Ulisse Aldrovandi
Ornithologiae tomus alter - 1600
Liber
Decimusquartus
qui
est
de Pulveratricibus Domesticis
Libro
XIV
che tratta
delle domestiche amanti della polvere
trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti
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Tradito conservationis modo, coctionis ratio
explicanda sese nobis offert. Ova autem [299] diversis modis coqui,
et ad cibum parari solent, aut simpliciter, aut cum aliis admistis. Ordo
autem expostulare videtur de iis primum dicere, quae parantur
simpliciter. Coquuntur autem haec vel in aqua, vel sub cineribus calidis,
vel in sartagine. Et quanquam quovis horum modo magis, minusve liquida,
et dura fiant pro coctionis modo de iis tamen, quae in aqua elixantur
maxime sentiunt authores, cum sorbilia, mollia, durave, aut similibus
ova nominibus appellant. Licebit autem horum proportione comparationeque
de iis etiam, quae alio coquendi modo magis, minusve cocta fuerint, quid
sentiendum sit iudicare. |
Dopo
aver esposto il modo di conservarle, mi si offre il motivo di spiegare
come cuocerle. Infatti le uova vengono abitualmente cotte e preparate
come cibo in modi diversi, o da sole o mischiandole ad altri
ingredienti. Ma mi sembra che motivi di ordine richiedano che si parli
prima di quelle che vengono preparate in modo semplice. Queste vengono
cotte o in acqua o sotto le ceneri calde, oppure in padella. E anche se
in uno qualunque dei modi suddetti diventano più o meno liquide e dure
a seconda di quanto vengono cotte, tuttavia gli autori esprimono
un’opinione assai positiva per quelle che vengono cotte in acqua, e le
uova le chiamano o da sorbire, o molli, o dure o con nomi analoghi. Ma
facendo analogie e confronti si potrà esprimere un giudizio su cosa si
deve pensare anche di quelle che sono più o meno cotte usando un altro
modo di cucinarle. |
Coctura ovorum, quae in aqua fit, melior est
caeteris, et quae in calidis cineribus melior, quam quae in sartagine,
nempe si eiusdem generis semper inter se conferas, dura duris, mollia
mollibus. Nam mollia in cineribus, duris in aqua
coctis oportet praeferre[1] <, Brasavolus>. Cur vero in aqua cocta ova meliora sint iis,
quae in igne, non leves sunt rationes. Tostum enim ovum, ut Caelii[2] verbis utar, dissilit facile, non dissilit aqua concoctum: ignea
siquidem vi, quodam ferrumine copulatur, quod inest, humectum,
ampliusque calefactum, exustumque plures parit spiritus: qui {loco
nati perangusto} <loca nacti perangusta>, exitum molientes testam rumpunt,
demumque evaporant. Praeterea flammae vis tunicam circumsiliens
putaminosam amburendo diffringit, quod et fictilibus evenire, dum
torrentur, evidens est. {Quemadmodum} <Quamobrem> perfundi frigida
prius solent ova: calida siquidem aqua {mollicie} <mollitie>
statim humorem effundit, et raritatem relaxat, quibus adde, si placet,
quod ova vel sub cineribus calidis, vel super carbones {ignotos} <ignitos> cocta
tetrum odorem spirant, malae contractae qualitatis evidentissimo signo.
Rursus ova elixa in aqua cum testis suis peiora sunt, quam fracta in
aqua, siquidem crassos, et fumosos halitus testa cohibet: unde ex
frequenti eorum esu inflatio oritur, et stomachi, ventrisque gravatio.
Sine testa vero cocta, naturalem suam humiditatem servant, et odoris sui
gravitatem deponunt, exuuntque; sunt tamen qui magis appetunt in testa
sua cocta, quam effusa, ex quorum numero se etiam fuisse scribit
Antonius Gazius.
Verum
quicquid isti dicant, mihi effusa magis probantur, quae proprio, eoque
cotidiano ferme usu sana, et ad gustum delicata offendi, maxime si quid
recentis butyri super affundatur. |
La
cottura delle uova in acqua è migliore delle altre, e quella che
avviene nelle ceneri calde è migliore di quella in padella, ovviamente
se le paragoni tra loro in base a uno stesso criterio, quelle dure con
le dure, quelle molli con le molli. Infatti conviene preferire quelle
cotte molli nelle ceneri a quelle fatte sode in acqua. Così ha scritto
Antonio Brasavola.
Ma perché le uova cotte in acqua siano migliori di quelle cotte nel
fuoco, i motivi non sono senza importanza. Infatti, per servirmi delle
parole di Lodovico Ricchieri, l’uovo abbrustolito si rompe
facilmente, non si rompe quello cotto in acqua: dal momento che a causa
dell’energia del fuoco ciò che si trova dentro viene unito insieme
come da una colla, umido e ancor più riscaldato e bruciato genera
numerosi vapori: i quali essendo venuti a trovarsi in un luogo molto
ristretto, cercando una via d’uscita, rompono il guscio, e alla fine
evaporano. Inoltre l’energia della fiamma assalendo da ogni parte la
tunica del guscio la spezza bruciandola tutt’intorno, e si può
osservare che ciò accade anche ai vasi di terracotta quando vengono
torrefatti. Motivo per cui abitualmente le uova vengono per prima cosa
immerse in acqua fredda: infatti l’acqua calda con la sua minor densità
fa subito fuoriuscire l’umidità e fa dilatare le porosità, a cui
aggiungi, se vuoi, che le uova cotte o sotto le ceneri calde, o sopra ai
carboni ardenti, emettono un odore sgradevole, come evidentissimo segno
che hanno acquisito una cattiva qualità. Inoltre le uova cotte in acqua
con il loro guscio sono peggiori di quando vengono rotte nell’acqua,
dal momento che il guscio trattiene i vapori densi e fumosi: per cui dal
fatto di mangiarle frequentemente si genera un gonfiore e una pesantezza
di stomaco e di pancia. Ma cotte senza il guscio conservano il loro
naturale stato di idratazione e perdono e si spogliano della pesantezza
del loro odore; vi sono tuttavia coloro che le gradiscono maggiormente
cotte nel loro guscio anziché fatte spandere, al gruppo dei quali
Antonio Gazio scrive di aver appartenuto. A dire il vero, qualunque
cosa dicano costoro, io preferisco di più quelle fatte spandere, che ho
trovato gustose e dal sapore delicato in seguito a un mio e oltretutto
quasi quotidiano impiego, soprattutto se vi viene versato sopra un po’
di burro fresco. |
Ita cocta ova nostrae mulierculae, et coqui
ova disperdute nuncupant, Graeci, ut recte Ornithologus coniicit, ἐξαφητά, etsi alioqui doctissimum Hermolaum[3] exapheta cum pnictis eadem facere noverim,
et Brasavolus[4] quandoque absque testa, quandoque cum testa
in aqua coqui dicat. Nam revera Ornithologi coniectura solidis,
firmisque nititur rationibus. Ego inquit, apud Graecos scriptores <veteres[5]>,
reperiri hoc nomen non puto. Lexicorum
quidem scriptores, qui vocabula, vel Graece, vel Latine exposuerunt, non
ponunt. Videntur
autem ἐξαφητά, syllaba ultima acuta, ova
appellari, quae e testis suis effusa coquuntur integra, sive in aquam
calidam, ut sorbilia, vel mollia coquenda, sive aliter, ut pnicta, ut
quidam putant. Nam si non integra, sed fracta, {ruptaque}
<mistaque> liquoribus addendis coquuntur pnicta, non putarim
exaphetà vocanda. |
Le
nostre donne chiamano disperdute le uova cotte in questo modo e
il fatto di cuocere le uova, e i Greci, come giustamente arguisce
l’Ornitologo, le chiamano exaphëtá, anche se d’altra parte
io sono al corrente che il dottissimo Ermolao Barbaro ritiene le exaphëtá
identiche a quelle fatte cuocere in un vaso ben chiuso, e Antonio
Brasavola dice che talora vengono cotte in acqua senza guscio, talora
col guscio. Infatti in realtà la conclusione dell’Ornitologo si regge
su motivazioni solide e robuste. Egli dice: Non ritengo che presso gli
antichi scrittori greci si trovi questo termine. Infatti i lessicografi
che hanno riportato i vocaboli o in greco o in latino non lo riportano.
Infatti sembra che vengano chiamate exaphëtá, con l’ultima
sillaba accentata, quelle uova che vengono cotte intere dopo che
sono state riversate dai loro gusci sia dentro all’acqua calda come
quelle da bere o da cuocere à la coque, sia in altro modo, come
quelle soffocate, come alcuni ritengono. Infatti se quelle soffocate
vengono cotte non intere, ma fracassate e mischiate con l’aggiunta di
liquidi, non ritengo che vadano dette exaphëtá. |
Quod ad
vocabuli originem, certi nihil habeo. His scriptis locum Simeonis Sethi
inveni, quem aliis errandi occasionem dedisse video. Sunt autem verba
haec: ἐπαινοῦνται
δὲ τὰ πνικτά
ὡσπερ γε καὶ
τὰ ὀνομαζόμενα
ἐξεφετά
(Gyraldus legit ἔξεφθα, quasi ἔξω τοῦ ἰδίου
κελύφους
ἑψόμενα insinuans.
Sed
hoc nomen apud alios authores non extat. Malim ego ἐξαφετά
legere, hoc est, emissa, et effusa a verbo ἀφίημι.
Talia autem vocabula non usitata veteribus Graecis, nec analogice
composita non pauca recentiores habent a vulgo sumpta) τὰ
ἐπὶ θερμοῦ
ὕδατος
σκευαζόμενα,
hoc est, laudantur, quae pnictà dicuntur, et exaphetà, quae in aqua
calida coquuntur. Quod autem intelligat de iis, quae in aquam calidam e
testa sua effunduntur, vel hinc patet, quoniam de aliis iam supra egerat,
et quod haec ova ab aliis etiam, praesertim Arabibus, quos Simeon in
multis sequi solet, probantur, et quod Galenus quoque meminit post pnictà,
periphrastice nominans τὰ
ἐπιχεόμενα
ἄνωθεν ταῖς
λοπάσιν,
hoc est, patellis (calidam scilicet continentibus) infundi solita.
Symeon autem cum caetera ex Galeno[6]
mutuatus sit, hanc etiam partem non omissam ab eo credendum est. |
Per
quanto riguarda l’origine del vocabolo - continua l’Ornitologo - non
posseggo nulla di certo. In questi scritti ho trovato un passaggio di
Simeon Sethi che a mio avviso ha dato l’occasione ad altri di
sbagliare. Infatti queste parole: epainoûntai dè tà pniktà høsper
ge kaì tà onomazómena exephetá - quelle soffocate vengono
apprezzate come quelle dette exephetá (Giglio Gregorio Giraldi
legge éxephtha, quasi insinuando che éxø toû idíou kelýphous
hepsómena – fatte cuocere al di fuori del proprio guscio.
Ma questa parola non esiste presso gli altri autori. Io preferirei
leggere exaphetá, cioè fatte uscire e disperse, dal verbo aphíëmi
– faccio uscire. Infatti tali vocaboli non sono usati dagli
antichi Greci, e quelli più recenti ne hanno composti non pochi per
analogia desumendoli dal parlare comune) significano tà epì thermoû
hýdatos skeuazómena, cioè, vengono lodate quelle dette soffocate
e exaphetá, che vengono cotte in acqua calda. Ma che voglia
indicare quelle che vengono fatte uscire dal loro guscio dentro
all’acqua calda è chiaro anche da questa frase, in quanto aveva già
disquisito delle altre in precedenza, e in quanto queste uova vengono
apprezzate anche da altri, soprattutto dagli Arabi, che Simeon Sethi è
solito seguire in molti punti, e in quanto anche Galeno ne fa menzione
dopo quelle soffocate, citando con una perifrasi tà epicheómena ánøthen
taîs lopásin, cioè, quelle che vengono solitamente versate in
padelle (che ovviamente contengono acqua calda). Ma siccome Simeon Sethi
ha dedotto altre cose da Galeno, bisogna credere che da parte sua non è
stata omessa neppure questa parte. |
Nostri haec vocant in wasser gefelt, in
wasser geflagen, (hoc est in aquam infusa) et vel per se edenda aegris
praesertim afferre solent, vel coctis panis segmentis imposita. In his
parandis, inquit Galenus, similiter ut in pnictis curandum est, ne supra
mediocrem substantiam incrassentur: sed cum adhuc succum suum retinent,
vas ab igne submovendum. Hactenus ille. |
I
nostri - prosegue l’Ornitologo - chiamano queste uova in wasser
gefelt, in wasser geflagen, (cioè versate in acqua), e sono soliti
darle da mangiare soprattutto ai malati o da sole, oppure mettendole
sopra a fette di pane cotte. Nel prepararle, dice Galeno, così come per
quelle soffocate, bisogna fare attenzione che non si induriscano troppo:
ma quando hanno ancora il loro liquido bisogna togliere la pentola dal
fuoco. Sin qui l’Ornitologo. |
Pnicta[7] autem parantur {adhunc} <ad hunc>
modum<:> conspersis, oleo, et garo, et pauco vini ovis (ita
vulgaris translatio apud Galenum[8] habet) vas, quo continentur, cacabo aquam
calidam habenti inditur, dein <ubi ipsum totum superne obturarint>[9] ignis substernitur, donec mediocrem
nanciscantur substantiam. Quae enim supra modum crassescunt, elixis, et
assis fiunt similia: mediocrem vero crassitiem adepta, et melius, quam
dura concoquuntur, et alimentum corpori dant praestantius, sed verbum
[300] ἀναδεύσαντες, quo Galenus[10], et Aegineta utuntur, non conspergere, sed
subigere, et permiscere significat: quod miror, nec Hermolaum, nec alios
(quod sciam) praeter unum Cornarium animadvertisse. |
Quelle
soffocate si preparano in questo modo: dopo aver cosparso le uova con
olio, salsa di pesce e un po’ di vino (così riporta la corrente
traduzione di Galeno), il recipiente in cui sono contenute viene
introdotto in un paiolo con dentro dell’acqua calda, quindi, dopo
averlo chiuso completamente nella parte superiore, gli si mette sotto il
fuoco sino a quando hanno raggiunto una modesta consistenza. Infatti
quelle che si induriscono oltre un certo grado diventano simili a quelle
bollite e arrostite: ma quelle che hanno raggiunto una consistenza
mediocre vengono digerite anche meglio di quelle sode e forniscono al
corpo un nutrimento migliore, ma il verbo anadeúsantes, di cui
si servono Galeno e Paolo di Egina, non significa cospargere, bensì
immergere e mescolare: mi meraviglio che né Ermolao Barbaro né altri
(per quanto ne so) se ne siano accorti, eccetto il solo Janus Cornarius. |
[1] La citazione è tratta da Antonio Brasavola, come puntualizza Gessner, e finisce qui. Se non disponessimo del testo di Gessner, quello di Aldrovandi sembrerebbe strampalato, in quanto si contrappone a ciò che subito segue. - Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 437: Coctura ovorum quae in aqua fit, melior est caeteris: et quae in calidis cineribus, melior quam quae in sartagine, nempe si eiusdem generis semper inter se conferas, dura duris, mollia mollibus. nam mollia in cineribus, duris in aqua coctis praeferre oportet, Brasavolus.
[2]
Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 418: Tostum
ovum dissilit facile, non dissilit aqua concoctum: ignea siquidem vi, quodam
ferrumine copulatur quod inest, humectum ampliusque calefactum exustumque,
plures parit spiritus: qui loca nacti perangusta, exitum molientes testam
praerumpunt, demumque evaporant. Praeterea
flammae vis tunicam circumsiliens putaminosam, amburendo diffringit: quod et
fictilibus evenire dum torrentur, evidens est. Quamobrem perfundi prius
frigida solent ova. calida siquidem aqua mollicie [mollitie] statim humorem
effundit, et raritatem relaxat, Caelius. Vide
Aphrodisiensem problem. 1.102.
[3]
Hermolaus in Corollario. (Gessner)
[4] Brasavolus in Aphorismos. (Gessner)
[5] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 435: Ego
apud Graecos scriptores veteres reperiri hoc nomen non puto, Lexicorum
quidem scriptores qui vocabula vel Graece vel Latine exposuerunt, non ponunt. [...] Nam si non integra, sed fracta mistaque
liquoribus addendis coquuntur pnicta, [...].
[6] Liber 3 de alimentis, cap. de ovis. (Aldrovandi - Gessner)
[7] L’aggettivo greco pniktós significa soffocato, strangolato, cotto in vaso ben chiuso, stufato.
[8]
Liber de alimentorum facultatibus. (Aldrovandi)
[9] Aldrovandi si dimentica di chiudere il paiolo, per cui gli si emenda la memoria. - Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 436: Ubi ipsa oleo et garo et pauco vini conspersa fuerint, vas, quo continentur, cacabo aquam calidam habenti indunt. Deinde ubi ipsum totum superne obturarint, ignem substruunt, quoad ova mediocrem habeant consistentiam.
[10]
Liber de alimentorum facultatibus. (Aldrovandi)