Lessico
Ortica
Prof.
Dr. Otto Wilhelm Thomé
Flora von Deutschland, Österreich und der Schweiz -1885
Ortica è il nome di varie specie di piante del genere Urtica (famiglia Urticacee) e in particolare dell'Urtica dioica o ortica maschia o ortica comune, propria delle regioni temperate dell'Eurasia e naturalizzata nelle Americhe e in Australia.
Qual è quell'erba che fin i ciechi la conoscono? L'ortica, rispose Bertoldo a re Alboino in Bertoldo Bertoldino e Cacasenno, i protagonisti di tre racconti popolari, i primi due di Giulio Cesare Croce, l'ultimo di Adriano Banchieri, disponibili in versione PDF (569 kb) grazie a www.liberliber.it.
Alta fino a oltre 1 m, potendo talora raggiungere i 2 m, è un'erba perenne eretta, con rizoma strisciante, giallo, e fusti quadrangolari. Le foglie sono ovato-lanceolate, appuntite, dentato-seghettate. I fiori, unisessuali (maschili o femminili), piccoli e senza petali, sono riuniti in glomeruli formanti lunghe ed esili spighe. L'impollinazione è di tipo anemofilo e ogni fiore femminile produce un solo seme.
Non disponiamo di dati numerici certi, ma il seme di Urtica dioica è decantato per il suo elevato contenuto in acido linoleico, mentre le sue foglie contengono l'acido linolenico come grasso predominante. Dai semi di ortica, ricchi di acidi grassi insaturi, per spremitura a freddo si può ricavare un ottimo olio con attività stimolante che può trovare indicazione come coadiuvante in caso di astenia.I dati forniti da www.rione.it sono i seguenti e dal punto di vista biochimico nonché metabolico essi confermano l'effetto positivo sulla produzione di calore sia da parte delle proteine che dei grassi contenuti nei semi dell'ortica comune.
semi di Urtica dioica |
|
proteine |
18% |
lipidi |
10% |
glucidi |
0% |
Per cui, quando fa freddo, proviamo a scaldare i nostri polli anche coi semi di ortica o con pastoni di foglie fatte essiccare, nella speranza di vederne aumentare la produzione di uova, come pare possa accadere coi semi di Cannabis sativa.
Tutta la pianta è provvista di peli urticanti contenenti acido formico (formula bruta CH2O2) che, a contatto con la pelle, produce una sensazione di bruciore di durata variabile. La puntura delle ortiche comuni dura solo qualche minuto, mentre quella delle specie australiane produce reazioni molto più gravi, che in alcuni casi possono provocare anche la morte. Alle ortiche si deve il nome dato all'orticaria, una forma allergica che produce una sensazione di bruciore simile a quella causata da queste piante.
Specie affini sono Urtica urens (ortica minore), più piccola, dei monti, e Urtica pilulifera (ortica romana). Dallo stelo di varie specie si ricavano fibre tessili di caratteristiche grossolane e di secondaria importanza impiegate nella produzione di stuoie, tappeti, sacchi e tessuti.
I getti giovani si usano cotti come gli spinaci; nella medicina popolare l'ortica si usa per le proprietà diuretiche, antidiarroiche ed emostatiche. L'ortica può essere usata come alimento ed è voce comune che i germogli siano ottimi nei risotti o nei minestroni ma anche nelle frittate; contiene vitamina C, azoto e ferro; utilizzata come pianta medicinale anche dai Greci con proprietà antidiarroiche, diuretiche, cardiotoniche e antianemiche. Nel medioevo veniva utilizzata fresca per curare gotta e reumatismi con il veleno dei suoi aculei, pratica sconsigliabile perché può causare complicazioni. Sempre nel medioevo veniva battuta e sfibrata per essere usata per tessere stoffe simili alla canapa o al lino. Da quanto mi è stato verbalmente riferito, pare che durante la I Guerra Mondiale i capi d'abbigliamento dei nostri soldati fossero spesso intessuti con fibre di ortica.
L'unica fibra di un certo rilievo, specialmente impiegata per accessori di moda, è il ramié o ramia, dal francese ramié, di origine malese, fibra bianca, molto sottile, tenace e resistente, detta anche canapa della Cina, che si ottiene dalla corteccia di due piante della famiglia Urticacee, la Boehmeria nivea (ramié bianco), originaria dell'Asia tropicale, e la Boehmeria utilis (ramié verde), della Malesia, coltivate in vari Paesi e soprattutto in Cina, nel Viet Nam, in Giappone e in Indonesia per le fibre che forniscono, chiamate anch'esse con il medesimo nome. I ramié sono erbe perenni, alte fino a 4 m, con fusto eretto, robusto.
L'ortica nella cura dei capelli
L'ortica è un antico rimedio per la cura dei capelli. Conosciuta da sempre per le sue proprietà depurative e antinfiammatorie, ha dimostrato di contenere principi tricologici attivi. La pianta è alta circa un metro ed è caratterizzata dalla disposizione opposta delle foglie dotate di peli urticanti nella parte inferiore. Vive ai margini di sentieri e pietraie ed è presente in tutta la macchia mediterranea. Le parti utilizzate sono le radici e le foglie. Le radici contengono fitosteroli quali la betasitosterina, in grado di inibire la formazione di diidrotestosterone. Studi scientifici hanno confermato l'efficacia dell'ortica nell'ipertrofia prostatica in associazione con Pygeum africanum e Serenoa repens.
La pianta è ricca di clorofilla, acido gallico, istamina, acetilcolina, carotene, vitamina C e oligoelementi (silicio, ferro, potassio, calcio, manganese ecc.). L'istamina è probabilmente in grado di attivare l'adenilciclasi di membrana e quindi l'AMP ciclico, promuovendo la sintesi di energia. Le radici contengono anche polifenoli, lignani e lectani, sostanze ad azione antiossidante. Meccanismi d'azione dell'ortica:
- Inibizione della 5-alfa-reduttasi
- Azione antinfiammatoria e rimineralizzante
- Azione antiossidante.
Conclusioni: l'ortica svolge un'azione rivitalizzante sul cuoio capelluto ed è impiegata spesso negli shampoo e nelle lozioni tonificanti per capelli. Le radici hanno proprietà antiforfora e antiseborrea. Si utilizza anche in capsule o compresse con dosaggi da 50 a 100 mg, di solito in associazione con Pygeum africanum. Non esistono studi specifici sull'efficacia dell'ortica nelle patologie del capello, tuttavia la betasitosterina ha dimostrato di ridurre la formazione di DHT. L'ortica, fin dai tempi antichi, è stata la pianta più usata per preparare decotti, infusi e impacchi per la cura dei capelli. La Urtica dioica si trova facilmente in erboristeria. Sono disponibili in commercio anche lozioni pronte per l'uso e la tintura madre per eseguire frizioni anticaduta.
Dr Fabrizio Fantini
www.italway.it
Curare
in modo naturale con l'Ortica
Dall'artrite alla cura dei capelli,
dai reumatismi alla cura dei reni.
di Ingrid Pfendtner
Prezzo: € 9,80
ISBN 10: 8875073112
Sin
dall’antichità sono conosciute le proprietà terapeutiche dell’ortica,
che negli ultimi decenni la scienza è andata confermando. Ricca di vitamine,
ferro, flavonoidi e carotenoidi, l’ortica, sotto forma di tisana o di succo
può essere di grande aiuto in modo naturale. Di facile utilizzo, è alla
portata di tutti e a costo praticamente zero. Depurativa, diuretica,
antinfiammatoria, ricostituente, rimineralizzante, è utile per curare
numerose malattie, sia acute che croniche. L’ortica è efficace in caso di
stati anemici, disturbi dei reni e della vescica, ipertrofia prostatica,
malattie reumatiche, artrite e artrosi, dermatiti ecc.
Un manuale ricco di informazioni dettagliate sulla coltivazione, la raccolta,
l’essiccazione, la conservazione dell’ortica e su come preparare in casa
medicamenti fitoterapici (tintura madre, infuso, succo fresco, spirito,
estratto oleoso) utilizzando, a seconda dei casi, la pianta, i suoi frutti o
le sue radici. Contiene inoltre numerose e squisite ricette e un programma di
disintossicazione a base di ortica, particolarmente indicato per recuperare
energie durante i cambi di stagione. Curare
in modo naturale con l’Ortica spiega anche come ottenere preparati a
base di ortica con funzione antiparassitaria e fertilizzante per le piante, e
rimedi per la salute degli animali domestici e non.
L’ortica nell’antichità
Da sempre le piante selvatiche sono state usate per l’alimentazione e la cura delle malattie. Mentre cercavano qualcosa di commestibile, un giorno i nostri antenati hanno provato anche l’ortica. Le donne ne facevano perlopiù un decotto che rendeva più digeribili i cibi. Si scopriva in modo fortuito quali piante facessero bene in determinate situazioni. Le nuove conoscenze furono tramandate di generazione in generazione. Le figlie imparavano dalle madri e istruivano a loro volta le proprie figlie. I primi documenti sulla preparazione e l’uso delle erbe officinali provengono dai Babilonesi, nel 2000 aC. Gli Egizi commerciavano alacremente in oli e spezie e conoscevano rimedi vegetali, profumi, cosmetici e colori. Anche i medici e i naturopati greci disponevano di una notevole conoscenza sulle piante. Per via della sua “forza bruciante” l’ortica era ritenuta una medicina e un afrodisiaco. I suoi teneri germogli venivano usati in cucina.
Ippocrate (460-377 aC), il padre di tutti i medici, cita svariate volte i semi di ortica nei suoi scritti. Anche altri autori e medici dell’antichità hanno elogiato le virtù terapeutiche di questa pianta. Un’eccellente raccolta di tutte le piante officinali note a quell’epoca ci è stata tramandata dal guaritore greco Pedanio Dioscoride (circa 40-80 dC) che fu medico militare sotto gli imperatori romani Claudio e Nerone. Dioscoride ha descritto circa 600 piante officinali, il loro contenuto, i loro effetti e le loro applicazioni, fornendo istruzioni precise per la preparazione e il dosaggio. La sua Materia medica comprendeva tutte le piante usate nell’antichità. Quest’opera è uno dei libri più importanti dell’antichità e sia in medicina che in farmacia era considerata un’autorità assoluta. Quasi tutti gli erbari popolari del medioevo si basavano sull’opera di Dioscoride. Riguardo all’ortica ha scritto:
«Ortica. Akalyphe, alcuni la chiamano knide (= ortica), altri adike (= disdicevole, pruriginosa), i Romani urtica, gli Egizi selepsion, i Daci dyn, è presente in due specie. Una è più selvatica, ha foglie più ruvide, più grandi e più scure e un frutto simile al seme di lino, ma più piccolo. L’altra (l’Urtica mollis dei Romani) ha semi piccoli e non è così ruvida. Le foglie di entrambe, sotto forma di cataplasma con sale, curano i morsi di cane (= rabbia) e la cancrena, le ulcere maligne, cancerose e sporche, come pure distorsioni, scrofola, ghiandole alle orecchie e nei genitali e ascessi. Ai malati di milza vengono applicate con unguento di cera. Le foglie, tagliate e messe a bagno nel succo, servono anche contro l’epistassi. Inoltre, in piccole supposte con la mirra favoriscono le mestruazioni; le foglie fresche marinate contrastano i prolassi uterini. Il seme, bevuto con vino di zibibbo, stimola il coito e apre l’utero; succhiato col miele aiuta in caso di ortopnea (= insufficienza respiratoria), polmoniti e pleuriti, espelle le impurità dal petto e viene aggiunto ai rimedi antiputrefazione. Fatte cuocere con i molluschi, le foglie ammolliscono il ventre, eliminano le flatulenze e stimolano la diuresi. […] Bere il decotto di foglie con un po’ di mirra favorisce le mestruazioni. Il succo usato come soluzione per gargarismi elimina l’infiammazione dell’ugola.»
A Roma l’ortica era un afrodisiaco molto in voga. I suoi semi venivano usati per tutti i filtri d’amore. Il poeta Ovidio ci ha tramandato questa ricetta: “Mescolare anche il pepe con il seme di ortica.” Si riteneva che anche le frizioni con le ortiche fresche aiutassero contro l’impotenza. Lo stesso Ovidio consigliava una miscela con miele, cipolle, uova e pinoli.
Medicina monastica medievale
Dopo la caduta dell’impero romano i monasteri cristiani divennero luoghi di cura di importanza centrale. È lì che i testi di medicina tramandati venivano raccolti, tradotti, strutturati e ricopiati. Le biblioteche dei monasteri custodivano il sapere dell’antichità. I monaci e le suore non si limitavano a tutelare le conoscenze mediche, ma le utilizzavano anche direttamente per la cura dei bisognosi. Dall’ottavo secolo le regole benedettine entrarono in vigore per tutti i monasteri occidentali. Esse affidavano ai monasteri la responsabilità di tutti i malati del loro territorio. Si affermava che Cristo stesso fosse stato il miglior esempio di questo atteggiamento. Ogni convento disponeva di un locale adibito a infermeria, di diversi locali funzionali e un giardino con piante officinali. Tuttavia non si sono aggiunte conoscenze veramente nuove a quelle già esistenti.
Ildegarda di Bingen
Solo Ildegarda di Bingen (1098-1179) non seguì pedissequamente gli autori antichi come Dioscoride, ma attinse invece il proprio sapere soprattutto dall’osservazione e dall’esperienza. La badessa dell’abbazia benedettina sul Rupertsberg presso Bingen è considerata la prima studiosa tedesca di scienze naturali e di medicina, una grande naturopata e mistica. Ildegarda ha lasciato al mondo un’opera vastissima, fra cui Physica e Causae et Curae sono rilevanti dal punto di vista medico. La Physica descrive le virtù terapeutiche vegetali, animali e minerali, mentre in Causae et Curae Ildegarda spiega la causa e il trattamento delle malattie. Ildegarda di Bingen consiglia di usare le foglie fresche di ortica come contorno nelle pietanze a base di carne oppure di farle cuocere insieme sotto forma di gnocchi: «L’ortica è a modo suo molto calda. A causa della sua ruvidezza non serve affatto mangiarla cruda. Ma quando è fresca e appena cresciuta dalla terra, se viene cotta è utile per i cibi dell’uomo, poiché purifica lo stomaco e ne elimina il muco. Ogni tipo di ortica ha questo effetto.»
In inverno consiglia di utilizzare la polvere ricavata dalle foglie primaverili fresche. Secondo Ildegarda l’olio ricavato dal succo d’ortica aiuta contro la debolezza di memoria: «Chi si trova a essere smemorato contro la propria volontà prenda delle ortiche, ne sprema il succo e gli aggiunga un po’ d’olio d’oliva, e quando va a dormire lo usi per ungersi il petto e le tempie, lo faccia ripetutamente e vedrà che la smemoratezza si ridurrà.» È importante mantenere esattamente la successione delle frizioni. Quest’olio per la memoria è utile solo per i pazienti in grado di rendersi conto della debolezza della loro memoria. Ma una volta che il cervello ha perso sensibilità, neanche questo rimedio può essere d’aiuto.
Nel XII secolo i padri superiori richiamarono all’ordine monaci e monache, ordinando loro di dedicarsi ai loro effettivi compiti conventuali. Cominciò così la separazione fra chiesa cristiana e medicina. Sorsero le prime università che si assunsero di occuparsi della formazione dei medici. Era l’inizio della medicina classica occidentale.
Erbari rinascimentali
Come sempre, anche durante il Rinascimento l’ortica faceva parte del patrimonio erboristico della medicina popolare e della scienza medica botanica. Ma a poco a poco dalla medicina scomparvero anche gli ultimi residui di superstizione. Erbari “moderni” fornivano indicazioni sulla cura appropriata dei vari disturbi. Hieronymus Bock (1498-1554) riteneva che l’ortica fosse addirittura la pianta più importante e la mise al primo posto nel suo erbario. Il decotto di radici era considerato un rimedio depurativo del sangue e serviva in caso di idropisia. Per curare i reumatismi ci si percuoteva con le ortiche. Il botanico Leonhart Fuchs scrisse nel 1543 nel New Kreütterbuch [Il nuovo erbario, N.d.T.] sulla “forza e l’efficacia” dell’ortica: «Le foglie di ortica schiacciate col sale guariscono le grandi ulcere. Analogamente, poste su lesioni putride come cancri e simili, le puliscono e le guariscono. Allo stesso modo eliminano ogni tipo di tumore come il tumore all’orecchio e tumefazioni simili. Vanno bene anche per la milza gonfia se le vengono messe sopra sotto forma di cataplasma. Le foglie schiacciate con il succo e messe sulla fronte arrestano l’escrezione di secreto dal naso. I semi mescolati al miele costituiscono un elettuario utile per il respiro affannoso o per la pleurite e la polmonite. Favorisce anche l’espettorazione e purifica il petto. Il succo di queste foglie tenuto in bocca e usato per gargarismi va bene per l’ugola gonfia. I semi contrastano l’effetto della cicuta e dei funghi velenosi. Questi semi inducono facilmente il vomito e quindi vanno presi dopo cena con un po’ di idromele. Bevuti con del vino dolce sono utili in caso di ventre gonfio. L’ortica messa nella liscivia contrasta la caduta dei capelli, i semi invece la tigna. Un impacco di foglie schiacciate con le bacche è buono per la podagra (gotta) e per ogni dolore articolare.»
Sono stati gli ultimi erbari di grande importanza. Nella medicina popolare le cure con le erbe hanno continuato a sopravvivere. La gente semplice della campagna e i cittadini che non potevano permettersi un medico andarono avanti a curarsi secondo le antiche ricette che erano state tramandate. La medicina classica prese un’altra direzione. La svolta verso la nuova era avvenne a opera di Paracelso (1493-1541), il cui vero nome era Theophrastus Bombastus von Hohenheim. Il medico e filosofo criticava la medicina medievale, spesso speculativa. Pretendeva che i medici smettessero di aderire pedissequamente alle parole di Ippocrate, ma che si fidassero piuttosto delle loro esperienze e considerazioni. Paracelso rifiutò l’antica farmacopea e introdusse la chimica nella medicina. Fu il primo passo verso la moderna chimica farmaceutica.
Applicazioni nella medicina popolare
Si conosceva una gran quantità di applicazioni interne per le foglie d’ortica. Ci si preparava una tisana di ortica, si realizzava una tintura o si spremevano le foglie per ottenere un succo fresco. Le foglie venivano usate anche come insalata o purè di ortiche. Vi presentiamo una selezione di indicazioni. L’ortica veniva usata:
per
disturbi renali ed epatici
per ridotta funzionalità dell’emopoiesi
per depurare il sangue, disintossicare, stimolare il metabolismo e in genere
nelle cure primaverili
per l’eliminazione di acqua e sale attraverso i reni
in caso di malattie cardiache, artrite, gotta, reumatismi
lattopoiesi nelle madri che allattano
in caso di produzione enzimatica insufficiente del pancreas
in caso di diabete
come aiuto in caso di emorragie nell’apparato digerente e di emorroidi
sanguinanti
come rimedio antiemorragico in caso di emottisi, ematuria o mestruazioni
eccessivamente abbondanti
in caso di dissenteria, come pure di enteriti acute e croniche e di
stitichezza
in caso di affezioni delle vie biliari
in caso di ostruzioni mucose nel petto e nei polmoni
in caso di congestione e accumulo di liquidi.
Gli impacchi a base di pianta fresca di ortica, infuso o tintura di ortica erano utili in caso di:
ferite
per emostasi
fistole e foruncoli
dolori reumatici
dolori polmonari e asmatici
pleurite
malattie cancerose.
Si assumevano i frutti, o meglio, il loro olio come tonico per aumentare il rendimento. Si riteneva inoltre che i cataplasmi con i frutti alleviassero le affezioni cutanee e i reumatismi.
La
radice era una componente importante della tisana depurativa del sangue e si
diceva che servisse in caso di:
idropisia
prostatite
reumatismi e gotta.
Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno
Titolo di tre popolarissimi racconti (i primi due scritti da Giulio Cesare Croce e l'ultimo da Adriano Banchieri, pubblicati per la prima volta in un'unica raccolta nel 1620, disponibili in versione PDF (569 kb) grazie a www.liberliber.it), che riprendono e rielaborano novelle antiche, in particolare la medievale Disputa di Salomone con Marcolfo. Nel Bertoldo si narra dell'immaginaria corte di re Alboino a Verona e delle furberie di Bertoldo, contadino rozzo di modi ma di mente acuta, che finisce per diventare consigliere del re. Bertoldo è affiancato nelle sue imprese dalla scaltra moglie Marcolfa e dal figlio sciocco Bertoldino. Nel racconto di Banchieri il protagonista è invece lo stolto Cacasenno, figlio di Bertoldino, il quale crescendo ha messo un po' di giudizio.
Principio narrativo comune ai racconti di Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno è la contrapposizione tra la vita semplice dei contadini e quella artificiosa e vana dei cortigiani. Bertoldo è passato poi a indicare, per antonomasia, il contadino rozzo ma saggio e dotato di senso pratico.
Dai tre racconti Carlo Goldoni trasse il libretto per l'opera buffa di Vincenzo Ciampi Bertoldo in corte (1747).
Le sottilissime astuzie di Bertoldo
di Giulio Cesare Croce
Proemio
Qui non ti narrerò benigno lettore, il giudicio di Paris, non il ratto di Elena, non l'incendio di Troia, non il passaggio d'Enea in Italia, non i longhi errori di Ulisse, non le magiche operazioni di Circe, non la distruzione di Cartagine, non l'esercito di Serse, non le prove di Alessandro, non la fortezza di Pirro, non i trionfi di Mario, non le laute mense di Lucullo, non i magni fatti di Scipione, non le vittorie di Cesare, non la fortuna di Ottaviano, poiché di simil fatti le istorie ne danno a chi legge piena contezza; ma bene t'appresento innanzi un villano brutto e mostruoso sì, ma accorto e astuto, e di sottilissimo ingegno; a tale, che paragonando la bruttezza del corpo con la bellezza dell'animo, si può dire ch'ei sia proprio un sacco di grossa tela, foderato di dentro di seta e oro. Quivi udirai astuzie, motti, sentenze, arguzie, proverbi e stratagemme sottilissime e ingegnose da far trasecolare non che stupire. Leggi dunque, che di ciò trarrai grato e dolce trattenimento, essendo l'opera piacevole e di molta dilettazione.
Le sottilissime astuzie di Bertoldo
Nel tempo che il Re Alboino, Re dei Longobardi si era insignorito quasi di tutta Italia, tenendo il seggio reggale nella bella città di Verona, capitò nella sua corte un villano, chiamato per nome Bertoldo, il qual era uomo difforme e di bruttissimo aspetto; ma dove mancava la formosità della persona, suppliva la vivacità dell'ingegno: onde era molto arguto e pronto nelle risposte, e oltre l'acutezza dell'ingegno, anco era astuto, malizioso e tristo di natura. E la statura sua era tale, come qui si descrive.
Fattezze di Bertoldo
Prima, era costui picciolo di persona, il suo capo era grosso e tondo come un pallone, la fronte crespa e rugosa, gli occhi rossi come di fuoco, le ciglia lunghe e aspre come setole di porco, l'orecchie asinine, la bocca grande e alquanto storta, con il labro di sotto pendente a guisa di cavallo, la barba folta sotto il mento e cadente come quella del becco, il naso adunco e righignato all'insù, con le nari larghissime; i denti in fuori come il cinghiale, con tre overo quattro gosci sotto la gola, i quali, mentre che esso parlava, parevano tanti pignattoni che bollessero; aveva le gambe caprine, a guisa di satiro, i piedi lunghi e larghi e tutto il corpo peloso; le sue calze erano di grosso bigio, e tutte rappezzate sulle ginocchia, le scarpe alte e ornate di grossi tacconi. Insomma costui era tutto il roverso di Narciso.
Ragionamento fra il Re e Bertoldo
Re.
Chi sei tu, quando nascesti e di che parte sei?
Bertoldo. Io son uomo, nacqui quando mia madre mi
fece e il mio paese è in questo mondo.
Re. Chi sono gli ascendenti e descendenti tuoi?
Bertoldo. I fagiuoli, i quali bollendo al fuoco
vanno ascendendo e descendendo su e giù per la pignatta.
Re. Hai tu padre, madre, fratelli e sorelle?
Bertoldo. Ho padre, madre, fratelli e sorelle, ma
sono tutti morti.
Re. Come gli hai tu, se sono tutti morti?
Bertoldo. Quando mi partii da casa io gli lasciai
che tutti dormivano e per questo io dico a te che tutti sono morti; perché,
da uno che dorme ad uno che sia morto io faccio poca differenza, essendo che
il sonno si chiama fratello della morte.
Re. Qual è la più veloce cosa che sia?
Bertoldo. Il pensiero.
Re. Qual è il miglior vino che sia?
Bertoldo. Quello che si beve a casa d'altri.
Re. Qual è quel mare che non s'empie mai?
Bertoldo. L'ingordigia dell'uomo avaro.
Re. Qual è la più brutta cosa che sia in un
giovane?
Bertoldo. La disubbidienza.
Re. Qual è la più brutta cosa che sia in un
vecchio?
Bertoldo. La lascivia.
Re. Qual è la più brutta cosa che sia in un
mercante?
Bertoldo. La bugia.
Re. Qual è quella gatta che dinanzi ti lecca e di
dietro ti sgraffa?
Bertoldo. La puttana.
Re. Qual è il più gran fuoco che sia in casa?
Bertoldo. La mala lingua del servitore.
Re. Qual è il più gran pazzo che sia?
Bertoldo. Colui che si tiene il più savio.
Re. Quali sono le infermità incurabili?
Bertoldo. La pazzia, il cancaro e i debiti.
Re. Qual è quel figlio ch'abbrugia la lingua a sua
madre?
Bertoldo. Lo stuppino della lucerna.
Re. Come faresti a portarmi dell'acqua in un
crivello e non la spandere?
Bertoldo. Aspettarei il tempo del ghiaccio, e poi te
la porterei.
Re. Quali sono quelle cose che l'uomo le cerca e non
le vorria trovare?
Bertoldo. I pedocchi nella camicia, i calcagni rotti
e il necessario brutto.
Re. Come faresti a pigliar un lepre senza cane?
Bertoldo. Aspettarei che fosse cotto e poi lo
pigliarei.
Re. Tu hai un buon cervello, s'ei si vedesse.
Bertoldo. E tu saresti un bell'umore, se non
rangiasti.
Re. Orsù, addimandami ciò che vuoi, ch'io son qui
pronto per darti tutto quello che tu mi chiederai.
Bertoldo. Chi non ha del suo non può darne ad
altri.
Re. Perché non ti poss'io dare tutto quello che tu
brami?
Bertoldo. Io vado cercando felicità, e tu non l'hai;
e però non puoi darla a me.
Re. Non son io dunque felice, sedendo sopra questo
alto seggio, come io faccio?
Bertoldo. Colui che più in alto siede, sta più in
pericolo di cadere al basso e precipitarsi.
Re. Mira quanti signori e baroni mi stanno attorno
per ubidirmi e onorarmi.
Bertoldo. Anco i formiconi stanno attorno al sorbo e
gli rodono la scorza.
Re. Io splendo in questa corte come propriamente
splende il sole fra le minute stelle.
Bertoldo. Tu dici la verità, ma io ne veggio molte
oscurate dall'adulazione.
Re. Orsù, vuoi tu diventare uomo di corte?
Bertoldo. Non deve cercar di legarsi colui che si
trova in libertà.
Re. Chi t'ha mosso dunque a venir qua?
Bertoldo. Il creder io che un re fosse più grande
di statura degli altri uomini dieci o dodeci piedi, e che esso avanzasse sopra
tutti come avanzano i campanili sopra tutte le case; ma io veggio che tu sei
un uomo ordinario come gli altri, se ben sei re.
Re. Son ordinario di statura sì, ma di potenza e di
ricchezza avanzo sopra gli altri, non solo dieci piedi ma cento e mille
braccia. Ma chi t'induce a fare questi ragionamenti?
Bertoldo. L'asino del tuo fattore.
Re. Che cosa ha da fare l'asino del mio fattore con
la grandezza della mia corte?
Bertoldo. Prima che fosti tu, né manco la tua
corte, l'asino aveva raggiato quattro mill'anni innanzi.
Re. Ah, ah, ah! Oh sì che questa è da ridere.
Bertoldo. Le risa abbondano sempre nella bocca de'
pazzi.
Re. Tu sei un malizioso villano.
Bertoldo. La mia natura dà così.
Re. Orsù, io ti comando che or ora tu ti debbi
partire dalla presenza mia, se non io ti farò cacciare via con tuo danno e
vergogna.
Bertoldo. Io anderò, ma avvertisci che le mosche
hanno questa natura, che se bene sono cacciate via, ritornano ancora: però se
tu mi farai cacciar via, io tornerò di nuovo ad insidiarti.
Re. Or va'; e se non torni a me come fanno le
mosche, io ti farò battere via il capo.
Astuzia
galante di Bertoldo
nel tornare innanzi al Re nel modo ch'ei gli aveva detto.
Venuta la mattina, Bertoldo comparve alla presenza del Re involto in una rete da pescare, e il Re, vedutolo a quella maniera, gli disse:
Re. Perché
sei tu comparso così alla
presenza mia?
Bertoldo. Non dicesti tu ch'io tornassi a te questa mane e che io non
fosse né nudo né vestito?
Re. Sì, dissi.
Bertoldo. Ed eccomi involto in questa rete, con la quale parte copro
delle membra, e parte restano scoperte.
Re. Dove sei stato fino ad ora?
Bertoldo. Dove son stato più non sono, e dove son ora non vi può
stare altri che me.
Re. Che cosa fa tuo padre, tua madre, tuo fratello e tua sorella?
Bertoldo. Mio padre d'un danno ne fa due; mia madre fa alla sua vicina
quello che non gli farà mai più; mio fratello quanti ne trova, tanti ne
ammazza; e mia sorella piange di quello ch'ella ha riso tutto quest'anno.
Re. Dichiarami questo imbroglio.
Bertoldo. Mio padre, nel campo desiderando di chiudere un sentiero, vi
pone dei spini; onde quei che solevano passare per detto sentiero, passano or
di qua or di là dai detti spini, a tale che d'un solo sentiero, che vi era,
ne viene a far due. Mia madre serra gli occhi a una sua vicina che muore, cosa
che non gli farà mai più. Mio fratello, stando al sole, ammazza quanti
pedocchi trova nella camicia. Mia sorella tutto quest'anno s'è data trastullo
con il suo marito, e ora piange nel letto i dolori del parto.
Re. Qual è il più lungo giorno che sia?
Bertoldo. Quello che si sta senza mangiare.
Re. Qual è la più gran pazzia dell'uomo?
Bertoldo. Il riputarsi savio.
Re. Per che causa vien più presto canuta la testa che la barba?
Bertoldo. Perchי i capelli son nati prima della
barba.
Re. Qual è quel figlio che pela la barba a sua madre?
Bertoldo. Il fuso.
Re. Qual è quell'erba che fin i ciechi la conoscono?
Bertoldo. L'ortica.
Scrittore italiano (San Giovanni in Persiceto (BO) 1550 - Bologna 1609), è considerato il primo autore dialettale bolognese. Cantastorie e poeta estemporaneo, visse a Bologna facendo il fabbro. Scrisse moltissimo: raccontini, satire, recitativi scherzosi e patetici, un poema (La Topeide), una commedia stravagante sul tema della fame (Il banchetto de' Mal Cibati) e soprattutto la storia de Le sottilissime astuzie di Bertoldo e Le piacevoli simplicità di Bertoldino (pubblicata nel 1906; la Novella di Cacasenno, figlio di Bertoldino, è un'aggiunta più tarda, opera del bolognese Adriano Banchieri). Croce ricavò l'idea di Bertoldo da El dyalogo de Salomon e Marcolpho, operetta latina medievale.
Biografia a cura di Maria Agostinelli
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Figlio di un fabbro di San Giovanni in Persiceto, in provincia di Bologna, Giulio Cesare Croce nacque nel 1550.
Nonostante l'umile condizione familiare, sia suo padre, sia suo zio dopo la morte del primo, si preoccuparono di dargli un'istruzione.
Ma il precettore presso cui lo zio lo mandò era più interessato all'andamento della sua casa che all'istruzione degli alunni, i quali erano costretti a svolgere la maggior parte dei lavori domestici.
Fu per questo che il giovane Giulio Cesare fece ritorno dallo zio, si trasferì con lui a Medicina e riprese a fare il fabbro, cominciando a scrivere versi. Furono proprio questi primi versi, ridanciani, popolani e burleschi, che lo resero famoso nel circondario e che lo portarono ad allietare i festini della nobile famiglia bolognese dei Fantuzzi, proprietaria di un podere a Medicina.
A 18 anni fu a Bologna e qui, a poco a poco, abbandonò la bottega per diventare cantastorie a tutti gli effetti: cominciò a girovagare per fiere, corti, case patrizie, mercati, a raccontare le sue storie (tratte dai più disparati aneddoti popolari), accompagnandosi con una specie di elementare violino e stampando le sue composizioni in piccoli opuscoli che vendeva per conto suo.
Ebbe ben 14 figli dalle sue due mogli e in vita divenne famosissimo, ma con scarso successo economico. Morì in povertà nel 1609.
Adriano
Banchieri
Adriano da Bologna
Compositore e teorico (Bologna 1568-1634). Studiò a Lucca con il musicista Giuseppe Guami (Gioseffo), divenne monaco olivetano (1589) e dal 1596 fu organista a Bologna, Imola, Gubbio, Verona, Venezia, ecc. Ritornato a Bologna, fondò nel 1615 l'Accademia de' Floridi, ricostituita nel 1623 come Accademia dei Filomusi. Fu teorico di grande fama e apportò alla scrittura musicale numerose innovazioni, fra cui l'impiego della stanghetta di divisione della battuta e l'indicazione degli accidenti in chiave. Utilizzò tra i primi le indicazioni agogiche piano e forte e il basso continuo. Come compositore eccelse soprattutto nel genere del madrigale drammatico, che portò al massimo grado di perfezione ispirandosi direttamente ai modelli di Alessandro Striggio, Giovanni Croce e Orazio Vecchi.
Composizioni principali: i madrigali drammatici o commedie armoniche La pazzia senile (1598), La barca di Venetia per Padova (1605), Il festino nella sera del giovedì grasso (1608), numerosi madrigali e pezzi polifonici sacri e profani; fantasie, canzoni alla francese e altro per organo; molti lavori teorici fra cui L'organo suonarino (1605). Con lo pseudonimo di Camillo Scaligeri scrisse trattati, discorsi paradossali, commedie, spesso mischiando lingua e dialetto. Vanno ricordati in particolare la Novella di Cacasenno, pubblicata poi con altre nei Trastulli della villa (1627), e la commedia La fida fanciulla (1628) di intento moralistico.
Compositore italiano (presso Piacenza 1719 - Venezia 1762). Studiò a Napoli, dove nel 1737 esordì con la sua prima opera comica. Nel 1748 fu a Londra; nel 1752 o 1753 colse un grande successo a Parigi con Bertoldo in corte (1747, su libretto di Goldoni), che ebbe una certa importanza nella storia del pasticcio (opera teatrale ottenuta unendo pagine tratte da lavori diversi, p. es. arie da opere di uno o più autori e adattandole secondo le necessità di un nuovo libretto). Ciampi si stabilì poi a Venezia, dove nel 1760 divenne maestro di cappella agli Incurabili. La sua produzione, ancora poco conosciuta, è di notevole interesse anche in campo strumentale.
Re dei Longobardi, morto a Verona nel 572. Figlio di Audoino e di Rodelinda, successe al padre tra il 560 e il 565 e, nel 568, guidò la sua gente in Italia, dopo aver vinto in Pannonia il re dei Gepidi, Cunimondo, e averne sposato la figlia Rosmunda. Superata con facilità la debole resistenza bizantina, conquistò nel 569 Milano, dove fu proclamato re d'Italia, e nel 572 Pavia, che divenne la sede del regno longobardo. Nello stesso anno, prima di poter consolidare il regno, Alboino fu assassinato a Verona da un gruppo di congiurati che facevano capo al suo scudiero Elmichi, a Rosmunda e all'esarca bizantino Longino. La sua figura, semileggendaria, è stata ripresa e celebrata nelle saghe germaniche.
Stinging nettle or common nettle, Urtica dioica, is a herbaceous perennial flowering plant, native to Europe, Asia, northern Africa, and North America, and is the best-known member of the nettle genus Urtica. Stinging nettle is a dioecious herbaceous perennial, 1 to 2 m (3 to 7 ft) tall in the summer and dying down to the ground in winter. It has widely spreading rhizomes and stolons, which are bright yellow as are the roots. The soft green leaves are 3 to 15 cm (1 to 6 in) long and are borne oppositely on an erect wiry green stem. The leaves have a strongly serrated margin, a cordate base and an acuminate tip with a terminal leaf tooth longer than adjacent laterals. It bears small greenish or brownish 4-merous flowers in dense axillary inflorescences. The leaves and stems are very hairy with non-stinging hairs and also bear many stinging hairs (trichomes), whose tips come off when touched, transforming the hair into a needle that will inject several chemicals: acetylcholine, histamine, 5-HT or serotonin, and possibly formic acid. This mixture of chemical compounds cause a sting or paresthesia from which the species derives its common name, as well as the colloquial names burn nettle, burn weed, burn hazel. The pain and itching from a nettle sting can last from only a few minutes to as long as a week.
Taxonomy
The taxonomy of stinging nettles has been confused, and older sources are likely to use a variety of systematic names for these plants. Formerly, more species were recognised than are now accepted. However, there are at least five clear subspecies, some formerly classified as separate species:
U. dioica
subsp. dioica (European stinging nettle). Europe, Asia, northern
Africa.
U. dioica subsp. galeopsifolia (fen
nettle or stingless nettle). Europe. (Sometimes known as Urtica galeopsifolia)
U. dioica subsp. afghanica.
Southwestern and central Asia. (Gazaneh in Iran)
U. dioica subsp. gansuensis.
Eastern Asia (China).
U. dioica subsp. gracilis (Ait.)
Selander (American stinging nettle). North America.
U. dioica subsp. holosericea (Nutt.)
Thorne (hairy nettle). North America.
Other species names formerly accepted as distinct by some authors but now regarded as synonyms of U. dioica include U. breweri, U. californica, U. cardiophylla, U. lyalli, U. major, U. procera, U. serra, U. strigosissima, U. trachycarpa, and U. viridis. Other vernacular names include tall nettle, slender nettle, California nettle, jaggy nettle, burning weed, fire weed and bull nettle (a name shared by Cnidoscolus texanus and Solanum carolinense).
Distribution
Stinging nettles are abundant in northern Europe and much of Asia, usually found in the countryside. It is less gregarious in southern Europe and north Africa, where it is restricted by its need for moist soil. In North America it is widely distributed in Canada and the United States, where it is found in every province and state except for Hawaii and also can be found in northernmost Mexico. It grows in abundance in the Pacific Northwest, especially in places like Vashon Island where annual rainfall is high. In North America the stinging nettle is far less common than in northern Europe. The European subspecies has been introduced into North America as well as South America.
In the UK stinging nettles have a strong association with human habitation and buildings. The presence of nettles may indicate that a building has been long abandoned. Human and animal waste may be responsible for elevated levels of phosphate and nitrogen in the soil, providing an ideal environment for stinging nettles. This seems particularly evident in Scotland where the sites of crofts razed during the Highland Clearances can still be identified.
Ecology
Nettles are the exclusive larval food plant for several species of butterfly, such as the Peacock Butterfly or the Small Tortoiseshell, and are also eaten by the larvae of some moths including Angle Shades, Buff Ermine, Dot Moth, The Flame, The Gothic, Grey Chi, Grey Pug, Lesser Broad-bordered Yellow Underwing, Mouse Moth, Setaceous Hebrew Character and Small Angle Shades. The roots are sometimes eaten by the larva of the Ghost Moth Hepialus humuli.
Medicinal uses
As Old English Stiðe, nettle is one of the nine plants invoked in the pagan Anglo-Saxon Nine Herbs Charm, recorded in the 10th century. Nettle is believed to be a galactagogue and a clinical trial has shown that the juice is diuretic in patients with congestive heart failure. Urtication, or flogging with nettles, is the process of deliberately applying stinging nettles to the skin in order to provoke inflammation. An agent thus used is known as a rubefacient (i.e. something that causes redness). This is done as a folk remedy for rheumatism, providing temporary relief from pain. Extracts can be used to treat arthritis, anemia, hay fever, kidney problems, and pain.
Nettle leaf is a herb that has a long tradition of use as an adjuvant remedy in the treatment of arthritis in Germany. Nettle leaf extract contains active compounds that reduce TNF-α and other inflammatory cytokines. It has been demonstrated that nettle leaf lowers TNF-α levels by potently inhibiting the genetic transcription factor that activates TNF-α and IL-1B in the synovial tissue that lines the joint.
Nettle is used in hair shampoos to control dandruff and is said to make hair more glossy, which is why some farmers include a handful of nettles with cattle feed. It is also thought nettles can ease eczema. Nettle root extracts have been extensively studied in human clinical trials as a treatment for symptoms of benign prostatic hyperplasia (BPH). These extracts have been shown to help relieve symptoms compared to placebo both by themselves and when combined with other herbal medicines. Because it contains 3,4-divanillyltetrahydrofuran, certain extracts of the nettle are used by bodybuilders in an effort to increase free testosterone by occupying sex-hormone binding globulin. Fresh nettle is used in folk remedies to stop bleeding because of its high Vitamin K content. Meanwhile, in dry Urtica dioica, the Vitamin K is practically non-existent and so is used as a blood thinner. An extract from the nettle root (Urtica dioica) is used to alleviate symptoms of benign prostate enlargement. Nettle leaf extract, on the other hand, is what has been shown to reduce the pro-inflammatory cytokines TNF-α and IL-B1.
Food
Stinging Nettle has a flavour similar to spinach when cooked and is rich in vitamins A, C, D, iron, potassium, manganese, and calcium. Young plants were harvested by Native Americans and used as a cooked plant in spring when other food plants were scarce. Soaking nettles in water or cooking will remove the stinging chemicals from the plant, which allows them to be handled and eaten without incidence of stinging. After Stinging Nettle enters its flowering and seed setting stages the leaves develop gritty particles called "cystoliths", which can irritate the urinary tract. Stinging nettle contains 40% protein, which is high for a leafy green vegetable. The young leaves are edible and make a very good pot-herb. The leaves are also dried and may then be used to make a tisane, as can also be done with the nettle's flowers.
Nettles can be used in a variety of recipes, such as polenta and pesto. Nettle soup (or "Brændnældesuppe" in Danish, "Nässelsoppa" in Swedish and "Nokkoskeitto" in Finnish) is a common use of the plant, particularly in Northern and Eastern Europe. Nettles are sometimes used in cheese making, for example in the production of Yarg and as a flavouring in varieties of Gouda.
In the UK, an annual Stinging Nettle Eating Championship draws thousands of people to Dorset, where competitors attempt to eat as much of the raw plant as possible. Competitors are given 60 cm (20 in) stalks of the plant, from which they strip the leaves and eat them. Whoever strips and eats the most stinging nettle leaves in a fixed time is the winner. The competition dates back to 1986, when two neighbouring farmers attempted to settle a dispute about who was responsible for controlling the weed. In Kumaon region of Northern Himalaya situated in Indian state of Uttarakhand stinging nettle is known as Shishoon. It's a very popular cuisine and cooked with Indian spices.
Drink
Nettle cordial is a soft drink made largely from a refined sugar and water solution flavoured with the leaves of the nettle. Historically it has been popular in North Western Europe; however, versions of a nettle cordial recipe can be traced back to Roman times. It is an aromatic syrup, and when mixed with sparkling water, is very refreshing. Nettle leaves are steeped in a concentrated sugar solution so the flavour is extracted into the sugar solution. The leaves are then removed and a source of citric acid (usually lemon juice) is added to help preserve the cordial and add a tart flavour.
Commercially produced cordials are generally quite concentrated and are usually diluted by one part cordial to ten parts water – thus a 0.5 litres (0.11 imp gal; 0.13 US gal) bottle of cordial would be enough for 5.5 litres (1.2 imp gal; 1.5 US gal) diluted. The high concentration of sugar in nettle cordial gives it a long shelf life.
Nettle sting treatment
Anti-itch drugs, usually in the form of creams containing antihistaminics or hydrocortisone, can provide relief from the symptoms of being stung by nettles. Many folk remedies exist for treating the itching including horsetail (Equisetopsida spp.), leaf of dock (Rumex spp.), Jewelweed, (Impatiens capensis and Impatiens pallida), mud, saliva, or baking soda, oil and onions – some of which may be mainly placebo in effect.
Influence on language and culture
In Great Britain the stinging nettle is the only common stinging plant and has found a place in several figures of speech in the English language. To "nettle" someone is to annoy them. Shakespeare's Hotspur urges that "out of this nettle, (danger), we grasp this flower (safety)" (Henry IV, part 1, Act II Scene 3). The common figure of speech "to grasp the nettle" probably originated as a condensation of this quotation. It means to face up to or take on a problem that has been ignored or deferred. The metaphor may refer to the fact that if a nettle plant is grasped firmly rather than brushed against, it does not sting so readily, because the hairs are crushed down flat and do not penetrate the skin so easily. In the German language, the idiom "sich in die Nesseln setzen", or to sit in nettles, means to get into trouble.
Textiles
Nettle stems contain a bast fibre that has been traditionally used for the same purposes as linen and is produced by a similar retting process. Unlike cotton, nettles grow easily without pesticides. The fibres are coarser however. In recent years a German company has started to produce commercial nettle textiles. Nettles may be used as a dye-stuff, producing yellow from the roots, or yellowish green from the leaves.
Gardening
As well as the potential for encouraging beneficial insects, nettles have a number of other uses in the vegetable garden. The growth of stinging nettle is an indicator that an area has high fertility (especially phosphorus) and has been disturbed. Nettles contain a lot of nitrogen and so are used as a compost activator or can be used to make a liquid fertiliser which although somewhat low in phosphate is useful in supplying magnesium, sulphur and iron. Recent experiments have shown that nettles may have some use as a companion plant.
Chemical
constituents of stinging nettle
by Kassie Vance
Numerous analyses of nettle have revealed the presence of more than fifty different chemical constituents. The roots of stinging nettle have been studied extensively and found to contain starch, gum, albumen, sugar, and two resins. Histamine, acetylcholine, choline, and serotonin are also present. In addition, oleanol acid, sterols and steryl glycosides (including 3-beta-sitosterin), scopoletin (a coumarin), secoisolariciresinol, and neo-olivil (both lignans), and homovanillyl alcohol have been found. An immunologically active polysaccharide fraction was isolated which yielded neutral sugar, protein, and uronic acid. Methalonic extract of the roots were investigated for their inhibitory effect in aromatase, a key enzyme in steroid hormone metabolism. Many active constituents such as phytosterols, pentacyclin triterpenes, coumarins, ceramides, and hydroxyl fatty acids have been isolated from the lipophilic fraction, the compounds having an affiliation for lipids. Six isolectins, collectively referred to as Urtica dioica agglutinin (UDA), and some polysaccharides were isolated from the hydrophilic fraction (compounds that dissolve or mix with water), and are considered to be very important pharmacological findings.
Fresh nettle leaves contain a similar range of constituents, with smaller amounts of plant sterols, but proportionally higher levels of flavonol glycosides such as quercitin, and carbonic and formic acid. Many carotenoids have been found such as beta-carotene, violaxanthin, xanthophylls, zeaxanthin, luteoxanthin, and lutein epoxide. In a study done by Kavalali and Akcasu in 1983, an anti-coagulant was isolated from nettle leaves. Terpene diols, terpene diol glucosides, and alpha-tocopherol were also detected. Five new monoterpenoid components were found, as well as 18 phenolic compounds and eight lignans, some of which were previously unknown. In relatively recent studies done by Weglarz and Roslon in 2000 and 2001, the content of polyphenolic acids both in the leaves and rhizomes was found to be higher in the male form of the plant than the female form, but the chemical composition of the female polyphenolic acids were much more complex. An acetylcholine synthesizing enzyme, choline acetyl-transferase, was found, and it appears that Urtica dioica is the only plant to have this enzyme.
Stinging nettle is a powerhouse of nutrients. It contains on average 22% protein, 4% fats, 37% non-nitrogen extracts, 9-21% fiber, and 19-29% ash. The leaves contain about 4.8 mg chlorophyll per gram of dry leaves, depending on whether the plant was grown in the sun or shade. Surprisingly, more chlorophyll and carotenoids are found in plants that have been grown in the shade. The dried leaf of nettle contains 40% protein. They are one of the highest known sources of protein in a leafy green, and of superior quality than many other green leafy vegetables, The fresh leaves contain vitamins A, C, D, E, F, K, P, and b-complexes as well as thiamin, riboflavin, niacin, and vitamin B-6, all of which were found in high levels, and act as antioxidants. The leaves are also noted for their particularly high content of the metals selenium, zinc, iron, and magnesium. They contain boron, sodium, iodine, chromium, copper, and sulfur. They also contain tannic and gallic acids, gum, and wax. Sixteen free amino acids have been found in the leaves, as well as high silicon levels in the leaves, stems and roots. Amino acids in dehydrated nettle meal are nutritionally superior to those of alfalfa meal.
Samples of dried flowers have been analyzed for nutrient content. They were found to be rich in alpha-tocopherol, riboflavin, iron, zinc, calcium, phosphorous, and potassium. However, the analyses indicated that as a result of the drying and storage process, total loss of vitamin C and a substantial loss of beta-carotene had been incurred.
The hairs contain an acrid fluid. The active principles of this fluid are thought to be acetylcholine, histamine, and formic acid. Formic acid is the same acid that ants have in their saliva glands. Other chemicals found in the hairs are silica, serotonin, and 5-hydroxy tryptamine. Many of these chemicals are smooth muscle stimulants. U. dioica contains a high level of UDA acetylcholine in both the fresh hairs and leaves.
There are few studies of the seeds, but those that have been done have found linoleic acid and linolenic acid as well as vitamins C, E, and B6, thiamin, riboflavin, niacin, iron, zinc, copper, calcium, phosphorous, magnesium, manganese, sodium, potassium, and selenium.
UDA, the six isolectins previously mentioned, are found in the rhizomes, roots, and seeds, but not in the leaves and stems. These lectins differ from all the other plant lectins due to its molecular structure. It was shown to possess both antifungal and insecticidal activity and to act synergistically with chitinase in inhibiting fungal growth. It was also shown to directly inhibit cell proliferation and block the binding of epidermal growth factor to its receptor on a tumor cell line. It is a potent and selective inhibitor of the HIV virus and shows anti-prostatic activity by interfering with sex-hormone binding globulin (SHBG). Nettle influences hormones through its wealth of lipids including triglycerides, fatty acids, tocopherols, sterols, and galactosyldiglycerides
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L'Urtica urens a differenza della dioica è una pianta annuale, è di dimensioni inferiori ed è monoica vale a dire che porta nello stesso individuo sia fiori femminili che fiori maschili ed è molto più urticante. Le specie di Urtica più comuni nelle nostre zone sono la dioica e la urens, entrambe le ritroviamo spesso e quindi risulta necessario riconoscerle. Innanzi tutto la dioica è più imponente in altezza, arriva a superare il metro, talora raggiungendo i 2 metri, mentre la urens a malapena tocca i 60 centimetri, la dioica ha un colore verde più scuro con le foglie più lanceolate e lunghe, mentre la urens ha un colore verde chiaro quasi luccicante e le foglie cuoriformi più corte e larghe. La dioica è più pelosa mentre la urens è più aghiforme nel senso che vi sono meno peli e più aghi silicei rigidi e quindi la urens (e si capisce anche dal nome) è più urticante. La dioica cresce fino a 3000 metri di altezza, mentre la urens fino a 2000 metri. Ambedue vengono usate per gli stessi scopi farmacologici e tessili.
L’ortie brûlante ou petite ortie (Urtica urens) est une plante herbacée commune de la famille des Urticaceae. On la distingue de la grande ortie par sa taille plus petite et par le fait qu’elle soit annuelle et à racine pivotante alors que la grande ortie est pérenne et à souche rampante. Elle est entièrement couverte de poils urticants et par endroits de poils plus courts, non urticants.
Urtica et Urens ont la même racine latine uro, (ussi, ustum, urere) « brûler, embraser, consumer, échauffer, exciter, faire souffrir, tourmenter », par allusion aux piqûres brûlantes occasionnées par les poils. En outre, le mot Urtica existait en latin et désignait l’ortie. Cette plante était bien connue des Anciens. Ses usages ont été décrit en Grèce antique, par Dioscoride et Galien, en Inde ancienne par la médecine ayurvédique etc.
L’ortie brûlante se reconnaît à sa petite taille qui en général se situe entre 20 et 60 cm. Les feuilles sont opposées, ovales et ne dépassent pas 4-5 cm de long. Elles sont bordées de dents aiguës de 3-5 mm. L’ortie brûlante se distingue également de l’ortie commune par ses fleurs unisexuées, mâles et femelles, sur la même grappe simple, non ramifiée. Les fleurs femelles, beaucoup plus nombreuses que les fleurs mâles, possèdent 4 tépales: deux petits extérieurs, deux grands intérieurs ornés d'un grand poil urticant. La fleur mâle comporte 4 tépales soudés, un ovaire vestigial et 4 étamines, repliées dans le bouton et se redressant brutalement à l'anthèse en éjectant au loin le pollen. C’est une plante monoïque alors que l’ortie commune est essentiellement dioïque. La floraison s’étale de mars à octobre et la pollinisation se fait par le vent (par anémogamie). Le fruit est un akène ovoïde, compressé, de moins de 1 mm, entouré des deux grands tépales accrescents.
C’est une plante assez cosmopolite qui se rencontre partout en France (sauf peut-être en Charente et dans les Vosges). Elle est très largement distribuée dans les régions tempérées et dans les hautes terres des régions tropicales (Europe, Asie, Afrique et Amérique septentrionales). Elle se plaît dans les décombres, les friches et les lieux cultivés ayant reçu un excès de fumure. C'est une adventice des cultures maraîchères à fortes fumures et bien arrosées.
L'ortie est riche en flavonoïdes, en fer, en calcium, en potassium, en magnésium ainsi qu'en vitamine A et C. Les racines contiennent des phytostérols. L’ortie brûlante a, comme l’ortie dioïque, de très nombreux usages traditionnels en alimentation, phytothérapie et agriculture. Jadis utilisée pour nourrir les volailles, elle continue à être employée en alimentation humaine. Les jeunes pousses et les jeunes feuilles d'ortie peuvent être consommées en salade, en soupe, en purée et en légumes comme des épinards. C’est aussi une plante médicinale reconnue dont les parties aériennes sont utilisées:
- en usage interne (principalement sous forme de tisane) pour leurs effets diurétiques, galactagogues, antirhumatismaux dans le traitement de l’inflammation des voies urinaires, dans le traitement des calculs rénaux et des douleurs rhumatismales;
- en usage externe (par application de lotion) dans le traitement des douleurs arthritiques et rhumatismales, dans les soins cosmétiques (contre la chute des cheveux, contre les pellicules et les cheveux gras)
Les décoctions de racines d’ortie sont aussi utilisées dans le traitement de l’hypertrophie bénigne de la prostate. Le purin d’ortie, obtenu par macération des feuilles hachées dans de l’eau, est utilisé en agriculture biologique pour tuer ou repousser les insectes et comme fertilisant.
Ortica
bianca
Lamium album
Esiste una specie chiamata Ortica bianca che in realtà non è un'ortica anche se viene spesso scambiata per essa. Si tratta del Lamium album, appartenente alla famiglia non delle Urticaeae bensì delle Labiatae e che si riconosce molto facilmente in quanto possiede i fiori bianchi caratteristici della famiglia con il grande petalo superiore a forma di barchetta capovolta e per il colore verde chiarissimo delle foglie. L'Ortica bianca pur essendo una pianta ricoperta di peli, non è urticante e non possiede le proprietà terapeutiche del genere Urtica: anzi se ne sconsiglia l'uso in quanto pare che contenga ammine, composti chimici spesso prodotti dalla decomposizione di sostanze organiche, formati per sostituzione di uno o più atomi di idrogeno dell'ammoniaca con gruppi organici.
Pianta perenne erbacea dalle lunghissime radici. I fusti, eretti, quadrangolari, coperti di peli eretti, spesso striati di porpora nella zona inferiore, alti 30-60 cm. Le foglie ovali acute, opposte, le inferiori lungamente picciolate e irregolarmente dentate, le superiori con picciolo più breve. Sia la pagina superiore che quella inferiore sono ricoperte di peli glandulosi.
I fiori, labiati, sono disposti in verticilli chiusi all’ascella delle foglie, hanno corolla simmetrica bianca o giallastra, con lungo tubo incurvato e calice campanulato, semiaperto, munito di 5 denti lanceolati, corolla con labbro superiore pubescente a cappuccio e labbro inferiore bilobo, divergente a 90°, 4 stami, i 2 del labbro superiore più lunghi, e antere di colore bruno scuro. L’ovario contiene, in ognuno dei 2 alveoli, 2 semi che a maturazione si trasformano in 4 acheni duri.
Distribuzione in Italia: presente in tutta la penisola assente nelle isole. Habitat: specie ruderale e nitrofila, propria dei fossi e delle zone antropizzate da 0 a 1.200 m.
Proprietà: erba leggermente amara, ad azione astringente, decongestionante, antiemorragica, e antinfiammatoria. È una specie che sin dal Medioevo vanta un lungo impiego nella cura di problemi ginecologici e ostetrici. Per uso interno nei problemi mestruali, emorragie post-partum, perdite vaginali e prostatiti. Per uso esterno nelle irrigazioni vaginali in caso di leucorrea, per gargarismi contro le infiammazioni del cavo orale e della gola. Utile contro il prurito e l'untosità del cuoio capelluto, agisce normalizzando la secrezione sebacea. In cucina può essere utilizzata nella preparazione di minestre, insalate, frittate o come verdura cotta; con i fiori si possono preparare tisane dal gusto gradevole.
Lamium
album
Falsa ortica bianca
La Falsa ortica bianca (nome scientifico Lamium album Carl von Linné, 1753) è una piccola pianta erbacea perenne dai bianchi fiori labiati appartenente alla famiglia delle Lamiaceae o Labiatae. Nelle classificazioni più vecchie questa famiglia viene chiamata Labiatae. Il genere Lamium si compone di circa 40-50 specie gravitanti nella maggioranza dei casi attorno al bacino del Mediterraneo, una decina delle quali vive spontaneamente in Italia. La famiglia delle Lamiaceae è relativamente numerosa e comprende 258 generi con circa 6.970 specie. La pianta di questa scheda fa parte della sezione Lamiotypus; sezione caratterizzata dall'avere il tubo corollino contratto nella parte basale, un anello di peli nelle fauci della corolla e delle antere irsute.
Questa pianta può facilmente essere scambiata per un'ortica (anche se le due specie appartengono a famiglie diverse: Urticaceae è la famiglia per le ortiche vere). La specie di questa scheda si distingue soprattutto per la sezione del fusto: quadrata nelle piante del genere Lamium, circolare nelle ortiche vere e proprie. Mentre le foglie sono molto simili: da qui il nome comune (Falsa ortica) derivato da credenze antiche anche se naturalmente queste piante sono totalmente prive di peli urticanti e quindi non pungono (da qui un altro nome popolare: Ortica morta).
Uno dei primi studiosi dell'antichità a usare il nome generico di questo fiore (Lamium) è stato Plinio (Naturalis historia XXII,37 e 43). Questo termine discenderebbe da un vocabolo greco laimós il cui significato è “fauci – gola”. Ma potrebbe discendere anche da altre parole greche oppure dal nome di una regina libica, Lamia, figlia di Belo, re della Libia, amata da Zeus, da cui ebbe molti figli. Era (figlia di Crono e di Rea, sorella e sposa di Zeus), gelosa, li fece morire e Lamia, impazzita per il dolore, si mise a rapire bambini altrui per divorarli. Dal suo nome furono chiamate lamiae gli spettri notturni che, secondo gli antichi Greci, succhiavano il sangue dei bambini e ne mangiavano il cuore.
In questo caso il collegamento etimologico esiste in quanto le mamme greche, per far star buoni i loro bambini, descrivevano questa regina come un mostro capace di ingoiarli (come del resto fa il fiore di questa pianta quando un bombo entra nel tubo corollino in cerca del nettare). Il colore dell'infiorescenza ha invece determinato il nome specifico album, bianco. In lingua tedesca questa pianta si chiama Weiße Taubnessel; in francese si chiama Lamier blanc oppure Ortie blanche; in inglese è detta White Dead-nettle.
La pianta in genere è poco pelosa anche se alcune parti (le foglie) sono quasi tomentose (ricoperte di peli cotonosi). L'altezza della pianta oscilla fra i 30 e i 50 cm (massimo 100 cm in condizioni ottimali). La forma biologica è emicriptofita scaposa (H scap), ossia è una pianta erbacea perenne con gemme svernanti a livello del suolo e protette dalla lettiera o dalla neve, dotata di un asse fiorale più o meno eretto e con poche foglie. Le radici sono secondarie da rizoma e molto lunghe.
Fusto - Parte ipogea: la parte sotterranea del fusto consiste in un rizoma strisciante (stolone sotterraneo). Parte epigea: la parte aerea del fusto è diffuso-ascendente, raramente ramosa (eventualmente nella parte basale, se la pianta è più robusta). Il fusto ha una sezione quadrangolare a causa della presenza di fasci di collenchima posti nei quattro vertici, mentre le quattro facce sono concave. È inoltre glabro o a pelosità variabile con peli eretti. Nella parte basale può essere arrossato.
Le foglie, tutte picciolate e a forma ovale-lanceolata, sono cordiformi alla base, mentre l'apice è acuminato. Lungo il fusto sono disposte in modo opposto a due a due e sono prive di stipole (espansioni laminari poste alla base del picciolo fogliare). La superficie è pubescente quasi tomentosa (specialmente ai margini), il bordo è irregolarmente dentato o crenato e sulla pagina inferiore sono presenti delle evidenti nervature. Il colore delle foglie è verde scuro e spesso si presentano con delle macchie rosso-brunastre quasi violette nella zona centrale della pagina superiore. Lunghezza del picciolo: 1–2 cm (fino a 6 cm quelli più lunghi). Dimensione delle foglie: larghezza 3–4 cm; lunghezza 4–5 cm.
L'infiorescenza è portata in vari verticilli ascellari sovrapposti lungo il fusto. Ogni verticillo è composto da più fiori (6–15) disposti circolarmente e poggianti su due grandi brattee fogliose (o semplicemente foglie) lievemente staccate dall'infiorescenza vera e propria ma comunque sub-sessili. Le brattee del verticillo seguente sono disposte in modo alternato. Il colore del fiore è bianco (quasi giallastro) con macchie interne giallo-brune che servono da guida agli insetti pronubi.
I fiori sono ermafroditi, zigomorfi (il calice è attinomorfo), tetraciclici (con i quattro verticilli fondamentali delle Angiosperme: calice – corolla – androceo – gineceo) e pentameri (calice e corolla formati da cinque elementi). Sono inoltre omogami (autofecondanti), senza profumo (o solo un leggero aroma balsamico, però sgradevole) ma ricchi di nettare. Lunghezza del fiore: 20–25 mm.
Calice: i cinque sepali del calice sono concresciuti (calice gamosepalo) in una forma tubulare-campanulata e a struttura piuttosto rigida; è inoltre persistente. Il calice del tubo è lungo 1–2 volte il suo diametro e termina con cinque lunghi denti aristati, divergenti (quelli superiori sono ripiegati verso l'alto) e più o meno uguali (simmetria di tipo attinomorfa) simili a setole. La superficie del calice è percorsa da 5–10 nervature longitudinali. Dimensioni del tubo del calice: lunghezza 5–6 mm; diametro 2–3 mm. Lunghezza dei denti del calice: 6–8 mm.
Corolla: i cinque petali sono quasi completamente fusi (gamopetalo) in una unica corolla pubescente formata da due labbra molto sviluppate. Il tubo della corolla è incurvato alla base. Il labbro superiore (composta da due dei cinque petali concresciuti) è a forma di cappuccio ben sviluppato; in questo modo protegge gli organi di riproduzione dalle intemperie e dal sole. Il labello (labbro inferiore composta dal petalo inferiore – gli altri due rimanenti formano dei dentelli laterali appena percettibili – in effetti il labbro inferiore viene considerato tripartito) è anch'esso ben sviluppato e piegato verso il basso per fare da base di “atterraggio” agli insetti pronubi; è inoltre bilobo. Le fauci sono circondate da un anello di peli obliqui per impedire l'accesso a insetti più piccoli e non adatti all'impollinazione. I bordi della corolla sono smarginati e pelosi. I due labbri divergono di circa novanta gradi. La dimensione della corolla è generalmente maggiore di 20 mm (comunque la parte tubolare è lunga più o meno come il calice). Dimensione del tubo della corolla: lunghezza 7–8 mm; diametro 2–2,5 mm. Dimensione del labbro superiore: larghezza 6 mm; lunghezza 12 mm. Dimensione del labbro inferiore: 5–7 mm (massimo 1,2 cm). Dimensioni del lobo (del labbro inferiore): larghezza 3-4 mm; lunghezza 4–6 mm. I lobi laterali sporgono per 1-2 mm.
Androceo: gli stami sono quattro (didinami - due corti e due lunghi – quello mediano posteriore, il quinto stame, manca per abortimento) e tutti fertili. Il paio posteriore è più breve, mentre l'altra copia è aderente al labbro superiore della corolla e sporge lievemente; tutti i filamenti sono paralleli tra di loro. Le antere hanno i lobi arrotondati a deiscenza longitudinale; sono inoltre conniventi. Le antere sono pelose (possiedono un ciuffo di peli lanosi biancastri); il loro colore è bruno scuro quasi viola.
Gineceo: l'ovario è semi-infero (quasi supero) composto da quattro parti (quindi quattro ovuli) con logge a forma ovata, derivate da due carpelli: infatti ogni carpello è diviso in due parti da una falso setto divisorio. Lo stilo è semplice ed è inserito tra i carpelli alla base dell'ovario (stilo ginobasico). Lo stimma è bifido. Il nettare è nascosto sotto l'ovario. Fioritura: abbastanza continua da aprile a novembre.
Impollinazione: l'Impollinazione è entomofila ossia tramite insetti e in particolare tramite il Bombo, ma anche api. In effetti la corolla di queste piante è sorprendentemente conformata alle dimensioni e struttura dei Bombi. Quando questi insetti cercano di entrare nel tubo corollino per raggiungere i nettari (posti alla base dell'androceo) con le loro vibrazioni scuotono le antere poste all'interno del labbro superiore. In questo modo fanno scendere e quindi aderire al loro dorso peloso il polline della pianta. Visitando poi un altro fiore, parte di questo polline andrà a cadere sullo stimma provocando così l'impollinazione e la successiva fecondazione. Questo senz'altro è uno dei più interessanti mutui rapporti tra mondo animale e mondo vegetale per il raggiungimento di reciproci interessi. È da aggiungere comunque che qualora il tubo corollino si presentasse troppo stretto per prelevare il nettare, il Bombo allora si porta all'esterno del fiore e incomincia a rosicchiare la base della corolla raggiungendo così alla fine, per una via non naturale, il suo obiettivo: il nettare. In questo modo però si rompe il mutuo rapporto a favore solamente dell'insetto; il fiore non verrà impollinato e rimarrà sterile.
Il frutto è una nucula acheniforme (schizocarpo); più precisamente è una drupa (ossia una noce) con quattro semi (uno per ovulo derivato dai due carpelli divisi a metà). Questo frutto nel caso delle Lamiaceae viene chiamato clausa. Le quattro parti in cui si divide il frutto principale, sono ancora dei frutti (parziali) ma monospermici (un solo seme) e privi di endosperma. I frutti si trovano all'interno del calice persistente. Dimensione della nucula: larghezza 1,5–1,7 mm; lunghezza 3-3,5 mm.
Diffusione: questa pianta è diffusa su tutta la penisola italiana (escluse le isole); è comune al nord, meno comune al centro e sud. In Europa è presente più o meno ovunque. Si trova anche in Asia settentrionale e orientale ma temperata. Nell'America del nord (parte orientale) è stata introdotta durante il periodo coloniale e quindi si è naturalizzata. Diffusione altitudinale: sui rilievi queste piante si possono trovare fino a 1200 m s.l.m. (massimo 2000 m s.l.m.); frequentano quindi i seguenti piani vegetazionali : collinare, montano e subalpino.
Habitat: l'habitat tipico sono gli incolti, le zone ruderali e depositi di rifiuti; ma anche i margine dei boschi e le siepi. Il substrato preferito è sia calcareo che siliceo con terreno a pH neutro ma ad alto contenuto nutrizionale (pianta nitrofila) e valori medi di umidità.