Ulisse Aldrovandi
Ornithologiae tomus alter - 1600
Liber
Decimusquartus
qui
est
de Pulveratricibus Domesticis
Libro
XIV
che tratta
delle domestiche amanti della polvere
trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti
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{Hermolaus}[1] <Janus Cornarius> enim haec Aeginetae
verba super his ovis ἀναδεύθεντα ὠμά μετὰ γάρου καὶ οἴνου καὶ ἐλαίου, καὶ ἐν διπλόμασι συμμέτρως πηγνύμενα: Sic vertit: cruda
cum garo, vinoque ac oleo subacta{.} <> (Albanus
irrigata vertit, et diplomata inepte vasa aenea, testaceave) in
duplici vase coquuntur, donec mediocriter condensentur. Ἀναδεύειν vero
verbum compositum permixtionem, quae per totum fiat, praesertim in
humido, vel liquido significare videtur. Hanc enim vim praepositio
ἀνὰ in
compositione quandoque habet, nam et extra compositionem ultro citroque
significat. Itaque ova cum oleo, et vino, ἀναδεδευμένα permixta, et agitata vertere licebit:
ita ut tale fere hoc ferculum fuisse videatur, quale apud Germanos
Ornithologus ius quoddam esse tradit, cui vulgo a vino calido nomen: ait
tamen densius esse, neque ova integra permanere, sed frangi,
et agitari. |
Infatti
Janus Cornarius
le seguenti parole di Paolo di Egina riguardanti queste uova anadeúthenta
ømá metà gárou kaì oínou kaì elaíou, kaì en diplómasi summétrøs
pëgnúmena le traduce così: crude sbattute con salsa di pesce e
con vino e olio (Alban Thorer traduce con innaffiate, e i diplomata
- vasi a doppio recipiente per bagnomaria - li traduce stoltamente con
vasi di bronzo o di terracotta) vengono cotte in un vaso duplice fino
a quando non si sono rassodate un pochino. In verità il verbo
composto anadeúein - inumidire, innaffiare - sembra significhi
un mescolamento che si pratica a carico del tutto, specialmente quando
una sostanza è umida o liquida. Infatti talora in una parola composta
la preposizione anà ha questo significato, infatti anche al di
fuori di una parola composta significa al di là e al di qua. Pertanto
le uova anadedeuména con olio e vino sarà lecito tradurle con miscelate
e sbattute: tant’è che sembrerebbe che questa portata fosse
praticamente equivalente a un certo brodo che l’Ornitologo riferisce
esserci presso i Tedeschi, al quale nel parlare corrente viene dato il
nome dal vino caldo: tuttavia dice che è più denso e che le uova non
rimangono intere, ma che vengono strapazzate e agitate. |
Qui itaque exaphetà,
et pnicta eadem putant, toto errant caelo, inter quos
Hermolaus est, vir alioquin nullis non praeferendus, qui deinde dum
pnicta interpretatur, quae in aquam calidam mittuntur, immergunturque
cum garo, etc. quoque perperam scripsit, ut ex Galeni, et Aeginetae
verbis iam recitatis facile percipitur. Nec Caelius quoque rem acu
tetigit, pnicta Galeno vocari existimans, quod praefocari videantur, dum
certo genere coquuntur, etc. Nam et hic verbi ἀναδεύειν vim non animadvertit. Germani,
teste Ornithologo[2], huiusmodi genus cocturae appellant
Verdempffen, hoc est, ut Germanus quidam mihi exposuit, suffocare,
quoniam vase operto, et incluso intus vapore veluti suffocari videatur,
quod intus coquitur: unde etiam inquit, non inepte ova pnicta Germanice
dixeris Verdempffte eyer, hoc est ova suffocata. Nobis ut opinor,
recte affogata dici queant. Quod ad bonitatem ovorum pnictorum attinet,
Galenus[3] ea elixis (hepht<h>is[4], id est duris) et assis meliora esse
scripsit. Equidem videntur pnicta tanquam in diplomate cocta, cum
sapidiora esse, idque condimentorum quoque ratione, tum magis lenire, ac
mitigare, quam quae in vase statim igni imposito parantur: nam haec
facilius empyreuma[5] aliquod trahunt. |
Pertanto
coloro che ritengono che le exaphetá e le pnictá sono la
stessa cosa, si sbagliano di grosso, tra i quali si trova Ermolao, un
uomo che per altri versi bisogna anteporre a tutti, il quale pertanto
quando traduce come pnictá quelle che vengono messe in acqua
calda e vengono immerse insieme a salsa di pesce, etc, ha pure scritto
in modo sbagliato, come si può facilmente dedurre dalle parole di
Galeno e di Paolo di Egina appena citate. E neppure Lodovico
Ricchieri
ha messo il dito nella piaga, ritenendo che quelle pnictá
vengono così chiamate da Galeno in quanto sembra che vengono soffocate
quando vengono cotte in un certo modo, etc. Infatti anche lui non si
accorge del significato del verbo anadeúein. I Tedeschi, come
dice l’Ornitologo, chiamano questo tipo di cottura verdempffen,
cioè, come mi ha spiegato un Tedesco, soffocare, in quanto ciò che
viene cotto all’interno di un vaso coperto, e con il vapore
imprigionato all'interno, sembra quasi che venga soffocato: per cui,
soggiunge ancora, in tedesco le uova pnictà potresti giustamente
chiamarle verdempffte Eyer, cioè uova soffocate. A mio avviso,
da noi Italiani potrebbero giustamente essere dette affogate. Per quanto
riguarda la bontà delle uova affogate, Galeno ha scritto che esse sono
migliori di quelle bollite (hephthá, cioè cotte sode) e di
quelle arrostite. In realtà quelle affogate sembrano cotte come a
bagnomaria, ed essendo più saporite, e ciò anche a causa dei
condimenti, hanno maggior potere lenitivo e ristoratore di quelle che
vengono preparate in un vaso messo di colpo sul fuoco: infatti queste più
facilmente portano con sé un qualche residuo. |
Sorbilia ova
ῥοφητά
Graeci
dicunt: at quae et haec sint, non satis inter authores convenit, vel ob
synonymorum copiam non convenire apparet. Galenus[6] quem sequi placet, ova ῥοφητά
vocari
asserit, quae dum coquuntur, excalfiunt tantummodo. Haec alias quoque liquida appellantur: non enim,
ut Caelius, et Hermolaus putant liquida cum tremulis, et mollibus eadem
sunt. Mollibus enim panis intingi solet, liquida, hoc est, excalfacta
per se tantum ebibuntur, unde nobis vulgo ova da bere dicuntur,
solentque paulo ante prandium ditioribus exhiberi cum modico salis.
Ita et
Brasavolus recte sorbilia interpretatur, quae coctura sua vix coepere
condensari. His, inquit, non utimur, nisi cum ova sint recentissima, ut
naturalem adhuc Gallinae calorem fervent: et revera nisi unius diei ova
sint, sequenti die eiusmodi coctionem vix admittunt. |
I
Greci chiamano rhophëtá le uova da sorbire: ma anche su cosa
siano queste uova non esiste abbastanza accordo tra gli autori, oppure
è evidente che non si mettono d’accorto a causa dell’abbondanza dei
sinonimi. Galeno, che ho l'intenzione di seguire, asserisce che vengono
dette uova rhophëtá quelle che mentre vengono cucinate si
scaldano appena. Usando un altro termine, esse sono anche dette liquide:
infatti, come ritengono Lodovico Ricchieri ed Ermolao Barbaro, quelle
liquide non sono la stessa cosa di quelle tremule e molli. In quelle
molli abitualmente vi si intinge il pane, quelle liquide, cioè
riscaldate, vengono unicamente bevute da sole, per cui nel parlare
corrente vengono da noi chiamate uova da bere, e vengono
abitualmente servite ai più facoltosi con un pochino di sale poco prima
di un pranzo. Così anche Antonio Brasavola interpreta correttamente
come uova da sorbire quelle che attraverso la cottura hanno appena
cominciato a rassodarsi. Egli dice: non
ce ne serviamo se non quando le uova sono state appena deposte, in modo
che conservino ancora il calore naturale della gallina: e in
verità se non si tratta di uova di un giorno solo di vita, il giorno
successivo a stento accettano che vengano cotte in questo modo. |
Cum itaque paulo magis coquuntur, ut e
putamine educta tremere videantur, Graecis τρομητά, id est, tremula, Dioscoridi[7] aliquando ἁπαλά
dicuntur,
Corn. Celso mollia, nonnullis recentioribus etiam tenera, et
tenella. Sin duritiem aliquam acceperint ἑφθά
et ἑψηθέντα
absolute Galeno, et Simeoni Sethi non simpliciter elixa vocantur,
quemadmodum quae omnino induruerint σκληρά,
hoc est, dura, etiamsi Galenus quandoque epht<h>a, et dura pro
eisdem sumere videatur. Haec nos ova paschalia vulgo dicimus, quod in
die {paschatis} <Paschatis> in templum sacerdoti benedicenda
offerantur. Atque hi fere sunt elixorum ovorum coctionis modi, quae
omnia generaliter ἀυγοκούλικα[8]
Simeon Sethi nominavit, ea inquam omnia, sive parum sive multum, modo in
aqua cocta forent. |
E
quando vengono cotte un po’ di più, tanto che le si vede tremolare
quando vengono liberate dal guscio, dai Greci vengono dette tromëtá,
cioè tremule, e talora hapalá da Dioscoride, molli da Cornelio
Celso, da alcuni autori più recenti anche tenere e tenerine. Se hanno
acquisito un pochino di consistenza, da Galeno e da Simeon Sethi
vengono dette senza mezzi termini hephthá e hepsëthénta
- lessate - e non semplicemente cotte, così come quelle che sono
diventate completamente dure le chiamano sklërá, cioè sode,
anche se talora Galeno sembra intendere come equivalenti quelle lessate
e quelle sode. Noi comunemente chiamiamo queste uova pasquali, in
quanto il giorno di Pasqua vengono offerte in chiesa al sacerdote perché
vengano benedette. E queste sono praticamente le modalità di cottura
delle uova bollite, che in modo onnicomprensivo Simeon Sethi ha
denominato augokoúlika, e io direi che sono tutte quelle che
vengono cotte solamente in acqua sia poco sia molto. |
De quorum omnium, antequam ad alias coctiones
procedamus, salubritate parum dicendum est. Ovum sorbile, inquit
Galenus[9], cibus est levissimus. Et rursus[10], boni succi est non calefacit, vires potest
reficere acervatim: antiquitus sumebatur cum garo, lenit gutturis asper{r}itates:
Et Celsus[11], Ovum sorbile, inquit, boni succi est,
pituitam crassiorem facit, imbecilli<ssi>mae materiae est (id
est minimum alit, ut durum validissime) ovum molle, vel sorbile:
eadem minime inflant. Brasavolus tradit multos sese vidisse, qui ex
sorbili<b>us ovis molliorem ventrem habuere, et nonnullos, qui uno
etiam exhausto, quinquies, vel sexies deiicerent. Haec olim pro matutino
erant ientaculo, et gustula vocabantur, ut ex Apuleio[12] colligere est, dum ait.<:> Nunc etiam
cogitas (alloquitur Gallinam), ut video, gustulum praeparare,
quo gustulo nihil, me iudice, est iucundius, et nullus alius cibus, qui
alat, neque oneret, simulque vini usum, et cibi praebeat. |
Prima
di procedere ad altri tipi di cottura conviene accennare alle
caratteristiche salutari di tutte quante. Galeno dice: L’uovo da
sorbire è un alimento leggerissimo. E ancora: Ha un buon sapore,
non scalda, può ripristinare completamente le energie: in passato
veniva bevuto con salsa di pesce, allevia le irritazioni della gola.
E Celso dice: L’uovo da sorbire ha un buon sapore, rende più
grasso il catarro, l’uovo molle o da sorbire è costituito da
materiale del tutto privo di energie (cioè nutre pochissimo, mentre
quello duro nutre moltissimo): le uova molli o da sorbire non danno
praticamente gonfiore di pancia. Antonio Brasavola riferisce di aver
osservato molte persone che hanno ottenuto dalle uova da sorbire un
intestino più sciolto, e alcuni che dopo averne bevuto anche solo uno
avevano cinque o sei scariche di diarrea. Una volta esse servivano da
colazione del mattino e venivano chiamate assaggini, come è possibile
dedurre da Apuleio quando dice: Adesso, come posso vedere, pensi
anche (si rivolge alla gallina) di preparare un assaggino,
del quale assaggino, a mio avviso, nulla è più gustoso, e nessun altro
cibo esiste che è in grado di nutrire e di non appesantire, e capace di
offrire contemporaneamente il vantaggio del vino e del cibo. |
Mollia sorbilibus plus nutriunt, dura plus
mollibus, Dioscoride, Galenoque testibus. Haec idem Galenus, et Symeon
Sethi ad nutriendum omnium praestantissima esse volunt, et Celsus[13] tanquam stomacho apta
commendat. |
Quelle
molli nutrono più di quelle da sorbire, quelle dure più di quelle
molli, come testimoniano Dioscoride e Galeno. Lo stesso Galeno e Simeon
Sethi sono dell’avviso che quelle molli superano di gran lunga tutte
le altre dal punto di vista nutritivo, e Celso le raccomanda come adatte
allo stomaco. |
[1]
In annot. in I. Gal. de comp. med. sec. loc. (Aldrovandi) - Neither the BM
nor BN catalogues list this work, although Barbarus edited Aristotle, Pliny,
Dioscorides and Pomponius Mela, among ancient authors. (Lind,
1963) – Lind ha perfettamente ragione. Infatti le annotationes al
trattato di Galeno – se ci fidiamo di Gessner – sono di Janus Cornarius
e non di Ermolao Barbaro. Conrad Gessner Historia Animalium III
(1555) pag. 436: Sed verbum Graecum ἀναδεύσαντες,
quo Galenus et Aegineta utuntur, non conspergere, sed
subigere et permiscere significat: quod miror nec Hermolaum, nec alios (quod
sciam) praeter Cornarium animadvertisse. Is
enim in annotationibus suis in Galeni libros de compos. medic. sec. locos,
haec Aeginetae verba super his ovis, [...].
[2]
Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 389.
[3] Lib. 3 de aliment. (Aldrovandi)
[4]
L’aggettivo greco hephthós significa cotto, lessato.
[5]
Il sostantivo greco neutro empýreuma significa carbone acceso
nascosto sotto la cenere, scintilla, residuo.
[6] Lib. 3 de aliment. (Aldrovandi)
[7] Libro II cap. 54 di Jean Ruel (1549).
[8] Una possibile etimologia di augokoúlika ci è fornita da Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 435: Symeon Sethi etiam αὐγοκούλικα ova nominat, quam vocem Gyraldus interpres relinquit, ea forte fuerint quae non ut exapheta extra testa, sive parum sive multum coquantur. Graecus quidem Symeonis textus corruptus videtur: nam post nominata simpliciter sorbilia, mollia, et dura, mox subijcitur: καὶ κοινῶς δὲ τούτων τὰ αὐγοκούλικα, nulla idonea constructione. Graeci quidem hodie vulgo ova vocant αὐγον. culica testas intelligo. nam et culleolam et guliocam (ut Calepinus scribit) nucis iuglandis summum et viride putamen dici invenio. - Simeon Sethi cita anche le uova augokoúlika, una parola che il traduttore Giglio Gregorio Giraldi tralascia, e forse erano quelle che a differenza delle exaphetá vengono cotte sia poco sia molto senza il guscio. In realtà il testo greco di Simeon Sethi sembra corrotto: infatti dopo essere state menzionate quelle da sorbire, quelle molli e quelle dure, subito dopo si aggiunge: kaì koinôs dè toútøn tà augokoúlika, senza alcun costrutto appropriato. Oggi i Greci chiamano abitualmente augón l’uovo. Per culica intendo i gusci. Infatti trovo scritto che l’involucro più esterno e verde della noce viene detto culleola e gulioca (come scrive Ambrogio Calepino).
[9]
Liber de Dynamidiis. (Aldrovandi)
- Noto anche come De alimentorum facultatibus.
(Lind, 1963)
[10] Lib. de comp. sec. loc. (Aldrovandi)
[11]
De medicina II,18,10: Tum res eadem magis alit iurulenta quam assa,
magis assa quam elixa. Ovum durum valentissimae materiae est, molle vel
sorbile inbecillissimae. - II,26,2: Minima inflatio fit ex venatione,
aucupio, piscibus, pomis, oleis, conchyliisve, ovis vel mollibus vel
sorbilibus, vino vetere. (Loeb Classical Library, 1935)
[12] Liber 9 de Asino aureo. (Aldrovandi)
[13] De medicina II,24,2: Stomacho autem aptissima sunt, [...] molle ovum, palmulae, nuclei pinei, oleae albae ex dura muria, eaedem aceto intinctae, vel nigrae, [...].