Conrad Gessner
Historiae animalium liber III qui est de Avium natura - 1555
De Gallina
trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti
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Pascitur et
dulci facilis gallina farina, | Pascitur et tenebris. ingeniosa gula
est, Martialis sub lemmate Gallina altilis[1].
Interdictum est lege C. Fannii consulis, ne quid volucrum poneretur,
praeter unam gallinam quae non esset altilis, Plin.[2]
Capos et gallinas saginare ligur<r>itores ipsi invenere, quo
unctius ac lautius devorarent, Platina. Gallinas saginare Deliaci
coepere: unde pestis exorta, opimas aves et suopte corpore unctas
devorandi. Foeminae quidem ad saginam non omnes eliguntur, nec nisi in
cervice pingui cute. Postea culinarum artes, ut clunes spectentur, ut
dividantur in tergora, ut a pede uno dilatatae repositoria occupent. Dedere et Parthi cocis suos mores, Plinius[3]. Hyeme melius quam
aestate saginatio fiet, probabiliorque erit fartura, Platina. Gallinae
et capi impinguantur cito, si cerevisia eis in potu apponatur pro aqua.
Vide plura superius in Capo E. |
La
gallina viene facilmente nutrita anche con la dolce farina, | viene
nutrita anche dalle tenebre. Il palato è ingegnoso, Marziale
alla voce Gallina da ingrasso. Fu vietato dalla legge di
Gaio Fannio
di porre in tavola un qualunque volatile eccetto una sola
gallina non ingrassata, Plinio. Sono
stati gli stessi ghiottoni a inventare l’ingrassamento dei capponi e
delle galline, in modo da ingozzarsi in modo più prelibato e sontuoso,
Platina. Furono gli abitanti di
Delo
che cominciarono a
ingrassare le galline, e da questo ebbe origine la pessima abitudine di
mangiare pollame grasso, unto del suo stesso grasso. A dire il vero, non
tutte le galline vengono scelte per essere ingrassate, ma solo se hanno
la pelle grassa sul collo. Poi intervennero le arti culinarie perché le
cosce si presentassero bene, perché fossero piegate dalle due parti del
dorso, perché tirate a partire da una zampa occupassero tutto il piatto
di portata. Persino i Parti
hanno dato ai cuochi le loro usanze.
L'ingrasso avverrà meglio in inverno che in estate, e diventeranno
grasse con maggior probabilità, Platina. Le galline e i capponi
ingrassano velocemente se si dà loro da bere della birra al posto
dell'acqua. Vedi una quantità maggiore di dati in ciò che si è detto
prima nel paragrafo E del cappone. |
Pinguem
quoque facere gallinam, quamvis fartoris, non rustici sit officium,
tamen quia non aegre contingit, praecipiendum putavi. Locus ad hanc rem
{desyderatur} <desideratur> calidus maxime, et minimi luminis, in
quo singulae caveis angustioribus, vel sportis inclusae pendeant aves,
sed ita coarctatae, ne versari possint. Verum habeant ex utraque parte
foramina. Unum, quo caput exeratur: alterum, quo cauda, clunesque, ut et
cibos capere possint, et eos digestos sic edere, ne stercore
coinquinentur. Substernatur autem mundissima palea, vel molle foenum, id
est cordum. Nam si dure cubant, non facile pinguescunt. Pluma omnis e
capite, et sub alis atque clunibus detergetur. Illic ne pediculum creet,
hic ne stercore loca naturalia exulceret. Cibus autem praebetur ordacea
farina, quae cum est aqua conspersa et subacta, formantur offae, quibus
aves saginantur. Eae tamen primis diebus dari parcius debent, dum plus
concoquere consuescant. Nam cruditas miranda est maxime, tantumque
praebendum, quantum digerere possint. neque ante recens admovenda est,
quam tentato gutture apparuerit nihil veteris escae remansisse. Cum
deinde satiata est avis, paululum deposita cavea dimittitur, sed ita ne
vagetur: sed potius, si< >quid est, quod eam stimulet aut mordeat,
rostro persequatur. Haec
enim fere communis est cura farcientium. Nam illi, qui volunt non solum
opimas, sed etiam teneras ave{i}s efficere, mulsa {recente}
<recenti> aqua praedicti generis farinam conspergunt, et ita
farciunt. nonnulli tribus aquae partibus unam boni vini miscent,
madefactoque triticeo pane obesant avem, quae prima luna (quoniam id
quoque custodiendum est) saginari coepta, vigesima pergliscit, Columella[4]. |
Anche
ingrassare una gallina, nonostante sia compito di colui che di
professione le ingrassa e non del contadino, tuttavia, siccome è una
cosa che non costa fatica, ho creduto opportuno insegnarlo. È richiesto
a questo scopo un luogo molto caldo e con pochissima luce, nel quale le
galline debbono stare appese una per una e rinchiuse in gabbie piuttosto
strette o in ceste, ma tenute allo stretto in modo tale da non potersi
muovere. Però debbono avere a disposizione dei buchi alle due estremità.
Un buco attraverso il quale viene fatta uscire la testa: l’altro
attraverso cui fuoriescono la coda e le natiche, in modo tale che
possano sia prender cibo che espellere quello digerito senza inquinarsi
di sterco. Si stenda sotto della paglia pulitissima o del fieno molle,
ossia tardivo. Infatti se stanno adagiate sul duro non ingrassano
facilmente. Si debbono togliere tutte le piume dalla testa, da sotto le
ali e dalle natiche: nelle prime due sedi affinché non diano luogo ai
pidocchi, nell'ultima sede per non creare con lo sterco delle
ulcerazioni nella zona intorno alla cloaca. Si dà come cibo della
farina d’orzo
che, dopo essere stata bagnata e impastata con acqua,
viene ridotta in pallottole con le quali s'ingrassano le galline. Però
nei primi giorni se ne devono dare con una certa parsimonia, fino a
quando non si abituano a digerirne una quantità maggiore. Infatti
bisogna fare moltissima attenzione all'indigestione e dare loro quel
tanto che sono in grado di digerire. E non si deve dare del nuovo cibo
prima che, tastando il gozzo, non si sarà sicuri che non ve ne è
rimasto del vecchio. Quando poi la gallina è sazia, si fa scendere la
gabbia e la si lascia uscire per un pochino, senza permetterle
d’allontanarsi, ma solo perché possa dare la caccia col becco a
qualche cosa, se c'è, che la molesta o la tormenta. Infatti è
pressapoco questo il modo in cui debbono operare gli ingrassatori.
Infatti coloro che vogliono rendere le galline non solo grasse, ma anche
tenere, bagnano la farina del tipo anzidetto con acqua fresca mista a
miele, e le ingrassano così. Alcuni mescolano una parte di vino buono
con tre parti di acqua e dopo aver bagnato del pane di frumento
ingrassano la gallina, la quale, avendo cominciato
a essere ingrassata all’inizio del novilunio (infatti bisogna
anche tener conto di questo), dopo venti giorni giunge al termine
dell'ingrasso, Columella. |
Gallinae
saginantur maxime villaticae. Eas includunt in locum tepidum, et
angustum, et tenebrosum, quod motus earum, et lux pinguitudini inimica,
electis ad hanc rem maximis gallinis, nec continuo his, quas Melicas
appellant, cum Medicas deberent, Varro[5].
Antiquissimum est maximam quanque avem lautioribus epulis destinare. Sic
enim digna merces sequitur operam et impensam, Columella. Amplas omnes e
villaticis, evulsis (pennis extremis, Florentinus) ex alis pinnis, et
cauda, farciunt turundis hordeaceis partim admistis ex farina loliacea,
aut semine lini ex aqua dulci: (Alii tritici pollinem miscent. Sunt qui
his omnibus infundant vinum, Florentinus.) Bis die cibum dant,
observantes ex quibusdam signis, ut prior sit concoctus, quam secundum
dent. Dato cibo, tum perpurgant caput, ne quos habeant pedes, et rursus
eas concludunt. Hoc faciunt usque ad dies viginti quinque. Tum denique
pingues fiunt. Quidam ex triticeo pane intrito in aquam, mixto vino bono
et odorato farciunt, ita ut diebus viginti pingues reddant ac teneras.
Si in farciendo nimio cibo fastidiunt, remittendum in datione pro
portione, sic ut decem primis processit, in posterioribus ut diminuat
eadem ratione, ut vigesimus dies et primus sit par, Varro. Si fastidiet
cibum, totidem diebus minuere oportebit, quot iam farturae processerint:
ita tamen, ne tempus omne opimandi quintam et vigesimam lunam
superveniat, Columella. |
Si
ingrassano soprattutto le galline da cortile. Le rinchiudono in un luogo
tiepido, angusto e scuro, in quanto il loro muoversi e la luce sono
nemici dell'obesità, e debbono essere scelte a questo scopo le galline
più grandi, e non necessariamente quelle che chiamano Meliche, mentre
dovrebbero essere dette della Media,
Varrone. È una pratica assai
antica destinare qualunque gallina assai grande ai banchetti più
sontuosi. Infatti così ne deriva un giusto guadagno per l'attività
svolta e la spesa sostenuta, Columella. Ingrassano tutte le galline da
cortile di grande mole, dopo aver rimosso le penne dalle ali (le penne
periferiche, Florentino) e dalla coda, con dei pastoni d'orzo in parte
mischiati con farina di loglio o con seme di
lino in acqua dolce
(altri mescolano fior di farina di frumento, alcuni in tutti questi
ingredienti versano del vino, Florentino). Danno da mangiare due volte
al giorno, tenendo presenti alcuni segni, che il cibo precedente sia
stato digerito prima di dare il successivo. Una volta dato il mangime,
allora ripuliscono la testa affinché non abbiano dei pidocchi, e di
nuovo le rinchiudono. Fanno ciò per 25 giorni. Allora finalmente
diventano grasse. Alcuni le ingrassano con pane di frumento messo a
bagno in acqua mischiandovi del vino buono e profumato, in modo da
renderle grasse nel giro di 20 giorni, e tenere. Se nel corso
dell'ingrasso fanno le schizzinose a causa del troppo cibo, bisogna
ridurlo proporzionalmente, in modo tale che come lo si è aumentato nei
primi 10 giorni, altrettanto lo si diminuisca nei successivi, affinché
il ventesimo e il primo giorno corrispondano, Varrone. Se la gallina
diventerà schizzinosa nei confronti del cibo, sarà opportuno ridurlo
per tanti giorni quanti ne sono già passati da quando si è cominciato
a ingrassarle: tuttavia in modo tale
il tempo dell’ingrasso non oltrepassi il venticinquesimo giorno
della luna, Columella. |
Caeterum
maior pars milio alunt gallinas, Florentinus. Gallinas et anseres sic
farcito: Gallinas teneras, quae primum parie{ri}nt, concludas, polline,
vel farina ordacea conspersa, turundas facias: eas in aquam intinguat,
et in os indat: paulatim quotidie addat, et ex gula {consyderet} <consideret>,
quod satis fiet. Bis in die farciat, et meridie bibere dato. nec plus
aquam ante (in vase appositam) sinas quam horam 1 {j}. Eodem modo
anserem alito, nisi prius dato bibere bis in die, et bis escam, Cato[6]. |
Del
resto, la maggior parte alimenta le galline con il miglio,
Florentino.
Ingrassa le galline e le oche nel modo seguente: devi rinchiudere le
galline giovani non appena cominceranno a deporre, allestisci dei
pastoni bagnando del fior di farina o della farina d'orzo: immergi il
pastone nell'acqua e caccialo in bocca: aggiungine pian piano ogni
giorno e giudica in base al gozzo se sarà sufficiente. Rimpinzale due
volte al giorno, e dà loro da bere a mezzogiorno. E non concedere per
più di un'ora che abbiano davanti l'acqua (messa in un recipiente).
Nutri allo stesso modo l'oca, ma solo avendogli prima dato da bere due
volte al giorno, e due volte il cibo, Catone. |
¶
Febrientibus magis conveniunt gallinae castratae, quanquam veteres
castrationis earum non meminerunt. ego castratas domi alo, quarum caro
albior, melior et friabilior est. Facile et cito coquuntur, et tenerae
fiunt et gratae palato, Mich. Savonarola[7]. |
¶
Per coloro che hanno la febbre sono più adatte le galline castrate,
anche se gli antichi non hanno fatto menzione della loro castrazione. Io
a casa mia allevo delle galline castrate e la loro carne è più bianca,
migliore e più friabile. Cuociono facilmente e rapidamente, e diventano
tenere e gradite al palato, Michele Savonarola. |
¶
Si cibus deesse sentiatur apibus, ad fores earum posuisse conveniet
crudas gallinarum carnes, et uvas passas, etc. Plinius[8]. |
¶
Se si avesse l'impressione che alle api manca il cibo, presso l'ingresso
del loro nido converrà aver messo della carne cruda di gallina e
dell'uva passa, etc., Plinio. |
¶
Albuminis usus. Aurum marmori et iis quae candefieri non possunt,
ovi candido illinitur, Plinius[9].
Candidum ex ovis admixtum calci vivae glutinat vitri fragmenta, vis vero
tanta est ut lignum perfusum ovo non ardeat, ac ne vestis quidem
contacta aduratur, Plin.[10]
Aurum ovatum ex Grammaticis quidam dictum volunt, quoniam ovi albo antea
illito, aera ac marmora auri et argenti laminis decorarentur. Papaver
candidum panis rustici crustae inspergitur affuso ovo inhaerens, etc.
Plinius. Pharmacopolae ut serapia et alias potiones clariores reddant,
ovi albumine, aliquando etiam testis pariter utuntur, decocto interim
agitando inijcientes. Ovi albumen ex aqua frigida scopulis agita, donec
in spumam abeat, quam particulatim syrupo, vel alteri decocto ferventi
inspergas: et ubi nigruerit, cochleari foraminulento deradas, novam
inspergas: id fac donec erit syrupus clarior. [Iac. Sylvius] |
¶
Impiego dell'albume. L’oro
viene steso sopra al marmo e a quelle cose che non possono essere rese
incandescenti servendosi del bianco d’uovo, Plinio. Il bianco
ottenuto dalle uova mescolato alla calce viva fa aderire i frammenti di
vetro, in verità tanta è la forza presente che un pezzo di legno
cosparso di uovo non brucia, e neppure un abito che ne sia stato
macchiato riesce a incendiarsi, Plinio. Alcuni grammatici sono dell’avviso che l’oro all’uovo abbia preso
il nome dal fatto che i bronzi e i marmi venivano decorati con lamine di
oro e di argento dopo aver prima spalmato del bianco d’uovo. I
semi del papavero bianco - Papaver alpinum - vengono cosparsi
sulla crosta del pane casereccio dopo avergli versato sopra dell'uovo al
quale aderiscono, etc, Plinio. Gli
speziali per rendere più
limpidi gli sciroppi - vedi serapium - e altre pozioni si
servono dell'albume d'uovo e talora anche dei gusci, gettandoli dentro
mentre nel frattempo rimescolano il decotto. Agita con degli scopini
l'albume in acqua fredda fino a quando si è trasformato in una schiuma
che poco a poco aggiungi a uno sciroppo o a un altro decotto mentre sta
bollendo: e quando è diventata scura asportala con un cucchiaio
bucherellato, aggiungine dell’altra: continua a fare così fintanto
che lo sciroppo è diventato più limpido, Jacques Dubois. |
[1] Epigrammi XIII, 62, Gallinae altiles. Pascitur et dulci facilis gallina farina, | pascitur et tenebris. Ingeniosa gula est.
[2] Già citato a pagina 387.
[3] Naturalis historia X,139-140: Gallinas saginare Deliaci coepere, unde pestis exorta opimas aves et suopte corpore unctas devorandi. Hoc primum antiquis cenarum interdictis exceptum invenio iam lege Gai Fanni consulis undecim annis ante tertium Punicum bellum, ne quid volucre poneretur praeter unam gallinam quae non esset altilis, quod deinde caput translatum per omnes leges ambulavit. [140] Inventumque deverticulum est in fraudem earum gallinaceos quoque pascendi lacte madidis cibis: multo ita gratiores adprobantur. Feminae quidem ad saginam non omnes eliguntur nec nisi in cervice pingui cute. Postea culinarum artes, ut clunes spectentur, ut dividantur in tergora, ut a pede uno dilatatae repositoria occupent. Dedere et Parthi cocis suos mores. Nec tamen in hoc mangonio quicquam totum placet, clune, alibi pectore tantum laudatis. § Non si capisce in cosa consista la scappatoia stando alle parole di Plinio. Per la legge Fannia non si poteva porre in tavola alcun volatile eccetto una gallina che non doveva essere stata ingrassata. Ma i galli, nutriti con cibi inzuppati nel latte per renderli di sapore più raffinato, erano anch'essi dei volatili, salvo che li facessero passare per galline asportando cresta e speroni, oppure che i cibi inzuppati nel latte fossero capaci - ma non lo erano - di castrarli e di farli somigliare a galline. Misteri interpretativi! Oltretutto, grazie al latino di Plinio, quae non esset altilis potrebbe magari tradursi con gallina che non fosse grassa = che doveva essere grassa, come ci permettiamo noi italiani di usare il non con il condizionale con finalità affermative anziché negative. Ma se la gallina doveva essere grassa, addio parsimonia nelle spese per le mense, perché ingrassare un volatile costa di più.
[4] De re rustica VIII,7,1-5:
[1] Pinguem quoque facere gallinam, quamvis fartoris, non rustici sit
officium, tamen quia non aegre contingit, praecipiendum putavi. Locus ad
hanc rem desideratur maxime calidus et minimi luminis, in quo singulae
caveis angustioribus vel sportis inclusae pendeant aves, sed ita coartatae
ne versari possint. [2] Verum habeant ex utraque parte foramina, unum quo
caput exseratur, alterum quo cauda clunesque, ut et cibos capere possint et
eos digestos sic edere ne stercore coinquinentur. Substernantur autem
mundissimae paleae vel molle foenum, id est cordum. Nam si dure cubant, non
facile pinguescunt. Pluma omnis e capite et sub alis atque clunibus
detergetur, illic ne pediculum creet, hic ne stercore loca naturalia
exulceret. [3] Cibus autem praebetur hordeacea farina, quae cum est aqua
consparsa et subacta, formantur offae, quibus avis salivatur <aves
saginantur>. Hae tamen primis diebus dari parcius debent, dum plus
concoquere consuescant. Nam cruditas maxime vitanda est, tantumque
praebendum quantum digerere possint. Neque ante recens admovenda est quam
temptato gutture apparuerit nihil veteris escae remansisse. [4] Cum deinde
satiata est avis, paululum deposita cavea dimittitur, et ita ne evagetur,
sed potius, si quid est quod eam stimulet aut mordeat, rostro persequatur.
Haec fere communis est cura farcientium. Nam illi qui volunt non solum
opimas sed etiam teneras avis efficere, mulsea recenti aqua praedicti
generis farinam conspargunt, et ita farciunt. nonnulli tribus aquae partibus,
unam boni vini miscent, madefactoque triticeo pane obesant avem, quae prima
luna (quoniam id quoque custodiendum est) saginari coepta vicensima
pergliscit. [5] Sed si fastidiet cibum, totidem diebus minuere oportebit
quot iam farturae processerint, ita tamen ne tempus omne opimandi quintam et
vicesimam lunam superveniat. Antiquissimum
est autem maximam quamque avem lautioribus epulis destinare. Sic enim digna
merces sequitur operam et inpensam.
[5]
Rerum rusticarum III,9,19-21: De tribus generibus gallinae saginantur maxime
villaticae. Eas includunt in locum tepidum et angustum et tenebricosum, quod
motus earum et lux pinguitudinis vindicta, ad hanc rem electis maximis
gallinis, nec continuo his, quas Melicas appellant falso, quod antiqui, ut
Thetim Thelim dicebant, sic Medicam Melicam vocabant. Hae
primo dicebantur, quae ex Media propter magnitudinem erant allatae quaeque
ex iis generatae, [20] postea propter similitudinem amplae omnes. Ex iis
evulsis ex alis pinnis et e cauda farciunt turundis hordeaceis partim
admixtis farina lolleacia aut semine lini ex aqua dulci. Bis die cibum dant, observantes ex quibusdam signis ut prior sit concoctus,
antequam secundum dent. Dato cibo, quom perpurgarunt caput, nequos habeat pedes,
rursus eas concludunt. Hoc faciunt usque ad dies XXV; tunc denique pingues
fiunt. [21] Quidam et triticeo pane intrito in aquam, mixto vino bono et
odorato, farciunt, ita ut diebus XX pingues reddant ac teneras. Si
in farciendo nimio cibo fastidiunt, remittendum in datione pro portione, ac
decem primis processit, in posterioribus ut deminuat eadem ratione, ut
vicesimus dies et primus sint pares. Eodem modo palumbos farciunt ac reddunt pingues.
[6] Non si procede a emendare
tutti i verbi alla II oppure alla III persona singolare. Però si traduce
con la II persona singolare nonostante l'imperativo farcito sia
adatto sia per l'una che per l'altra. - De agricultura, 89: Gallinas
et anseres sic farcito. Gallinas
teneras, quae primum parient, concludat. Polline vel farina hordeacia
consparsa turundas faciat, eas in aquam intingat, in os indat, paulatim
cotidie addat; ex gula consideret, quod satis sit. Bis in die farciat et
meridie bibere dato; ne plus aqua sita siet horam unam. Eodem modo anserem
alito, nisi prius dato bibere et bis in die, bis escam.
[7] Mai sentito dire che si castrassero anche le galline, nonostante sia possibile. Non si è mai finito d’imparare! Forse l’eviratore di galline era il medico Michele Savonarola, nonno del famosissimo Girolamo. Le galline castrate furono decantate anche dal medico e poeta Giovanni Battista Fiera. Si veda Aldrovandi a pagina 294: Sic humens Gallina vices huic cedet honoras | Vel nigra, vel partus sit licet indocilis. – Michele Savonarola Practica medicinae sive de aegritudinibus (1497) tractatus ii, cap. i, rubrica i: Infertur tertio quod febrientibus competunt magis gallinae iuvenes castratae. Nec miretur quisque de castratura gallinarum: nam satis habeo in domo. Et sine dubio caro earum est albior, et mollior, et frangibilior: et statim cum sunt decoctae sunt tenerae et esui delectabilissimae: remque istam ut expertam scribo. - Practica canonica (1560) de febribus, cap. iv, de diaeta febrium in universali, rubrica ii de cibis temperatis: Pullus moderate pinguis, qui non coire coeperit. Capones & caponissae moderate pingues.
[8] Naturalis historia XXI,82: Si cibus sentiatur deesse apibus, uvas passas siccasve ficos tusas ad fores earum posuisse conveniat, item lanas tractas madentes passo aut defruto aut aqua mulsa, gallinarum etiam crudas carnes. quibusdam et aestatibus iidem cibi praestandi, cum siccitas continua florum alimentum abstulit. Alvorum, cum mel eximatur, inlini oportet exitus melissophyllo aut genista tritis, aut medias alba vite praecingi, ne apes diffugiant. Vasa mellaria et favos lavari aqua praecipiunt, hac decocta fieri saluberrimum acetum.
[9] Naturalis historia XXXIII,64: Marmori et iis, quae candefieri non possunt, ovi candido inlinuntur, ligno glutini ratione conposita; leucophorum vocant. quid sit hoc aut quemadmodum fiat, suo loco docebimus. Aes inaugurari argento vivo aut certe hydrargyro legitimum erat, de quis dicemus illorum naturam reddentes.
[10] Naturalis historia XXIX,51: Et, ne quid desit ovorum gratiae, candidum ex iis admixtum calci vivae glutinat vitri fragmenta; vis vero tanta est, ut lignum perfusum ovo non ardeat ac ne vestis quidem contacta aduratur.