Cosa sapeva Aldrovandi della Gallina di Faraone?
Nel 1907 Alessandro Ghigi pubblicava Intorno ad alcune razze di uccelli domestici descritte e figurate da Ulisse Aldrovandi, e così riferisce:
«Innanzi tutto i dipinti di una gallina di Faraone hanno richiamato la mia attenzione; è nota la lunga controversia sull’origine della forma domestica attuale, che da molti, in base ad una erronea affermazione del Darwin, si ritiene derivata dalla Numida ptilorhyncha, specie oggi limitata all’altipiano etiopico; mentre per un complesso di ragioni morfologiche non v’ha alcun dubbio che essa discenda dalla Numida meleagris dell’Affrica occidentale portoghese [1] . Ed è curioso osservare come la maggior parte degli scrittori di avicoltura non abbiano una idea esatta della faraona d’Abissinia, e ne diano spesso una figura la quale corrisponde piuttosto alla Numida meleagris.
Fig. VIII. 60 - Caratteristiche cefaliche di alcuni appartenenti al genere Numida: la ptilorhyncha di Ghigi, oggi denominata meleagris meleagris, somiglia alla somaliensis, la seconda da sinistra; le caratteristiche della testa in meleagris reichenowi dà ragione al Granduca di Toscana nel voler assegnare uno dei suoi Pauxi al genere Numida.
«Fra i dipinti dell’Aldrovandi si trovano due tavole rappresentanti l’una il maschio e l’altra la femmina della Gallina affricana, e corrispondono perfettamente alla Numida ptilorhyncha; anzi, non v’è dettaglio di colore che sia stato trascurato. Questa circostanza permette di spiegare alcuni fatti: i Romani parlano di una gallina di Numidia addomesticata, ed è nota la leggenda che le sorelle di Meleagro inconsolabili per la morte di lui, fossero trasformate in questi uccelli che simboleggiano nel loro piumaggio lacrime eterne. Dalle descrizioni degli antichi risulta che codeste Numide avevano le caruncole azzurre; dal che si può dedurre che esse erano ptilorinche: la figura dell’Aldrovandi e le sue spiegazioni date nell’Ornitologia ci attestano che non solamente questa era la specie che ancora viveva selvatica sulle coste affricane del Mediterraneo, ma era altresì quella che si poteva trovare con una certa frequenza in Italia.
Fig. VIII. 61 - Gallina Guinea di Aldrovandi: secondo Ghigi corrisponde alla ptilorhyncha, il cui nome scientifico attuale è Numida meleagris meleagris, presente secondo Raethel in Sudan, Eritrea, Etiopia settentrionale, Arabia meridionale.
«Non ignorò l’Aldrovandi
che nelle coste occidentali d’Europa i Portoghesi importavano la gallina d’Affrica,
chiamandola pollo di Guinea, ma egli certamente non vide alcuno di questi
esemplari, diversamente avrebbe notato la differenza di colorito nelle
caruncole delle due specie, né avrebbe cercato di dimostrare come
geograficamente la Guinea e la Numidia potevano in fondo considerarsi come la
medesima cosa, in rapporto alla gallina di Faraone. É certo intanto che nel
1600 l’attuale gallina di Faraone domestica non era ancora stata introdotta
in Italia, e che la ptilorinca non era stata ancora respinta nell’altipiano
etiopico.
«Complete furono
le conoscenze dell’Aldrovandi sulla sistematica del Pavone: egli conobbe il Pavo
muticus sotto il nome di pavone giapponese e mise in evidenza la
rassomiglianza esistente tra maschio e femmina nel colorito generale del
corpo. Egli fu tuttavia tratto in inganno sulla determinazione della femmina,
giacchè la frase da lui scritta: Illud
vero in hac admirandum est, supra uropygium, nempe ad dorsi finem, quid veluti
caudam habere, eamque oculatam, ut in mari: sed oculi, licet quam in illo sint
minores, sunt tamen pro pennarum portione magni. Dimostra che egli ebbe a
fare con un giovane maschio.»
La domanda che mi pongo è la seguente. Visto che a partire dalla metà del 1500 il tacchino respirava le nebbie padane - basandoci sull’editto di Venezia del 1557 e accettando la sua sosta a Bologna durante il papato di Gregorio XIII - quali sono le notizie circa quest’uccello che possiamo desumere dal libro XIV dell’Ornithologia di Aldrovandi? Premetto subito che leggendo la traduzione di Lind non riusciremmo assolutamente a trovare un aggancio sicuro con qualsivoglia uccello.
Abbiamo già accennato di come Aldrovandi dissentisse da Aristotele sul fatto che la natura abbia dotato di speroni gli uccelli inetti al volo. Soffermiamoci su questo passo del libro XIV, II volume.
Aristoteles
naturam arbitratur
calcaria addidisse in avium genereijs, quae
ob corporis molem sunt ad
volandum minus idoneae. Sed
haec propositio, quod pace tanti viri
dixerim, quo minus vera sit, Gallopavo, Otis, ac id genus aves aliae ostendunt, quae licet ad
volandum aeque ineptae sint, calcaribus nihilominus carent. |
Aristotele pensa che la natura abbia fornito di speroni quei generi di
uccelli che sono meno adatti al volo a causa della mole corporea. Ma quest’affermazione, sia detto senza offendere
un così grand’uomo, che non sia assolutamente vera lo dimostrano il
Gallopavo,
l’Otarda e altri uccelli di quel tipo, i quali, sebbene siano allo
stesso modo inetti al volo, ciononostante sono privi di speroni. |
Aristotle
thought that Nature had added spurs to the genera of birds which are
less well adapted for flying because of the weight of their bodies.
But this statement, to speak with deference toward so great a man, is
no less true of the peacock
and the bustard. Other birds also exhibit this feature, who though
equally inept at flying nevertheless lack spurs. (pag. 43) |
È un errore di Lind tradurre Gallopavo
con peacock - pavone - per
due motivi:
1 - Aldrovandi era in grado di denominare il Pavone col suo appellativo - Pavo - e abbiamo appena visto Ghigi affermare che “complete furono le conoscenze dell’Aldrovandi sulla sistematica del Pavone”
2 - secondo Delacour il peacock - sia esso spicifero che comune, sia maschio che femmina - è armato di sperone; Ghigi dice che solo lo spicifero, sia maschio che femmina, ha uno sprone corto e forte; Grzimek raffigura i maschi di ambo le specie con sperone; una splendida foto di Raethel mostra un maschio di Pavo cristatus munito di sperone; anche Ad Cameron, in De vereld van de Vogels, raffigura il Pavo cristatus con sperone. Per Aldrovandi si vedano le figure che seguono.
Fig. VIII. 62 - Pavo nostras di Aldrovandi: il Pavone nostrano corrisponde al Pavo Cristatus e Aldrovandi ne rappresenta i due sessi muniti di sperone. Sono stati descritti e dipinti dal vivo.
Fig. 63 - Pavo Iaponensis di Aldrovandi: queste rappresentazioni di Pavo muticus privo di speroni provengono dal Giappone. Furono un omaggio che il Re [sic] del Giappone [2] fece a un Papa, e il Marchese Facchinetti le ricevette in dono dallo zio paterno Innocenzo IX anch’egli bolognese e che fu Papa dall'ottobre al dicembre del 1591. Da notare le ocellature nella zona dell’uropigio della femmina.
In base a quale libertà Lind si permette di tradurre Gallopavo con peacock?
Ancora poco fa abbiamo sentito Ghigi affermare che “...il nome specifico di gallopavo è usato pure dall’Aldrovandi nell’Ornitologia stampata nel 1600 e dal Gesner nella sua storia degli animali, stampata a Francoforte nel 1617.” Proprio grazie all’errore di Aldrovandi il genere venne detto Meleagris. Cosa pensassero sull’origine di quest’uccello i due studiosi del XVI secolo, non importa. Sta di fatto che nell’ambiente scientifico, forse grazie all’influenza spagnola, il tacchino cominciava ad essere chiamato Gallopavo, nome che gli è rimasto finora.
E nessuno, neanche Lind, può mettere in dubbio che Aldrovandi e Gessner appartenessero all’élite degli Scienziati.
Lind doveva apporre una bella nota a piè pagina, spiegando che traduceva Gallopavo con Gallopavo in quanto l’identificazione dell’uccello gli era impossibile dal momento che il tacchino ha gli speroni, perlomeno quello selvatico. Per tradurre un latino ornitologico bisogna avere una preparazione specifica. Ghigi ce l’aveva, eccome, e così mi sono affidato a lui per scoprire quali uccelli tra quelli che per lo più vivono al suolo sono dotati o meno di speroni, e a quale di questi uccelli Aldrovandi volesse riferirsi.
Fig. VIII. 64 - Otarda maschio di Eleazar Albin in Storia naturale degli uccelli (Umberto Allemandi & C., 1992) - L’Otarda, Otis tarda, è un’ottima corritrice, capace però di volare senza difficoltà. Quindi l’affermazione di Aldrovandi che si tratti di un uccello inetto al volo è da modificare nel senso che ama vivere al suolo. Questo comportamento è condiviso dalla Faraona che come l’Otarda è priva di speroni. Senofonte (Anabasi, I,5,2) parla dell’otìs, che era un uccello dal volo breve e dalle carni squisitissime, perseguitato nei deserti dell’Arabia, lungo la riva sinistra dell’Eufrate, nella pianura uniforme ricca di assenzio.
Tra i Meleagroidi hanno lo sperone sia il Phasidus niger (Faraona nera) che l’Agelastes meleagrides (Faraona tacchino). Non stiamo a sottilizzare se ambedue i sessi o meno, in quanto non è il caso.
In seno al genere Meleagris solo i maschi sono forniti di speroni piuttosto ottusi e non così sviluppati come la mole dell’adulto farebbe pensare. Nel maschio di Agriocharis ocellata lo sprone è più lungo e più aguzzo che in Meleagris; nella femmina, pur essendo rudimentale, è presente.
Analizziamo la famiglia dei Numidinae.
Il genere Acryllum è composto solo dall’Acryllum vulturinum, la bellissima Volturina, che presenta in ambo i sessi, per lo più nei maschi, 1-6 bitorzoli ottusi al posto degli speroni. Il genere Guttera non ha speroni. Il genere Numida è privo di speroni in ambo i sessi.
Ecco a chi si riferisce Aldrovandi quando dice che il Gallopavo è privo di speroni come l’Otarda [3] . Si riferisce alla Gallina del Faraone - vedremo invece a posteriori che si riferisce indubbiamente al tacchino - e, secondo l’analisi di Ghigi, si riferisce alla Numida meleagris, quella dalle caruncole rosse che Aldrovandi confondeva col tacchino seguendo la descrizione degli antichi. Io mi sono astenuto dal tradurre Gallopavo con Faraona in quanto, dopo tutto, sono arrivato solo ieri nel mondo dell’avicoltura. Lind, che è arrivato l’altroieri, si permette di tradurre Gallopavo con peacock, un peacock che sarebbe inoltre senza speroni.
Il capitolo XIII del libro XIV dell’Ornitologia di Aldrovandi, intitolato De Gallinis Guineis, al suo esordio rende ragione di quanto ho appena affermato:
Gallinaceo
generi fortassis rectius quam superiores peregrinae alites istae, quas
Guinea regio nobis subministrat, annumerandae sunt, quod in omnibus
ferme exceptis crista, et calcaribus cum illo conveniant. Cum vero
Ornithologus eas exactissime nobis describat, descriptioni illius
lubenter acquiescemus. |
Forse
questi uccelli, di cui ci rifornisce la Guinea, debbono più
correttamente essere annoverati tra il genere dei Gallinacei anziché
tra gli uccelli esotici prima descritti, in quanto gli somigliano
sotto ogni profilo, eccezion fatta per cresta e speroni. Siccome l’Ornitologo
ce le descrive in modo più che esatto, ci affidiamo volentieri alla
sua descrizione. |
A fine pagina proseguono le annunciate parole di Belon:
Veteres
videntur eas agnovisse, et Varro earum meminit his verbis.
Gallina Africana, vel Numidica, varia
est, quemadmodum quas Romani Gibberas appellant, quas interpretati
sumus Gallos Indicos: Columella, et Plinius Numidicam dicunt. |
Pare che
gli antichi le conoscessero, e Varrone le ha ricordate con queste
parole: “La gallina africana, o numidica, è picchiettata,
come quelle che i Romani chiamano Gibbose”, che io ho interpretato
come Galli
Indici: Columella e Plinio la chiamano Numidica. |
The ancients seem to have known them; Varro mentions them in these
words: “The African or Numidian hen is different, as those the Romans call gibberae
[humped].” I have interpreted these as Indian
roosters; Columella and Pliny say Numidian. (pag.
396) |
Più avanti sono ancora parole di Belon:
Crista
carent, sed eius vice callositatem in vertice quandam habent coloris
caerei [cerei], qua parte camelopardalim referre ex primo intuitu videntur,
qui scilicet dum currit, caput tenet erectum, et eundem fere cum iis
colorum varietatem habet. Habent vero insuper peculiarem sibi, ac
propriam quandam notam. Nam quemadmodum Galli Indici pilosum quendam
acervum ante ventriculum, ita illae supra caput similem obtinent, sed
qui in anteriori parte reflectuntur a prima vertebra, aut osse colli
procedendo per posteriorem capitis partem. |
Mancano
di cresta e in sua vece alla sommità del capo sono dotate di una
callosità color cera, e a prima vista in questo distretto sembrano
ricordare una giraffa, la quale cioè, quando corre, tiene il capo eretto e ha
la stessa screziatura di colori che hanno queste galline. In verità
hanno in più una caratteristica peculiare e specifica. Infatti, come i Galli Indici hanno un ciuffo di peli davanti al gozzo, così esse
ne hanno uno simile sopra la
testa, ma
questi peli sono piegati sul davanti a partire dalla prima vertebra, o
osso del collo, avanzando lungo la zona posteriore della testa. |
They
lack a crest, but in its place they have a certain wax-colored
callosity on the top of their heads, so that at first sight they seem
to resemble a giraffe which while it runs holds its head erect and has
almost the same variety of color as guinea hens. They have in addition
a certain distinction all their own. For just as the Indian
roosters have a certain tuft of hairs or bristles in front of
their gizzard, so the guinea hens have something similar on the top of
their heads; but in the anterior part this is bent back from the first
vertebra or that bone of the neck which proceeds through the posterior
part of the head. |
Cum
Pavonibus etiam hoc illis commune est, ut colli principium sit
gracile. Plumae colli, maxime inferiores relucent, ut Palumbi torquis.
Vox similis est gallinis communibus: nam clamant acriter voce alta,
quemadmodum pulli recens exclusi. […] |
Esse
hanno anche questo in comune coi Pavoni: una gracilità della parte
iniziale del collo. Le piume del collo, soprattutto quelle inferiori,
luccicano come il collare del Colombo selvatico. La loro voce è
simile a quella delle galline comuni: infatti gridano con tono
penetrante a voce alta, come i pulcini appena nati. […] |
As with peacocks, the beginning of their neck is slender. The feathers
of the neck, especially the lower ones, gleam like the neck-rings of a
dove. Their cry is similar to that of common hens, for they call out
sharply in a high voice like that of recently hatched chicks. […] |
Haec
itaque omnia Bellonius: at non video quo argumento Gallinam Africanam
aut Numidicam faciat. Varronis
enim verba, quae adducit, ipse invertit. Varro enim Gibberas
a Meleagride, aut Africana minime distinguit, sed ita habet. Gallinae
Africanae
sunt grandes, variae,
gibberae,
quae
Meleagrides appellant Graeci,
etc. Plinius ita: simili modo pugnant Meleagrides, Africae, hoc est
Gallinarum genus, Gibberum, variis sparsum plumis. |
Pertanto,
tutte queste informazioni provengono da Belon: ma non vedo con quali
argomentazioni stabilisca quale sia la Gallina Africana e quale la
Numidica. Infatti, inverte le parole di Varrone che egli stesso cita.
Infatti Varrone non distingue minimamente le Gibbose dalla Meleagride
o dall’Africana, ma si esprime così. “Le Galline Africane sono
grandi, variopinte, gibbose, che i Greci
chiamano Meleagridi”, etc. Plinio si esprime così: "Nella stessa
maniera combattono le Meleagridi, che è un genere di Galline dell’Africa, gibboso, ricoperto di piume variopinte. |
All
this comes from Belon; but I do not see by what argument he makes them
African or Numidian, for he inverts the words of Varro, which he
quotes. Varro does not in the least distinguish the hump-backed hens
from the Meleagrian or African but says: “The African hens are large,
varied, humpbacked, which
the Turks call Meleagrian.”
Pliny says this: “In a similar fashion fight the Meleagrian birds,
the African, that is, the humpbacked genus of hens, which is sprinkled
with various-colored
feathers.” |
Varro
in primis Gallinas Africanas grandes vocat. Guineae, vel ipso etiam
Bellonio teste, villaticas magnitudine non vincerent, nisi tibias
haberent longiores: quare meo iudicio grandes Africanas Varro dixit,
ut a villaticis distingueret. Magnitudo itaque Gallo, Gallinisque
Indicis, quos idem etiam Bellonius Meleagrides esse contendit, rectius
conveniet. |
Prima di
tutto Varrone definisce grandi le Galline Africane. Le Galline di
Guinea, testimone anche lo stesso Belon, non supererebbero in
grandezza quelle da cortile se non avessero le gambe più lunghe: per
cui a mio giudizio Varrone ha definito grandi le Africane per
distinguerle da quelle da cortile. Pertanto la grossezza del corpo
spetterà più giustamente al Gallo e alle Gallinae
Indicae, che anche lo stesso Belon sostiene essere Meleagridi. |
Varro
first of all calls the African hens large. The guinea hens, certainly
according to Belon’s own testimony, are not any larger than our
domestic hens except that they have longer legs. Hence, in my judgment,
Varro called the African hens large in order to distinguish them from
domestic hens. Size, then, more correctly fits the Indian
rooster and hens, which Belon contends are Meleagrian chickens. |
Sui Greci, che Lind traduce Turchi, non vale la pena spendere parole. L’importante
è che i Greci non si sentano offesi dal cambio di etnia.
È evidente la grande confusione di Aldrovandi e di Belon circa la nomenclatura da attribuire ai Galli dell’India. Ovviamente perché essi non hanno mai avuto tra le mani né una faraona né un tacchino, anche se erano a conoscenza di un attributo caratteristico dell’una e dell’altro: la faraona ha l’elmo, il tacchino ha il ciuffo di peli al petto. Questi due tratti sono già più che sufficienti per riconoscere i due uccelli senza confonderli. In base alla mole, la stazza maggiore si addice senz'altro al Meleagris, in quanto la Numidica è stata detta grande da Varrone solo al fine di distinguerla dalle abituali galline domestiche.
Lind sembra giocare a rimpiattino dietro a Galli e Galline d’India, traducendo con Indian rooster. Sappiamo che in americano rooster sostituisce cock, il gallo domestico. Rooster non significa altro che colui che va ad appollaiarsi, colui che va a nanna, e nel caso del Gallus gallinaceus colui che va a nanna presto. Nelle pagine che precedono quelle dedicate alla Faraona, Aldrovandi ha parlato di altri Galli Indici - soggetti esotici - che Lind traduce con Indian Rooster, e in questo caso possiamo concedere a Lind questa versione, in quanto si tratta di soggetti che Aldrovandi ha solo descritto senza che potesse dire da dove venissero.
Ma, di fronte al pennello di setole o granatello - lungo fino a 15 cm nel maschio e nella femmina appena sporgente dalle penne di contorno - Lind non è capace di tradurre una volta per tutte Galli Indici con Turkeys. Neppure nella frase finale Lind vuole piegare il capo di fronte a un dato fondamentale: i Tacchini sono stati chiamati Meleagrides perché lo sosteneva Belon in base alla stazza, e Aldrovandi l’ha seguito.
È strano il modo in cui Lind traduce l’aggettivo varius attribuito alla Faraona. Una prima volta con different, quindi con varied e infine con various-colored. Dopo 7 fette ha capito che era polenta. Non si tratta di fette assaporate a cinque pagine di distanza l'una dall’altra, bensì dello stesso attributo che io, senza essere anglofono, avrei subito tradotto con mottled, aggettivo tanto in auge presso gli allevatori italiani da trasformare l’Ancona , la mottled per eccellenza, in un’altra razza identica: la Lamotta.
[1] La classificazione attuale prevede per la ptilorhyncha il nome di Numida meleagris meleagris e per la meleagris dell’Africa occidentale quello di Numida meleagris galeata.
[2] Le origini dell'Impero giapponese sarebbero da collocare nel 660 aC.
[3] Otarda: dal francese outarde, che risale al latino avis tarda, cioè uccello lento. Si tratta di un Gruiforme appartenente alla famiglia Otididi, che a prima vista rammenta grossi Galliformi, per esempio le tacchine, anche se in realtà è un Gruiforme abitatore delle steppe. Di indole estremamente diffidente, l’Otarda si sposta con lentezza e a piccoli gruppi nelle zone aperte dove ama vivere. Perseguitata attivamente per le grandi dimensioni e la bontà delle carni, è divenuta rarissima nell'Europa centrale e meridionale, mantenendosi invece ancora numerosa in Africa settentrionale e in Asia centrale.