolattinemia rappresenti un falso negativo. Varrebbe pertanto la pena che una futura indagine di questo tipo venisse espletata in un laboratorio ad hoc.
La professoressa Franzoni mi consiglia di contattare il Professor Peter Sharp (The Roslin Institute and Royal (Dick) School of Veterinary Sciences, University of Edinburgh, UK) per avere risposta a un mio quesito: come mai non si riesce a reperire dati circa la prolattinemia nel maschio di Kiwi quando sta covando? La risposta di Sharp via email del 26 agosto è immediata, e la vedremo tra poco. Ciò che conta è che anche Sharp ritiene improprio il dosaggio della prolattinemia di uccelli con metodiche per esseri umani, e si dice addirittura disponibile a effettuarlo lui stesso qualora mi capitasse a tiro qualche tacchino maschio che cova.
Chi vivrà vedrà. È assai difficile indurre un allevatore a determinare la prolattinemia in un suo tacchino maschio qualora si mettesse a covare. Per ora accontentiamoci della descrizione dei casi venuti a mia conoscenza.
Ma prima di citare questi tacchini facciamo un piccolo passo indietro. Vi sarete resi conto che parlando del maschio di Kiwi che cova non abbiamo potuto addurre il suo quadro ormonale. In effetti la letteratura mondiale è muta sull'argomento, in quanto quest'indagine non è ancora stata condotta, oppure pubblicata. Secondo Sharp si può tuttavia fondatamente presumere che anche nel Kiwi la prolattinemia è elevata, dal momento che, in base ai suoi recenti studi, essa è elevata anche nel maschio di Emù (Dromaius novaehollandiae) che cova e alleva la prole.
Coppia di Emù - Dromaius novaehollandiae
13 – I tacchini sorpresi a covare
Ambedue
i filmati sono opera di Viviano Masconni
Il Pollaio del Re
1 – Indagini preliminari
18-3-2004 – da Michael Romanov - Dear Eliosha, This German turkey breed comes from the city where you used to be at the time of visiting us in Germany in Summer 1997. Halle in Sachsen-Anhalt has a city region called Cröllwitz. So, the correct breed name is Cröllwitzer. The best description and photos of this breed I was able to find on Internet is given at the following site:
www.gefluegel-info.net/puten/putenframe.html.
The site is maintained by the German poultry breeder Ortwin Großmann (he is
actually a great guineafowl breeder).
We, you and me, know another poultry specialist in Merbitz, near Halle. Do you
remember Dr Siegmar Götze? He showed you red jungle fowls kept at Farm Animal
Research Centre (Nutztierwissenschaftliches Zentrum Merbitz) and allowed you
to take pictures of them? Now he is Director of this Centre
(see the web site www.landw.uni-halle.de/lfak/verst/tzntwm02.htm)
and you may contact him at goetze@landw.uni-halle.de.
They also keep turkeys at Merbitz but I don't know if they have the Cröllwitzer
breed. So, you may be lucky to get answers to your questions. Dr Götze speaks
English well. When you write him a message, say hello from me and Tanya. I
might be contacting him soon, too. Good luck in your searches. Misha, the
famous Internet Archivarius...
22-3-2004 – al Dr Siegmar Götze -
Dear
Dr Götze, many greetings from Tanya and Michael Romanov. Dr Romanov told me
to write you about a research on males of Cröllwitzer turkey. I am doing a
research (in ancient literature, Greek, Roman and Renaissance) about the fact
whether the cock (Gallus domesticus) can incubate eggs or not. It seems not,
neither in ancient times nor nowaday. The same it seems about the turkey male.
But an Italian breeder has had 3 Cröllwitzer turkey
males who incubate eggs. These turkeys are of pure German origin. The breeder
had the father, and after its son, who incubated eggs. This year he has
another male - he took in Frankfurt - who is incubating eggs.
Do
you are aware whether is described or mentioned by some breeder that in the Cröllwitzer
breed it happens that males are incubating? From the literature I have
available, this fact is not mentioned.
The Italian breeder will describe his experience, and if possible to do an
assessment of sexual hormones as well as of prolactin during and out of
incubation. I think that it is interesting. Many thanks for your attention.
2-6-2004 - dal Dr Siegmar Götze - Dear Dr Corti, many thanks for your mail, but I have no information about Cröllwitzer turkey males, who incubating eggs. Local breeders couldn’t make such observations. It is surely interesting to investigate this phenomenon. Yours sincerely, Dr Siegmar Götze - NWZ Merbitz, MLU Halle Im Institut 22 06193 Nauendorf, Germany.
2 – Relazioni italiane
1-5-2007 - da Viviano Masconni - Caro Elio, scusa il lungo silenzio di questi tempi ma sono davvero oberato di lavoro e le giornate volano! Spero che tu stia bene. Ti mando questa foto (fatta in questi giorni) per avvalorare la tua ricerca sul tacchino maschio che cova. Bene, si tratta di un maschio di due anni, e da circa una settimana cova (molto bene) e addirittura caccia le femmine se vogliono deporre nello stesso nido. Ti invio anche le foto del tacchino di Marino.
C'è un particolare: il suo "harem" è composto da femmine quasi tutte in cova tranne due che stanno finendo di deporre... e io avrei un'ipotesi su questo comportamento... ma forse dico solo sciocchezze. Comunque il tacchino di Marino finì bene la sua cova e accudì le ochette nate (come puoi vedere dalle foto). Al mio ho già messo sotto un po' di uova di oca (10). Vediamo che succede. A presto, Viviano.
2-5-2007 - da Viviano Masconni - Caro Elio, sono contento che questo materiale ti serva ancora. E mi scuso ancora per il ritardo. Malgrado i miei sforzi non riesco a seguire tutto come vorrei, ma è una vecchia storia. Comunque, per rispondere alla tua domanda: sì, nel mio maschio sicuramente scorre nelle vene anche un po' di sangue Cröllwitzer e forse ancor più probabile di Ronquières e/o Rovigo, anche se sono convinto che questo c'entri poco con l'istinto alla cova.
La conferma della mia ipotesi sta nel fatto che il mio tacchino ha già superato i 2 anni e presso il precedente proprietario l'anno prima non ha avuto lo stesso comportamento (e lui stesso stenta a credere che sia vero). Si tratta di diversi fattori che hanno a che fare con l'ambiente in cui vive e con il numero dei soggetti di cui fa parte il suo clan. Ma è un po' complesso da descrivere. Ti chiamerò presto per raccontarti a voce che idea mi sono fatto su questo comportamento. Sono convinto che troverai l'argomento molto interessante. A presto, Viviano.
5-5-2007 - da Viviano Masconni - Oggi ho parlato con il veterinario per il prelievo del sangue ai tacchini e gli ho spiegato le finalità e l'importanza del test. Mi ha detto che questo tipo di esami non li fanno in zona e che in genere devono spedire il sangue in qualche istituto zootecnico, spesso al nord. Domanda: per te andrebbe bene se ti inviassi direttamente le provette con il sangue del maschio e della femmina? È una soluzione che mi ha indicato il veterinario stesso.
Ho cominciato a fare diverse domande man mano che ho modo di parlare con qualcuno (in genere anziani allevatori) se gli è mai successo qualcosa di particolare riguardo ai galli, tacchini, ecc che si occupano della cova. Sono emersi 3 fatti piuttosto singolari.
1° - Una signora (con molta esperienza nel settore) mi ha detto che molti anni fa un gallo le covò le uova, ha aggiunto che si trattava di un meticcio rosso nero e non di tipo asiatico come moroseta, cochin, ecc. Io ti riferisco ciò che mi è stato raccontato.
Seconda curiosità: consiste in un fagiano maschio che ha covato le uova e sembra che avesse cambiato anche la livrea e somigliasse sempre più a una femmina (chi me lo ha raccontato è una persona piuttosto affidabile).
Terza curiosità: si tratta di una tacchina che superati i 4/5 anni covava senza deporre uova e pare che covasse addirittura anche 3 volte all'anno. Non si trattava di una razza pura. Che ne pensi?.. Curioso, vero?
Comunque, continuerò a fare questo tipo di domande ogni volta che ne avrò occasione e sto prendendo appunti su questi bizzarri episodi che ti comunicherò. Nessuno di quelli che ho sentito (tranne Marino) ha mai sentito parlare o visto un tacchino maschio che cova. Ci aggiorniamo presto, Viviano.
2-9-2009 - da Kami - Kamran Sarikhani, Kami per gli amici, agli inizi di aprile del 2008 cominciò a notare che il suo tacchino maschio, un ermellinato di Rovigo nutrito solo con granaglie, cominciava a scacciare la femmina dal nido, riuscendo a impossessarsene nel giro di 1 giorno e mezzo. Assai esperto nell'uso del becco per disporre le uova sotto di sé e ripetutamente spodestato da Kami, tuttavia non desisteva dal suo intento e scacciava la moglie dal nido, la quale doveva accovacciarsi in fianco al marito ma senza disporre di uova, e tale rimase per alcuni giorni, finché decise di covare le uova delle sue 4 colleghe. Il maschio veniva sottoposto a prelievo di sangue il 22/4/2008 per determinarne la prolattinemia, sfortunatamente affidato a un laboratorio per sangue umano, e come abbiamo detto, vista la sua prolattinemia inferiore a 0,50 ng/ml, si è giunti alla conclusione che si tratti di un falso negativo. La cova del maschio fu quasi perfetta: dalle 15 uova di tacchina nacquero11 pulcini vivi e vitali. Ma, per timore delle gazze, furono allevati non dal padre, bensì da Kami in una gabbia. Fino ad agosto 2009 questo maschio non è più stato preda della febbre di cova.
3 – Relazioni straniere
www.fishpondinfo.com/birds/turkey.htm - Benny - Male wild turkey named Benny brooding eggs. This was the second case I had heard of a tom setting eggs.
I have had reports from at least two sources that their male turkeys have sat on, incubated, and hatched turkey eggs. In at least one case, the female was helping. Male turkeys lack a brood patch of naked skin but somehow they are able to very rarely incubate eggs. Most male turkeys just want to mess up nests, not help! Rene in Canada told me on 8/14/07, that his Bourbon red turkey tom was sitting on a nest of Muscovy duck eggs! The ducks did hatch but Rene took them to raise.
Lisa sent me some captive Eastern wild turkey photos on 6/2/05 and 6/4/05. This was a unique case because the tom did a lot (even the majority) of the incubation which I found hard to believe. He would sit on the eggs during the night with the hen mother on them most of the day. Near the end, he did all the sitting. The tom squished a bunch of the eggs. Since a male has no brood patch to keep the eggs warm enough, I was surprised any hatched. She said he did have a naked chest from mating. Of the 11 eggs, only one hatched, shown below. When they later laid more eggs, he kept sitting on them right away (instead of waiting for a clutch) and continued to break them.
Wanda Zwart (NL) - Some time ago - May 2005 - we had a pair of Ronquières turkeys free ranging with the chickens. This always went very well until all of a sudden around March the cock got an intense antipathy against runners/joggers. The attacks became so violent that we had to put them in the barn. When we noticed that the hen started laying eggs, it was of course immediately clear why the cock had reacted this way. However... when the cock decided to sit on the nest, we wondered if that happens more often, yet we expected that his ‘breeding attempt’ would not last and that he was probably in distress by being closed in so abruptly. But when after a couple days we discovered that the cock had plucked his breast feathers, we knew that he had seriously taken up the task to brood.
A week went by and in the meantime the hen had laid more eggs beside the nest
of the cock and sat next to him. Brooding together, and from time to time the
cock descended to stretch the legs (sometimes breaking an egg because of him
being so clumsy) and then both the turkeys even sometimes changed nests.
Thus we were very curious to know if these eggs would even hatch… And
indeed something came right: 6 chicks hatched, but unfortunately only one
reached maturity. Later we read/heard of similar behaviour, but never before I
had heard of a successful brooding of a cock. Pity I have no picture of the
brooding cock, but in this picture you see mother and son (right).
10 ottobre 2009
[1] Anneo Seneca: Annaeus Seneca, scrittore latino, detto il Vecchio o il Retore (Cordova ca. 50 aC - ca. 40 dC), padre del filosofo Lucio Anneo Seneca. La sentenza Sacra populi lingua est è contenuta in Controversiae 1,1.
[2] Alcuino o Ealhwine: monaco ed erudito inglese (York 735 - Tours 804). La sentenza Vox populi, vox Dei si trova in Capitulare Admonitionis ad Carolum IX.
[3] Rispetto agli altri libri della Historia animalium, assai diverso è il caso dei libri IX e X. Per averne un'idea, ecco cosa scrisse Mario Vegetti a proposito del IX. § Il IX è un centone, o accozzaglia, abbastanza informe, di notizie sui costumi degli animali posto in appendice alla grande trattazione ecologica del libro VIII. Già la sua scarsa consistenza scientifica, la quantità di notizie favolose, l’esorbitante numero di hapax legomena (termini detti una volta sola, che non compaiono altrove in Aristotele) fanno dubitare a prima vista della sua autenticità. Contro di essa si pronunciano Aubert e Wimmer, Dittmeyer, Kroll, Düring; e poiché il libro non fa parte del programma enunciato da Aristotele, né è mai citato (al contrario del VII) in alcun altro luogo aristotelico, la sua atetesi - estromissione - appare senz’altro plausibile. Si tratta probabilmente di una raccolta di estratti, soprattutto teofrastei, compilata al principio del III secolo. I sostenitori della sua autenticità, come Tricot, oppongono che nei cataloghi antichi, risalenti al III secolo, la Historia consta di 9 libri; ma questo prova solo che il IX dovette essere aggiunto abbastanza presto, cioè entro cent’anni dalla morte di Aristotele. Sulla base di queste considerazioni non ho incluso il libro IX nella mia traduzione [Nota: Sul libro IX cfr. II. citt. nella nota precedente e Kroll, Geschichte, 4; contra Tricot, Hist. An., 17-9.] (Mario Vegetti, 1971)
[4] Levinus Lemnius (1505-1568) nacque a Ziericzea o Zirichzaea - latinizzati in Zirizaea – che è l’attuale Zierikzee sull’isola di Schouwen in Zelanda. Medico e astrologo, studiò sotto il grande anatomista Andreas Vesalius (André van Wesele, Bruxelles 1514 - Zante 1564), e per tutto l’arco della sua esistenza si dedicò allo studio di ciò che fosse ignoto, misterioso o curioso, riversandolo in De occultis naturae miraculis, edito per la prima volta ad Anversa nel 1559 e che subito divenne una raccolta estremamente popolare di fenomeni occulti e tradizionali, stranezze, prodigi naturali, mostri e nascite mostruose, credenze popolari. Mentre altre opere similari cercavano solo di intrattenere il lettore, Lemnius aveva in mente uno scopo ben più serio: preservare la presenza di Dio nella natura contro la tendenza della filosofia contemporanea a naturalizzare i miracoli, preservare la divinità della natura e liberarla dal naturalismo che caratterizzava la scuola italiana di magia naturale. Infatti, secondo questo infaticabile Fiammingo: “La Natura è la mente di Dio”.
[5] Historia animalium IX,49 (631b 13-16): Ἤδη δὲ καὶ τῶν ἀρρένων τινὲς ὤφθησαν· ἀπολομένης τῆς θηλείας αὐτοὶ περὶ τοὺς νεοττοὺς τὴν τῆς θηλείας ποιούμενοι σκευωρίαν, περιάγοντές τε καὶ ἐκτρέφοντες οὕτως ὥστε μήτε κοκκύζειν ἔτι μήτ’ὀχεύειν ἐπιχειρεῖν. - Già invero anche alcuni dei maschi furono visti, essendo morta la femmina, prendersi essi stessi cura dei pulcini come la femmina, portandoli in giro e allevandoli cosicché non si mettono né a cantare e neanche ad accoppiarsi.
[6] La natura degli animali IV,29: Τῆς δὲ ὄρνιθος ἀπολωλυίας, ἐπῳάζει αὐτὸς, καὶ ἐκλέπει τὰ ἐξ ἑαυτοῦ νεόττια σιωπῶν· οὐ γὰρ ᾄδει τότε θαυμαστῇ τινι καὶ ἀπορρήτῳ αἰτίᾳ, ναὶ μὰ τόν· δοκεῖ γάρ μοι συγγινώσκειν ἑαυτῷ θηλείας ἔργα καὶ οὐκ ἄρρενος δρῶντι τηνικάδε. - Morta la gallina, egli stesso cova, e fa schiudere i propri figlioletti standosene in silenzio; perché non canta in quel periodo di tempo è dovuto a un qualche motivo strano e misterioso, per Zeus; infatti mi sembra sia consapevole che così sta svolgendo le mansioni di una femmina e non di un maschio.
[7] Naturalis historia X,155: Narrantur et mortua gallina mariti earum visi succedentes in vicem et reliqua fetae more facientes abstinentesque se cantu. - Si narra anche che dopo la morte di una gallina si sono visti i loro maschi darle il cambio e compiere come una puerpera le cose rimaste da fare e astenersi dal canto.
[8] Porfirio: filosofo (Tiro ca. 233 - Roma ca. 305), fu uno dei più illustri rappresentanti della scuola neoplatonica. Gran parte delle sue numerose opere sono andate perdute. Tra quelle conservate, particolarmente importanti sono il trattato Sull'astinenza (De abstinentia carnium o De abstinentia ab animalibus o De abstinentia ab animalibus necandis o De abstinentia ab esu animalium) e quello Sull'antro delle ninfe. Nell'opera di Porfirio confluiscono tutti i grandi temi della filosofia e soprattutto della religiosità tardoellenistica, fra i quali parte notevole ha la componente magico-occultistica di derivazione orientale. Suo anche un trattato Contro i Cristiani e un'Introduzione alle Categorie di Aristotele, che introdusse la questione degli universali.
[9] De generatione animalium III,2: Tuttavia non ci si accorge che ciò che diventa guscio è in principio una membrana molle, e compitosi l’uovo diventa duro e secco in modo tanto tempestivo che esce ancora molle (procurerebbe altrimenti sofferenza a deporlo) e appena uscito, raffreddatosi si consolida, perché l’umido evapora velocemente data la sua scarsezza e rimane l’elemento terroso. (traduzione di Diego Lanza)
[10] La natura degli animali IV,29: Morta la gallina, egli stesso cova, e fa schiudere i propri figlioletti standosene in silenzio; perché non canta in quel periodo di tempo è dovuto a un qualche motivo strano e misterioso, per Zeus; infatti mi sembra sia consapevole che così sta svolgendo le mansioni di una femmina e non di un maschio.
[11] Senz’altro Freeman non si riferisce alla nostra quaglia – Coturnix coturnix coturnix L. – o Quaglia europea, appartenente alla tribù dei Coturnicini, in quanto l’incubazione e l’allevamento dei piccoli sono compito esclusivo della femmina. Il riferimento di Freeman potrebbe riguardare un appartenete alla tribù degli Odontoforini. Infatti come abbiamo visto a proposito della Quaglia della California – Callipepla californica – il maschio, mortua gallina, o comunque, se la sua femmina durante la cova rimane vittima di un incidente, porta a termine la cova da solo. Nella Quaglia o Colino della Virginia – Colinus virginianus – le uova vengono covate per 23 giorni dalla femmina, più di rado anche dal maschio. Nella Quaglia di Montezuma – Cyrtonyx montezumae – le uova vengono incubate da entrambi i genitori che si dividono anche il compito di allevare la prole.
Ricerche condotte presso l’Università
di Cambridge hanno svelato che gli embrioni che si sviluppano
contemporaneamente sono in grado di comunicare tra loro e pare che addirittura
siano in grado di influire sul momento della nascita.
Ulteriore conferma a questi risultati proviene da una
sperimentazione con uova di quaglia giapponese presso la Cornell University:
accelerazioni e ritardi nella schiusa di tali uova sarebbero state ottenute
impiegando vibratori artificiali, e si è visto che vibrazioni lente tipo
15-60/sec accelerano le schiuse, vibrazioni rapide tipo 100-500/sec le
rallentano.
Le prove condotte su uova di gallina avrebbero dato
risultati parzialmente contradditori rispetto a quelli ottenuti con le
quaglie. Parrebbe che nel pollo le
vibrazioni accelerino sempre le nascite, indipendentemente dalla loro
frequenza. E ciò non deve far meraviglia, in quanto sono noti gli
inconvenienti osservati in incubatrici poste nelle immediate vicinanze di
aeroporti, ferrovie e strade a traffico intenso.
I piccoli Allevatori dovrebbero aver notato che le
razze nane tendono ad anticipare la nascita. Nella nostra esperienza i
primi pulcini a bucare sono quelli di Nagasaki, i quali iniziano a rompere il
guscio già al 19° giorno. I pulcini dei polli giganti sono generalmente più
tardivi.
Un giorno fui obbligato a ricontrollare umidità e
temperatura delle incubatrici per il verificarsi di una schiusa precoce e
simultanea di nani e giganti. I parametri erano risultati tutti in regola.
Invece inabituale e fuor di regola era stato un violento temporale scatenatosi 2 giorni prima, con fulmini che
avevano inattivato il televisore e il radiotelefono, accompagnati da tuoni
proporzionalmente violenti. Per cui, dopo un violento temporale, è buona
regola stare all’erta e controllare se le nascite a breve scadenza si
verifichino con anticipo, per non essere colti di sorpresa dall’effetto
delle vibrazioni.
Il sospetto che gli embrioni di pollo possano comunicare
tra loro e influenzarsi a vicenda circa il momento della nascita potrebbe
derivare da un’osservazione: se in condizioni di temperatura ambiente mite
lasciamo una gallina deporre e covare
le sue uova, le nascite sono praticamente contemporanee.
Come sappiamo, le uova sono deposte quotidianamente oppure
a giorni alterni. Ogni volta che la gallina depone, scalda le precedenti uova,
finché si scatena l’istinto di cova. Cos’è successo nel frattempo all’embrione
del primo uovo deposto? Senz’altro è stato stimolato a progredire, seppur
di poco, nel suo sviluppo, e dovrebbe quindi trovarsi nelle condizioni di
nascere in anticipo. Abbiamo tutti osservato che nei giorni che precedono di
poco l’inizio della cova la gallina si attarda nel nido più di quanto sia
necessario per la deposizione. Il calore della futura chioccia non dovrebbe
rimanere senza effetto sul blastoderma delle uova già presenti nel nido. Per
cui ci dovremmo aspettare delle nascite scaglionate, mentre esse sono
praticamente contemporanee.
Un’affermazione precisa circa la veridicità dello
scambio di comunicazioni tra embrioni atto a determinare la nascita
contemporanea e che riproduce il caso della gallina che depone e cova, è
stata fatta in una trasmissione televisiva dedicata ai Nandù:
i neonati videro la luce tutti contemporaneamente. Nel caso documentato si
trattava di 17 fratellini.
Credo non sia difficile immaginare quale sia la finalità
di questa comunicazione tra embrioni. Un pulcino che si attarda nell’uovo ha
poche probabilità di sopravvivere, specialmente se nasce in mezzo alla natura
dotata di leggi implacabili. Dopo la schiusa, la madre è costretta a lasciare
il nido per saziare il desiderio di movimento, la curiosità e la fame dei
neonati. È inoltre costretta ad abbandonare il nido il più presto possibile
poiché si tratta di una dimora insicura al massimo. Quando i predatori
cominciano a vedere i piccoli far capolino tra le ali materne, sono disposti a
una lotta con la chioccia pur di procurarsi un facile boccone. La nascita
simultanea negli uccelli ha lo stesso significato della precoce capacità di
correre delle giovani gazzelle, costrette a sottrarsi ai felini.
È comprovato che gli embrioni di pollo producono dei
suoni secchi nel periodo che intercorre fra le prime beccate al guscio e il
momento della fuoriuscita dall’uovo. Questi suoni schioccanti cessano
bruscamente appena prima della nascita per ricominciare poco dopo la schiusa e
si protraggono per alcune ore. Questi suoni sono prodotti dall’inspirazione
e dall’espirazione, ma non vengono prodotti dal passaggio di aria attraverso
la glottide, potendo invece essere generati dal movimento della cartilagine in
sede glottidea. Vince (1964, 1966) ha dimostrato che nella quaglia
questi suoni schioccanti sono in grado di sincronizzare la nascita fra membri
della stessa nidiata. Sempre Vince (1973) ha
ulteriormente dimostrato che lo sviluppo di un uovo isolato può venir
accelerato dall’esposizione dell’embrione a suoni secchi provenienti da un
altoparlante: l’embrione così stimolato nasce prima.
È stato ancora Vince (1970) a
dimostrare che i suoni secchi raggiungono lo stesso scopo in embrioni di
pollo: l’esposizione agli schiocchi alla frequenza di 3 al secondo accelera
il tempo di schiusa, mentre una stimolazione a 100 schiocchi al secondo è
priva di effetti. Questi risultati concordano quindi con quelli della Cornell
University relativi alla quaglia giapponese.
Sbattendo il becco gli embrioni producono anche delle
raffiche di segnali acuti e brevi di frequenza relativamente elevata. Questi
movimenti del becco cominciano fra il 12° e il 16° giorno d’incubazione,
ma non diventano udibili se non appena prima dell’inizio della respirazione.
Questi segnali, che si susseguono con una frequenza di 3-4 al secondo, molto
verosimilmente giocano un ruolo importante nel sincronizzare lo sviluppo e
quindi il momento della schiusa.
Gli embrioni possono venire esposti a suoni di bassa
frequenza quando la chioccia, rigirando le uova, le fa sbattere uno contro l’altro.
Inoltre, prima di iniziare a produrre i suoni secchi, gli embrioni generano
dei suoni a bassa frequenza. Questi suoni ritardano lo sviluppo degli embrioni
più avanzati, mentre i suoni secchi ottengono come risultato un acceleramento
dello sviluppo degli embrioni meno avanzati.
Tuculescu e Griswold (1983) si
sono dedicati alla comunicazione tra chioccia e embrioni monitorando le loro
interazioni vocali dal 18° giorno d’incubazione fino alla schiusa. I due
autori hanno suddiviso i richiami da parte degli embrioni in due categorie:
- richiami di dolore: essi includono il pio-pio, i deboli
pigolii, i richiami pigolanti e gli strilli
- richiami di piacere: sono rappresentati dai cinguettii,
dai richiami per il cibo e per rannicchiarsi.
Le vocalizzazioni della chioccia che furono registrate
erano rappresentate dal chiocciare e da richiami per il cibo e di lieve
allarme.
Si verificò un netto incremento della vocalizzazione da
parte sia degli embrioni che della chioccia con l’approssimarsi della
schiusa.
I primi richiami registrati emessi dagli embrioni furono
quelli di dolore. Con l’avvicinarsi del momento della nascita divennero più
frequenti i deboli pigolii e gli strilli, mentre i richiami pigolanti furono
poco frequenti. Gli embrioni non emisero mai richiami di piacere fino a 3-5
ore prima di nascere. Solo allora la madre cominciò a vocalizzare,
prevalentemente attraverso il chiocciare.
Si analizzò con maggiore dettaglio il modello di
vocalizzazione fra chioccia e embrioni a partire da due ore prima della
schiusa. Si osservò che gli embrioni emettevano richiami di piacere per lo
più nel giro di 15 secondi da quando la chioccia aveva iniziato un’azione.
I richiami di dolore da parte degli embrioni non erano invece collegati al
comportamento della madre, come dimostrò il fatto che essi emettevano dei
cinguettii - quindi richiami di piacere - quando la chioccia rigirava le uova
o quando si dava una riaggiustata nel nido. Da ciò si può concludere che gli
embrioni rispondono alle azioni della madre.
Di converso la madre risponde alle vocalizzazioni degli
embrioni, particolarmente all’avvicinarsi della schiusa. I richiami da parte
degli embrioni, se costituiti da strilli, stimolano la madre a girare le uova,
a chiocciare, a dare dei piccoli colpi di becco. Invece, se essi emettono dei
cinguettii o dei richiami per il cibo, molto verosimilmente la risposta da
parte della chioccia viene inibita.
Chissà se tra i vari cò cò della chioccia esiste un particolare còcò che significhi “Sù, ragazzi, spicciatevi!”?
Kent (1992) in base alle sue osservazioni
concluse che la chioccia riconosce i suoi pulcini in base e solo in base al
loro colore. Ma, secondo Lesley Rogers, si tratta di una conclusione che
presenta delle lacune, in quanto gli esperimenti di Kent furono incompleti.
Secondo Rogers, se forse il colore riveste un’importanza fondamentale, una
chioccia riconoscerebbe i suoi pulcini anche in base a stimoli uditivi e
magari anche olfattivi.
I
pulcini fucsia del Madagascar
smentiscono l'affermazione di Kent
Chissà Leonarth Fuchs come si sente gratificato da questi pulcini color fucsia! L'affermazione di Rogers secondo cui una chioccia riconoscerebbe i suoi pulcini basandosi oltre che su stimoli uditivi anche su quelli olfattivi, pare venir confermata dal prezioso materiale iconografico che nel novembre 2007 i miei colleghi Carla Gallini e suo marito Mario Ivaldi mi hanno portato dal Madagascar, credendo di offrirmi una semplice curiosità, come quando nel 2005 di ritorno dal Madagascar mi regalarono un beccabecca che curiosità non fu, tutt'altro.
I loro pulcini color fucsia hanno subito titillato la mia mente circa i modi in cui una chioccia riconosce la prole. Ovviamente, visto che questi pulcini non furono dipinti appena dopo la schiusa e che la famigliola se ne va bellamente gironzolando in tutta tranquillità, posso presumere che alla chioccia non è mai venuto in mente di uccidere i suoi pulcini, continuando a riconoscerli nonostante avessero cambiato colore. Per motivi linguistici non sappiamo a che età furono dipinti, né perché lo furono. A questi quesiti si cercherà di rispondere nel novembre 2008 grazie a un interprete.
Non potevo tacere questa singolarità a Lesley Rogers, al quale ho scritto via e-mail quanto segue al fine di confortare la sua tesi che si contrappone a quella unilaterale di Kent, nonché per richiedere un suo giudizio in merito.
22-1-2008
Dear Professor Rogers,
Some years ago I deduced from your writing The development of brain and behaviour in the
chicken (1995)
that perhaps J.P.Kent is not correct in inferring that a mother hen is
recognizing her chicks on the basis and only on the basis of their color.
I have been and I am agreeing with you. But only in November 2007 I had in my
hands a proof which – nevertheless being quite questionable – could agree
both with you and me.
The proof are the fuchsia chicks photographed in Madagascar
by my colleagues Carla Gallini and Mario Ivaldi. He and his wife are
conditioned by my request of chickens' data they find during their trips. So
they stopped the car and did the photos I am sending you in a separate e-mail.
It has been impossible to ask when (that is, if newborn or later, I think
later) and why these chicks have been colored. Perhaps my colleagues will ask
this through an interpreter in next November.
If Kent would be right, we would have to bargain for a mass slaughter by their
mother hen. This didn't happen. In fact from the photos we can see that the
family is leisurely walking.
What are your behavioural thoughts about this situation?
I will add your thoughts – if possible – when updating my page about
behaviour with photos and report of my colleague.
Many thanks for your attention.
Cordially.
È raro incontrare via e-mail persone pronte a rispondere come Rogers. Fatto sta che lo stesso giorno ricevevo quanto segue.
Dear Dr
Corti,
Thank
you for contacting and telling me about this very interesting observation.
Those chicks look to be about 3-4 weeks old. It depends on what age they were
when they were coloured. Hens also recognise chicks according to their
vocalisations. Maybe even odour is important but that hasn't been tested yet,
as far as i know.
I am writing this in a rush because i am leaving my office for a few days. I
will think on this more and get back to you.
Best regards,
Lesley
Come promesso, ecco che Rogers, senza essere titillato, mi scrive nuovamente il 29 gennaio.
Dear
Elio,
I
promised to add more to my rapid reply sent earlier. I think hens may
recognise their chicks using a range of cues - visual, auditory and olfactory.
Much work needs to be done before we can reject the use of a particular
sensory system.
Best regards,
Lesley
Emeritus Professor Lesley J. Rogers, D.Phil., D.Sc., FAA
Centre for Neuroscience and Animal Behaviour
School of Science and Technology
University of New England
Armidale - NSW 2351 - Australia
Ed ecco la relazione di Carla e Mario, con precise indicazioni geografiche
Madagascar - 3 Novembre 2007
Tra i compiti che ci vengono assegnati nei nostri ricorrenti soggiorni in Madagascar per scopi umanitari ve n'è uno assai curioso: osservare i volatili domestici presenti ed eventualmente portarne le testimonianze fotografiche al nostro caro amico Elio Corti, grande cultore dell'argomento.
Non nascondiamo che, a volte, quando raggiungiamo i villaggi più disparati – e disperati - invece di cogliere come prima osservazione la struttura dell'abitato, l'inserimento in una natura ancora incontaminata, la composizione sociale dei residenti, il loro approccio a noi nuovi arrivati, ci sorprendiamo, mia moglie e io, a scrutare con una certa ansia l'eventuale presenza di volatili da cortile tanto siamo condizionati psicologicamente dall'imperativo invito del nostro amico.
Ciò che andiamo a raccontare è proprio uno di questi momenti.
Domenica in Madagascar, esattamente Missione di Henintsoa a pochi chilometri dalla piccola cittadina di Vohipeno, importante localmente quale capitale storica della tribù degli Antinamori.
Questa è la sede dove da cinque anni si sta sviluppando un piccolo ospedale per supportare, per quanto possibile, le necessità sanitarie della gente del luogo e si tenta di far crescere in questa cultura un gruppo di giovani medici locali.
Anche per noi è giornata di festa e si decide un momento di meritato relax al mare di Manakara, città costiera e principale della Provincia, che dista circa 1 ora e 30 minuti dalla nostra Missione situata nell'entroterra.
Giunti col fuoristrada a Manakara, ci si avvia su di uno stretto lembo di terra schiacciato tra l'Oceano Indiano da una parte e il Canale di Pangalanes dall'altra: punto di congiunzione tra l'acqua salata del mare e quella dolce proveniente dai grandi fiumi dell'Isola Verde.
Incantata, struggente e... desolata bellezza della natura!
Da una parte un'infinita spiaggia dorata che il costante agitato fluttuare dell'Oceano Indiano sembra voler carpire alla terra, dall'altra la sonnacchiosa presenza di un corso d'acqua apparentemente lagunosa che subdolamente sembra invitarti a un bagno ristoratore, vista la presenza di una temperatura ambientale di 30°C con elevata umidità.
Tutti e due pronti a riservarti sgradite sorprese: l'Oceano proteso a trascinarti nelle profondità del suo corpo, il Pangalanes a offrirti le infezioni più strane.
La linea di terra che percorriamo, battuta dal vento caldo dell'Est, assume i caratteri di una savana, mancando quasi del tutto la presenza dell'Uomo.
È in questo contesto, alla ricerca più oltre dei Lemuri, che ci imbattiamo in una piacevole e curiosa sorpresa.
Sul bordo della spiaggia una sola struttura abitativa: a palafitta.
Fra le travi che sostengono la capanna razzolano più pulcini con la chioccia.
Sensazionale a noi sembra già la presenza dell'Uomo in un luogo così inospitale ma eccezionale ci pare la colorazione del piumaggio dei piccoli: fucsia!
Brusco arresto del fuoristrada, pronto ricorso alla macchina fotografica, documentazione attenta ma a distanza per non turbare il padrone di casa e della nidiata.
Ancora una volta ci siamo dimenticati dell'Uomo, della sua abitazione, dell'Oceano, del Pangalanes, della savana, per rispondere al coercitivo invito del nostro caro amico Elio.
Carla Gallini e Mario Ivaldi
17
dicembre 2005 - Il trio Testapelata prima dell'eccidio della vigilia di Natale
foto di Guido Comasini
Il 17
dicembre 2005 con la collaborazione di Guido Comasini
decido di documentare con qualche fotografia un'insolita situazione a carico
della testa e del collo di tre pulcini di razza pura Cocincina nana che sono
nati verso la fine di agosto: essi presentano la testa e il collo
completamente implumi.
La cosa mi sembra strana. Trattandosi di soggetti di razza pura, negli ascendenti non si è mai manifestato qualcosa che potesse rievocare gli effetti del gene del collo nudo. Ovviamente può essersi verificata una mutazione spontanea, visto che tutti e tre i fratelli testapelata presentano lo stesso fenotipo. L'ipotesi di una mutazione spontanea è avvalorata dal fatto che in questo trio non ho mai notato segni di traumi né piccole croste ematiche alla testa e al collo.
Se son rose fioriranno, se son piume spunteranno!
Potrebbe anche trattarsi di un semplice ritardo dell'impiumamento in sede cervicocefalica, cosa che tuttavia non ho mai osservato nelle migliaia di pulcini che ho visto crescere.
A distanza di una settimana esatta dalle foto – cioè il 24 dicembre - Babbo Natale mi lascia una bella sorpresa nella gabbia dove il trio vive con la madre. Alla visita del mattino trovo un pulcino decapitato, un suo fratello morto senza apparenti segni di traumi e un superstite.
Recupero i cadaverini, metto il superstite in compagnia di due cugini più grandicelli che vivono nella gabbia sottostante, faccio un'accurata ispezione della gabbia dove è rimasta la madre, non alla ricerca di eventuali punti di accesso di topi – cosa impossibile – bensì di tracce di lotte e di sangue. Nessun segno apparente di lotte, ma tre chiazze di sangue tra loro intervallate di 4-5 cm sono ben visibili sul bordo del recipiente dove il giorno prima avevo messo del pane bagnato in acqua.
Si tratta evidentemente del sangue che il decapitato ha perso prima di essere ghigliottinato. Riesamino il codefunto fratello apparentemente integro, ma non scopro assolutamente segni di beccate, neppure al cranio. Morte ultrarapida per una beccata al cranio senza possibilità di emorragia cutanea?
La madre la lascio in gabbia, il superstite lo recupero in quanto i cugini stanno ovviamente aggredendolo, e non si sa mai. Metto il testapelata in una gabbietta e lo porto in casa. Intanto ho già un'altro ospite dal 28 di agosto, quando rimase orfano con un fratello in seguito a un'incursione di cani assassini. Questo ospite si rivelerà essere una lei: il 2 febbraio 2006 depone il primo uovo in casa, e allora la battezzo Alektorìs, come gli antichi Greci chiamavano la gallina.
29 ottobre 2005 – Alektorìs non ancora Alektorìs
12 dicembre 2005 – Alektorìs non ancora Alektorìs
8 febbraio 2006 – Alektorìs da 6 gioni Alektorìs con le prime uova deposte in casa
Il 28 agosto non sapevo che fare dei due orfanelli di 2-3 giorni di vita. A malincuore decido di affidarli alla madre dei futuri testapelata, ben conscio che il comportamento di una chioccia nei confronti di pulcini estranei è sempre oltremodo aleatorio. D'altra parte non mi sentivo ancora chioccia, e tutte le relative modificazioni ormonali sono un po' lente a instaurarsi! Li affido alla madre dei futuri testapelata in quanto si tratta di pulcini coetanei dei suoi, e spero in bene.
Il giorno seguente, lunedì 29 agosto, i due intrusi sono vivi e lo sono altrettanto alla sera. Il mattino di martedì trovo morto uno dei due intrusi con uno scalpo ancora fresco di sangue. Suo fratello – poi rivelatosi sorella - sta nascondendosi nella mangiatoia sfruttando anche l'abbeveratoio a campana. Non sono ancora diventato chioccia, ma non ho scelta: lo porto in casa.
Ecco perché la vigilia di Natale mi ritrovo a doverla festeggiare con due ospiti insoliti. Il bello è che secondo i media l'influenza aviaria incombe sempre più.
La madre assassina la libero in frutteto il giorno di Natale. Non lo meriterebbe, ma è meglio così, sia per lei che sta rinchiusa da quattro mesi, sia per me che così posso evitare di gestire una gabbia in più.
Nel frattempo mi sorgono dei sospetti. Vuoi vedere che l'assassina è quella femmina che da neonata era stata gravemente lesa alla testa dal padre o da uno dei due zii? Era nata un 15 mesi prima. Sua madre covava in una cassetta da frutta in legno. Avevo tappato tutti i possibili punti di fuga dei pulcini, ma ovviamente ne avevo trascurato uno, attraverso il quale la neonata era uscita ed era incappata nel becco impietoso di uno dei tre galli. La neonata sopravvisse, ma per mesi il suo impiumamento cranico fu assai difettoso con evidenti esiti cicatriziali mal camuffati dalle piume circostanti.
Il 26 dicembre è d'obbligo controllare se si tratta di mamma testapelata. Cerco di catturarla e non ci riesco, ma a colpo d'occhio in linea di massima mi pare sia lei. Il giorno seguente la catturo: è proprio lei.
15
marzo 2006 – Mamma testapelata con gli esiti dello scalpo subito da neonata
foto di Giuseppe Di Bitetto
Forse memore dell'esperienza neonatale si dedicava a spiumare i figli senza lasciare segni di traumi, scatenandosi finalmente nella furia aggressiva del 24 dicembre.
Il testapelata superstite sta progressivamente impiumandosi e oggi, 19 febbraio, posso dire che il suo trascorso fenotipo pseudogenetico è quasi insospettabile, come documentano le foto scattate con cadenza non programmata.
Testapelata superstite il 27 gennaio 2006
Testapelata superstite il 7 febbraio 2006
Anche la retropulsione, assai marcata il 24 dicembre, sta progressivamente esaurendosi. Ma ciò non ho potuto documentarlo fotograficamente. Il testapelata ha ormai 6 mesi di età, ma presenta un evidente ritardo di crescita, che pare allentarsi da una quindicina di giorni.
15
marzo 2006 – Testapelata non più testapelata
e perciò ribattezzato Ugo
foto di Giuseppe Di Bitetto
15
marzo 2006 – Ugo dimostra di non essere più Testapelata
foto di Giuseppe Di Bitetto
Alektorìs mamma felice
Il
21 aprile 2006 Alektorìs è diventata mamma di 9 pulcini
che hanno voluto emulare l'ottantenne Regina Elisabetta II nata il 21 aprile
1926
foto di Giuseppe Di Bitetto del 4 maggio 2006
Chi ama le frustrazioni non deve far altro che sforzarsi di comprendere e di memorizzare la neurofisiologia del canto degli Uccelli desunta dal web e aggiornata al 2009, che dovrebbe corrispondere a quanto gli studiosi hanno faticosamente assemblato nell'arco di decenni.
Neurofisiologia del canto degli Uccelli
Cervello
di uccello – Vie nervose dell'apprendimento del canto
da The Neural Basis of Birdsong - Nottebohm, 2005
Le principali aree del cervello coinvolte nel canto degli uccelli sono le seguenti.
Via nervosa anteriore del proencefalo (apprendimento vocale): composto dalla porzione laterale del nucleo magnocellulare del neostriato anteriore (LMAN - magnocellular nucleus of anterior neostriatum) che ha omologie coi gangli basali dei mammiferi. Area X: è una porzione del gangli basali e la Divisione Dorso-Laterale del talamo mediale (DLM).
Via nervosa di produzione del canto: composta da HVC (High Vocal Center - centro vocale alto - talora impropriamente detto Hyperstriatum Ventralis pars Caudalis), dal nucleo robusto dell'archistriato (RA) e dalla porzione tracheosiringea del nucleo dell'ipoglosso (nXIIts) che è il dodicesimo nervo cranico.
Ambedue le vie nervose mostrano un dimorfismo sessuale e per lo più è il maschio a produrre il canto. Si è notato che iniettando testosterone in femmine che non cantano si può indurre la crescita dell'HVC e così la produzione del canto.
Generalmente si pensa che la produzione del canto degli uccelli cominci nel nucleo uvaeformis del talamo con segnali che si diffondono lungo un tratto nervoso che termina nella siringe. La via nervosa dal talamo conduce al nucleo interfacciale del nidopallio nell'HVC, e poi a RA, la divisione dorso-laterale del talamo mediale, e al nervo tracheosiringeo.
Il gene FOXP2 (abbreviazione di forkhead box P2), la cui mancanza negli esseri umani colpisce sia la facoltà di parlare che la comprensione del linguaggio, diviene più attivo nella regione dello striato di uccelli canterini durante il periodo in cui imparano a cantare.
Recenti ricerche relative all'apprendimento del canto negli uccelli si sono concentrate sull'Area Tegmentale Ventrale (VTA) che invia un segnale di dopamina al lobo paraolfattorio e all'Area X, a LMAN e al midollo ventrolaterale. Altri ricercatori hanno esplorato la possibilità che HVC sia responsabile della produzione di sillabe, mentre il nucleo robusto dell'arcopallio, nucleo primario di produzione del canto, può essere responsabile della produzione di sillabe in sequenza e della produzione di note all'interno di una sillaba.
Singing
in the brain
Peter Marler & Allison Doupe – 2000
Repertorio vocale del pollo
I dati che vedremo sono contenuti in The vocal repertoire of the red junglefowl: a spectrographic classification and the code of communication di Nicholas Collias (1987, The Condor, 89:510-524). Collias afferma che in linea di massima sia l'etologia nel suo complesso che quella inerente al canto sono essenzialmente le stesse in Gallus gallus e nel pollo domestico. Le ricerche furono condotte per 6 anni su soggetti di Gallus gallus liberi di vagare in un'area di 49 ettari - 49.000 mq - del San Diego Zoo nel sudovest della California, essendo assai difficile esperire le indagini nell'ambiente naturale in cui questa specie vive (India e Sudest Asiatico), essendo timorosa e difficile da avvicinare in quanto oggetto di caccia da parte dell'Uomo. Invece in questo zoo, in cui si muovono liberamente, i suddetti polli vedono circolare circa 2 milioni di persone l'anno e alcuni di loro accettano cibo persino direttamente dalle mani dei visitatori. Inoltre in questo zoo non furono osservati comportamenti significativamente diversi da quelli osservabili in un ambiente naturale. I soggetti studiati discendevano da esemplari di Gallus gallus murghi (sottospecie indiana) e di Gallus gallus spadiceus (sottospecie birmana). Ecco in sintesi come si esprimono pulcini, galline e galli.
1 – Richiami del pulcino che esprimono insicurezza o sicurezza: il richiamo di pericolo ha una frequenza acustica in discesa, il richiamo di piacere ha una frequenza acustica in ascesa. Per l'orecchio umano uno strillo di paura risuona come un sussulto, una preoccupazione, quello di piacere è più gradevole e di intensità minore. Per l'analisi dei vocalizzi intercorrenti fra embrioni, pulcini e chioccia si veda il paragrafo 10 di questa sezione dal titolo: Comunicazioni tra embrioni e tra embrioni e chioccia - Riconoscimento dei pulcini.
2 – Richiami della gallina rivolti ai pulcini: consistono in note delicate, brevi e ripetitive. La voce da chioccia stimola i pulcini a seguirla e consiste in una coppia di note vocali. Invece il richiamo per il cibo consiste in una nota sola La gallina fa per così dire le fusa quando chiama i pulcini a seguirla su un posatoio, emettendo ripetuti e rapidi vocalizzi di bassa frequenza.
3 – Richiami del gallo rivolti alle galline: queste note brevi e ripetitive sono di bassa frequenza e ampiezza. Il richiamo per il cibo può terminare con una specie di lamento e può essere come quello di quando il gallo corteggia la gallina abbassando un'ala e girandole parzialmente intorno.
4 – Espressioni di benessere o di contentezza da parte degli adulti: possono essere emesse sia dai galli che dalle galline quando si dà loro da mangiare. Si tratta di borbottii che in un certo senso somigliano a quelli emessi dalla gallina prima di mettersi a deporre l'uovo.
5 – Richiami degli adulti di un lieve turbamento, grida di dolore quando vengono beccati: in varie condizioni di turbamento emettono un debole e forzato richiamo oppure un uggiolio o un gemito. Si tratta di toni prolungati di bassa frequenza.
6 – Richiami di avviso di un predatore presente al suolo oppure appollaiato: queste grida emesse con voce stridula e aspra possono accompagnarsi al volo per cercare riparo e sicurezza.
7 – Richiami di avviso che annunciano un predatore in volo, grida di dolore di un soggetto catturato: un possente urlo di un gallo stimola la gallina e i pulcini a mettersi all'erta e a nascondersi. I galli sono più propensi delle galline nell'emettere questi avvisi contro i predatori in volo. Grida dello stesso tipo vengono emessi anche da un soggetto quando viene catturato. In ambedue i casi vengono emessi suoni di elevata frequenza acustica.
8 – Grida aggressive: si tratta di sibili emessi, per esempio, da una gallina che sta covando quando viene disturbata e che dà alle nostre orecchie la sensazione di un brontolio aspro. Lo stesso tipo di vocalizzo può essere emesso da una gallina dominante quando vuole stabilire una gerarchia nell'accedere al cibo.
9 – Il canto del gallo: abitualmente è composto da 3 o 4 note o da 4 potenti picchi che segnalano la presenza del gallo nel suo territorio. Due galli, cantando, possono mettersi in gara allo scopo di definire i rispettivi territori, oppure per accaparrarsi una gallina. La voce di ciascun gallo può variare assai in altezza, numero e lunghezza delle note nonché in chiarezza dei toni. E pare che in base alle caratteristiche del canto i soggetti si riconoscano a vicenda. Serve pure per attirare le femmine. Il gallo innalza e spinge in avanti il collo quando emette la prima nota, quindi nell'emettere la seconda e la terza fa oscillare indietro testa e collo, mentre la quarta nota viene emessa spingendo nuovamente testa e collo in avanti. In alcuni galli la seconda e la terza nota sono distinte, in altri sono fuse in una sola. In inglese il nostro chicchirichì viene detto cock-a-doodle-doo oppure cock-ka-doodle-doo (Collias, 1987) e secondo Yamaguchi (1983) in altre lingue può essere così tradotto: ko-ke-ko-koh in giapponese, ku-ku-kuh-ku in cinese, kikeriki in tedesco, kykapeký in russo, cocorico in francese (anche in Brasile risuona cocoricò - Teresinha Meister, comunicazione personale, 1998), è detto cucurigu in rumeno con chiara derivazione dal latino cucurrire.
Vediamo cosa dice un'altra fonte reperita nel web (www.omlet.co.uk). Cinese: gue-gue ou gou-gou - danese: kykliky - finlandese: kukkokiekuu - francese: cocorico - tedesco: kikeriki - greco: kikiriki - ebraico: coucouricou - gaelico: cuc-a-dudal-du - giapponese: kou-kou-kou-kou - tedesco: kukeleku - norvegese: kukkeliky - polacco: kukuryky - portoghese: cocorococo - rumeno: cucurigu - russo: kou-ka-re-kou - serbocroato: kukuriky - spagnolo: quiquiriqui - svedese: kuckeliku.
Botta e risposta fra galli
Collias fornisce un'analisi spettrografica di questi vari richiami emessi da pulcini, galline e galli. L'analisi delle singole espressioni che abbiamo visto porta a un totale di 17 vocalizzi che non vale la pena riferire in dettaglio, essendo una materia troppo specialistica. Lukas Kiefer (2002 - www.chicken-yard.net) asserisce, senza specificarli, che i vocaboli usati dal pollo domestico sono più di 30.
10 – I galli dal lungo canto e il gallo afono di Nibas: circa il numero di note emesse dai vari galli dal lungo canto nonché dagli altri presunti progenitori del pollo domestico (sonnerati, lafayettei e varius) si veda il paragrafo 3 sezione IV del I volume dal titolo: Ipotesi sul luogo d'origine del pollo domestico. Per una trattazione più ampia dei galli canterini si veda il paragrafo 10.1 sezione XXIV del II volume dal titolo: I galli dal lungo canto. Per il gallo muto di Nibas, che oggi verrebbe bandito dai nostri centri abitati per soli motivi virali, si veda il paragrafo 10.2 della stessa sezione del II volume: Il gallo afono di Nibas.
11 – Il coccodè del gallo e della gallina: in questo nostro elenco mancava il coccodè sia della gallina che del gallo domestico. È più corretto trascrivere coccodè in co-co-co-co-co-dè, in quanto si tratta per lo più di 6 note vocali. Ammesso che il Gallo rosso della giungla sia il principale progenitore del pollo domestico, un Gallo della giungla puro, oggi sempre più raro, è un essere estremamente silenzioso, come sottolinea Khin May Nyunt (How to identify the Red Jungle Fowl, 1992), tanto da non sbraitare affatto e tanto da non sbattere assolutamente le ali in modo osceno come invece fanno i nostri polli quando vengono maneggiati. E la sua consorte adotta la silenziosità anche dopo aver deposto l’uovo, così come la tacchina. Stando alle affermazioni di Ludo Pinceel (2001) non solo la femmina di Gallus gallus non si sgola nell’annunciare al mondo intero il gaudium magnum della nuova nascita: si comporta così anche la femmina del Sonnerat che lui alleva. Anche Nicholas Collias (2001) mi ha affermato di non aver mai udito una femmina di Gallus gallus cantare dopo aver deposto l’uovo.
Quando una gallina domestica dopo aver deposto l'uovo emette il suo coccodè, se fossi un corvo mi precipiterei a cogliere il frutto di un sì elaborato parto, e il corvo è tanto intelligente da farlo, essendo oltretutto agevolato dal coccodè nell'individuare il nido, e, colmo dei colmi, è ormai capace di rubare persino i soldi appena partoriti da un bancomat. Non ho mai capito perché la gallina annunci a tutto il mondo che è nato un futuro pulcino e un prelibato boccone, del tutto dimentica che i predatori sono sempre in agguato e contravvenendo quasi stupidamente a tutte le regole del mimetismo. A mio avviso non si tratta di un canto di dolore, bensì di gioia, e probabilmente la gallina deve avvertire un gran sollievo dopo essersi sgravata. Un qualsivoglia corpo estraneo in cloaca non fa piacere - con le debite eccezioni - neppure agli esseri umani. Inoltre, se le espressioni esprimono qualcosa come è loro dovere esprimere, la defecazione viene spesso eufemizzata in beneficio di corpo. Non dimentichiamo poi il fatto che in vagina, dove l’uovo di gallina soggiorna pochissimo, si verifica una rivoluzione, ovviamente nel puro senso etimologico del termine: l’uovo, che era andato scendendo col polo acuto quasi fosse uno spartineve, giunto in vagina si rigira in modo tale da uscire dalla cloaca col polo ottuso. Per la gallina una siffatta rivoluzione potrebbe magari risultare in qualche modo piacevole come la suzione del capezzolo da parte del neonato, ma la distensione orizzontale della vagina da parte dell’uovo è alquanto rapida e improvvisa e non passa senz’altro inavvertita alla partoriente. Ovviamente solo una gallina transgenica del quarto millennio ci direbbe come stanno le cose, sia durante che dopo il parto e perché canta, ponendo fine a queste nostre insulse elucubrazioni in cui manca la voce della prima attrice. I palmipedi schiamazzano, e talora schiamazzano parecchio. Ma non ho mai colto un’anatra o un’oca in flagrante schiamazzo sia prima che appena dopo aver deposto: partoriscono in silenzio e c’è da presumere che le sensazioni da cui vengono pervase durante lo sgravamento non siano molto dissimili da quelle della gallina. Aspettiamo quindi anche il palmipede transgenico.
E che dire dei galli che con voce impropria e spesso in coro fanno eco al coccodè della gallina?
Galli che cantano da gallina
Dopo aver deposto, la gallina si sofferma a coccolare il frutto del parto e poi esce dal nido cominciando a cantare a squarciagola, facendo un gran clamore - o un gran casino che dir si voglia - imitata spesso dalle altre galline che in quel momento stanno girovagando. Ma, ciò che rompe effettivamente i timpani, è quando anche la schiera dei galli si unisce al coro delle femmine, cantando però come una gallina che ha deposto, e un gallo che canta da gallina è mille volte più petulante e indisponente perché non ha la voce adatta per farlo. È come quando Luciano Pavarotti voleva cantare dei brani che solo il Reuccio, solo Claudio Villa poteva elargire senza tema di sgarrare. D’estate, con le finestre aperte, sono stato costretto parecchie volte a cercare di zittire questo assordante coro lanciando in frutteto caraffate di acqua, che tuttavia ottengono solo una momentanea interruzione del clamore, essendoci sempre un ultimo gallo che emette un’ultima vociata femminea, subito ripresa dal coro unanime che pare posseduto da un ciclo periodico coatto, come quello di certi cani che non riescono a smettere di abbaiare, un ciclo reiterantesi e automantenentesi. Finché pian piano, e in tempi variabili, il tutto va spegnendosi.
Conrad Gessner, preciso com'era, non poteva tralasciare di citare interpretazioni piuttosto antiche circa il significato consolatorio del coccodè dei galli dopo che la gallina aveva deposto l'uovo, fonte per lei di dolore. Ecco lo stralcio di pagina 384 del suo Historia animalium III (1555) dove troviamo Oppiano di Apamea (III secolo dC) e Porfirio il vegetariano (ca. 233 - ca. 305).
Galli partus gallinarum levare, et doloris participatione solari videntur, dum placida et exili voce eis accinunt, Oppianus in Ixeut. Maritus etiam inter bruta partus dolores intelligit, et plurimi ex eis parientibus foeminis condolent, συνωδίνει, ut gallinacei: quidam etiam excludendo iuvant, ut columbi, Porphyrius 3. de abstin. ab animatis.
Sembra che i galli diano sollievo al parto delle galline e che le consolano compartecipando al dolore quando le accompagnano nel canto con una voce tranquilla ed esile, Oppiano di Apamea in Ixeutica. Anche tra gli animali sprovvisti di raziocinio il maschio riesce a comprendere i dolori del parto, e moltissimi di loro partecipano al dolore - synødínei - quando le femmine partoriscono, come i galli: alcuni aiutano anche nell’incubazione, come i colombi, Porfirio nel III libro del De abstinentia ab animatis.
Ma per Charles Darwin il coccodè non esprimeva un dolore da parto, bensì l'opposto: "La gallina quando ha fatto un uovo ripete la stessa nota molte volte e conclude con una sesta in alto, che sostiene per un tempo più lungo: così esprime la sua gioia. - The hen, when she has laid an egg, repeats the same note very often, and concludes with the sixth above, which she holds for a longer time; and thus she expresses her joy." (L’origine dell’uomo e la selezione sessuale, 1871)
Lukas Kiefer dà la seguente interpretazione del coccodè, che potrebbe aggiungersi a quelle finora riportate. Quando hanno deposto un uovo, le galline emettono il loro coccodè con eccitazione. Forse cantano in questo modo per mantenere un contatto con gli altri polli, in quanto un gallo entra immediatamente nel pollaio appena una gallina comincia a cantarvi il coccodè. Talora vola addirittura sul nido e mostra alla compagna la via per uscirne. Poi la riporta in compagnia delle altre galline. Ma il coccodè dopo aver deposto può avere anche un altro significato, cioè che le galline sono orgogliose di ciò che hanno prodotto e vogliono mostrarlo alle altre compagne. (2002)
Interessante è la sintesi dello studio condotto da Tommaso Pizzari e Tim Birkhead, una sintesi dal titolo Fowl Calls che è opera di Kirsten Weir (Natural History, September 2001) di cui citiamo i passi salienti.
La maggior parte di noi pensa che abbiamo preso confidenza coi suoni emessi dal pollo domestico, Gallus gallus domesticus, tanto da ritenerli abituali, ma non tutti i richiami del pollo sono equivalenti. Un suono distintivo, emesso dalle femmine solamente dopo aver deposto l'uovo, è stato per lungo tempo qualcosa di misterioso per gli scienziati. Siccome il forte schiamazzo può allertare potenziali predatori di un uovo appena deposto, i biologi evoluzionisti presumono che il richiamo deve possedere un beneficio che supera il rischio. Alcuni hanno suggerito che le galline fanno coccodè per annunciare ai galli la loro rinnovata ricettività all'accoppiamento.
I biologi Tommaso Pizzari e Tim Birkhead, dell'Università inglese di Sheffield (contea di South Yorkshire) esaminarono quest'ipotesi in una popolazione di polli ruspanti che era del tutto assuefatta ai contatti con gli esseri umani. Oltre a osservare il comportamento schiamazzante dei polli, i ricercatori sottoposero i galli all'ascolto di registrazioni su nastro in cui si alternavano coccodè delle galline dopo aver deposto a espressioni di appagamento. Pizzari e Birkhead (For Whom Does the Hen Cackle? The Function of Postoviposition Cackling, Animal Behaviour 61, 2001) conclusero che quello schiamazzo dopo aver deposto l'uovo non è un segnale della recettività della femmina ad accoppiarsi. Anzi, essi suggeriscono che potrebbe verificarsi proprio l'opposto: le femmine potrebbero segnalare la loro mancanza di recettività al fine di evitare la molestia dei maschi che qualche volta provoca danni letali alle galline. Un'interpretazione alternativa escluderebbe i maschi: le femmine potrebbero schiamazzare per comunicare tra loro, forse per sincronizzare la deposizione dell'uovo.
A mio avviso il coccodè del gallo potrebbe semplicemente esprimere una compartecipazione a quanto sta accadendo a una gallina o a ciò che essa sta esprimendo con il suo canto. Ecco una mia esperienza che spero sia significativa per quanto ho appena affermato.
Siamo nell'ultima decade del freddissimo gennaio 2010 con deposizione di uova praticamente nulla. Da quando le galline hanno smesso di deporre regolarmente, i galli non si sentono più cantare coccodè in coro. Un pomeriggio vado in pollaio e riesco a catturare una gallinetta che, appena si sente imprigionata fra le mie mani, comincia a schiamazzare assai vivacemente, ma io continuo a trattenerla. Ecco allora che i galli cominciano immediatamente a cantare coccodè in coro, per smettere quando lascio libera la gallina. Penso che questo vocio classicamente femminile cui si abbandonano i galli altro non sia che un'espressione di compartecipazione alle espressioni vocali della gallina, sia quando è lieta di aver deposto l'uovo, sia quando si trova nelle grinfie di un aggressore. Sì che i galli mi conoscono, come dimostrano quei due sempre pronti a combattere con me e che mi assalgono tutti i giorni, ma una gallina che schiamazza fra le mie mani potrebbe essere una compagna che essi perderanno.
[1] La ghiandola adrenale è l'equivalente della surrenale umana. Nel pollo le adrenali sono due ghiandole di forma ovoidale, ciascuna posta appena cranialmente alla porzione anteriore del corrispondente rene. L’adrenale secerne due tipi di ormoni: ormoni steroidei, derivati dal colesterolo, tra i quali il più importante è il corticosterone; ormoni catecolaminici, rappresentati da adrenalina e noradrenalina.
[2] Il Combattente della Sonda ha un aspetto molto simile allo Shamo, ma di dimensioni minori, con una colorazione frumento del piumaggio.