|
Ed eccoci di fronte a un Aldrovandi osservatore e sperimentatore che vuole risolvere una volta per tutte la vexata quaestio su cosa si svolga nell'uovo durante l'incubazione. Già l'autore ippocratico del De natura pueri aveva consigliato l'esperimento di rompere quotidianamente e per venti giorni consecutivi un uovo della stessa covata.
Come Janus Cornarius annota nella sua traduzione dal greco delle opere di Ippocrate (1546), già Galeno dubitava che il De natura pueri risalisse direttamente al maestro di Coo: Et de hoc Galenus dubitat Hippocratis ne an Polybi sit.
Anche i nostri esperti sono dell'avviso che la paternità potrebbe spettare al suo discepolo Polibo. Chiunque ne sia l'autore, anche ai tempi di Ippocrate (460 - ca. 370 aC) una sola gallina non era in grado di covare tutte le uova necessarie per uno studio embriologico giornaliero sequenziale sul pollo, laonde si consigliava di affidare almeno 20 e più uova a un adeguato numero di chiocce.
Sandra Tugnoli Pattaro - a pagina 21 del suo "Osservazione di cose straordinarie – Il De observatione foetus in ovis (1564) di Ulisse Aldrovandi" (Bologna, 2000) - cita uno stralcio del De natura pueri: "Prendete venti uova o più, e mettetele a covare sotto due galline o più; [...]", che a pagina 52 della traduzione di Cornarius suona così: "Etenim si quis ova viginti aut plura, quo pulli ex ipsis excudantur, gallinis duabus aut pluribus subijcere velit, [...]".
È quasi pleonastico chiedersi cosa avrebbe descritto
Aldrovandi se avesse avuto a disposizione un microscopio. Sta di fatto che
anticipò Aristotele di due giorni: infatti, se Aldrovandi riferisce le sue
osservazioni a partire dal secondo giorno d'incubazione, secondo Aristotele
conviene partire dal quarto giorno, in quanto, come afferma nel capitolo 3
del
libro VI della Historia
animalium: "Nelle galline, dunque, un primo segno [dell'embrione]
compare dopo tre giorni e tre notti; negli uccelli più grandi di queste
occorre più tempo, in quelli più piccoli meno." Malpighi, tecnicamente
più avvantaggiato, cominciò invece le sue osservazioni a partire dalla sesta
ora d'incubazione.
La cosa più sorprendente è il fatto che Aldrovandi si
sia spinto alla descrizione dei diversi componenti dell'occhio, contrariamente
ad Aristotele e ad Alberto Magno.
Contra Galenus id quod in ovo
primum apparet, caput pulli esse existimat. Si igitur pueri generatio
in utero eodem modo sese habeat, ut in ovo, quod doctissimis verbis
docere Hippocratem medicorum coriphaeum supra ostendimus, et ex
sanguinea illa gutta cor generetur, quod ex palpitatione, quae solius
cordis passio est, Aristoteles, Pliniusque probant, et ego meis oculis
vidi, non video, quomodo Galeni doctrina defendi queat, dum iecur
primum nasci putat. |
Al contrario Galeno ritiene
che la prima cosa ad apparire nell’uovo è la testa del pulcino. Se
pertanto la generazione di un bambino nell’utero si svolge allo
stesso modo che nell’uovo, cosa che abbiamo mostrato essere
insegnata con parole dottissime da Ippocrate corifeo dei medici, e che
da quella goccia di sangue si genera il cuore in quanto Aristotele e
Plinio lo dimostrano dal fatto che essa palpita, cosa che è
caratteristica del solo cuore e che io ho visto coi miei occhi, non
vedo come si possa voler difendere la dottrina di Galeno dal momento
che lui ritiene che il primo a nascere sia il fegato. |
Dobbiamo fare una premessa al paragrafo seguente in quanto
è necessario chiarire se le galline, nei tempi antichi e ancora ai tempi di
Aldrovandi, avessero una stazza enorme, oppure se pur avendo una corporatura
contenuta deponessero uova grandi come quelle di piccione. Tra poco Aldrovandi
affermerà di aver usato per le sue osservazioni 22 uova
che una gallina stava incubando. Dovevano essere uova di una bantam covate da
una gallina di stazza media, poiché se fossero state uova di 50-60
grammi
ognuna, nessuna gallina odierna, per gigante che sia, sarebbe in grado di
incubarne 22 in modo corretto. Starebbe seduta su una piramide
di uova e l'uniforme riscaldamento degli embrioni andrebbe a pallino, senza
trascurare ciò che accadrebbe quando la chioccia periodicamente le rigira.
Aldrovandi era conscio del numero di uova che bisogna affidare a una chioccia ed era anche al corrente dei consigli di un certo Florentinus [1]
Florentinus proponeva 23,
Varrone e Plinio consigliavano addirittura non più di 25,
Columella, più assennato, diceva che in gennaio non debbono essere più di 15,
19
a
marzo, 21 in aprile e per tutta l'estate fino alle calende di
ottobre.
Quindi anche ai tempi dei Romani le galline dovevano
essere ponderose. Aldrovandi, affidandosi alle donne di campagna, dà anche
lui il suo parere: "Sed nostrae mulieres semper fere non ultra septemdecim,
vel novemdecim glocientibus incubanda exhibent."(pag 223)
Quindi: 17-19 uova, un numero comunque eccessivo per noi del XX
secolo,
e che non corrisponde alle 22 uova che lui usò per le sue
osservazioni sull'embrione.
Ma, poche pagine prima di quella da cui parte la nostra
analisi del testo di Ulisse, e precisamente a pagina 194
troviamo un altro episodio che ci fa supporre la presenza di enormi galline
sin dai tempi remoti, non tanto per il numero di uova covate, ma per le
dimensioni che avevano tali uova.
Aldrovandi racconta: "Nam et Pierius Valerianus apud
Macedones Gallinam repertam asserit ex aliorum relatu quae duodeviginti semel
ediderit, et incubitu binos pullos ex ovis singulis excluserit."
"Infatti anche Pierius Valerianus
[2]
in base al
racconto altrui asserisce che presso
i Macedoni è stata trovata una gallina che una sola volta depose diciotto
uova, e che dopo averle covate ha fatto nascere da ogni uovo due pulcini."
Chi possiede galline che depongono uova con doppio tuorlo
sa per esperienza quanto queste uova siano grandi
.
Anche
se per correttezza scientifica Aldrovandi non esprime alcun giudizio su questo
fatto della gallina macedone, io voglio fare il diavoletto, e sfido chiunque a
trovare una gallina che sia in grado di coprire correttamente e far schiudere
diciotto delle sue uova con doppio tuorlo!
Ciò non sarebbe impossibile se tali uova fossero di una
nana e venissero affidate a una chioccia di razza gigante. Excluserit - dopo averle incubate - è terza persona singolare, per
cui le uova le aveva covate proprio la gallina macedone, per una volta
fetatrice di ben 18 uova consecutive gemellari nell’arco della sua
carriera di depositrice.
Molto più corretto fu Malpighi adducendo la fonte
materiale dei suoi due lavori sull'embrione. Per il primo esperimento afferma:
"Descrivo ora i cambiamenti da me osservati in uova covate da una
tacchina o da una gallina nostrana nel pieno dell'estate."
Quindi Malpighi aveva a disposizione una gallina e una
tacchina che avevano iniziato a covare contemporaneamente. Per il secondo
esperimento: "In un uovo covato da una tacchina nello scorso mese di
luglio[…]". E anche in questo caso non abbiamo nulla da
ridire, in quanto le tacchine accolgono sotto di sé comodamente 25-30
uova
abituali di gallina.
Non vorrei si pensasse che ci tengo in modo particolare a
rivestire il ruolo di avvocato difensore di Aldrovandi. Tuttavia progettò il
trattato di ornitologia il 22 novembre 1587,
il secondo volume uscì dalla topografia nel 1600,
mentre le sue osservazioni sull’embrione di pollo risalivano al 1564,
quando potrebbe non aver preso nota e quindi dimenticato il numero di chiocce
che aveva usato, anche se, a dire il vero, avrebbe potuto essere più
scientifico: bastava scrivesse: “...che forse una sola gallina stava
covando.” Ci avrebbe evitato questa disputa, che però ci ha acculturati.
Ma ritengo più equo indossare per l'ennesima volta la toga del detrattore di Ulisse. Come abbiamo puntualizzato in apertura del capitolo, possiamo evincere con certezza che ai tempi di Ippocrate le galline riuscivano a covare solo un numero di uova pari a quello delle loro colleghe del XXI secolo. È biologicamente scontato che nel 1564 le galline di Aldrovandi avevano le stesse doti di quelle di Ippocrate e delle nostre. Però Ulisse afferma: ex ovis duobus, et viginti, quae Gallina incubabat. Ciò implica una mancanza di precisione scientifica da parte di Aldrovandi, contrariamente a quanto dimostrato da Ippocrate, nonché da Marcello Malpighi. E se Aldrovandi è così superficiale a proposito di un dato alla portata di tutti, cosa racconterà nei suoi studi di embriologia che alla portata di tutti non sono?
Se ciò non bastasse alla mia filippica, sappiamo per certo che non condusse queste indagini da solo, bensì con la prestigiosa collaborazione di Volcher Coiter, anche se – come tra poco vedremo – da buon egocentrista Ulisse affermi quotidie unum cum maxima diligentia, ac curiositate secui.
Sandra Tugnoli così scrive a pagina 10 del suo Osservazione di cose straordinarie:
"Invero, come risulta dai documenti, la questione si presenta nei termini seguenti. Sebbene nell'inedito e nell'Ornithologia non menzioni collaboratori, Aldrovandi non effettuò l'indagine in oggetto isolatamente, bensì insieme con un'équipe di studiosi, entro la quale verosimilmente il ruolo di anatomista venne svolto precipuamente da Volcher Coiter, ma promotore dell'indagine fu Aldrovandi, suo maestro."
Una massima arcinota da me adottata come titolo dell'introduzione a questo trattato di genetica dice: Unicuique suum. Così meriti e demeriti vanno a chi di dovere: nel caso specifico anche a Coiter. Credo che Aldrovandi tendesse a mettere in pratica un'altra massima di vita: Quel che è mio è mio, e quel che è tuo è mio.
Insomma: con le 22 uova covate da una sola gallina il nostro Ulisse diventa per l'ennesima volta inaffidabile e non citando Coiter ribadisce il suo egocentrismo, come ha incessantemente dimostrato in tutte le migliaia di intestazioni alle pagine dei suoi trattati, dove, a pagine alterne, non campeggia l'argomento in oggetto, bensì Ulyssis Aldrovandi, come già abbiamo blaterato nel I volume.
Quominus enim huius partes agam, mihi obstat propria
observatio. Ut enim trivialis huius controversiae inter medicos, ac
philosophos veritatem indagarem, ex ovis duobus, et viginti, quae
Gallina incubabat, quotidie unum cum maxima diligentia, ac curiositate
secui, et Aristotelis doctrinam verissimam esse reperi: sed quia
istaec observatio, praeterquam quod scitu dignissima est, et ad
praeteritorum explicationem apprime idonea, et voluptatem in se non
mediocrem habeat, placuit eam hoc loco, quo brevius fieri possit,
inserere. |
È
infatti la mia stessa osservazione che mi impedisce di tenergli la parte [a
Galeno]. Al fine di indagare la verità di questa comune controversia
tra medici e filosofi, quotidianamente ho dissezionato con la massima
diligenza e curiosità un uovo delle 22 che una gallina stava incubando, e trovai che l’insegnamento
di Aristotele corrisponde perfettamente al vero. Ma poiché siffatta
mia osservazione, oltre al fatto di essere oltremodo degna di essere
conosciuta e in sommo grado idonea a chiarire le interpretazioni del passato,
contiene in sé non poco diletto, ho creduto giusto inserirla a questo
punto nel modo più sintetico possibile. |
Fig. IX. 18 - Cicatricula o discoblastula o blastoderma secondo i dati della moderna embriologia.
In
a il
disco germinativo è visto in superficie, in b è visto in sezione secondo un piano passante per S.
Nel pollo, all’atto
della deposizione dell'uovo, la discoblastula ha un diametro medio di circa 4 mm
e appare
distinta in due porzioni:
1
area pellucida, centrale e più trasparente, che darà
origine all’embrione;
2
area opaca, da cui si svilupperanno gli annessi
embrionali: sacco del tuorlo, amnios e corion, allantoide.
I
dati attuali sull’embrione di pollo sono i seguenti:
1° giorno
appena dopo l’inizio dell’incubazione
si rende visibile uno strato denso e appuntito di cellule verso l’estremità
caudale dell’embrione; si tratta della linea primitiva e rappresenta l’asse
longitudinale dell’embrione
|
16 h |
primo segno di rassomiglianza
a un embrione di pollo |
|
18 h |
comparsa del tratto alimentare |
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20 h |
comparsa della colonna
vertebrale |
|
21 h |
prende inizio il sistema
nervoso |
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22 h |
comincia a formarsi la testa |
|
24 h |
iniziano a formarsi gli occhi |
2° giorno
|
25 h |
inizia il cuore |
|
30 h |
inizia l’amnios |
|
35 h |
inizia l’orecchio |
|
42 h |
il cuore comincia a pulsare |
|
44 h |
si uniscono cuore e sistema
vascolare |
Sul finire del primo giorno
compaiono isolotti di sangue che poi daranno origine al sistema vascolare; la
loro fusione comincia in seconda giornata.
Alla fine del secondo giorno il sacco del tuorlo –
originato dall’area opaca della discoblastula – ha raggiunto l’equatore
del tuorlo, per completarsi pressoché in modo completo al 6°
giorno; permane una piccola area scoperta – l’ombelico ombelicale – che
scomparirà al 16° giorno. Il sacco è riccamente vascolarizzato
per poter trasferire per via sanguigna i materiali nutritivi.
Secundo
itaque ab incubatu die, luteum observavi deferri ad cacumen, aliquo
pacto alteratum, et in medio quasi subalbidum: cuius rei in primis
Aristoteles non meminit. In aliqua vero parte albuminis, quae pariter
erat alterata, semen Galli apparebat, quod tres illas videbatur
obtinere qualitates, quales iam ante diximus. |
Al
secondo giorno dall’inizio dell’incubazione osservai
che il tuorlo si spostava verso il polo acuto, presentandosi in
qualche modo alterato e al centro quasi bianchiccio, cosa di cui
innanzitutto Aristotele non fece menzione. In una parte dell’albume,
che ugualmente era alterata, appariva il seme del gallo, in quanto
mostrava di possedere quelle tre caratteristiche di cui abbiamo già detto
prima. |
3° giorno
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60 h |
inizia
il naso e l’allantoide |
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62 h |
iniziano
le zampe |
|
64 h |
iniziano
le ali e il becco |
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72 h |
si
scorge la coda |
|
|
comincia
la pigmentazione dell’occhio |
|
|
si
può scorgere l’allantoide |
|
|
l’amnios,
che ha cominciato a formarsi verso le 30 h d’incubazione, contorna ormai completamente l’embrione;
non è vascolarizzato; la parte esterna delle pieghe amniotiche formerà
il corion o sierosa, che si spinge alla periferia tendendo poi, per
azione dell’allantoide, ad accollarsi alle membrane testacee; all’atto
della schiusa l’amnios resta vincolato al guscio e il suo liquido
viene totalmente inghiottito dall’embrione. |
Tertia die ablato putamine in parte ovi obtusa, vidi
albumen, et reliquam substantiae ovi partem in superiori putamine
separatam. Recesserat autem albumen aliquantulum a putamine,
quemadmodum fieri videmus in ovis omnibus, quae minus recentia sunt.
Hinc Plinius ova schista appellat tota lutea, quae triduo incubatu
tolluntur. Vocat autem schista, teste Hermolao, quia dividantur, et
discedat vitellus a candido. |
Il terzo giorno,
dopo aver rimosso il guscio sul lato ottuso dell'uovo, vidi l’albume e la
restante parte della sostanza dell’uovo dislocata verso la parte
superiore del guscio. Infatti l’albume si era un pochino distanziato
dal guscio come vediamo accadere in tutte quelle uova che sono meno
recenti. Da ciò Plinio denomina uova schista
[limonite] quelle tutte gialle che vengono rimosse al
terzo giorno d’incubazione. Stando a Ermolao
[3]
,
le chiama schista [fissili] perché si dividono e si separa il vitello dal
bianco. |
Videbam item manifeste admodum membranas
illas tres, quas ovis inesse ex Alberto dixi, et ex Aristotele etiam
colligitur: neque verum est, quod secunda earum sit recenter genita.
Si enim illud ita esset, minime in ovis nondum incubatis conspiceretur.
Inest autem et his, ut etiam vidi, sed albior in incubatis caloris
causa. Eadem die vitellus videbatur versus ovi partem acutam: atque
hoc est, quod dicebat Philosophus. Effertur per id tempus luteus humor ad cacumen, ubi est
ovi principium, nam ibi est maior calor, et vis spermatis. Apparebat
etiam in albumine exiguum velut punctum saliens, estque illud quod
Philosophus cor statuit. Ex eo vero evidenter admodum videbam enasci
venae trunculum, et ab hoc duos alios ramulos proficisci, qui meatus
illi fuerint sanguiferi, quos ad utranque tunicam ambientem vitellum,
et albumen protendi ille dixerat. Sum autem omnino eius sententiae, ut
eiusmodi vias credam esse venosas, ac pulsatiles, sanguinemque in iis
contineri puriorem, principalium membrorum generationi, iecoris nempe,
et pulmonis, similiumque idoneum: adeo ut recte dixerit Philosophus,
tertia die signa apparere, an ova foecunda [fecunda] sint futura: licet eiusmodi
observatio in maiorum avium, utpote Cycnorum, Anserum, ac id genus
aliarum ovis locum minime habeat. In eiusmodi enim, ut idem
Philosophus testis est, paulo tardius ea signa apparent. |
E
così pure potevo molto chiaramente vedere quelle tre membrane che si
trovano dentro le uova come ho detto citando Alberto e come si può
cogliere anche da Aristotele, e non è vero che la seconda sia
generata di recente. Se infatti così fosse, non la si potrebbe
assolutamente osservare in uova non ancora incubate. Infatti in queste
uova è presente, come già vidi, ma è più bianca in quelle incubate
a causa del calore. Nello stesso giorno il vitello si trovava
verso il polo acuto dell'uovo e ciò è quanto asseriva il Filosofo: “In
questo periodo l’umore giallo si porta verso il polo acuto dove si
trova il principio dell’uovo; infatti qui c’è maggior calore e
forza dello sperma.” Nel contesto dell’albume era anche visibile
come come un piccolo punto pulsante, ed è ciò che il
Filosofo stabilì essere il cuore. In verità, da esso, in modo assai
evidente, potevo veder spuntare il piccolo tronco della vena, e da
questo dipartirsi due altri piccoli rami, che saranno stati quei dotti
sanguigni che egli aveva detto dirigersi alle due tuniche che
avvolgono il
tuorlo e l’albume. Infatti concordo
pienamente con le sue affermazioni dal momento che credo che tali dotti sono venosi, e pulsanti, e che il sangue in essi
contenuto è più puro, adatto alla generazione degli organi
principali, in
particolare del fegato e dei polmoni e di altre strutture simili. Tant’è
che il Filosofo disse correttamente che al terzo giorno appaiono i
segni se le uova saranno feconde. Sebbene non sia minimamente
possibile effettuare una siffatta osservazione in uova di uccelli di
stazza maggiore come cigni, oche
e altri soggetti di questo tipo. Infatti in tali uccelli, come anche
il Filosofo è testimone, tali segni appaiono un po’ più
tardivamente. |
|
|
inizia
la lingua |
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- |
cominciano
a formarsi i vasi dell’allantoide; insinuandosi fra amnios e corion, l’allantoide
costringe il corion ad accollarsi alle membrane testacee e i suoi vasi
sanguigni rapidamente vascolarizzano anche il corion: si costituisce
così l’allantocorion o membrana corionallantoidea. |
Quarta die bina videbantur puncta, et quodlibet eorum sese
movebat: quae haud dubio cor, et iecur fuerint, quae viscera in ovis
triduo incubatis idem dixit. Apparebant
item duo alia puncta nigricantia, nempe oculi: et iam luteum manifeste
ad acutam ovi partem, ubi maior calor est, et spermatis vis sese
receperat. Trahitur autem a spermate illud pro carnis generatione, ut
in omnibus animantibus fit, quae sibi simile generant. |
Il quarto giorno si potevano scorgere due punti e ognuno di essi si
muoveva: senza dubbio erano il cuore e il fegato, visceri che egli disse essere presenti nelle uova
incubate da tre giorni. Erano
parimenti visibili due altri punti nerastri, precisamente gli occhi. E ormai
il tuorlo si era ritirato in modo evidente verso il polo acuto dove il
calore è maggiore come pure la forza dello sperma. Infatti esso viene attratto dallo sperma per la
generazione della carne, come
accade in tutti gli esseri viventi che generano un essere simile a sé
stessi. |
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- |
formazione
degli organi riproduttivi e differenziazione del sesso |
|
- |
Quinta die non amplius punctum illud quod cor esse diximus, extra videbatur moveri,
sed obtegi, ac cooperiri, et duo illi meatus venosi evidentiores
conspiciebantur, alter vero maior altero: nec verum est, quod Albertus
scripsit, apparere in tunica illa, quae albumen includit: nisi forte
id de tertia tunica, seu secundina dixerit, cui evidenter venae insunt,
nam alioqui in illa nullius venae vestigium inerat. Harum venarum
insita vi reliqua albuminis portio quasi in palearem colorem immutatur.
Videbantur etiam ramuli ad locum tendere, in quo caput formatur, eo
scilicet puriorem materiam, a qua caput, ac in eo cerebrum fiat, una
cum virtute formatrice deferentes. Erat autem capitis
fabrica valde rudis adhuc ac informis: oculi vero conspectiores, atque
ervi quasi magnitudine. |
Il quinto giorno, quel punto che abbiamo
detto essere il cuore non sembrava battere in modo maggiore, bensì
che si nascondesse e venisse coperto, e quei due dotti venosi
apparivano più evidenti, in verità uno più grande dell’altro. E
non è vero quello che scrisse Alberto, che cioè essi compaiono in
quella tunica che avvolge l’albume, a meno che forse lui volesse
alludere alla terza tunica, o del secondamento, nella quale si trovano
delle vene chiaramente visibili, del resto, infatti, in quella
avvolgente l’albume non c’era nessuna traccia di vena. Per
l’insita forza di queste vene la restante parte dell’albume si
trasforma quasi in color paglia. Si scorgevano anche dei ramuscoli
tendere verso quel punto dove si forma la testa, recandovi, insieme
alla forza formatrice, un materiale più puro, dal quale si forma il
capo e, al suo interno, il cervello. L’abbozzo del capo era ancora
molto rudimentale e informe. Gli occhi, a dire il vero, erano
maggiormente visibili e quasi della grandezza di una lenticchia. |
|
- |
comincia
a formarsi il becco |
Sequenti dein die ablato superiori partis obtusae putamine,
eiectisque duabus prioribus tunicis, tertia evidenter cernebatur
venulis referta: de hac locutum fuisse Philosophum arbitror cum inquit:
Membrana etiam fibris distincta sanguineis: atque haec meo iudicio
secundina dici potest. Dein inter hanc, et quartam membranam, quae
foetum [fetum] involvebat, humor erat aquosus: quem autumo
serosam albuminis partem esse, quae post natum foetum [fetum] superest,
tanquam ad generationem inepta. Eam vero membranam innuere videtur
Aristoteles a meatibus illis venarum ortum ducere, quatenus scilicet
vi fibrarum a venoso illo meatu ortarum in palearem, vel sanguineum
colorem immutatur. Cernebatur deinde totus foetus [fetus] moveri,
et oculi iam maiores erant, quam in praeterita die: at partes
inferiores, thorax nempe, venter, et pedes, erant valde imperfectae,
nec discerni adhuc poterant, et rostrum erat muccosum: ut recte
dixerit Aristoteles: pars inferior corporis nullo membro, a superiori
distingui inter initia cernitur. Caput denique tota inferiori corporis
parte maius erat. |
Quindi, il giorno seguente [il sesto giorno], dopo aver asportato la
parte superiore del guscio del polo ottuso, e dopo aver rimosso le
prime due tuniche, si poteva distinguere in modo evidente la terza
tutta tappezzata di venuzze. Credo che il Filosofo abbia parlato di
questa quando disse: “Anche una membrana costellata da fibre
sanguigne”, e questa, a mio parere, può essere chiamata del
secondamento. Quindi, tra questa e la quarta membrana che avvolgeva il
feto, si trovava un umore acquoso, che penso sia la parte sierosa
dell’albume che rimane dopo la nascita del feto, in quanto non
adatta alla generazione. Invero sembra che Aristotele indichi che tale
membrana prende origine da quei dotti venosi, dato che per la forza
delle fibre nate da quel dotto venoso si trasforma in color paglia o
sanguigno. Poi, si vedeva tutto il feto muoversi, e gli occhi erano
ormai più grandi rispetto al giorno precedente, ma le parti
inferiori, e precisamente il torace, l’addome e le zampe erano
parecchio imperfetti, né si potevano ancora distinguere, e il becco
aveva un aspetto mucoso, come giustamente disse Aristotele: “Nelle
fasi iniziali attraverso nessun organo si riesce a distinguere la
parte inferiore del corpo da quella superiore.” Infine, il capo era
più grande di tutta la parte inferiore del corpo. |
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- |
il
cuore è completamente chiuso entro la cavità toracica |
|
- |
il
diamante del becco si rende distinto |
Septima die aperta quarta tunica foetum [fetum] conspeximus parvum adhuc, ac
indistinctum cum oculis tamen magnis, triplicique in illis humore,
crystallino nempe, vitreo, et aqueo. Aperto capite iam cerebrum aperte
cernebatur, minus vero reliquae partes. Unde
dicebat Philosophus. Paulo post (intelligit meo iudicio diem quintam
usque ad nonam inclusive) et corpus iam pulli discernitur, exiguum
admodum primum, et candidum, conspicuum capite, et maxime oculis
inflatis, quibus ita permanet diu, uti nos conspeximus: et sero,
inquit, decrescunt oculi, et se ad ratam proportionem contrahunt; quod
quidem verissimum est: siquidem in quartadecima, aut quintadecima die
aliquantum resident diminuti propter caloris digestionem. |
Il settimo giorno, dopo aver aperto la quarta
tunica, abbiamo visto il feto ancora piccolo e indistinto, tuttavia
con gli occhi grandi che contenevano un triplice umore, e precisamente
il cristallino, il vitreo e l’acqueo. Dopo aver aperto la testa si
vedeva già distintamente il cervello, le rimanenti parti in modo meno
evidente. Per cui il Filosofo diceva: “Poco dopo (vuol dire, a mio
giudizio, il quinto giorno fino al nono incluso) si discerne già il
corpo del pulcino, dapprima molto piccolo, e candido, con la testa
grossa, e con gli occhi molto sporgenti coi quali rimane a lungo così
- come ho potuto osservare; solo tardivamente - egli dice - gli occhi
rimpiccioliscono e si restringono alla giusta dimensione.” Il che è
verissimo: infatti al 14° o al 15° giorno risultano abbastanza
diminuiti a causa della digestione da parte del calore. |
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- |
iniziano
le piume in sede lombosacrale |
Octava rursus die oculi maiores adhuc videbantur, utpote ciceris
ferme magnitudine. Totum corpus tunc sese velociter movebat, et iam
crura, et alae distincte cerni incipiebant. Rostrum tamen interim
muccosum adhuc erat. Sed forte quispiam quaerat, cur prius superiores,
quam inferiores partes in eiusmodi formatione appareant: cui responsum
velim, virtutem, seu facultatem formatricem in superioribus magis quam
in inferioribus vigere, quod spiritales sint, et per consequens plus
caloris obtineant. Caeterum istaec omnia, quae hac die videbam,
sequenti manifestiora apparebant. |
D'altra parte all’ottavo giorno gli occhi si presentavano ulteriormente ingranditi,
dato che avevano quasi le dimensioni di un cece. In quel momento tutto
quanto il corpo si muoveva velocemente e già cominciavano a vedersi
distintamente le zampe e le ali. Tuttavia nel frattempo il becco si
presentava ancora mucoso. Ma forse qualcuno potrebbe chiedersi perché
in una formazione siffatta compaiono prima le parti superiori rispetto
alle inferiori: al quale vorrei rispondere che la forza o capacità
formatrice è maggiore nelle parti superiori rispetto a quelle
inferiori, in quanto sono respiratorie e di conseguenza posseggono
maggior quantità di calore. Inoltre, tutte queste formazioni che ero
in grado di vedere in questo giorno, il giorno seguente apparivano più
manifeste. |
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- |
Decima die non amplius caput toto corpore maius erat, magnum tamen, ut in
infantibus etiam videmus: magnitudinis autem causa est humidissima
cerebri constitutio. Quod vero Aristoteles dicit oculos fabis maiores
esse, id profecto minime verum est, si de vulgaribus nostris fabis
locutus fuerit, cum alioqui ervi, vel ciceris albi magnitudinem non
excederent: atque hinc etiam non absurde quispiam colligat fabas
antiquorum fuisse rotundas, quales araci sunt, quem ideo fabam veterum
quidam existimant. Neque etiam verum est quod tradit, tunc, scilicet,
oculos pupillis adhuc carere. Etenim hae non tantum hac die apparebant,
sed duabus etiam praecedentibus, una cum omnibus partibus, ac
humoribus. Quod vero ait detracta cute nihil solidi videri, sed
humorem tantum candidum, rigidum, et refulgentem ad lucem, nec
quicquam aliud, id de crystallino humore mihi dixisse videtur, qui
tamen haud solus apparebat, sed vitreus quoque et albugineus, unde non
parum hallucinatus videri potest Philosophus, uti etiam Albertus, qui
eo tempore nihil duri, et glandulosi in iis reperiri existimat, cum
crystallinus humor solidus sit, ac quam maxime conspicuus. |
Al decimo
giorno la testa non si presentava più di dimensioni
maggiori rispetto al resto del corpo, tuttavia era grande, come
possiamo vedere anche nei neonati; causa della sua grandezza è la
costituzione estremamente umida del cervello. Ciò che afferma
Aristotele, che cioè gli occhi sono più grandi delle fave, di certo
non è minimamente vero se ha parlato delle nostre fave comuni, in
quanto generalmente non eccedono le dimensioni di una lenticchia o di
un cece bianco. E da ciò qualcuno non deduca assurdamente che le fave
degli antichi fossero rotonde come lo sono i piselli, per cui alcuni
ritengono che essi sono le fave degli antichi. E neppure corrisponde
al vero ciò che riferisce, cioè che in quel periodo gli occhi sono
ancora privi di pupille. Infatti esse erano visibili non solo in
questo giorno, ma anche nei due precedenti, insieme a tutte le loro
parti e agli umori. Riguardo a ciò che dice, che cioè asportata la
cute non si vede nulla di solido ma solo un liquido candido,
consistente e risplendente alla luce, e null’altro, a me pare che
abbia parlato dell’umore cristallino, che tuttavia non si mostrava
da solo, ma anche il vitreo e l’albugineo [sclera], per cui possiamo
arguire che il Filosofo ha preso un abbaglio non da poco, come anche
Alberto, che a questo stadio ritiene non vi si trovi nulla di duro e
ghiandolare, mentre l’umore cristallino è solido e assai ben
visibile. |
Eadem item die vidi omnia viscera, nempe cor, iecur, pulmonem. Cor
autem, et iecur erant albicantis coloris: et cordis motus non solum
apparebat, antequam foetum [fetum] aperirem, sed iam secto
etiam thorace moveri videbatur. Erat autem pullus involutus quartae
illi membranae plurimis venis refertae, ne in humore iaceret. Cernebam
etiam vasa umbilicalia prope anum ad umbilicum deferri, ibique inferi
[inferri], ut cibum per illum petat foetus [fetus]. Vidi denique, quod
Aristoteles non advertit, in dorso prope uropygium pennarum principia
nigricantia menti humani cuti non absimilia, cui pili abrasi sint. |
Sempre nello stesso giorno [10°] vidi tutti i visceri, e precisamente cuore, fegato,
polmone. Cuore e fegato erano di colore bianchiccio e il movimento del
cuore non solo era evidente prima che aprissi il feto, ma lo si vedeva
muoversi non appena era stato sezionato anche il torace. Il pulcino
era avvolto in quella quarta membrana costellata da numerosissime
vene, affinché non giacesse nel liquido. Distinguevo anche i vasi
ombelicali in prossimità dell’ano dirigersi verso l’ombelico, e
qui penetrarvi, in modo che il feto per suo tramite si procuri il
nutrimento. Cosa che Aristotele non segnala, vidi infine sul dorso in
prossimità dell’uropigio gli abbozzi nerastri delle penne non
dissimili dalla cute del mento umano al quale siano stati rasati i
peli. |
Die subsequenti haec omnia erant manifestiora, et in superioris
rostelli extremitate erat quid albidi, cartilagineum, et
subduriusculum, quod rursus die decimatertia magis erat conspicuum.
Erat autem rotundum milii grano haud absimile. Sagacissima rerum
parens natura id ibi fabricasse videtur, ut impediat, ne rostello suo
vel venulas, vel membranulas, vel alias quascunque [quascumque] tenerissimas
particulas pertundat. Aiunt mulierculae, pullos iam natos cibum capere
non posse nisi prius id auferatur. |
Il giorno seguente [11°] tutti questi elementi
erano più manifesti e all’estremità del beccuccio superiore
c’era qualcosa di bianchiccio, cartilagineo e abbastanza consistente
che poi, al 13° giorno, era più evidente. Si presentava rotondo, non
dissimile da un grano di miglio. La natura, perspicacissima genitrice
delle cose, sembra che abbia fabbricato ciò costì per impedire che
col suo beccuccio traumatizzi sia le venuzze, sia le membranule, sia
qualsivoglia altra tenerissima formazione. Le nostre donne di campagna
dicono che i pulcini neonati non possono assumere cibo se prima non
viene asportato. |
Questa osservazione anatomica relativa al diamante è
degna di nota , anche se in ritardo rispetto
ai dati dell’odierna embriologia per ovvi motivi ottici. Ma Aldrovandi non
riesce a centrane il significato funzionale in quanto circa la nascita del
pulcino non ha le idee chiare, idee che recano tutto il peso delle pastoie del
passato.
Decimaquarta die pullus iam totus
plumescebat. Decimaquinta
in digitis ungues albicantes apparebant. Die vero decimasexta
ovum aperire placuit in opposita parte, ubi nativa tunica, sed unica
tantummodo apparebat, eaque alba. Alteram enim quam in altera parte
semper videram, hic observare minime datum est. Itaque dubitabam an ea
tantum pro albuminis tutela nata sit, cum scilicet ovum non sit recens,
vel ad pulli defensionem in ovo incubato. Nam indies [in dies] illa
magis magisque decidere videtur, et foetum [fetum] sequi,
qui sui gravitate deorsum decidit. |
Il quattordicesimo giorno il pulcino era già tutto
impiumato. Il quindicesimo giorno alle dita erano visibili le
unghie bianchicce. Il sedicesimo giorno ho voluto aprire l’uovo dalla parte
opposta dove era visibile la tunica nativa, ma solamente unica, e
anch’essa bianca. Infatti quell’altra che avevo sempre visto dal
lato opposto, in questo punto non è assolutamente possibile
osservarla. Pertanto ero in dubbio se essa si sia formata solamente
per proteggere l’albume quando l’uovo non è recente oppure se
doveva difendere il pulcino nell’uovo in incubazione. Infatti col
passare dei giorni sembra vieppiù abbassarsi e seguire il feto, che
si abbassa per il suo stesso peso. |
|
[…] Quae
omnia a nobis observata quotidie in sequentibus diebus evidentiora,
utpote in perfectissimo pullo apparebant. Die vero vigesima
pullus putamine a parente Gallina ablato hora vigesimasecunda sua
sponte exivit. |
[…]
Tutto quello che quotidianamente avevamo osservato si fece più
evidente nei giorni successivi, in quanto si manifestavano in un
pulcino completamente finito. Al ventesimo
giorno il pulcino, asportato il guscio ad opera della chioccia, uscì
da solo alla ventiduesima ora. |
|
Fig.
IX. 19
Per illustrare quest’immagine
contenuta nell’edizione originale del
1600
il precedente testo continua con le seguenti
parole:
Sequens
icon ostendit situm perfecti iam pulli in utero [ovo].
L’illustrazione che segue
mostra la posizione in utero [uovo] di un pulcino ormai ultimato.
Nello scorrere il testo di
Aldrovandi rimaniamo sorpresi non una ma due volte dal fatto che la gallina è
lei stessa a provvedere alla rimozione del guscio affinché il pulcino possa
abbandonare l'uovo. Questo fatto inabituale appare non solo nel precedente
paragrafo a chiusura delle osservazioni sullo sviluppo quotidiano del pulcino,
ma fa già capolino per la prima volta alcune pagine prima quando Aldrovandi
cita le parole di Ippocrate e non lo contraddice in merito:
Ubi autem deficit alimentum
pullo ex ovo, non habens id sufficiens unde vivat, fortiter movetur in
ovo, uberius alimentum quaerens, et pellicula circum dirumpuntur, et ubi
mater sentit pullum vehementer motum, putamen excalpens ipsum excludit,
atque fieri solet in viginti diebus. |
Quando al pulcino fa difetto l’alimento
fornito dall’uovo, non avendone a sufficienza per vivere, si muove
energicamente nell’uovo alla ricerca di alimento in maggior copia, e
le membrane gli si rompono tutt’intorno, e quando la madre percepisce
che il pulcino si muove con veemenza, lo fa uscire colpendo il guscio, e
abitualmente accade allo scadere di venti giorni. |
Eppure Aldrovandi era al corrente di alcuni fatti che
potevano benissimo essere in contrasto con la necessità di un aiuto materno
al pulcino che sta per nascere: gli incubatoi dell'Egitto, l'incubatrice del
Della Porta, l'ubriacone di Siracusa che se ne stava sdraiato sopra una stuoia
con sotto delle uova e che continuava a bere tant'è che giunsero alla
schiusa, Livia che con la collaborazione delle sue ancelle predisse il sesso
di Tiberio facendo nascere quel galletto in mano o tra i seni.
Ma anche stavolta è d'uopo perdonare Ulisse, in quanto
nel raccomandare le varie cure da prestare a una chioccia, a un certo punto
preconizza l'intervento umano se il pulcino tarda a nascere, e non certo per
incuria materna. Vediamo il passo.
Die
undevigesimo [Gallinarius] animadvertat,
an pulli rostellis ova pertuderint, et auscultet, an pipiant. Nam saepe
propter crassitiem putaminum erumpere nequeunt. Itaque haerentes pullos manu eximito, et matri
fovendos subiicito, idque non amplius triduo. Nam quae post illum diem
silent ova animalibus carent, quare et removenda sunt, ne Gallina
diutius incubans inani spe pullorum detenta, effoeta [effeta] reddatur. |
[L’allevatore]
al 19° giorno ponga attenzione se i pulcini colpiscono l’uovo col
beccuccio, e stia in ascolto per sentire se pigolano. Infatti spesso a
causa dello spessore del guscio non riescono a uscire. Quindi con la
mano cavi fuori i pulcini che non riescono a liberarsi e li metta sotto
alla madre perché si riscaldino, e si comporti così per non più di
tre giorni di seguito. Infatti, quelle uova che dopo tale lasso di tempo
sono silenti, sono prive di essere vivente, per cui bisogna anche
toglierle dal nido affinché la gallina, trattenuta troppo a lungo a
covare da una inutile speranza di pulcini, non ne esca sfibrata. |
Sfatare una tradizione è sempre un'avventura colma
d'incognite: a distanza di settant'anni da Aldrovandi, neppure Malpighi riesce
a sottrarsi all'influsso di un'immagine tramandata nei secoli, anche
attraverso il Vangelo: la chioccia è madre sollecita. Infatti, nel primo
studio sull'uovo incubato, Malpighi così si esprime: "Il pulcino si
disponeva infine ad uscire: e infatti si vedeva talvolta asportata una
notevole parte del guscio esterno: ed essendo un po' lacerate le sottostanti
membrane, facevano eruzione il becco del pulcino e l'estremità della testa,
ma non a tal punto da poter forzare il circostante guscio, per cui è
credibile che il guscio venga talvolta aperto dalla chioccia."
Nell'appendice al primo studio, Malpighi si accorge che
trascorsi 20 giorni d'incubazione il guscio è facilmente
friabile e: "Alla fine, il pulcino, prossimo ad uscire, pigolava, e
aggrediva di quando in quando a colpi di becco il guscio friabile." Da
questo punto in poi non fa più menzione dell'eventuale intervento della
chioccia nel ruolo di levatrice.
Quale possa essere l'origine della leggenda secondo cui, allo scopo di favorire la nascita del pulcino, la gallina provvede a rimuovere parte del guscio, proprio non lo so. L'unico dato, che potrebbe essere stato esteso alla gallina, proviene da Aristotele ed è riferito alla colomba: "L'uovo venuto alla luce per primo matura e si schiude entro venti giorni; la madre [o il padre?] buca l'uovo il giorno prima che esso si schiuda." (HA, VI, 4). Possiamo osservare che Aristotele è impreciso sulla durata dell'incubazione del colombo. Infatti, di norma la femmina di colombo depone il primo uovo nel corso del pomeriggio e il secondo l'indomani mattina; la schiusa si verifica dopo 16-17 giorni dalla deposizione del secondo uovo. Invece è preciso sulla durata dell'incubazione nel caso della tortora: 14 giorni. E, tanto per restare in tema, nessuna delle mie fonti sui columbiformi accenna minimamente alla foratura del guscio da parte dei genitori.
Posso aggiungere
quanto si è verificato durante l'ultima schiusa di piccione che ho potuto
osservare: da un uovo è nato un pulcino, mentre l'altro uovo l'ho lasciato a
disposizione dei genitori per altri 4-5 giorni allo scopo di non alterare la
tranquillità del nido, ma poi, scuotendolo, tale uovo rivelò avere un
contenuto liquido. A nessuno dei genitori era venuto in mente di beccarlo.
Salvo lo facciano se percepiscono qualche segno di vita all'interno!
Anche allevatori di poco conto sono pronti a giurare che nessuna chioccia ha l’afflato dell’ostetrica. Verosimilmente anche Malpighi come Aldrovandi non aveva avuto la benché minima esperienza di allevamento, altrimenti avrebbe sfatato un luogo comune semplicemente tacendolo. È possibile osservare una chioccia beccare il guscio quando un pulcino sta per nascere, ma penso sia un'evenienza estremamente rara, in quanto essa neppure si muove dal nido, come invece fa durante gli altri giorni per le quotidiane necessità fisiologiche; al momento della schiusa se ne sta addirittura immobile come una statua con le uova ben protette dallo sguardo sia suo che degli intrusi, soffrendo fame, sete e sovradistensione della cloaca da parte delle feci, anche per 2-3 giorni di seguito.
Se la chioccia per caso beccasse il guscio quando è già stato
intaccato dal pulcino, si tratterebbe di un uovo che è sfuggito dal nido a
causa di suoi movimenti maldestri in un nido mal fatto, cioè dotato di scarsa
concavità, e lo beccherebbe al solo scopo di assecondare per un attimo la
naturale e ancestrale golosità della gallina per un involucro calcareo.
A un pranzo, a una cena o a un party
provatevi a dire che vi occupate di polli o di uova. Non vi sarà risparmiata
la classica domanda: chi è nato prima? l'uovo o la gallina?
Su Aldrovandi incombevano due realtà spesso in
disaccordo: la passione filosofica e il magistero della Chiesa. La soluzione
che egli dà al popolare quesito è inaspettatamente drastica: anche la
gallina, come ogni essere vivente creato da Dio, viene dal nulla.
In India, secondo la Chandògya,
una delle più antiche Upànishad
[4]
,
l'uovo è nato dal non-essere e ha generato gli
elementi: "All'inizio non vi era che il Non-Essere. Esso fu l'Essere.
Crebbe e si cambiò in uovo. Riposò tutto un anno e poi si divise. Apparvero
due frammenti di conchiglia: l'uno d'argento, l'altro d'oro. Da quello
d'argento venne la terra, da quello d'oro il cielo."
Il nostro Ulisse sapeva benissimo che, chi s’interessa
di polli, si trova costretto a ogni piè sospinto a cercar di parare il colpo
dell'insidiosa domanda. Per cui, nel suo trattato di Ornitologia, anche se
fuori tema, dedica spazio all'intricato dilemma, che, senza mezzi termini,
egli definisce come una questione trita e oziosa. Per quanto la sua mente
fosse tanto scientifica che filosofica, non aveva certo l'appoggio delle
teorie evoluzionistiche molecolari. Inoltre, per non venir meno al magistero
della Chiesa nelle cui maglie inquisitorie era incappato per ben due volte,
egli risolve il busillis in quattro e quattr'otto: dalle Sacre Scritture
risulta che all'inizio fu la gallina, in quanto all'inizio del mondo furono
gli animali a essere creati; per cui la gallina non viene dall'uovo, ma dal
nulla.
Ma Aldrovandi è preciso, per cui ci tiene a sottolineare
che non mancano coloro i quali asseriscono che tutto ciò che esiste ha avuto
inizio in un determinato momento, per cui a buon diritto sembra che la natura
abbia per prima cosa creato l'uovo, in quanto ciò che inizia è ancora
imperfetto e senza una forma definita; ma, se si vuole saperne di più, basta
consultare Plutarco e
Macrobio, che già ne avevano
dissertato a iosa e in maniera precisa.
È chiara quindi l'antitesi fra il modo indiano e
occidentale nell'interpretare l'inizio del tutto.
Che, come poi ammette Aldrovandi, abbia ragione la Chandògya
Upànishad? Vediamo questa sua ammissione.
Praetereo
modo tritam illam, ideoque otiosam potius, quam curiosam quaestionem,
num Gallina prior ovo sit, an contra. Constat enim Gallinam fuisse prius
ex sacris bibliis, quae docent animalia ab initio mundi fuisse creata:
non igitur ex ovo Gallina, sed ex nihilo. Quod si vero quis obstinatius
dicat, omnia quae sunt aliquando coepisse, ideoque ovum a natura iure
prius factum videri, quoniam quod incipit, imperfectum adhuc, et informe
sit, et ad perfectionem sui per procedentis artis, et temporis
additamenta formetur
{. Ille} <, ille> facile acquieturus est, dum ovum,
cuius est, nec initium, nec finem esse sciat. […] Verum de hac quaestione Plutarchum, Macrobium
lector consulere poterit, qui exacte eam tractant. Nobis enim diutius ei
immorari et locus, et tempus prohibent. |
Accenno
appena di sfuggita a quella questione trita, e pertanto oziosa più che
curiosa, cioè se la gallina viene prima dell’uovo o il contrario.
Dalle sacre scritture risulta infatti che la gallina è esistita prima,
ed esse insegnano che gli animali furono creati dall’inizio del mondo:
pertanto la gallina non viene dall’uovo, ma dal nulla. Ma se qualcuno
più ostinatamente volesse affermare che tutte quante le cose esistenti hanno
avuto inizio in un determinato momento, e che pertanto parrebbe che a
buon diritto l’uovo sia stato creato per primo dalla natura in quanto ciò
che inizia è ancora imperfetto e informe e che vada incamminandosi
verso il proprio perfezionamento attraverso aggiunta progressiva di
lavoro e tempo, costui potrà facilmente tranquillizzarsi, dal momento che deve sapere
che un uovo, di chiunque esso sia, non rappresenta né l’inizio né la
fine. […] Ma su questa diatriba il lettore potrà consultare
Plutarco e Macrobio
[5]
che ne trattano in modo esatto. Infatti, tempo e
luogo ci proibiscono di dilungarci oltre. |
Allorché nel 1600 venne pubblicato il II volume dell'Ornithologia di Aldrovandi, non erano ancora trascorsi molti lustri da quando a Basilea - il cui toponimo dal 1448 si unì al Basilisco, animale fantasioso e terribile - un gallo di undici anni era stato condannato a morte. Venne decapitato e messo al rogo in quanto si era permesso di andare contro natura: aveva deposto un uovo. Era il 4 agosto del 1474. Anche il suo presunto uovo venne dato alle fiamme.
A Basilea il basilisco, da solo o in coppia, fa da supporto allo stemma civico caricato del pastorale vescovile. Sul Lungoreno si trova la Drachenbrunnen - la fontana del drago - o Basiliskenbrunnen, una fontanella pubblica del 1884 che getta acqua in continuazione dalla bocca di un basilisco dotato di cresta semplice e di due bei bargigli da gallo Livornese.
Così, Basilea cremò un gallo ovaiolo, ma già da 5 lustri aveva unito un essere peccaminoso, mostruoso e fantastico al simbolo del potere spirituale.
Basilisco
che fa da supporto allo stemma civico di Basilea
caricato del pastorale
vescovile
Stampa del XVI secolo – archivio personale di Ottfried Neubecker
Come si può desumere da un manoscritto del 1448, il basilisco sostituì due atleti – a loro volta preceduti da due angeli – nel compito di reggere lo stemma civico di Basilea. Quindi a partire dal 1448 e per alcuni secoli il basilisco legò il suo nome a quello della città, menzionata per la prima volta come Basilia nel 374 dC da Ammiano Marcellino, quando l’imperatore romano Valentiniano I costruì una piazzaforte sull’ansa del Reno forse a difesa di un ponte. Il pastorale vescovile nero – tutt'oggi emblema civico di Basilea e del Cantone di Basilea Città – pare ricollegarsi alla reliquia del pastorale di San Germano assassinato nel 666 e che fu il primo abate del monastero di Moutier-Grandval - oggi Cantone di Berna, circa 35 km a sudovest di Basilea – abbandonato nel 1534 e poi scomparso in seguito alla Riforma protestante. Il pastorale di san Germano si trova ora nella chiesa parrocchiale di Delémont, capitale del Cantone del Giura, 47 km a nord di Berna.
Com’è strano l’atteggiamento dell’uomo! Il
basilisco regge lo stemma della città con il pastorale, e la popolazione
metteva al rogo un povero gallo ovaiolo. Ha ragione Cecilia Gatto Trocchi
quando afferma che nell’antica Roma gli ermafroditi erano un foedum
atque turpe prodigium, una turpe mostruosità che intacca l’ordine
naturale di quegli esseri che sono normalmente o maschio o femmina, portando
così l’umanità a sentirsi minacciata dalla collera degli Dei. Basilea
ridusse in cenere un gallo ovaiolo, ma unì un essere peccaminoso, mostruoso e
fantastico al simbolo del potere spirituale. È imbarazzante tutto ciò, è
semplicemente imbarazzante.
Quei maschi e quelle femmine le cui gonadi non si sono
sviluppate regolarmente o che non funzionano normalmente, vengono detti capponi
di sviluppo e poulardes di sviluppo.
Talvolta l’ovaio è così inattivo al momento della muta che le nuove piume
non subiscono l’influenza degli ormoni femminili e si sviluppano invece come
quelle di una poularde, ossia assai
simili alle piume di un gallo. Se l’ovaio, successivamente alla muta,
riacquista la propria funzionalità, la gallina può deporre uova. Dato che il
suo piumaggio mascolinizzato non cambia fino alla muta successiva, ci troviamo
di fronte a un individuo che sembra un gallo
ovaiolo. Oggi un pollo siffatto susciterebbe solo una giusta curiosità
scientifica, ma così non poteva essere in epoche in cui la stregoneria era à la page, e così non poteva essere nel 1474
quando
a un povero gallo - verosimilmente di questo tipo - toccò prima la mannaia
e poi il rogo per l’evidente
crimine contro natura.
Ma non è certo il momento di analizzare per intero questo
affascinante ramo della biologia per il quale una revisione dei dati è già
stata compiuta da Forbes a partire dall’epoca aristotelica. Aldrovandi crede
e non crede a questa stranezza della natura dal sapore quasi diabolico, ma
alla fin dei conti deve timidamente arrendersi - timidamente, a mio avviso, e per ovvi motivi politici - di fronte alle persone degne di fede che gli
avevano portato alcune uova di gallo.
Sed
videamus modo, an Gallus etiam ovum pariat. Etsi enim Aristoteles,
aliique veteres, quod sciam, nullam huius rei mentionem faciant, idque
ex recentioribus Albertus falsum esse scribat, tamen id alios viros
doctissimos non credere tantum, sed ex experientia propria id scribere
video: aedere [edere] autem id inquiunt, cum iam decrepitus esse
incipit, ac senectute confici, idque nonnullis septimo, nono, aut ad
summum decimoquarto aetatis anno evenire […] |
Ma vediamo adesso se anche un gallo può partorire
un uovo.
Anche se, per quanto ne so, né Aristotele
né altri antichi facciano menzione di ciò, e tra i più recenti
Alberto scriva che ciò è falso, tuttavia mi risulta che altri uomini
assai dotti non si limitano a crederci, ma a scriverne in base alla
propria esperienza: dicono che lo depone quando
già comincia a essere
decrepito e consumato dalla vecchiaia, e ad alcuni accade al settimo, al
nono o soprattutto al quattordicesimo anno d’età […] |
Questa volta è d'obbligo contraddire Aldrovandi circa il fatto che Aristotele non menziona le uova di gallo:
"È accaduto di
osservare formazioni simili all'uovo in un certo stadio del suo sviluppo
(cioè tutto uniformemente giallo, come lo sarà più tardi il vitello), anche
in un gallo sezionato sotto il diaframma, laddove le femmine hanno le uova;
queste formazioni sono interamente gialle d'aspetto, e grandi come le uova.
Vengono tenute in conto di mostruosità." (HA VI, 2).
Giustamente Aldrovandi non trova nulla da eccepire circa
l'età di siffatti galli che si dice depongano uova. Infatti, se la longevità
potenziale massima del pollo domestico raggiunge i 30
anni,
la longevità media dei galliformi allevati in cattività si aggira intorno ai
13
anni.
Per curiosità è interessante conoscere quanto riferito da Bowles nel 1964:
nel 1930,
in occasione del IV Congresso Mondiale di Avicoltura tenutosi a Londra,
fu esposto al Palazzo di Cristallo una femmina di Silky dalla veneranda età
di 24 anni. Bowles era inoltre a conoscenza di una nana
ibrida ancora in vita che aveva 23 anni e che nei primi 18
anni
aveva deposto regolarmente uova; questa gallina apparteneva a Elliot Kimball.
Taceo
modo mihi bis, terve a viris
etiam non plebeis, sed fide dignissimis ovum allatum, quod e Gallo natum
affirmabant. Sunt qui eiusmodi ova semper rotunda, ac orbiculata esse
tradunt. Mihi tamen relatum est apud Ferrantem Imperatum Pharmacopaeum
Neapolitanum in celeberrimo eius Musaeo oblongum videri. Ea vero quae
mihi visa sunt, erant rotunda, colore modo luteo, buxeo, flavescente,
lurido. Item vix ante octiduum nescio quis ruptum ad me attulit, quod
vitello omnino carere dixisses. Erat enim totum ferme album: inerat
tamen quod media parte aliquo pacto flavesceret: habebat etiam quod iam
quasi ad generationem vergeret. |
Accenno
appena al fatto che due o tre volte anche da uomini non da strapazzo, ma
oltremodo degni di fede, mi fu portato un uovo che affermavano essere
nato da un gallo. Alcuni riferiscono che simili uova sono sempre rotonde
e tondeggianti. Tuttavia mi è stato riferito che, presso Ferrante
Imperato farmacista napoletano, nel suo celeberrimo museo se ne può
osservare uno oblungo. Ma quelle venute alla mia osservazione erano
rotonde, di colore appena giallo, giallognolo come il bosso, giallastro,
giallo pallido. Ugualmente, circa otto giorni fa, non so chi me ne ha
portato uno rotto, che avresti detto mancare totalmente di tuorlo.
Infatti era quasi completamente bianco: tuttavia nella parte centrale
c’era un qualcosa che in qualche modo tendeva al giallo: possedeva
anche un qualcosa come se già tendesse verso la generazione. |
Torneremo sul colore di queste uova di gallo quando ci addentreremo nei meandri di quale fosse la colorazione del guscio nei secoli passati. Vorrei tuttavia aggiungere che le annotazioni di Aldrovandi sono precise circa alcuni punti. Oggi sappiamo che il tuorlo è in grado di stimolare meccanicamente la produzione dell’albume: infatti questo può essere ottenuto anche con sfere d’ambra, d’osso o di cera collocate all’inizio dell’ovidutto. Anche le feci deviate artificialmente verso l'ovidutto vengono ricoperte d’albume. Le uova senza tuorlo d’origine spontanea dimostrano tuttavia che un corpo estraneo non è di capitale importanza per la loro formazione: tali uova, costituite solo da albume e guscio, sono anche dette uova di gallo, e sono frequenti verso la fine del periodo depositivo, ovviamente della gallina.
Lo stesso Thomas Browne - di cui
parleremo fra poco - nel 1646 così scriveva a questo
proposito nel suo Pseudodoxia
Epidemica (III,vii):
“[...]as we have made trial in some which are termed Cocks' eggs: Ovum
Centennium, or the last egge, which is a very little one.”
Le uova di gallina senza tuorlo, sfrondate delle fantasie
del passato, vengono fondamentalmente distinte in due classi:
·
uova
contenenti parassiti o altri corpi estranei con funzioni di stimolo meccanico
·
uova
prive di qualsiasi incluso cui possa essere attribuita la produzione abnorme
di albume.
In questo secondo caso l’ipotesi più accreditata è
quella secondo cui il solo accumulo di albume nelle sezioni albuminifere
dell'ovidutto è in grado di stimolare successivamente la formazione del
rivestimento calcareo.
A questo punto è ovvio chiedersi da che tipo di galli
provenissero le uova osservate da Aldrovandi: da una poularde? oppure da
qualche pollo con un diverso curriculum vitae? Sembrerebbe più verosimile la
seconda ipotesi, dato che "aedere [edere] autem id inquiunt, cum iam
decrepitus esse incipit, ac senectute confici, idque nonnullis septimo, nono,
aut ad summum decimoquarto aetatis anno evenire."
Sappiamo per certo che una femmina, in cui siano
contemporaneamente presenti tessuto testicolare e ovarico, di solito presenta
una cresta di tipo maschile, ma conserva il piumaggio femminile.
Ma, oltre che da congenita presenza di tessuto testicolare
e ovarico, esiste anche un ginandromorfismo da deficienza ovarica: è noto
da secoli che le galline invecchiando si dotano spesso di speroni, e che
alcune vecchie femmine - galline, fagiane, anatre -, terminato il ciclo
depositivo, spesso nel giro di numerose mute acquisiscono il piumaggio del
maschio. L’esame anatomopatologico mostra un’atrofia più o meno completa
dell’ovaio.
La spiegazione di questo ginandromorfismo è facile: a
causa della vecchiaia, l’ovaio ha cessato di condizionare il piumaggio
femminile e di inibire gli speroni, permettendo a questi e al piumaggio neutro
di svilupparsi. Il piumaggio maschile si completerà nel giro di una o di
alcune mute a seconda della soglia di risposta delle piume in ricrescita e a
seconda del tasso degli ormoni circolanti. Inoltre, anche qualunque malattia
dell’ovaio che conduca alla scomparsa della gonade avrà gli stessi effetti
dell’invecchiamento fisiologico.
L’atrofia ovarica può determinare, specie nella
gallina, altri effetti: la trasformazione della gonade rudimentale destra in
testicolo con secrezione ormonale talora associata a gametogenesi maschile. Se
il parenchima ovarico residuo è ancora sufficientemente attivo, la gallina,
pur conservando il suo piumaggio femminile, acquisterà la cresta, il canto e
il comportamento sessuale del gallo. Se l’attività ovarica è
insufficiente, si aggiungeranno speroni e piumaggio maschile, e il soggetto
diventerà un maschio fenotipicamente completo.
A questo punto, se l'atrofia ovarica non è completa e se
l'utero può ancora svolgere alcune funzioni, ecco che un siffatto soggetto
potrebbe deporre uova costituite magari solo da albume, oppure con qualche
abbozzo di tuorlo: forse è il caso dell'uovo rotto che avevano portato a
Ulisse.
Non fu solo Aldrovandi a essere contattato per esprimere un giudizio su uova deposte da galli. Simon Wilkin (1790-1852) pubblicò nel 1836 le opere complete di Sir Thomas Browne. In un’annotazione a III,vii di Pseudodoxia Epidemica Wilkin così scrisse:
“At the end of the volume for 1710 of the History
of the French Royal Academy is a curious account transmitted by M.
Lapeyronie of Montpellier, of some "cock's eggs" which a farmer had
brought to him, with the assurance that had been laid by a cock and would be
found to contain, instead of yolk, the embryo of a serpent. One of these eggs,
opened in the presence of several scavans, was found devoid of yolk,
but exhibiting a coloured particle in the centre, which was considered as the
young serpent. The cock having been given up to M. Lapeyronie for dissection,
the farmer very soon brought some more of these little eggs, having discovered
that they were laid by a hen!”
La riprova che Aldrovandi nutriva forti dubbi circa la possibilità che un gallo deponesse un uovo la incontriamo nuovamente in Monstrorum historia (1642), dove però la sua fantasia si abbandona al pornografico e fa nascere da un uovo di gallina addirittura un kir-kar-kur, dando però la colpa a Licostene alias Conrad Wolffhart (1518-1561).
Indubbiamente la fantasia di Aldrovandi era inesauribile, e così Ulisse ha messo a grosso rischio la propria credibilità nella speranza che il lettore non si prenda mai la briga – come in questo caso – di verificare ciò che egli riferisce.
Siamo pertanto costretti a tacciarlo anche di pornografia e non solo di scotomi ottici e cerebrali. I termini della diatriba sono lampanti e non sono assolutamente frutto della mia immaginazione. A pagina 387 del Monstrorum historia Aldrovandi scrive:
Pariter ab ovo gallinae, vel ut alij asserunt ex ovo galli (si tamen galli talia ova edere possint, qua de re in Historia Serpentum actum fuit) iuxta Lucernam nobile oppidum Helvetiorum in villa quadam, cui Emmen nomen est, monstrum figura Genitalis viri est exclusum, uno testiculo, et capite quasi canino, et cristato insignitum. Hoc accidit, iuxta mentem {licosthenis} <Lycosthenis>, anno Domini millesimo quadringentesimo octuagesimo octavo: veluti figura ostendit.
Parimenti, da un uovo di gallina, oppure, come altri affermano, dall'uovo di un gallo (ammesso tuttavia che i galli possano deporre siffatte uova, cosa di cui abbiamo disquisito nell'Historia serpentum), in un paesino - oggi con 27.324 abitanti - che si chiama Emmen e che si trova nei pressi di Lucerna celebre città degli Elvezi, è venuto alla luce un mostro con l'aspetto di un kur di uomo, dotato di un solo testicolo e di una testa quasi come quella di un cane nonché fornita di cresta. Ciò avvenne, secondo il parere di Licostene, nell'anno del Signore 1488: come mostra la figura.
Ecco l'immagine che Aldrovandi propone:
Ma il testo di Licostene contenuto a pagina 497 del Prodigiorum ac ostentorum chronicon (1557) è assai telegrafico e non contiene alcuna allusione a un kir-kar-kur. Si tratta semplicemente di un mostro nato a Emmen dall'uovo di un gallo:
1488 – Iuxta Lucernam nobile Helvetiorum oppidum in villa quadam cui Emmen nomen est, ex ovo galli monstrum (cuius effigiem ex Sebastiani Brandi collectaneis mutuavimus) procreatum est.
1488 - Nei pressi di Lucerna, celebre città degli Elvezi, in un paesino che si chiama Emmen, da un uovo di gallo è nato un mostro (la cui immagine ho tratto dalle raccolte di Sebastian Brand).
Sì, Licostene si limita a riferire quanto era a sua conoscenza, che cioè il mostro era nato da un uovo di gallo, e non avendone la competenza non può permettersi di entrare in polemica sul fatto che i galli verosimilmente non depongono uova. E ne fornisce un'immagine non sua, ottenuta dalla collezione di Sebastian Brand, un'immagine che è molto differente da quella di Aldrovandi:
Anche un osservatore frettoloso può notare che in quest'immagine di Licostene le proporzioni tra mostro e uovo sono conservate, mentre Aldrovandi, oltre ad aver trasfigurato il testo di Licostene, ha senz'altro imposto ai suoi disegnatori di ricopiarne il disegno adattandolo però alla sua fantasia: dovevano far sì che l'uovo sembrasse un testicolo grazie a un'alterazione delle proporzioni tra uovo e neonato.
Inoltre il testicolo di Aldrovandi, oltre a essere più piccolo, è anche molto più inclinato rispetto all'uovo di Licostene.
Pascal Gratz – mio futuro collega di Winterthur nel cantone di Zurigo - analizzando l'immagine di Licostene ha pensato non a un kir-kar-kur, ma a uno dei possibili aspetti assunti dal basilisco che poteva nascere da un uovo di gallo. Forse Pascal ha ragione: magari è questa l'idea inespressa di Licostene, che senza dubbio era mille volte più serio del nostro Ulisse e non azzardava dire che questo mostro era un novello basilisco.
Se Licostene avesse saputo di questa futura trovata pornografica di Aldrovandi, senz'altro avrebbe scritto nel suo Prodigiorum ac ostentorum chronicon:
1522 - Bononiae monstrum natum est,
Ulysses Aldrovandus
cognominatum.
Quindi, secondo un inatteso Aldrovandi - ma non secondo Licostene - da un uovo di gallina poteva nascere qualunque cosa, anche un monstrum figura Genitalis viri, attribuendo la colpa della panzana pornografica a un ignaro Licostene.
Questo modo di agire di Aldrovandi è completamente antiscientifico, soprattutto è intriso di sopraffazione nei confronti degli elaborati altrui.
Sono pronto a scommettere il testicolo di Aldrovandi. Infatti sono assolutamente certo che se Gessner avesse avuto tra le mani il Prodigiorum ac ostentorum chronicon di Licostene si sarebbe limitato a citarne il telegrafico testo e a riprodurne fedelmente l'immagine.
Come mai? direte voi.
Perché Gessner era una persona seria nonché rispettosa del prossimo.
Nel Catalogus omnium authorum che Licostene pone all'inizio del Prodigiorum vengono citati tutti gli autori che aveva consultato e tra quelli recenti e ancora viventi troviamo Conradus Gesnerus de Animalibus. Ovviamente Licostene poteva consultare solo i primi 3 volumi di Gessner, editi rispettivamente nel 1551, 1554, 1555. Ma Gessner, parlando di pollo e di uova di gallo, non poteva citare la notizia di Licostene. Infatti Gessner parla del pollo nel III volume della Historia animalium edito nel 1555, quando il trattato di Licostene doveva aspettare ancora due anni prima di strabiliare i lettori con l'infinità di dati succintamente descritti.
Gessner appone all'inizio del I volume dell'Historia animalium un dettagliato elenco degli autori consultati, e Licostene ovviamente non vi compare. Se per gli ultimi due libri sugli animali Gessner avesse consultato il Prodigiorum ne avrebbe dato notizia, così come nel III volume (1555) non si è scordato di Aldrovandi facendo un'aggiunta al Catalogus. Infatti nel breve elenco aggiuntivo di coloro che l'hanno aiutato nella stesura del trattato sugli uccelli, Gessner cita anche Aldrovandi: Ulysses Aldrovandus Bononiensis medicus. Questo dato – indice dell'estrema serietà di Gessner – in un primo tempo suonò un po' strano anche a Sandra Tugnoli Pattaro che di Aldrovandi se ne intende non poco. Era ovvio che Ulisse alla tenera età di 33 anni aveva già fornito a Gessner qualche importante contributo ornitologico. Ma quale? Se durante la trascrizione di tutta quanta l'ornitologia di Gessner Fernando Civardi – il mio amanuense elettronico – non si imbatterà nuovamente in Aldrovandi, il nostro Bolognese viene citato a pagina 774 nei Paralipomena e a proposito della Hortulana, un uccellino così chiamato a Bologna e dintorni la cui raffigurazione era stata inviata a Gessner dal praestantissimus Aldrovandus: Huius avis effigiem Ulysses Aldrovandus, vir cum in re medica tum stirpium historia praestantissimus, ad nos misit.
Insomma: Gessner non cita il Prodigiorum di Licostene a proposito del gallo in quanto l'opera di Licostene non era ancora stata data alle stampe, ma se avesse potuto trarne la notizia del mostro di Emmen nato da un uovo di gallo non si sarebbe assolutamente permesso di tacciare Licostene di pornografia. Ne sono certo, e così posso continuare a tenermi ben stretto il testicolo di Ulisse.
Però, se verrò preso in castagna per avervi raccontato panzane riguardo all'aldrovandogeno pseudo-kur di Licostene, allora dovrò rimetterci il testicolo di Aldrovandi - il che è il meno - oltre a qualcos'altro.
E adesso voglio scommettere quel qualcos'altro.
Tutta la vicenda ha uno spiccato sapore machiavellico. A mio avviso Aldrovandi ha spudoratamente adottato il principio del mors tua vita mea, una regola di sopravvivenza messa in risalto da Darwin e che giace agli antipodi del Vangelo. Ma essendo una regola incorruttibile e indispensabile, neppure l'uso e l'abuso quotidiano sono riusciti a logorarla. Figuriamoci se ci riuscirà la Chiesa!
Aldrovandi ha tacciato Licostene di pornografia in modo alquanto subdolo e con un solo scopo: tenersi buoni i boia dell'Inquisizione che erano sempre pronti a titillarlo. Se vogliamo una dimostrazione che Ulisse proprio non ci teneva a rischiare di grosso e fare una volta per tutte la fine fatta poi da Galileo nel 1632, basta contare quante parole hanno dovuto comporre i tipografi per disquisire sulle implicazioni morali del gallo, quello che fa chicchirichì.
Gessner, essendo protestante e serio, ne usa talmente poche che non varrebbe neppure la pena contarle. Ma siccome qualcuno ha insinuato che voglio proteggere Gessner, allora mi sono preso la rivincita e le ho contate 'ste benedette parole: sono 49, per un totale di 301 caratteri, spazi esclusi.
Per Aldrovandi ne vale proprio la pena, visto che il sottoscritto si è imbarcato nell'affannosa avventura di tradurre il libro XIV del II volume di ornitologia, e ha quindi dovuto sorbirsele tutte quante, compresi i numerosi errori di citazione dei Padri della Chiesa. Si tratta di ben 5.565 parole, per un totale di 33.882 caratteri, spazi esclusi, parole che prima di me l'indefesso amanuense elettronico Fernando Civardi ha dovuto digitare desumendole dal testo del 1600.
Quindi, per decantare i risvolti moraleggianti del gallo, Aldrovandi ha speso nientemeno che 1/26 delle parole che costituiscono tutto il testo greco del Nuovo Testamento, formato da 146.144 parole e 717.529 caratteri, sempre spazi esclusi. Insomma: una palese leccata nei confronti dell'Inquisizione.
Se non fosse bastato il nauseante panegirico sul gallo, tacciare di pornografia il povero Licostene poteva far accumulare ulteriori crediti a proprio vantaggio. Infatti Conrad Wolffhart con la Chiesa Cattolica non se la passava proprio bene. Nel 1555 gli strali dell'interminabile Concilio di Trento colpirono anche lui. E basta consultare l'Index Auctorum et librorum qui ab officio S. Rom. & universalis inquisitionis caveri ab omnibus & singulis in universa Christiana Republica mandantur (Romae, ex Officina Salviana, 1559) per trovare anche Conradus Lycost<h>enes nell'elenco degli Auctores quorum libri & scripta omnia prohibentur.
Se l'Inquisizione avesse avuto dei dubbi dottrinali nei confronti di Ulisse, questa fantasmagorica denuncia di pornografia perpetrata da Licostene faceva sì che il Bolognese si allineasse con le decisioni del Concilio sul contenuto di tutti gli scritti dell'Alsaziano.
Mors tua vita mea!
Bartolomeo Ambrosini (1588-1657) - esimio successore di Aldrovandi - prima del Monstrorum historia (1642) curava l'edizione del Serpentum et draconum historiae libri duo (1640) del suo non altrettanto esimio predecessore. In questo trattato riportava due immagini di uova di gallo: la prima, senz'altro ignota ad Aldrovandi, era stata fornita dall'abate Antonio - Canonico Regolare del Santo Salvatore - e riproduceva un uovo deposto a Reggio Emilia nel 1628, mentre l'altra corrispondeva al guscio di un presunto uovo di gallo conservato nel museo del Senato bolognese.
Queste immagini fanno parte del capitolo dedicato al Basilisco che viene ampiamente discusso in Serpentum et draconum historiae libri duo e tra poco vedremo se Aldrovandi credesse oppure no a questo animale fantastico che poteva nascere appunto da uova di gallo.
Uovo
e presunto uovo di gallo
da
Serpentum et draconum historiae libri duo (1640) di Ulisse Aldrovandi
Nel 1860
Davaine
raccolse le più strane ipotesi circa le uova di gallo, non ultima quella
secondo cui poteva scaturirne un basilisco. Basilisco deriva dal greco basilìskos,
diminutivo di basiléus,
letteralmente piccolo re, reuccio.
Secondo la tradizione, riportata anche da Plinio il Vecchio, si trattava di un
mostro favoloso, riconoscibile per
avere una
macchia bianca sulla testa a mo’ di diadema.
Per la mitologia greco-romana si trattava di un mostro
fantastico dotato di poteri malefici e terribili. Considerato Re
di tutti i serpenti e di tutti gli esseri viventi eccetto l’uomo, aveva
il potere di uccidere col solo sguardo o addirittura col semplice alito,
mentre nel Medio Evo si diffuse la credenza secondo cui bastava essere i primi
a scorgerlo per sfuggirne gli effetti letali, anzi, di essere addirittura in
grado così di ucciderlo. Presso i cristiani divenne simbolo del peccato.
Ascoltiamo Plinio nella sua Naturalis
historia.
[VIII, 77] Apud Hesperios Aethiopas fons est Nigris, ut
plerique existimavere, Nili caput, ut argumenta quae diximus persuadent.
Iuxta hunc fera appellatur catoblepas, modica alioqui ceterisque membris
iners, caput tantum praegrave aegre ferens - id deiectum semper in
terram -, alias internicio humani generis, omnibus, qui oculos eius
videre, confestim expirantibus. |
Presso
gli Etiopi di Occidente si trova la fonte Nigri, la sorgente del Nilo,
come molti hanno ritenuto e come confermano gli argomenti che abbiamo
esposto. Vicino a questa fonte vive una fiera chiamata catoblepa
[6]
,
per il resto di piccola taglia e inoffensiva nelle altre membra, ma che
a stento riesce a portare una testa pesantissima. La tiene sempre chinata
verso terra, altrimenti farebbe strage del genere umano, perché tutti
quelli che l'hanno fissata negli occhi sono morti subito. |
[VIII,78-79]
Eadem et basilisci serpentis est vis. Cyrenaica hunc generat provincia, duodecim non amplius digitorum
magnitudine, candida in capite macula ut quodam diademate insignem. Sibilo omnes fugat serpentes
nec flexu multiplici, ut reliquae, corpus inpellit, sed celsus et
erectus in medio incedens. Necat frutices, non contactos modo, verum et
adflatos, exurit herbas, rumpit saxa: talis vis malo est. Creditum quondam ex equo occisum hasta et per eam
subeunte vi non equitem modo, sed equum quoque absumptum. Atque huic
tali monstro - saepe enim enectum concupivere reges videre - mustellarum
virus exitio est: adeo naturae nihil placuit esse sine pare. Inferciunt
has cavernis facile cognitis soli tabe. Necant illae simul odore
moriunturque, et naturae pugna conficitur. |
Identica
è la proprietà del serpente basilisco.
Lo genera la provincia della Cirenaica, non è più lungo di dodici dita
e lo si riconosce per una macchia bianca sulla testa, a mo' di diadema.
Col suo sibilo mette in fuga tutti i serpenti, e non muove il suo corpo,
come gli altri, attraverso una serie di volute, ma avanza stando alto e
diritto sulla metà del corpo. Secca gli arbusti non solo toccandoli, ma
col suo soffio, brucia le erbe, spezza le pietre: tale potenza ha questo
pericoloso animale. Una volta, così si credette, un esemplare fu ucciso
da un uomo a cavallo con un'asta e dal veleno salito attraverso di essa
non soltanto il cavaliere, ma anche il cavallo furono annientati. E per
un simile mostro - spesso i re hanno desiderato di vederlo estinto - è
mortale il veleno delle donnole: così la natura ha voluto che nulla
fosse privo del suo uguale. Gli uomini fanno entrare le donnole nelle
tane dei basilischi, che si riconoscono facilmente per la contaminazione
del suolo. Esse uccidono i serpenti con il loro odore e muoiono nello
stesso tempo, e così termina questo combattimento della natura. |
Alcune
fonti riferiscono trattarsi di un serpentello col
capo adorno di un diadema bianco, secondo altre ha il corpo di un gallo, la
coda di serpente o di lucertola, ali di drago, becco d'aquila; infine, secondo
altri, avrebbe portamento eretto e sembianze umane.
Il
basilisco nascerebbe dall’uovo deposto da un gallo di 7
anni, covato dal gallo stesso,
oppure da un serpente o da un rospo, o avrebbe addirittura come padre un gallo
e come madre una femmina di rospo, e il suo sangue, come quello dei draghi,
sarebbe dotato di straordinarie virtù terapeutiche. Zoologi del 1500,
come Gessner e - pare - Aldrovandi, credevano ancora alla sua esistenza, e i
loro trattati non potevano non essere corredati da un’iconografia ad
hoc.
Basilisco
contenuto nel Serpentum et draconum historiae libri duo (1640) di
Ulisse Aldrovandi
ma tratto dal Prodigiorum ac ostentorum chronicon (1557) di Licostene
Basilisco
contenuto nel Serpentum et draconum historiae libri duo (1640) di
Ulisse Aldrovandi
identico a quello riportato in Historiae animalium liber V qui est de
serpentium natura di Conrad Gessner
edito postumo nel 1587
Anche Sir Thomas Browne [7] - che nasceva l’anno in cui Aldrovandi moriva - non se la sentiva di negare l’effettiva esistenza del Basilisco, al quale dedicò un ampio capitolo nel suo Pseudodoxia Epidemica. Vediamo cosa dice in apertura di tale capitolo (III,vii), appellandosi anche alla testimonianza delle Sacre Scritture:
“Many
opinions are passant concerning the Basiliske or little king of Serpents,
commonly called the Cockatrice, some affirming, others denying, most doubting
the relations made hereof. What therefore in these uncertainties we may more
safely determine: that such an Animall there is, if we evade not the testimony
of Scripture and humane Writers, we cannot safely deny.”
L'etimologia del vocabolo inglese cockatrice, già in uso nel 1382, riconosce questa sequenza: dall'antico francese cocatris, composto da coq = gallo + calcatrix dal latino calcare = pigiare, calpestare, che oggi senza tanti mezzi termini suonerebbe scopare, essendo calx il calcagno, e i galli lo usano per breve tempo quando si accoppiano con le galline, invece i tacchini usano i calcagni per un tempo che talora risulta letale quando calcano e spremono le tacchine. In araldica cockatrice è un ibrido che ricorda il gallo e il serpente.
I ciarlatani erano abili nell’allestire basilischi
servendosi di pesci disseccati, e qualche esemplare siffatto è giunto a noi,
conservato nei musei. Ben altra cosa sono i Basilischi appartenenti alla
famiglia degli Iguanidi: recano sul capo una sorta di stretto elmo e sul dorso
un’alta cresta, possono correre sull’acqua raggiungendo i 12
km
orari. Il Basilisco comune, Basiliscus
basiliscus, vive in America Centrale come le altre specie.
Basiliscus basiliscus - Iguanidae
Torniamo ad Aldrovandi:
Quod
vero nonnulli dicant [eiusmodi ovum] testa carere, sed adeo durae pellis
esse, ut fortissimis ictibus resistat, id plane fabulosum esse existimo,
uti etiam quod vulgus in tota Europa existimat, ex eo basiliscum
generari, maxime si a rubeta, vel bufone excludatur. Levinus Lemnius
medicus praestantissimus propria sese experientia comprobatum habere
tradit, Gallum non aedere [edere] tantum ovum, sed incubare etiam.
Scribit autem in civitate Zirizaea, atque insulae huius ambitu duos
annosos Gallos non tantum ovis suis incubasse, verum etiam fustibus
aegre ab illo opere abigi potuisse, atque ita, quoniam cives eam
persuasionem concepissent, ex eiusmodi ovo basiliscum emergere, ovum
conterisse [contrivisse], et Gallum strangulasse. |
Circa il
fatto che alcuni asseriscono che un uovo siffatto manca di guscio, ma
che è dotato di una pelle così dura da resistere a traumi fortissimi,
io lo ritengo del tutto inventato, come anche ciò che il popolino di
tutt’Europa ritiene, che cioè ne viene generato un basilisco,
soprattutto se viene covato da un rospo velenoso o da un rospo comune.
Levino Lemnio, medico veramente eccellente, informa di avere conferma
attraverso la propria esperienza che il gallo non solo depone un uovo,
ma che lo cova anche. Scrive poi che nella città di Zirizea
[8]
e nel territorio di quest’isola due galli
attempati non solo si erano messi a covare le loro uova, ma anche che
fustigandoli a fatica li si era potuti dissuadere da tale compito, e così,
poiché gli abitanti si erano convinti che da un siffatto uovo ne
sarebbe emerso un basilisco, ruppero l’uovo e strangolarono il
gallo. |
Verum quicquid hic, aliique dicant, ego ne
iurantibus quidem crediderim, tantum abest, ut Gallum id in fimo ponere,
ut eius calore foecundetur [fecundetur], aut ab incubantibus id rubetis basiliscum
generari credam, ut nonnulli etiam nugati sunt. Haud interim negarim Gallum
quid ovo simile ex conglobata intus putri concretione, maxime in ultimo
eius senio, cum non amplius coit, concipere, ovum integrum una cum testa
excludere minime credam. Hoc enim in matrice perfici ratio dictat. Ut
autem a viro totum foetum [fetum] excludi nemo dixerit, ita neque a Gallo, qui
cum Philosophorum, tum medicorum dogmatibus edoctus loquitur. |
In verità,
qualunque cosa dicano sia lui che altri, io non lo crederei neppure se
lo giurassero, tanto è lontano dalla realtà il fatto che un gallo
deponga un uovo nel letame perché sia fecondato dal suo calore, o che
io creda che venga generato un basilisco se l’uovo viene incubato da
rospi velenosi, come alcuni si sono anche presi burla di dire. Nel
contempo non mi sentirei di negare il fatto che un gallo sia in grado di
concepire qualcosa di analogo a un uovo grazie a una aggregazione
putrida conglobata al suo interno, soprattutto alla fine della sua
vecchiaia quando non si accoppia più, ma non crederei assolutamente che
sia in grado di produrre un uovo vero fornito di guscio. La ragione
impone che esso viene compiutamente realizzato nella femmina. Poiché
d'altronde nessuno potrebbe mai affermare che un feto compiuto nasce da
un uomo, così non dovrà neppure affermare che è nato da un gallo,
anche se chi parla è una persona addottorata sia in filosofia che in
medicina. |
Insomma, Aldrovandi non crede che un gallo possa partorire
un vero uovo, confortato dal fatto che nessuno si è mai sognato di asserire
che un uomo è in grado di partorire. E Aldrovandi oltretutto non crede che da
simili uova possa nascere un basilisco. Ma del basilisco ne parla piuttosto a
iosa nel secondo volume della sua Ornithologia, riportando da Claudio Eliano
(3,31) come il basilisco,
temutissimo dai serpenti, tema invece a tal punto il gallo che coloro che
intraprendono un viaggio nelle sconfinate solitudini della Cirenaica ne
portano uno al seguito nell'eventualità di dover incappare in quella
maledetta bestiaccia: come sente il canto del gallo viene assalita da un
terrore tale da addirittura morire, […] et cum cucurientem audit, tanto
terrore concuti, ut emoriatur. Sì, Aldrovandi si limita a citare, ma non si
dichiara apertamente contro la possibile esistenza del basilisco.
Fig.
IX. 20 - De occultis naturae
miraculis |
Eppure Aldrovandi aveva visto un basilisco dal vivo e non l’aveva minimamente sospettato.
Nel De
natura avium et animalium di
Pier Candido Decembrio (1392-1477)
[9]
incontriamo
una raffigurazione del basilisco che potrebbe essere servita da modello a
colui che poi ha disegnato quello di Aldrovandi e che è contenuto nel libro XIV di Ornithologia. Ma Aldrovandi forse non
sapeva che stava inserendo, proprio fra i polli, un bel basilisco, un bel
basilisco identico a quello in cui ci imbattiamo anche nella sua Monstrorum
historia, opera postuma (1642) che ho avuto tra le mani a Berna nell’ottobre 1996, ma, ahimè! il suo prezzo non era per ricercatori,
bensì per bibliofili: 3.000 franchi svizzeri.
Ancora una volta non possiamo non salvare Ulisse dalle critiche: egli trattando del pollo non fa l’errore di collocare questo animale fra quegli uccelli esotici magari da alcuni catalogati come polli, ma lo colloca giustamente nel capitolo VIII del libro XIV: De monstris. Così il basilisco passa sotto le mentite spoglie di Gallus cauda quadrupedis cum crista Gallinacea. L’aveva visto alcuni anni prima nel palazzo del Granduca di Toscana Francesco I de’ Medici (1541-1587), ed era vivo, e col suo aspetto terrificante incuteva terrore anche agli uomini coraggiosi: “[...]Gallus iste, quem vivum ante aliquot annos in aula Serenissimi Magni Hetruriae [Etruriae] Ducis Francisci Medicei observavi: viris etiam magnanimis aspectu suo terrifico pavorem incutiebat.”
Per cui si deve pensare che sia stato lo stesso Aldrovandi a istruire il suo disegnatore sulle fattezze di questo gallo mostruoso, e possiamo arguire che dai tempi di Decembrio in poi il basilisco possedesse delle sembianze quasi standardizzate, meravigliandoci del fatto che ogni tanto, qua e là, qualche basilisco si facesse vedere vivo e vegeto. Era vivo e vegeto, ma Aldrovandi non lo classificò come basilisco!
Fig.
IX. 21 - Uno dei tanti aspetti assunti dal
Basilisco:
quello
di sinistra è tratto dal De natura avium et animalium di Pier
Candido Decembrio (Pavia 1392 - Milano 1477) mentre ad Aldrovandi appartiene il Basilisco di
destra contenuto non solo in Monstrorum historia (1642) ma anche nel libro XIV del II volume
di Ornithologia col nome di Gallus
cauda quadrupedis cum crista Gallinacea. L’immagine di Aldrovandi,
lievemente diversa da quella di Decembrio, in Monstrorum historia è accompagnata da questa
didascalia: Gallus monstrificus barbatus cornutus ocreatus cauda anguina
in cuius extremitate est flocus. Prope uropygium autem ubi adheret corpori
habet quoddam tuberosum rotundum colore albido. Crista palearibusque plumosis.
È ancora prassi corrente
affidare alla chioccia un numero dispari di uova:
Collectis
modo ovis foecundis [fecundis], eorum numeri etiam ratio habenda est, si veteribus
credimus. Quotquot enim de agricultura scripserunt, fere omnes impari
numero subiici iubent, idque hodie nescio quam vere mulierculae nostrae
observant. Nam revera res non videtur superstitione carere, nisi
Pythagorae forte dogmata sapere dicamus, qui summum bonum in numero
impari ponebat. |
Dopo aver radunato
solamente uova feconde, bisogna anche tener conto del loro numero, se
crediamo agli antichi. Infatti quasi tutti quelli che hanno scritto di
agricoltura prescrivono che debbono essere messe a cova in numero
dispari, ma oggigiorno non so quanto in realtà le nostre donne di
campagna vi si attengono. Infatti, effettivamente, la cosa non sembra
scevra da superstizione, a meno che non affermiamo che forse ha il
sapore dei dogmi di Pitagora, il quale riponeva il sommo bene nel numero
dispari. |
Le uova dispari: è probabile che si tratti di dottrina neoplatonica. In realtà, nel campo musicale, Pitagora scoprì le consonanze musicali, ossia le proporzioni 2:1, 3:2 e 4:3, che rappresentano la lunghezza di corde corrispondenti all’ottava e l’armonia fondamentale (il cinque e il quattro). (Roberto Ricciardi, 2005)
Un'equazione inveterata afferma:
uova appuntite = maschi, uova rotonde =
femmine:
Igitur, ut
parerga istaec concludamus, sensit Aristoteles, et scripsit ex rotundis
progenerari faeminas [feminas], ex acuminatis mares. Nunc vero in textu
Aristotelis tam Graeco, quam Latino legitur, prout Albertus correxit,
vel potius corrupit. Vetus vero
Aristotelica lectio est illa, quam vitiatam ille dicit. Caeterum nunquid
modo, ex oblongis mares, ut vetus lectio habet, et ex rotundis faeminae
[feminae], vel contra procreentur, Gallinarius super hoc esset
consulendus. Ego priorem lectionem, ut dixi, libenter amplector,
gaudeoque me cum Aristotele in ea haeresi esse, ut ex acutis ovis mares
gigni credam, eoque magis cum Plinium Aristotelicum, et Columellam omnis
villicationis consultissimum comites erroris, si error fuerit, habeam. Mulieres medius fidius nostrae ex acutis mares, et contra ex rotundis
faeminas [feminas] procreari asserunt. |
Pertanto, al fine di chiudere questa appendice, Aristotele fu dell’opinione e scrisse che dalle uova rotonde nascono femmine, maschi da quelle appuntite. Ma attualmente nel testo di Aristotele sia greco che latino si legge nel modo in cui Alberto lo corresse, o piuttosto, lo corruppe. Ma in realtà l’antica lezione aristotelica è quella che lui dice essere corrotta. D’altra parte su questo argomento, se cioè, come riporta l'antica lezione, da uova oblunghe nascono proprio dei maschi, e femmine da quelle arrotondate, oppure il contrario, bisognerebbe consultare un addetto al pollaio. Come dissi, io abbraccio volentieri la lezione più antica e mi rallegro di trovarmi in compagnia di Aristotele in quella corrente di pensiero, tant’è che credo che dalle uova appuntite nascono dei maschi, e tanto più per il fatto di avere come compagni di errore, se sarà stato un errore, Plinio Aristotelico, nonché Columella assai esperto nella gestione di ogni tipo di podere. Credetemi: le nostre donne affermano che da quelle acute nascono maschi, femmine da quelle rotonde. |
Lanza e Vegetti hanno optato per la seguente versione del testo aristotelico, un testo che, stando ad Aldrovandi, denoterebbe un'errata trascrizione:
"Le uova allungate e appuntite danno femmine,
quelle
arrotondate, cioè con l'estremità circolare, danno maschi."
(Historia
animalium VI,
2).
I due studiosi affermano pure che secondo le vedute più
recenti la Naturalis historia di
Plinio dipende da una epitome ellenistica, cioè da un compendio della Historia
animalium. In questo caso potrebbe sorgere il dubbio che l'equivoco
dipenda da un errore dell'epitome e che Alberto vi abbia posto rimedio.
Infatti Plinio la pensava in modo antitetico ad Aristotele: "Feminam edunt quae
rotundiora gignuntur, reliqua marem." (Naturalis
historia X,145). Columella concordava con Plinio: "Cum
deinde quis volet quam plurimos mares excludi, longissima quaeque et
acutissima ova subiicet: et rursus cum feminas, quam rotundissima." (De re rustica, VIII 5.11).
Più tardi Avicenna [10] dissentì sia da Plinio che da Columella, e lo stesso fece Alberto tanto da affermare:
"Hoc concordat cum experientia, quam nos in ovis experti sumus,
et cum ratione."
Insomma, è questione di mettersi d'accordo su come la
pensasse effettivamente Aristotele, anche se alla fin dei conti sembra un
problema di lana caprina. Aldrovandi vuole seguire una certa versione del
testo aristotelico, successivamente andata corrotta, e così Aristotele,
Plinio e Columella si trovano a dar ragione non solo ad Aldrovandi, ma anche
alle donne di campagna che hanno pratica di chiocce e di uova da incubare.
Ogni tanto ci troviamo a cozzare contro degli ipse
dixit, e i guai aumentano quando non sappiamo con certezza cosa fu detto.
Non so dal punto di vista della sagoma quale campionario di uova fossero in
grado di esibire le galline dei tempi di Aldrovandi, ma esistono allevatori
che riescono a individuare la gallina che ha deposto un determinato uovo.
Nella mia piccola esperienza posso affermare che in base alla sola foggia non
mi è difficile attribuire un uovo a una Pechino piuttosto che a una femmina
di Combattente inglese moderno nano: nel primo caso si tratta di uova molto
arrotondate, nell'altro di uova appuntite. Stando all'oziosa diatriba che ci
tiriamo appresso, secondo Aldrovandi il mio pollaio dovrebbe essere popolato
da Pechino femmine e straripare in Combattenti maschi. Insomma, la forma di un
uovo è legata non solo alla razza, ma anche all'individuo, come sono pronti a
confermare coloro che sono in grado di individuare una gallina dalla
conformazione di un certo uovo .
Questa possibilità era nota già due millenni fa. Infatti
Plinio (X, 155) afferma: "Traditur quaedam ars gallinarii
cuiusdam dicentis, quod ex quaque esset." Cioè: “Si tramanda anche la
bravura di un allevatore di polli che riconosceva di quale gallina fosse
ciascun uovo.” Questo allevatore era di Delo ed è citato da Cicerone in Academica
II,86:
"[…] gallinarium invenisti Deliacum illum qui ova
cognosceret?" (hai trovato quell'allevatore di Delo che era in grado di
riconoscere le uova?).
Nello studio Relazione fra l’indice di forma e la schiudibilità delle uova di Auxilia e Mastrorillo possiamo trovare un conforto scientifico al fatto che non esiste relazione tra forma dell'uovo e sesso del nascituro, relazione già applicata anche al genere umano. Infatti, prima dell'avvento dell'ecografia, ciascuno si sbizzarriva a predire il sesso del bambino: addome appuntito = maschio, addome arrotondato = femmina. Quelle signore che hanno vissuto il periodo pre-ecografico sono pronte ad affermare che non sempre questa equivalenza era vera. Il lavoro di Auxilia e Mastrorillo, suscitato dalla convinzione che le uova la cui forma si scosta alquanto da quella standard presentino schiudibilità scarsa o nulla, non riguarda la predizione del sesso, bensì la schiudibilità delle uova, che dal punto di vista sia commerciale che amatoriale è ben più importante, e così conclude:
"L'indice di forma delle uova rivelò una variabilità
piuttosto limitata. Essa non apparve influire in modo significativo sulla
percentuale di schiusa delle stesse. Pertanto, nella scelta delle uova
destinate all'incubazione non si deve attribuire un valore pregiudiziale alla
forma nei riguardi della schiudibilità. La forma ha invece un'importanza
notevole ai fini della commercializzazione, specie in vista di una diffusione
sempre maggiore della vendita di uova confezionate in contenitori
standardizzati. Poiché essa è ereditabile in alta misura, l'allevatore,
eliminando dall'incubazione le uova che rappresentano le varianti estreme
rispetto alla forma, tende a produrre ovaiole le quali depongono uova che
maggiormente si avvicinano alla forma standard e, conseguentemente, di più
elevato interesse commerciale."
Quindi la forma di un uovo è un tratto dotato di elevata
ereditabilità e varia da individuo a individuo e tra ceppi della stessa razza,
ed è
essenzialmente dovuta all’istmo dell’ovidutto (vedi VIII-8.6.). Sono state notate variazioni dell'indice di forma indotte da fattori di
ordine fisiologico quali l'inizio della deposizione, il suo ciclo, nonché
eventuali pause della stessa, e pare che le uova di pollastra siano più
rotonde di quelle di gallina, così come il primo uovo di un ciclo risulta
essere generalmente più lungo e più stretto del secondo uovo. Esiste inoltre
una correlazione statistica certa madri-figlie anche per la forma come per
altre importanti caratteristiche qualitative delle uova, e, se non bastasse,
la forma non è influenzata solo dalla madre, ma anche dal padre di colei che
depone.
Parlona
e Claudietta
Parlona è
l'anatra di sinistra che depone sempre uova arrotondate
Claudietta - perché zoppicante dopo una paresi - depone sempre uova appuntite
foto Elio Corti - Giugno 2007
Claudietta
continua a deporre uova appuntite.
Molto meno appuntito è l'uovo abortivo.
Giugno 2008
foto Elio Corti - Giugno 2008
Chi ha mai sentito dire che nei megaincubatoi industriali
si separano le uova in base alla forma al fine di favorire il lavoro di
sessaggio dei pulcini alla nascita? Per il sessaggio sono state trovate
soluzioni totalmente diverse nelle quali per ora non ci addentriamo, ma che
non prevedono assolutamente una separazione delle uova da incubare in base
alla loro foggia.
L'esempio che vorrei addurre non è del tutto pertinente,
ma aiuterà a chiarire le idee. In campo umano si parla di feci caprine che
altro non sono che quelle feci che ricordano quelle della capra. Qualora un
paziente riferisca questo sintomo, per il medico è giunto il momento di fare
la parte dell'istrione, in quanto può sentenziare un insieme di cose: che il
paziente è un po' nervosetto, che ogni tanto sente dei crampi addominali,
eccetera. Insomma, è come se fosse un cartomante, o, se volete, un copromante:
il paziente soffre di colite spastica, e l’istrione che ha di fronte glielo
dice ancor prima di avergli palpato la corda colica, cioè un colon talmente
contratto da sembrare una corda. Il grosso intestino, sottoposto a spasmi di
origine psichica, segmenta le feci e imprime loro la forma che hanno quelle di
capra.
Perché la forma dell'uovo è così caratteristica per
ogni gallina, e così ereditabile? La mia risposta è empirica e solo
deduttiva, ma potrebbe corrispondere al vero: perché anche l’istmo e
l'utero di gallina sono dotati di uno strato muscolare che non si modella
passivamente sul guscio in formazione, ma, attraverso il tono muscolare
distribuito in vario modo e in varia entità nei loro segmenti, sarà in grado
di attribuire una particolare foggia al guscio. Questa attività muscolare non
si svolge per pochi minuti, e neppure per pochi secondi come accade per la
spessa muscolatura vaginale, ma per un’ora e un quarto nell’istmo e per
ben 20-21 ore
nell’utero.
Nel pollo
domestico gli studi sul rapporto sessi alla nascita sono stati condotti senza tener conto della forma dell'uovo da cui
sono nati i pulcini, e hanno messo in luce che il rapporto sessi secondario - quello
calcolato al momento della schiusa e contando i soggetti vivi - è
praticamente equivalente a 1:1, cioè 50% maschi
e 50% femmine. Lo stesso Darwin, a questo proposito, così
riferiva: “Per quanto riguarda i polli ho ricevuto un solo rapporto,
precisamente che di 1.001 polli di una razza nobile
Cocincina allevati per otto anni dal Signor Stretch, 487
furono
maschi e 514 femmine.”
Sir Thomas Browne, conterraneo di Darwin nonché collega
mio e di Aldrovandi, nel suo Pseudodoxia Epidemica III,xxviii
taglia corto ed è alquanto categorico: “That the sex is discernable from
the figure of Eggs, or that Cocks or Hens proceed from long or round ones, as
many contend, experiment will easily frustrate.” Diremmo: un uomo pratico e
di poche parole il nostro Browne. Io direi che soprattutto era anglicano e non
si sentiva addosso il peso di certe tradizioni e soprattutto l’occhio
inquisitore di certe istituzioni.
Giambattista Della Porta
oltre che geniale doveva essere un istrione non da poco se riusciva a
scrivere, e magari a far digerire, ciò che Aldrovandi riporta senza l’aggiunta
di alcun commento alle affermazioni dell'amico napoletano, ovviamente per non
sbilanciarsi. Il primo brano il Della Porta lo ricava da Aristotele, il
secondo è totalmente suo. Erano tempi in cui non circolavano solo basilischi,
circolava un po' di tutto, come sempre, ma l'autorità di Annie Gray
ci riscuote da quei tempi mitici in quanto nel suo monumentale lavoro Bird
Hybrids
(1958), contrariamente a quanto accade in Della Porta, il piccione non si è mai concesso di dare progenie
con una gallina, non solo domestica.
Si quis vero pullos cupiat excludere visu iucundissimos, Palumbum marem
cum Gallina coire curabit, aut Perdicem, vel Phasianum. Cuius coitus
modum in Phasiano diximus, et hic sponte omittimus. Perdices
copia libidinis gaudent, […] Haec ex Aristotele scribit Io. Baptista
Porta. |
Tuttavia, se qualcuno è punto dal desiderio di far nascere pulcini
bellissimi da vedersi, dovrà darsi da fare perché un colombo maschio o
una pernice o un fagiano si accoppino con una gallina. Parlai della
modalità di tale coito nella parte dedicata al fagiano e qui
volutamente la tralascio. Le pernici godono di abbondanza di libidine, […] Queste cose le scrive
Giambattista Della Porta traendole da Aristotele. |
Omni enim tempore coeunt
Columbae, et foetant [fetant] aestate, et hyeme. Erant nobis domi Columbus
caelebs, et Gallina vidua: Columbus satis amplo corpore, et salax:
Gallina parva, sine [sive] nana: una versabantur, unde tempore veris Columbus
Gallinam supervenit, quae suo tempore ova dedit ab ea incubata exclusa
sunt, pullosque ex utroque mistos nobis protulit ab utroque genitore
retinentes effigiem. Magnitudo corporis, capitis forma, et rostri erat
Columbi, pedes Gallinae, pluma quam albissima, et crispa, pedes pennis
operti; atque ut Columbus pipiebat, qui maximi nobis fuit oblectamenti,
et iucunditatis quique non alibi quam in cubili, aut mulierum sinu
quiescebat. |
Infatti le
colombe si accoppiano in qualunque stagione, e partoriscono sia
d’estate che d’inverno. A casa mia avevo un colombo celibe e una
gallina vedova: il colombo abbastanza corpulento e voglioso: la gallina
era piccola, ossia nana: vivevano insieme, per cui in primavera il
colombo si accoppiò con la gallina, e le uova che lei a suo tempo aveva
deposto e poi covato si schiusero, e ci diede dei pulcini ibridi di
entrambi e che erano dotati dell’aspetto di ambedue i genitori. Le
dimensioni del corpo, la forma del capo e del becco erano del colombo,
le zampe della gallina, le piume candidissime e arricciate, i piedi
coperti da piume, e faceva il verso del colombo quello che per me fu
motivo di enorme diletto e allegria, e che non dormiva da nessun’altra
parte se non nel letto, oppure in grembo alle donne. |
Una bella fantasia quella del nostro Giambattista! Ha pensato a tutti i particolari: i piedi calzati, le piume arricciate, financo la voce! Istrioni non si diventa. Si nasce.
Io sono
di quest’avviso.
[1] Florentinus viene ripetutamente citato da Aldrovandi. Come al solito è difficilissimo reperire notizie biografiche di certe persone che si sono dedicate con passione e competenza a un argomento. Fiorentino era uno scrittore greco della prima metà del III secolo dC, verosimilmente della Bitinia romana, autore di Georgica in almeno 11 libri, che servirono come fonte alle Geoponica, la compilazione di norme di agricoltura del V-VI secolo. Scrittore geoponico, cioè di agricoltura, deriva dall’aggettivo greco gheøponikós = per il lavoro della terra, cioè agricoltura, in quanto il prefisso gheø sta per terra e pónos indica il lavoro faticoso. In greco esiste un’altra parola per indicare il lavoro: érgon. Ma érgon non indica la fatica talora sovrumana del contadino, bensì un’opera, un’occupazione. Tant’è che di agricoltura si occupò anche Virgilio, ma il suo poema didascalico sull’agricoltura ricevette il nome di Georgiche, più melodico e meno gravido di stress fisico qualora fosse stato denominato Geoponiche.
[2] Pierius Valerianus: nome umanistico del letterato italiano Giovan Pietro Bolzani (Belluno 1477 - Padova 1560). Protetto dai Medici, fu in relazione con i maggiori umanisti del suo tempo. La citazione è tratta dall’opera del Bolzani Hieroglyphica, sive de sacris Aegyptiorum literis commentarii edita a Basilea per la prima volta nel 1556. Che si trattasse di una gallina della Macedonia è una pura illazione di Pierius Valerianus. La notizia della gallina macedone infatti è tratta dalla Historia animalium di Aristotele, che, vedi caso, era proprio macedone, essendo nato nel 384 aC a Stagira, in Macedonia, sulla costa orientale della Penisola Calcidica. Nella Historia animalium - che risale al periodo 347-343 aC - lo Stagirita non dichiara affatto dove cotesta gallina avesse partorito e covato. Vediamo il relativo passo del libro VI, 562a-562b: “Le uova gemelle presentano due tuorli; in certi casi vi è un sottile diaframma di bianco per evitare che i gialli si saldino fra loro, mentre in altri questo diaframma manca e i gialli sono in contatto. Vi sono certe galline che fanno solo uova gemelle, ed è nel loro caso che sono state condotte le osservazioni su ciò che accade nel tuorlo. Una di esse depose diciotto uova e ne fece nascere dei gemelli, tranne che da quelle che risultarono sterili; le altre comunque erano feconde, a parte il fatto che uno dei gemelli [562b] era più grande e l’altro più piccolo, mentre l’ultimo uovo conteneva un mostro.” [Cioè un pulcino con quattro zampe e quattro ali, perché i tuorli non erano divisi. Nota e traduzione di Mario Vegetti]
[3] Ermolao Barbaro: studioso italiano (Venezia 1453 o 1454 - Roma 1493). Dopo i primi studi, seguì a Roma le lezioni di latino di Pomponio Leto e quelle di greco di Gaza. Attese agli studi superiori a Padova, dove poi (1475-76) insegnò filosofia interpretando i libri morali di Aristotele. Pochi anni dopo aprì a Venezia una scuola privata, continuandovi le esercitazioni aristoteliche. Alternò il suo famoso magistero con la vita pubblica: svolse missioni diplomatiche presso Federico III, Ludovico Sforza e Innocenzo VIII. Nel 1491, creato patriarca di Aquileia dal papa, fu bandito dalla città dal governo veneziano. Morì di peste. Tradusse dal greco in latino e divulgò Dioscoride, le Paraphrases aristoteliche di Temistio e le opere retoriche e dialettiche di Aristotele. La sua opera di maggior impegno filologico restano le Castigationes Plinianae (1492-93) dove egli fissa ed emenda l'opera di Plinio. In stile elegante e freddo sono redatti l'Epistolario, i Carmi, le Orazioni, il De coelibatu e il De officio legati. Tramite la sua filologia condusse una battaglia filosofica rinnovatrice, polemizzando contro la scuola averroistica padovana che sosteneva la dottrina dell'unità e immortalità dell'intelletto universale, contro Marsilio Ficino e Giovanni Pico della Mirandola, mostrando quanto l'interpretazione averroistica divergesse da Aristotele. Gaza Teodoro: umanista bizantino (Salonicco ca. 1400-San Giovanni di Piro, Salerno, 1475). Sfuggito nel 1429 ai Turchi e venuto in Italia, insegnò greco a Siena, a Ferrara e a Mantova. Passò a Roma al servizio di papa Niccolò V, per il quale tradusse in latino scrittori greci (Teofrasto, varie opere di Aristotele, ecc.). Alla morte di Niccolò V (1455), si stabilì a Napoli alla corte di re Alfonso, che gli assicurò una florida situazione economica. Ottenne infine il beneficio dell'abbazia di San Giovanni. Oltre agli autori già citati, Gaza tradusse Ippocrate, Eliano, Dionigi d'Alicarnasso, Giovanni Crisostomo e dal latino in greco Cicerone; scrisse una Grammatica greca e collaborò all'editio princeps di testi inediti (Aulo Gellio). È autore inoltre di opere storiche, filologiche e antiquarie e di parafrasi di testi omerici.
[4] Upanishad: letteralmente vuol dire sedere accanto e in origine significava lezione, impartita da un maestro brahmanico; col tempo assunse un valore riducibile al nostro concetto di “iniziazione misterica”, “dottrina arcana o segreta”. Si tratta di una serie di testi filosofico-religiosi dell’India che appartengono all’ultima fase del periodo vedico (la produzione letteraria di questo periodo si estende all’incirca dal 2000 al 500 aC). Le Upanishad sono scritture destinate a insegnare i metodi per realizzare la verità ultima e contribuirono alla formazione della nuova ortodossia politeistica cui si dà il nome di induismo. In origine erano 1.180, ma oggi se ne conoscono solo 108. Le più antiche Upanishad, tra le quali figura anche la Chandogya, sono probabilmente databili tra il 900 e il 600 aC.
Ammiano Marcellino: storico latino (Antiochia ca. 330 - forse Roma ca. 400). Trascorse la sua vita, assai attiva, sotto gli imperatori Costanzo II, Giuliano, Gioviano, Valentiniano I e Valente. Già in servizio a corte, nel 353 fu posto al seguito del generale Ursicino, comandante degli eserciti d'Oriente, che accompagnò in varie guerre; nel 360 fu col nuovo imperatore Giuliano, che molto ammirava, nella campagna militare contro la Persia, per poi ritirarsi, dopo la morte dell'imperatore (363), ad Antiochia e lì iniziare ricerche e studi storici. In seguito si trasferì a Roma, dove attese alla composizione della sua opera, che è anche l'unica fonte di notizie per la sua vita: una storia di Roma, col titolo Res gestae, dall'ascesa al trono di Nerva (96), continuando dunque le Historiae di Tacito, fino alla morte di Valente (378). Dei 31 libri originari a noi sono giunti però solo gli ultimi 18, che coprono un periodo di 25 anni: è così evidente che il racconto si faceva molto più minuzioso con l'avvicinarsi ai tempi dell'autore. La preparazione letteraria di Ammiano fu certamente molto accurata, soprattutto nei riguardi di Tacito, che prese a modello anche stilistico; ma il fascino drammatico del racconto nasce piuttosto dall'esperienza che Ammiano ebbe dei fatti: la sua è spesso la narrazione di un testimone oculare e l'opera di un contemporaneo, che giudica anche severamente uomini e cose, senza per questo trascurare le indagini o sacrificare l'oggettività di un vero storico. - Ammiani Marcellini Res gestae Liber XXX - III 1. Secuto post haec anno, Gratiano adscito in trabeae societatem Aequitio consule, Valentiniano post vastatos aliquos Alamanniae pagos munimentum aedificanti prope Basiliam, quod appellant accolae Robur, offertur praefecti relatio Probi, docentis Illyrici clades.
Valentiniano I: in latino Flavius Valentinianus. Imperatore romano d'Occidente (Cibalae, Pannonia, 321-Brigetio, Pannonia, 375). Capo militare, fu salutato imperatore nel 364 a Nicea dall'esercito. Affidato l'Oriente al fratello Valente, Valentiniamo perseguì, con un'intensa legislazione in clima di tolleranza religiosa, una politica di giustizia fiscale e correttezza amministrativa istituendo a difesa dei ceti inferiori, humiliores, il defensor civitatis o defensor plebis. Impegnato nella difesa dell'integrità dell'Impero contro i barbari, si trasferì in Gallia, dove distrusse gli Alemanni a Solicinium (368), e a Novomagus (Nimega) batté Franchi e Sassoni. In Britannia il comes Teodosio batteva frattanto Pitti, Scoti e Sassoni. Dal 371 V. riprese le operazioni contro gli Alemanni e nel 374 stipulò una pace affrettata dall'invasione della Pannonia da parte di Quadi e Sarmati. Trasferita la corte a Sirmio, V. devastò il territorio dei Quadi al di là del Danubio ma morì durante le trattative di pace.
[5] Ambrosius Macrobius Theodosius: erudito latino del IV-V secolo dC, forse originario dell'Africa, appartenne ai circoli pagani di Roma guidati da Simmaco. Ci sono pervenuti i suoi Saturnalia in 7 libri, conversazioni immaginarie su argomenti storici, letterari e antiquari di un gruppo di dotti durante la festa invernale dei Saturnali. Aldrovandi rimaneggia un poco il testo di Macrobio VII,16: “Si concedimus omnia quae sunt aliquando coepisse, ovum prius a natura factum iure aestimabitur. Semper enim quod incipit inperfectum adhuc et informe est et ad perfectionem sui per praecedentis artis et temporis additamenta formatur: ergo [...]” e, oltre a rimaneggiarlo, usa l’espressione procedentis artis invece di praecedentis artis.
[6] Catoblèpa in greco significa che guarda in basso. Per certi tratti questa fiera fantastica sarebbe identificabile con l’antilope africana.
[7] Browne Thomas (Londra 1605 - Norwich 1682) fu saggista e medico inglese. Dopo gli studi di medicina a Oxford, Montpellier, Leida e Padova, esercitò con grande competenza la professione medica, ma parallelamente si dedicò alla stesura di trattati, fra cui quello dal titolo Religio Medici (scritto probabilmente nel 1635), in cui scetticismo e teorie scientifiche si mescolano ad argomentazioni di fede e rivelazione. Pseudodoxia Epidemica (1646), ponderosa raccolta di errori popolari, analizza le superstizioni più diffuse e ricorrenti. Nel 1658 furono date alle stampe due opere: Le urne sepolcrali, saggio sulla morte e sui costumi sepolcrali nel mondo, e Il giardino di Ciro, l'opera più singolare di Browne, che indaga il significato mistico del quinconce nella storia. Il quinconce, dal latino quincunx-uncis - quinque = 5 e uncia = oncia -, nella Roma antica corrispondeva a 5/12 dell'asse (cioè a 5 once) e più in generale di qualsiasi unità. L’asse romano era una moneta di bronzo del valore di cinque once coniata in alcune città italiche (Ariminum, Hatria, Luceria, Venusia, Teate) tra la fine del sec. IV e la metà del sec. III a C, di peso vario secondo il sistema ponderale. La rappresentazione simbolica di tale valore corrisponde a cinque punti disposti come il 5 nei dadi.
Sebastian Brand (Strasburgo 1458-1520) fu poeta e giurista di tutto rispetto.
[8] Levinus Lemnius (1505-1568) nacque a Ziericzea o Zirichzaea - latinizzati in Zirizaea – che è l’attuale Zierikzee sull’isola di Schouwen in Zelanda. Medico e astrologo, studiò sotto il grande anatomista Andreas Vesalius (André van Wesele, Bruxelles 1514-Zante 1564), e per tutto l’arco della sua esistenza si dedicò allo studio di ciò che fosse ignoto, misterioso o curioso, riversandolo in De occultis naturae miraculis, edito per la prima volta ad Anversa nel 1559 e che subito divenne una raccolta estremamente popolare di fenomeni occulti e tradizionali, stranezze, prodigi naturali, mostri e nascite mostruose, credenze popolari. Mentre altre opere similari cercavano solo di intrattenere il lettore, Lemnius aveva in mente uno scopo ben più serio: preservare la presenza di Dio nella natura contro la tendenza della filosofia contemporanea a naturalizzare i miracoli, preservare la divinità della natura e liberarla dal naturalismo che caratterizzava la scuola italiana di magia naturale. Infatti, secondo questo infaticabile Fiammingo: “La Natura è la mente di Dio”.
[9] La biografia di Pier Candido Decembrio si trova nel I volume, VIII, 15.8.
[10] Avicenna: nome latinizzato del filosofo, medico e letterato persiano Abu Ali al-Husain Ibn Sina (Afshana, presso Buhara, 980 - Hamadan 1037). Figlio di un funzionario della dinastia persiana dei Samanidi, manifestò fin da fanciullo una spiccata attitudine per gli studi filosofici e scientifici e in particolar modo per la medicina. Attivo sostenitore del patriottismo iraniano, fu ministro (wazir) sotto i Buwaihidi a Hamadan, ma dopo la conquista della città da parte del sultano turco gasnavide Mahmud, si trasferì a Esfahan, dove divenne consigliere del principe kakuyide Ala' ad-Dawlah. Morì durante una campagna per la riconquista di Hamadan. Nella medicina Avicenna è considerato uno dei massimi esponenti del periodo migliore della scuola medica araba; in arabo scrisse i suoi studi di anatomia, fisiologia, patologia e farmacologia, raccolti nel testo Il canone che, tradotto in latino nel sec. XII da Gherardo da Cremona col titolo di Liber canonis medicinae e ritradotto da Andrea Alpago nel sec. XV, influenzò per lungo tempo la medicina europea. La medicina di Avicenna, in buona parte di derivazione galenica, appare come una costruzione unitaria paragonabile, per il rigore scientifico svincolato da influenze filosofiche, a una disciplina matematica. Ci ha lasciato anche numerosi scritti riguardanti l'astronomia, la matematica e le scienze naturali, contenuti specialmente nel Libro della Guarigione.