Il Dizionario Enciclopedico Treccani afferma che il Cigno reale è immangiabile.
Non ne conosco il sapore, tantomeno quello del Cigno urlatore e della Dendrocigna. Che il cigno di Salomone non fosse il Cygnus atratus è fuori discussione. Questa bellissima specie fu scoperta nel Nuovissimo Mondo solo nel 1697/1698.
Se non vogliamo credere alla Treccani, cerchiamo di prestare almeno un minimo di fiducia a Eleazar Albin. Nella sua Histoire Naturelle des Oiseaux, che risale alla prima metà del 1700, così parla del cigno:
«È il più grande di tutti gli uccelli acquatici a piedi interi e becco largo; il suo peso è di venti libbre. È un uccello assai longevo, in quanto si crede che raggiunga ordinariamente l’età di trecento anni; si nutre di pesci, di erbe che crescono nell’acqua, delle radici di queste erbe e dei loro semi; si nutre anche di vermi, d’insetti e di molluschi. Sant’Alberto Magno dice giustamente che la sua carne è nera e dura. Dal momento che è molto più grande di un’oca, la sua carne è anche più nera e più dura, avendo delle fibre più grossolane e più difficili a digerire, e il succo causa la malinconia; tuttavia i Grandi se ne servivano durante i loro pranzi per ornare le tavole; al di fuori di questo non passa per un cibo squisito. Depone sette o otto uova che cova per circa due mesi prima che i piccoli siano schiusi.»
Eleazar Albin era un ottimo disegnatore e un simpatico credulone. Ho riportato il testo integrale, senza nulla tacere, per cui lascio a voi la scelta se accettare o meno quanto contiene di credibile. Se si vuol fare d’ogni erba un fascio, allora dobbiamo rinnegare anche l’immangiabilità del cigno. Ma Albin è già la seconda fonte che parla in tal senso e direi di credergli.
È ovvio che l’età massima del cigno adottata da Albin, facendo le debite proporzioni, si avvicina a quella di Noè, che chiuse gli occhi a 950 anni suonati. La longevità media degli Anseriformi è di 21 anni, e la longevità potenziale massima dell’Oca canadese è di 33 anni o più, dove più corrisponde a qualche anno, non a qualche secolo. Aristotele, senza sbilanciarsi, si limita a dire che il cigno gode di una lunga vecchiaia, e questa mi pare una terminologia saggia, meritevole di essere adottata in campo scientifico quando non si dispone di dati numerici sicuri. Arrigoni degli Oddi è alquanto preciso e credibile, molto vicino alla longevità massima dell’Oca canadese: sembra che il cigno non superi i 40 anni.
Adesso vediamo la durata della cova: per il Cygnus olor è di circa 35 giorni, ed è proprio a questo cigno che si riferisce Albin; per il Cygnus cygnus l’incubazione oscilla fra 35 e 42 giorni.
Il numero di uova deposte annualmente, che per Albin sarebbero 7-8, corrisponde a una media tra quelle del cigno allo stato selvatico (4-7) e allo stato domestico o semidomestico (9-12). Per cui i conti tornano.
Il terzo documento che ci conforta sul difficile impiego culinario del cigno è di Georg Gottlob Richter - Medicinae quondam Doctoris, Magnae Britanniae Regis consiliarii aulici et Archiatri, Medicinae in Academia Goettingensi Profes. Primarii, ec. - che in Praecepta Diaetetica (Pavia, 1789) così si esprime a proposito dell’impiego terapeutico del cigno, che alla fin dei conti non ha nessun impiego, come non l’hanno tutti gli altri uccelli acquatici selvatici che egli descrive solo per completezza:
I Carmina Burana costituiscono una famosa raccolta di brani per lo più in latino, in qualche punto in tedesco, destinati al canto. Si tratta di uno dei fiori della letteratura medievale tedesca. Il manoscritto, proveniente dal convento bavarese di Benediktbeuren - che ha dato l’aggettivo ai Carmina - viene attribuito all'ambiente goliardico e dei clerici vaganti dei primi del Duecento. La tematica, assai varia, tratta di corruzione dei costumi, contese religiose con punte aspramente anticlericali, vicende politiche, amori mondani cantati sul modello degli elegiaci latini e non immuni dall'influsso del Minnesang. Ad accenti di ascetica rinuncia e di meditazione morale si alternano esaltati e splendidi inni alla donna, al vino e alla giovinezza fuggente. Di un florilegio dei Carmina si è servito Carl Orff per la cantata scenica dallo stesso titolo, rappresentata per la prima volta a Francoforte nel 1937.
Dal seguente frammento dei Carmina Burana non si può certo arguire se il povero cigno comparisse nel menù di un’osteria oppure di qualche banchetto illustre. Però, i due brani che seguono quello del cigno risuonano in una taverna traboccante di crapuloni. Si può pertanto presumere che questo cigno arrosto, anzi carbonizzato, venisse servito a gente che non badava al contenuto del piatto, mentre era attenta a ciò che colmava il boccale. È quindi logico pensare che non venisse servita carne di prima qualità, bensì di infimo ordine. E la trangugiavano, anche carbonizzata, tanto gliene importava!
Olim lacus colueram, |
Un tempo abitavo i laghi, |
Girat,
regirat garcifer; |
Mi gira e rigira il cuoco; |
Nunc
in scutella iaceo, |
Ora giaccio nel piatto, |
E oggi, qual è l’impiego culinario del cigno?
È nullo.
Un mio concittadino, Damiano Ceva, Chef del ristorante La Rascasse di Montecarlo, mi conferma che nel corso dei suoi studi non si è mai parlato di cigno e che nella pratica quotidiana egli non ha mai redatto un menu che contemplasse questo volatile. Vista l’importanza della mia domanda, ha voluto consultare un anziano ed esperto collega inglese, il quale si è pronunciato allo stesso modo. Il collega ha ipotizzato che il cigno venisse utilizzato nei banchetti reali ma, verosimilmente, a puro scopo ornamentale; con ogni probabilità in sua vece venivano servite anatre.
Nel 1984, in Evolution of domesticated animals, compariva un capitolo molto preciso e stringato dedicato al cigno, stilato da M.A. Ogilvie. Egli riferisce che Ticehurst (1957) è dell’avviso che la carne di cigno fosse tenuta molto in considerazione prima dell’arrivo in Europa del tacchino.
Non comprendo come mai il Cygnus olor non sia riuscito a tener testa al nuovo venuto.
Ma questa mia considerazione sa di banale. Sappiamo invece che l’essere umano ne combina di tutti i colori: mette al rogo le streghe, allestisce ben più raffinati falò nei campi di concentramento, si dà al commercio di organi da trapianto barattando bambini. È ovvio che la lista sarebbe interminabile, ma pochi accenni bastano per fornire uno spunto a disgustose meditazioni. L’uomo, specialmente l’Uomo Bianco, che ha annientato Civiltà in ogni dove, si lascerebbe forse ammansire da remore culturali qualora il cigno fosse sacro? No, perché solo il portafoglio è sacro.
L’Uomo Bianco riuscirebbe a dimostrare che il candido cigno è invece l’incarnazione del demonio pur di farlo arrosto nelle fiamme dell’inferno, cioè in questa vita. Ma ciò non è necessario, poiché, di fronte all’insindacabile giudizio delle papille gustative, solo un aguzzino riuscirebbe a far esclamare che una porcheria è una vera delizia.
Insomma, se il cigno fosse così prelibato, state pur certi che i supermercati non ne rimarrebbero mai sprovvisti.
Damiano ha precisato che nei menu di oggi compare ovviamente lo struzzo e che comincia a fare capolino anche il coccodrillo. Alla mia domanda se il cigno non fa parte della cucina abituale per motivi culturali, ha risposto di non essere al corrente di una simile motivazione, e ha subito soggiunto che non gli verrebbe mai in mente di includere il coniglio in un menu inglese. Non ho chiesto il perché.
Mi torna in mente a questo proposito che Bill Plant, durante il nostro tour europeo, appena vedeva un coniglio, invece di decantarne la bellezza del mantello, come negli esemplari di Périquet, subito esclamava che in Australia non li possono vedere . E questo per i ben noti disastri ecologici causati dalle legioni di conigli per i quali, in nessun giardino un po’ alla periferia della città, può mancare una tagliola dentro la quale finiscono di rimetterci le zampe anche i gatti, come è accaduto a quello della sorella di Bill, Joyce.
La lepre non è il coniglio, ma non si possono escludere antichi addentellati culinari oltremanica con quanto racconta Cesare nel De bello Gallico (V, 12.6) a proposito degli abitanti della Britannia:
Leporem et gallinam et anserem gustare fas non putant; haec tamen alunt animi voluptatisque causa.
Ritengono illecito cibarsi di lepre, gallina e oca; tuttavia allevano questi animali per puro diletto.
Abbiamo visto che Richter riferisce l’impiego culinario dei cigni d’un mese d’età, magari ingrassati. Se Salomone fosse stato regolarmente rifornito di cignetti, allora dovremmo ammettere l’esistenza di allevamenti appropriati, con elevatissimo numero di riproduttori, in quanto una femmina non depone più di 12 uova l’anno. Ma di questi allevamenti la storia non parla, né si fa alcun cenno a procacciatori di giovani cigni.
Questa affermazione, a dire il vero, dovrebbe essere valida solo per i tempi di Salomone. Sulla domesticazione del Cygnus olor, Ogilvie ci rende partecipi di interessanti notizie. Non esistono dati probanti per una costante e piena domesticazione del cigno muto. Al posto di tenerlo in cattività completa, l’uomo l’ha protetto al fine di rifornirsi di cignetti a puro scopo alimentare. In alcune aree i rampolli venivano separati dai genitori al momento della schiusa e quindi cresciuti in recinti fino al momento opportuno. Per lo più erano invece i genitori ad allevare i figli, che venivano quindi catturati prima che potessero volare.
Eccoli qui i procacciatori di cignetti!
Questo metodo, che potremmo definire semi-domesticazione, offre indubbi vantaggi in quanto fa risparmiare lavoro e mangime, ma probabilmente dava una resa numerica alquanto bassa. Ogilvie continua la sua disamina riferendo che è probabile che il Cygnus olor sia stato tenuto in cattività e allevato a scopo alimentare in molti Paesi, ma solo in Britannia si è giunti al punto di tenere un registro dei possessori di cigni e di quasi ogni cigno ivi esistente, precorrendo l’anagrafe delle tartarughe adesso obbligatoria in Italia. Questo era reso possibile grazie a un elaborato sistema di marchiatura del becco.
La prima notizia di un possessore di cigni è databile intorno al XII secolo. Probabilmente il cigno muto era già presente in Britannia allo stato selvatico prima di questa data, e non vi venne introdotto, come alcuni hanno suggerito.
Il cigno era un uccello reale, e la Corona concedeva ad alcune persone di possedere e di allevare cigni, a patto che i soggetti fossero contrassegnati con il marchio del loro padrone e che venissero loro tarpate le ali. Ticehurst ha così riassunto i motivi principali per cui il cigno era allevato: segno di distinzione - specialmente qualora il soggetto fosse un regalo del re -; per servirsene come dono di una certa importanza al fine di guadagnare stima o per scroccare un favore; per profitto e/o cibo.
Anche Capponi, che è capillare nell’analisi dei testi antichi, non cita alcun impiego mangereccio del cigno contrariamente a quanto fa per il pollo. Plinio e Palladio parlano di allevamenti di fagiani, ma neppure sui fagiani Capponi dà il minimo cenno culinario, anche se possiamo dedurre che quegli allevamenti fornissero carne per le mense. Richter riferisce che Averroè andava matto per il fagiano: omni alitum generi anteponit, lo antepone a qualsiasi genere di volatile.
Un proverbio latino dice che de gustibus non est sputazzendum, scusate, disputandum.
Personalmente non tollero il sapore del fagiano, che, all’apertura della caccia, mi mette sempre in imbarazzo, in quanto debbo inventare a chi regalare le decine di soggetti da cui vengo bersagliato. Nessun intingolo è mai stato in grado di mistificarlo al mio delicato palato. Suvvia, se fosse tanto prelibato, i discepoli di Diana si terrebbero tutte le prede in freezer invece di farmene omaggio!
Anche Aldrovandi è dell’avviso che il cigno non è commestibile. Però, nel Cycni Encomium, per ragioni di completezza, non tralascia di riportare alcune notizie sul suo impiego culinario. Il Cycni Encomium fa parte degli Encomia Animalium di Aldrovandi contenuti nel I tomo di Amphitheatrum Sapientiae Socraticae Jocoseriae di Gaspare Dornavio, 1619.
De
usu eius in mensis nonnihil hic allaturus. Arbitrari enim quispiam
possit; Cycnum, quod nigram habeat carnem, duramque, ac ventriculo
inobedientem, Anseri, cuius caro fortassis laudabilior atque salubrior
existit, posthabendum esse. |
A
questo punto riferirò qualcosa sul suo impiego a tavola. Infatti
qualcuno può essere del parere che il cigno, in quanto ha una carne
nera, dura, ribelle allo stomaco, è da mettere in seconda linea
rispetto all’oca, la cui carne risulta forse più pregevole e più
salutare. |
Verum
cum & Cycnus noster carnis suae habuerit optimos cultores, &
non minori, quam ipse Anser apud veteres in pretio, & in honore
habitus sit, uti ex Plutarcho in primis colligere est, non immerito
Cycnum praetulisse videmur, ipsi etiam Anseri: quem innumeris aliis
nominibus antecellit. |
A
dire il vero, poiché anche il nostro cigno ha avuto ottimi cultori
della sua carne e presso gli antichi non è stato tenuto in minor
considerazione e valutazione rispetto all’oca, come dobbiamo
desumere innanzitutto da Plutarco, ci sembra che il cigno sia stato
preferito non a torto anche all’oca stessa: alla quale è superiore
per innumerevoli altre ragioni. |
Apud
Athenaeum etiam Dipnosophistis apponuntur. {Alexandrides}
<Anaxandrides> apud eundem,
posteaquam carpsisset Thracum regis convivium, Cycnum inter aves
lautas subinde numerat. Sed & apud recentiores saepe inter
delicias hujusmodi aves habentur. Nam
Platina inter epulas lautiorum, et praecipue pullos spectari asserit. |
Anche
ne I Dipnosofisti
[1]
di Ateneo vengono serviti cigni ai commensali. Sempre in Ateneo,
Anassandride, dopo aver degustato il banchetto del re dei Traci,
immediatamente ascrive il cigno alla lista degli uccelli delicati. Ma
anche presso personaggi più recenti spesso vengono considerati alla
stessa stregua tra gli uccelli deliziosi. Infatti Platina asserisce
che si possono ammirare nei banchetti di gran gala, specialmente i
giovani cigni. |
Moscovitarum
duces, quotiescumque carne vescuntur, hospitibus suis Cycnos assos
apponunt, ut luculenter narrat Sigismundus Baro. Et revera Principes
illi harum alitum esum plurimi facere videntur. Etenim tres ex caeteris,
quae plurimae apponuntur duci, cultro pungens, meliores, & caeteris
praeferendas explorat; quas dapiferis discerptas, ac in partes
quamplurimas divisas in quinque minoribus, quam erant primae,
patinis duci iterum apponunt; reliquas vero fratribus ejus,
consiliariis, oratoribus, aliisque ordine distribuunt una cum
embammate ex sale, pipere, & aceto. |
I
prìncipi dei Moscoviti, ogni qualvolta si cibano di carne, servono ai
propri ospiti cigni arrosto, come narra benissimo il Barone Sigismondo. E,
in realtà, sembra che quei prìncipi si cibino parecchio di questi
uccelli. Di tutti i numerosi volatili che vengono serviti al principe,
egli ne saggia tre pungendoli con il coltello, scegliendo i migliori e
quelli preferibili rispetto agli altri; dopo che i camerieri li hanno
smembrati, e dopo averli divisi in numerose porzioni, ne fanno altre
cinque parti più piccole e le servono su piatti al principe; le
rimanenti vengono servite ai suoi fratelli, ai consiglieri, ai
parlamentari e agli altri commensali in ordine d’importanza, usando
come condimento una salsa fatta di sale, pepe e aceto. |
Scribit
quoque Ornithologus Cycnum ferum apud suos denariis, sive drachmis
argenteis quinque cum triente venundatum esse. |
L’Ornitologo
- Conrad Gessner
-
tra l’altro scrive che nel suo Paese il cigno selvatico viene
venduto per un prezzo equivalente a cinque dracme d’argento più un
terzo. |
Caeterum,
quod apud multos in mensis improbetur; inde fortassis evenerit: quod
nimis annosi ad nos perveniant. |
Inoltre,
poiché da parte di molte persone non viene accettato a tavola, forse
da ciò deriva il fatto che a noi giungano troppo vecchi. |
Has
itaque ob rationes Cycno inter aquaticas aves principem locum
assignavimus quod pariter Petrus Bellonius in sua de avibus historia
facit; quem tamen, quod aquaticas terrestribus praeferat, laudare non
possum. Sunt enim hae aquaticis, & praestantiores, & ad
edendum salubriores. |
Pertanto,
per questi motivi, abbiamo assegnato al cigno un posto d’onore tra
gli uccelli acquatici poiché allo stesso modo si comporta Pierre
Belon nella sua De Avibus
Historia; tuttavia non posso lodarlo per il fatto di preferire gli
uccelli acquatici a quelli terrestri. Infatti quelli terrestri sono
migliori da mangiare nonché più salutari. |
Fig. VIII.
19 - La dispensa - di Frans Snyders
Secondo questo pittore fiammingo - Anversa, 1579-1657, allievo di Pieter
Bruegel il Giovane -
ai suoi tempi il cigno era ancora animale da cucina.
Che lo fosse a puro scopo ornamentale?
Vediamo cosa ne sapeva sull’uso culinario del cigno un contemporaneo di Aldrovandi, lo zurighese Gessner. Riporto per intero quanto ho ricevuto dalla Germania grazie alle ricerche di Achim Güntherodt. Per la traduzione sono debitore a Stefan Gantner, connazionale di Gessner. L’Albertus citato da Gessner è il futuro Sant’Alberto Magno (1200-1280) e il fagotto è un’antica moneta germanica.
Conrad Gessner (1516-1565): Vollkommenes Vogel-Buch (Teil 1 und 2). Nachdruck der Ausgabe von 1669; Schlüterische Verlagsanstalt und Drucherei-GmbH & Co., Hannover 1981
Il testo tedesco appena citato è dovuto alla traduzione – se così si può dire – dell'equivalente testo latino di Conrad Gessner contenuto nel III volume della sua Historia animalium (1555). Più che di una traduzione si tratta di un'impietosa decurtazione perpetrata da Georg Horst che nel 1669 pubblicava a Francoforte sul Meno il Tomus secundus riguardante gli uccelli di un Gesneri redivivi, aucti et emendati. Meno male che Gessner non era redivivo. Si sarebbe preso a botte con Horst! Infatti il suo testo venne non emendato, cioè corretto, bensì impietosamente amputato, privando così i lettori di lingua tedesca della miriade di informazioni raccolte e tramandate da Gessner. Sì, Horst inserì qualche aggiunta personale nel suo Gesneri redivivi, aucti et emendati, ma soprattutto abbellì lo pseudotesto di Gessner con parecchie immagini inequivocabilmente dovute agli Artisti di Aldrovandi. Se non credete alle mie parole, confrontate il testo tedesco di Horst con quello di Gessner che segue, trascritto grazie alla pazienza e alla rapidità del mio amanuense elettronico Fernando Civardi.
Anticipo un chiarimento per non relegarlo in una nota a piè pagina. Come ci informa Gessner a pagina 358 di Historia animalium III (1555) il cigno era detto cesano dai Veneti e Aldrovandi a pagina 6 di Ornithologia III (1603) aggiunge che a Ferrara era detto cisano: Italis plerisque Cigno dicitur, Scoppa Italus etiam lo Cino vocari ait, corrupte nimirum. Venetiis Cesano, quae vox ad Germanorum, et Belgarum Svveaen accedit, Ferrariae Cisano: Hispanice Cisne, Gallice Cyne, vel Cygne. [...] Anglis à Svvan. Non si può certo asserire che Aldrovandi fosse ferrato in linguistica e in etimologia. È il termine inglese swan che si avvicina a sweaen dei Tedeschi e dei Belgi, non il veneziano cesano. Oltretutto, come vedremo tra un attimo, cesano deriva da cycnus, mentre swan deriva da cantare, emettere un suono, in latino sonare o sonere: Swan - O.E. swan, from P.Gmc. *swanaz, probably from PIE base *swon-/*swen- "to sing, make sound" (cf. Skr. svanati "(it) sounds," L. sonit, Ir. sennaim "I make music"); thus related to O.E. geswin "melody, song" and swinsian "to make melody." In classical mythology, sacred to Apollo and to Venus. The singing of swans before death was alluded to by Chaucer, but swan-song is a translation of Ger. Schwanengesang. A black swan was proverbial for "something extremely rare or non-existent," after Juvenal [Sat. vi. 164].
Il Geometra Renato Trevisan, che si dedica con passione al vocabolario della lingua veneta , il 23 febbraio 2007 mi comunicava che nel Veneto ancor oggi "in alcune zone la parola cigno si traduce con sèsano, in altre zèsano (la "z" in questo caso si pronuncia come la "s" di "casa" ) entrambi praticamente identici all'antico cesano di cui parla lei (la sillaba "ce" è spesso tramutata in "se" o "ze": cercare=sercàre, zercàre). Nel vocabolario Turato-Durante il riferimento etimologico è l'antico italiano cecino, dal tardo latino cycinus, già cycnus nel latino classico. Mi sembra che anche lo spagnolo cisne cui lei fa riferimento possa dirsi figlio dello stesso termine latino."
Il medico Padovano Antonio Gazio nel suo Florida corona citando il III libro dell'Almansore di Razi scrive Caro sisonis et aliarum avium silvestrium, frase correttamente citata da Gessner in questo passo. Appare ovvio che la caro sisonis di Gazio è la carne del cisone di Cibaldone (vedi Razi), o carne del cesano, o carne del cisano, o carne del cigno.
Conrad Gessner – Historia animalium III (1555) - pagina 361
Tra poco vedrete che è inutile continuare a disquisire in questa sede da dove deriva l'inusuale termine latino siso/sisonis per indicare il cigno, detto cesano dai Veneti e cisano dai Ferraresi. In sintesi: siso/sisonis è una latinizzazione di cesano o cisano che rappresentano una corruzione vernacolare del latino classico cycnus derivato direttamente dal greco κύκνος di incerta etimologia. È inutile disquisire più di tanto per un semplice motivo: Razi non parlò mai di carne di cigno.
Sembra strano, ma è la verità. Razi parlò della carne di tutt'altro uccello, e precisamente parlò dello Pterocles melanogaster secondo An Arabic-English Lexicon di Edward William Lane (1801-1876), un columbiforme della famiglia Pteroclidi assai simile a una pernice che oggi è detto Pterocles exustus, grandule dal ventre bruno in italiano, al-qat.t.aa per Razi.
An Arabic-English Lexicon di Edward William Lane
Pterocles exustus
Il merito di questa scoperta è tutto di Emilie Savage-Smith, che in data 14 novembre 2007 rispondeva così alla mia richiesta circa l'equivalente arabo in Razi del latino siso.
Dear Dr Corti,
About your request: I have attached 4 files. One contains a PDF file of the page from Razi's al-Kitab al-Mansuri which has the passage in question, and I have circled the passage and underlined the words being translated as 'swan' (more on that in a moment).
A second file has a jpeg of the page (p. 135 in the recent edition of the text). There is a third file with a jpeg of the Arabic title page for the edition of the text, and a final file with a jpeg of the English title page in the edition. The edition was published in 1987, though that date does not occur on either title page.
Now, about the Arabic word, or words. It speaks of the flesh of al-qat.t.aa, which means sand-grouse (peterocles melanogaster, according to Lane, p. 2991).
Then it goes on to say, 'and the mountain birds', which for some reason is rendered in Latin as forest birds. How al-qat.t.aa came to be rendered as siso/sisonis, I have not a clue.
Riproduzione della carta c3 v del Liber medicinalis Almansoris o Liber ad Almansorem sive Tractatus medicinae I-X di Mohammed Rhasis, pubblicato a Milano da Leonhard Pachel e Ulrich Scinzenzeler nel 1481, conservato presso la Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia con la collocazione Inc. 277. - Nell'edizione stampata a Milano nel 1481 del Liber ad Almansorem di Mohammed Rhasis non compare il nome del traduttore e, ad eccezione del Liber Elhavi o al-Hawi tradotto nel 1279 da Ferragius Salernitanus (tradotto di nuovo in latino nel 1486 con il titolo Continens), le traduzioni medievali in latino delle sue opere sono raramente accompagnate dal nome del traduttore. (Paola Cadelano, Ufficio Incunaboli, Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia – 9 luglio 2007)
How do you know that Lane does not have a word which he translated as 'swan'? Have you looked at every entry, or have you a searchable version. If the latter, I would be interested in knowing where you obtained it. With best wishes,
Emilie
Savage-Smith
Ph.D.,
Senior Research Associate
The Oriental Institute, University of Oxford, UK
Ho subito risposto a Emilie nel modo seguente, cercando di arricchire quanto fornito sia da lei che da Lane.
Dear
Emilie,
I and Prof Ricciardi are quite agreeing with your Arabic transliteration and
translation of al-qat.t.aa, as well as with the identification of this bird
with a pterocles melanogaster done by Lane.
I think that the pterocles melanogaster of Lane is corresponding to Pterocles exustus of today. In fact this species has a dark fathered abdomen (melanogaster), then burnt (exustus). Moreover, the distribution of this bird is corresponding to an area in which Razi lived.
Pterocles alchata
It is interesting that is existing also the Pterocles alchata (Pin-tailed sandgrouse, Grandule mediterranea in Italian) but alchata is not a latin adjective, being that the Pterocles is handled as a masculine substantive. But the Pterocles alchata has a white abdomen. Nevertheless it is present in Persia.
What is important is that al-qat.t.aa is not the swan. Perhaps, if the translator of Razi into Latin (Gherardo da Cremona?) had available the Lexicon of Lane, he would have been correct in translating this Arabic word.
Tomorrow I will send you
the Lexicon on DVD. One thing is interesting. For searching a word you can use
the function FIND of Windows. So you have not to open and search in each of
the 8 volumes. For example, you can try with "Avicenna" and you will
see in how many volumes he is quoted. I tried to search Razi or Rhazes, but
not occurrences, like for swan.
Perhaps what follows is interesting for you too. Also Sir Richard Francis
Burton (1821-1890) spoke about Kata in his Pilgrimage to Al-Medina and
Meccah (1855), chapter VIII: "At midnight we reached the Central
Station, and lay down under its walls to take a little rest. The dews fell
heavily, wetting the sheets that covered us; but who cares for such trifles in
the Desert? The moon shone bright; the breeze blew coolly, and the jackal sang
a lullaby which lost no time in inducing the soundest sleep. As the Wolf’s
Tail showed in the heavens we arose. Grey mists floating over the hills
northwards gave the Dar al-Bayda, 23 the Pasha’s Palace, the look of some
old feudal castle. There was a haze in the atmosphere, which beautified even
the face of Desolation. The swift flying Kata sprang in noisy coveys from the
road, and a stray gazelle paced daintily over the stony plain." (footnote:
The Tetrao Kata or sand-grouse, (Pterocles melanogaster; in Sind called the
rock pigeon), is a fast-flying bird, not unlike a grey partridge whilst upon
the wing. When, therefore, Shanfara boasts “The ash-coloured Katas can only
drink my leavings, after hastening all night to slake their thirst in the
morning,” it is a hyperbole to express exceeding swiftness.)
All the best.
Quindi
quella del cigno di Razi è una delle tante bufale
in cui ci imbattiamo cammin facendo,
un tortuoso cammino in cui si incrociano e si scontrano i dati storici,
linguistici e scientifici.
Stando al sentito dire, Richter ritiene di non dedicare allo struzzo più di 4 righe del suo trattato:
Struthiones
(Strausz) regum Persarum
epulis adhibiti, et ab ipso olim Apitio solerter in cibum praeparati:
carnem pariter habent duram et excrementitiam. |
Gli
struzzi, in tedesco Strausz, adibiti alle mense dei Re persiani, e un
tempo trasformati con solerzia in cibo dallo stesso Apizio: [come le
cicogne] hanno una carne dura e che sa di escrementi. |
Non fidiamoci mai del sentito dire.
Non credo che quegli struzzi di Richter avessero una carne diversa da quelli giustamente millantati oggigiorno. Né credo che il sapore del cigno di Salomone fosse migliore di quello odierno, e un giorno dovrò provarlo, come quando in Amazzonia coi denti serrati ho dovuto assaggiare - senza assaporare - due grammi fibrosi di jacaré [2] cacciato la notte precedente .
[1] La prima citazione riferita ad Ateneo si trova in IX,49,393d. La seconda citazione, identificata grazie a Gessner, che tralascia il poeta Anassandride (In Cotyis Thracum regis convivio apud Athenaeum, inter caeteras aves cygni apponuntur. – Historia animalium III, 1555, pag. 361) ma che cita il re tracio Coti, si trova in IV,6-7,131a-f. L'errore di Aldrovandi di trasformare Anassandride in Alessandride è discusso nel lessico alla voce Anassandride. § I Dipnosofisti, o I Sofisti a banchetto, è un’opera di Ateneo di Nàucrati, in Egitto, erudito greco del II-III secolo dC. Di lui sappiamo solo quanto ci dice egli stesso incidentalmente nella sua opera: nacque a Nàucrati, in Egitto, e fu a Roma ai tempi dell'imperatore Commodo al quale sopravvisse però di parecchi anni. Ecco la trama di quest’opera a noi pervenuta: durante un convito offerto da un ricco pontefice romano in occasione delle feste Parilie, numerosi dotti greci (letterati, filosofi, medici, giuristi) prendono spunto dalle vivande per dissertare sui più svariati argomenti. L'opera, di pura compilazione, s'inserisce nella tradizione erudita di età alessandrina; prolissa e praticamente illeggibile ha peraltro un valore inestimabile per la lessicografia, oltre che per le notizie e i frammenti di autori e di opere perdute, soprattutto della commedia greca.
[2] Jacaré è il nome col quale viene denominato in Brasile il Caiman latirostris, che può raggiungere una lunghezza totale di 2 metri e mezzo.
Herberstein Siegmund: Siegmund o Sigmund o Sigismund, barone di Herberstein: uomo di Stato (Vipacco, Carniola, 1486 - Vienna 1566), apprezzato consigliere di Massimiliano I, di Carlo V e di Ferdinando I. Incaricato di missioni diplomatiche in Danimarca, Polonia e Russia (1516-1526), redasse i Rerum Moscovitarum Commentarii (1549) che costituiscono la più esauriente documentazione europea sulla Russia fino al XVIII secolo. Nel 1541 trattò la pace con il Sultano. Si ritirò a vita privata nel 1556. - Carniola: regione storica estesa nella sezione occidentale e centro-meridionale della Slovenia, fra le Caravanche (a nord), l'alto corso del fiume Kupa (a sud), la Selva di Tarnova (a ovest) e i monti Gorjanci (a sudest). - Baron Sigismund von Herberstein (1486-1566), Notes Upon Russia, being a translation of the Earliest Account of that Country, entitled Rerum Moscoviticarum Commentarii (trans. and ed. with notes and introduction by R. H. Major of the British Museum), II (London, Printed for the Hakluyt Society, 1852), 172. Biography and editions are discussed on pages lxxxvi to cxlvii. (Lind, 1963)
Pierre Belon du Mans: medico e naturalista francese (Soultière, Maine, circa 1517 - Parigi 1564), compì studi di medicina e scienze a Wittenberg e a Parigi; visitò le popolazioni del Vicino Oriente descrivendone la vita e le usanze. Pubblicò L’histoire de la nature des oyseaux (1555), il primo trattato moderno di ornitologia, tradotto in latino dall’Aldrovandi. - Vedi anche III - XI, 3.1.