Durante il II millennio dC gli Amerindi possedevano livelli di sviluppo assai differenti: in Amazzonia, nel Chaco e nelle zone subantartiche essi erano ancora cacciatori nomadi neolitici, mentre nel Nordamerica orientale e in gran parte del Sudamerica l’agricoltura era ben sviluppata.
A questi gradi di sviluppo corrispondevano diverse culture (Apaches, Araucani, Chibcha, Caribi) sovrastate dalle progredite civiltà degli Aztechi e degli Inca, che raggiunsero l’apogeo verso la fine del XV secolo.
Gli Aztechi, come i loro predecessori Toltechi - che nell’XI e nel XII secolo controllavano la maggior parte del Messico - erano scesi dal nord, forse all’inizio del XIII secolo, in una terra devastata dalle guerre fra tribù semicivilizzate note col nome collettivo di Chichimechi che avevano distrutto la città tolteca di Tula. Gli Aztechi stabilirono la loro capitale su un’isola fangosa del Lago Texcoco: Tenochtitlán.
Nella seconda metà del XV secolo cominciarono a penetrare nel territorio dei Maya. Malgrado la sua ricchezza, la civiltà azteca non conosceva né la ruota né una lingua scritta, ma la sua agricoltura era assai fiorente.
Fig. VIII. 38 – Guerriero azteco tratto dal Codice Mendoza
Anche se il sacrificio umano si fondava essenzialmente sull’idea dell’equilibrio cosmico, gli Aztechi avevano una loro idea fissa, quella di sacrificare almeno 10.000 persone l’anno, salite a 50.000 alla vigilia della conquista spagnola: i sacerdoti strappavano il cuore ancora palpitante dal petto squarciato con il coltello sacrificale in calcedonio [1] .
Gli Aztechi rimangono famosi anche per la fabbricazione di armi e coltelli in ossidiana [2] , altrettanto usati nei riti sacrificali caratterizzati da un’ampia gamma di tipologie, dalla più nota - estrazione del cuore delle vittime - all’esecuzione mediante lancio dall’alto, strangolamento, rogo, decapitazione e tiro con l’arco.
Era diffusa anche una forma regolare di autosacrificio o salasso, praticata da guerrieri, sacerdoti e nobili: a volte salassavano il loro pene in una sorta di pratica rituale che generava un ringiovanimento cosmico. A chi vuol saperne di più si consiglia l’appassionante romanzo storico L’Azteco di Gary Jennings, non adatto a coloro che tremano al solo pensiero del sangue.
Non possiamo tralasciare alcune note biografiche sul maggiore responsabile della disfatta degli Aztechi: Hernán Cortés (Medellín 1485 - Castilleja de la Cuesta 1547). Figlio di piccoli hidalgos [3] d'Estremadura, studiò a Salamanca. Nel 1501 lasciò gli studi con l'intenzione di cercar fortuna in America: stabilitosi nel 1504 a La Española (Santo Domingo) - dove divenne encomendero, cioè proprietario di terre e di indios - partecipò alla conquista di Cuba (1511). Nel 1518 ricevette da Velázquez, che nel frattempo era diventato governatore di Cuba, l'incarico di guidare una spedizione in Yucatán con il solo mandato di annotare le peculiarità della costa e di avviare trattative di scambio con gli indigeni.
Quando la flotta fu pronta, Cortés salpò dall’isola Fernandina - come allora si chiamava Cuba - e iniziò il suo viaggio con dieci caravelle, cinquecento soldati e sedici uomini a cavallo. La prima terra che toccò fu l’isola di Cozumel, quindi fu la volta dello Yucatán dove marciò verso Campeche. Cortés ebbe il sentore che non troppo distante doveva esistere un regno esteso e ricchissimo. Sbarcato a San Juan de Ulúa il 21 aprile del 1519, decise di fissare nelle sue vicinanze il primo insediamento e, trasgredendo gli ordini di Velázquez, fondò la città di Villa Rica de la Veracruz dove ricevette i primi messaggeri di Montezuma II e dove si fece acclamare capitano generale, sottraendosi così all'autorità di Velázquez.
Dopo aver ricevuto gli emissari di Montezuma, per evitare diserzioni tra i suoi uomini fece affondare le navi - e non bruciare come vuole la leggenda -, arruolò Indios ausiliari e da carico tra i nemici degli Aztechi e partì per Tenochtitlán, la futura Città del Messico, dove giunse l'8 novembre ricevendo buona accoglienza. Agendo con somma astuzia, conseguì enormi ricchezze e si impose al debole Montezuma facendolo prigioniero senza un concreto pretesto, un prigioniero libero di muoversi nei suoi possedimenti sotto il controllo di Cortés. Montezuma fu un ottimo prigioniero, aiutando Cortés sia in rilievi cartografici della costa sia a trovare l’oro nei fiumi del suo impero.
Nel maggio 1520 batté a Cempoala le truppe spagnole inviate contro lui da Velázquez. Nel frattempo il malcontento degli Indios era sfociato in un'insurrezione durante la quale fu ferito lo stesso Montezuma che morì da lì a poco. Nonostante il sopraggiungere di Cortés non fu possibile salvare la situazione: nella notte fra il 30 giugno e il 1º luglio 1520 - la Noche Triste - gli Spagnoli furono costretti a ritirarsi precipitosamente con gravi perdite. Operando da consumato stratega, nonostante il valore con cui il nuovo imperatore Cuauhtémoc difese la capitale, il 13 agosto 1521 riconquistò Tenochtitlán. Ulteriori e facili spedizioni gli assicurarono il controllo di tutto l'ex impero azteco, ribattezzato da Carlo V Nuova Spagna, di cui riuscì a farsi nominare governatore (1522). Dopo altre imprese nell'America Centrale, Cortés tornò in Spagna (1528) per difendersi dai molti nemici presenti a corte; ne ripartì praticamente esautorato sebbene col titolo di marchese della Valle di Oaxaca, proprietario di 22 paesi e di 23.000 vassalli (1530).
Nel 1535 esplorò le regioni del golfo di California, poi visse da gran signore fino al 1540 quando tornò in Spagna dopo nuove e violente liti con il viceré Mendoza. Infatti, per ridurre il potere di Cortés, nel 1535 era stato istituito il vicereame della Nuova Spagna. Nel 1541 prese parte alla disgraziata spedizione di Carlo V contro Algeri; non ottenne però alcun beneficio e rimase appartato fino alla morte. Per sua volontà, i suoi resti mortali vennero riportati in Messico. Lasciò cinque Cartas de relación a Carlo V (1519-26), che sono state paragonate ai Commentari di Cesare per la loro cauta e incisiva semplicità; ma le polemiche intorno alla sua favolosa conquista, cominciate quando Cortés era ancora in vita, continuano tuttora fra storici anti e pro cortesiani che mettono in luce le molte e talora contraddittorie qualità del conquistatore: l'astuzia, il coraggio, il dominio di sé, la religiosità, la crudeltà - l'esecuzione a freddo di Cuauhtémoc ha ben pochi difensori -, l'arroganza nella buona come nella cattiva sorte.
[1] Calcedonio: varietà criptocristallina di quarzo, costituita da aggregati di fibre microscopiche, che si presenta in masse stalattitiche e mammellonari, traslucide e ceroidi. Ha colore bianco azzurrognolo se puro, sovente però è tinto nei più diversi colori da impurità.
[2] Ossidiana, o vetro vulcanico, indica qualsiasi tipo di roccia eruttiva recente che sia costituita quasi totalmente da una pasta vetrosa e quindi poverissima o del tutto priva di componenti mineralogici distinti.
[3] Il termine spagnolo hidalgo, a partire dal XII secolo, ha assunto il significato di nobile di seconda categoria.