Lessico
Menandro
da Veterum illustrium philosophorum etc. imagines
(1685)
di Giovanni Pietro Bellori (Roma 1613-1696)
In greco Ménandros. Commediografo greco (Atene 342 o 341 - 291 o 290 aC). Massimo rappresentante della “commedia nuova” (vedi Commedia di mezzo), appartenne a una famiglia di elevata condizione e fu iniziato all'arte comica dallo zio, il poeta Alessi. Scrisse oltre un centinaio di commedie di cui si conoscono 98 titoli, un migliaio di frammenti e una commedia intera, il Misantropo, scoperta nel 1958 in un papiro egiziano.
Di parecchie altre commedie è possibile in vario modo ricostruire la trama, che non si allontana mai molto da uno schema quasi fisso: le difficoltà di una situazione amorosa o familiare, sempre felicemente risolte dopo un complicato intrecciarsi di vicende. Soprattutto tre di queste commedie, che erano anche tra le più famose di Menandro, ci sono discretamente note: L'arbitrato, capolavoro dell'arte matura del commediografo e di cui si posseggono circa i due terzi; la Tosata, di cui si ha quasi la metà; la Donna di Samo di cui è giunta l'ultima parte. Erano ancora famose L'apparizione, la Donna di Perinto, La collana, I fratelli, anche per le imitazioni che se ne fecero da parte di commediografi più tardi.
L'idea, l'ambiente, il tono di queste commedie è totalmente diverso da quello delle commedie antiche, per esempio di Aristofane, che erano piene di stravaganze, di fantasie e di polemica politica. Prende corpo con Menandro quella che fu detta la “commedia nuova” (neá), destinata a tenere il palcoscenico ormai definitivamente.
Menandro rifiutò la mitologia, a cui pure si ispiravano taluni suoi contemporanei, e, se mai, sentì l'influenza delle elaborazioni psicologiche di Euripide e della sua riduzione delle grosse vicende alla dimensione borghese riprendendo anche temi e intrecci euripidei. Ma soprattutto si pose a osservare la vita, che allora, in incipiente età alessandrina, era soprattutto animata di desiderio di pace, da aspirazioni quietamente borghesi; in ciò si avverte l'influsso che ebbero su di lui anche le filosofie del tempo.
Nello sviluppo degli avvenimenti Menandro delineò i caratteri nel modo più naturale, con un umorismo tenue, un'ironia delicata, una moralità indulgente e molta aderenza alla realtà. Coerente a quest'arte misurata e malinconica è anche lo stile, ricco di qualità drammatiche, adattato ai vari personaggi, ma sempre semplice, spontaneo.
Più ancora che dai contemporanei, queste qualità furono apprezzate dai posteri: esse costituirono un modello per la commedia romana di Plauto e soprattutto di Terenzio e, indirettamente, per la commedia europea moderna, a partire dal Rinascimento.
La casa del Menandro
L'ultimo proprietario di questa grandiosa abitazione fu il liberto Quintus Poppaeus, edile in carica intorno il 40 dC. Membro di una famiglia che vantava vincoli con Poppea Augusta, moglie in seconde nozze di Nerone. La famiglia sarebbe stata proprietaria anche della Casa degli Amorini dorati e di una fabbrica di tegole (figlina). L'abitazione fu denominata "del Menandro" per il ritratto di questo poeta rinvenuto infondo al peristilio.
Menandro
Menandro (in greco Μένανδρος, Ménandros; Atene, 342 aC c. – 291 aC c.) è stato un commediografo greco antico. Menandro scrisse ad Atene settant'anni dopo la morte di Aristofane: la società greca aveva in quel lasso di tempo subito cambiamenti di portata storica enorme. Fu il massimo esponente della Commedia Nuova. Vivendo in un periodo in cui la πόλις (pólis) e la sua centralità egemonica erano divenuti un mero ricordo del passato, per il commediografo Ateniese è difficile riprendere i temi di una commedia farsesca e satirica in termini politici. L'Ellenismo era un periodo in cui il ruolo predominante dell'intellettuale non si concretizzava nella partecipazione attiva alla vita politica in senso stretto, bensì nell'intrattenimento di un pubblico elitario e selezionato.
La produzione menandrea, quindi, mal si adatta all'interesse politico, bensì intende attuare un'indagine sull'uomo, non attraverso il lanternino di Diogene, ma attraverso uno squarcio nel quotidiano da cui possiamo tutti noi trarre i tratti più veri e autentici dell'individuo comune, "uno dei tanti", che costituisce però la quasi totalità del genere umano.
Biografia
Fu il demo ateniese di Cefisia a vedere, nel 342/1 aC la nascita di Menandro. Rimase sempre legato ad Atene, dalla quale non se ne andò mai, nonostante gli fossero offerte occupazioni in molte corti di sovrani. Alcuni giustificano questo legame con la probabile relazione tra Menandro e un'etera, una cortigiana. Di origine nobile, frequentò gli ambienti dei filosofi: fu compagno di Efebia di Epicuro e, probabilmente, allievo di Teofrasto. Fu inoltre amico di Demetrio Falereo, filosofo e allievo di Teofrasto, che, dal 317 al 307, per volere di Cassandro, sarà anche governatore di Atene sotto il protettorato macedone.
Nel 322 scrisse l'Orgé; nel decennio seguente si affermò definitivamente come commediografo. Sebbene autore di poco più di cento commedie (l'esatto numero non ci è pervenuto), ebbe poca fortuna in vita: vinse, infatti, solo otto volte gli agoni comici. Cacciato il Falereo, riuscì a evitare di essere processato grazie all'intercessione di un parente di Demetrio Poliorcete, nuovo signore di Atene. Venne invitato presso la corte di Alessandria da Tolomeo Sotere, ma decise di rimanere nella sua città natale, dove morì nel 292, mentre nuotava nelle acque del Pireo.
Il modello della commedia di Menandro
Una commedia greca ha una valenza ben diversa da quella che noi moderni intendiamo oggi. Il termine "comico", secondo noi, intende un momento in cui il nostro riso - nel senso fisiologico del termine, che viene definito da Kant come una "discordanza discendente" - esplode, liberando la nostra forza nervosa (non più sostenibile dal metabolismo) accumulatasi in un'unica, scrosciante risata. Per noi, il comico è quello che ci fa ridere, che ci stupisce per la sua paradossalità - di gran lunga distinta dal quotidiano - al punto che ci sembra quasi irreale.
Dýskolos - Misantropo
La commedia Misantropo, in greco Δύσκολος / Dýskolos, è stata rappresentata nel 316 aC ed è la sua unica commedia rimasta integra, sebbene presenti alcune lacune. Il vecchio Cnemòne vive in campagna con la figlia e la vecchia ancella Simìche, detestando tutti gli altri uomini. Un giovane cittadino, Sòstrato, è innamorato di sua figlia e minaccia la sua solitudine. Nonostante l'aiuto di Gòrgia, il figlio di primo letto della moglie, che era stata scacciata da Cnemone, Sostrato non riesce ad avvicinare il vecchio bisbetico. A Simiche cadono nel pozzo un'anfora e una zappa e Cnemone, nel tentativo di recuperarle, cade nel pozzo e rischia di annegare. Viene salvato da Gorgia e Sostrato. Cnemone affida a Gorgia la figlia, la quale viene data in sposa a Sostrato ormai divenuto amico di Gorgia. Sostrato, inoltre, chiede al padre di poter dare in sposa la sorella all'amico Gorgia; questi, però, inizialmente titubante a causa della misera condizione economica del pretendente, nega il permesso. Gorgia, avendo sentito la discussione tra padre e figlio, rifiuta umilmente di prendere in moglie la fanciulla. Alle insistenze di Callippide che apprezza il buon animo del ragazzo, Gorgia accetta con gioia la proposta. Si combinano le nozze tra le due coppie.
La comicità di Menandro
Menandro è comico molto sottile: non genera momenti di pura ilarità, ma sorrisi, tramite un senso del comico che coinvolge lo spettatore. Il senso del comico mette in risalto i caratteri veri dell'individuo e non è usato necessariamente per prendere in giro il personaggio in questione. Un esempio ci è dato dallo Scudo, in cui viene fatto risaltare - soprattutto all'inizio - l'avarizia del vecchio Smicrine. Costui, di fronte alla notizia - che poi si rivelerà fasulla - della morte del nipote Cleostrato, accenna molto più interesse al bottino accumulato e portato in patria dal fedele servo Damo piuttosto che alla descrizione del fatto e al πάθος (páthos) dell'evento. Persino noi moderni non possiamo evitare quanto meno di sorridere di fronte a una così sfrenata sfacciataggine che non si limita nemmeno in un momento così triste.
davo: Giaceva con lo scudo, ridotto in pezzi (…) Il nostro buon comandante ci ha vietato di piangere i morti uno per uno, dicendo che si sarebbe perso troppo tempo a raccogliere i cadaveri. Li ha fatti bruciare (…) Ora sai tutto.
smicrine: Seicento stateri d'oro, hai detto?
Si può, dunque, notare che la funzione "derisoria" è praticamente assente: benché il momento comico ci sia, lo spettatore non può non trovare la condotta del vecchio molto immorale, che in questo contesto così diverso dalla vita di tutti i giorni risalta nettamente.
Questa caratteristica fondamentale del teatro Menandreo è ricordata da Aristotele nella sua Poetica. Il filosofo afferma che la commedia - a differenza della tragedia, con cui condivide il senso della μίμησις (mímesis) - culmina non nella catarsi (κάθαρσις, kátharsis), bensì nel ridicolo (γελοῖον, ghelóion). Il ridicolo che non ride delle disgrazie altrui, ma solo di una certa tipologia di persone che - in un modo o nell'altro - se la meritano. Chi viene messo alla berlina non è certo il servo Davo, l'etera Criside (Σαμία) o il ricco Sostrato (Δύσκολος), i quali sono i modelli positivi delle vicende, ma l'avaro, il misantropo e l'iroso, i cui comportamenti deplorevoli vengono in qualche modo "esorcizzati" attraverso la funzione apotropaica ed etica del riso. In qualche modo, tutto si potrebbe semplificare con "non comportarti come lui, o ti ricoprirai di ridicolo".
Struttura confusa degli eventi
All'interno della vicenda vi sono molti intrecci, causati molto spesso da incomprensioni. L'esempio più notevole è dato dalla Samia, in cui il figlio di Moschione viene attribuito - da parte di madre - all'etera Criside, che conduce inevitabilmente alla cacciata della donna dalla casa del proprio innamorato. Tale struttura confusa richiama un altro concetto fondamentale: quello della Τύχη. Nelle vicende delle commedie, non vi è un ordine razionale delle cose, perché tutto è dettato dal caso. Ogni tentativo per risolvere le difficoltà e sciogliere l'intreccio è destinato a fallire o a non avere alcun riscontro, perché il Caso o crea ulteriore confusione - una parola che viene equivocata dal pensiero umano che è facilmente fallace - o scioglie la vicenda in un modo che nessuno si era aspettato: la caduta in un pozzo (Δύσκολος) o il ritorno inaspettato di un individuo creduto morto (Ἀσπίς). Non è una coincidenza, quindi, che sempre nell'Aspís è la Sorte stessa a rivelare il lieto risvolto della vicenda. Il concetto di Τύχη non è quindi negativo, perché ogni commedia ha un lieto fine, né tende a screditare la ragione umana. Menandro vuole solo far intendere che nella realtà non c'è nulla di certo, che anche nelle vicende più comuni può accadere di tutto: perciò, più che indagare il trascendente o esercitare l'ingegno in eventi più grandi di lui, si dovrebbe tendere a esaminare l'uomo e la sua natura (e ciò coincide non solo con il pensiero ellenistico, ma anche con quello sofistico, che proliferava in quegli anni).
Indagine psicologica
Menandro rappresenta nelle commedie un uomo autentico e comune, con i suoi pregi e difetti. Questi ultimi vengono (come abbiamo già avuto modo di dire) amplificati. Il commediografo sperimenta la reazione di questi caratteri e di questi uomini a diverse situazioni, mostrandoci come un individuo di quel genere avrebbe provato e vissuto quell'evento. Tuttavia, l'indagine non è completa, poiché gran parte delle vicende sono avulse da una serenità generale, in cui il sentimento più forte è la tristezza per la morte di un caro, per cui mancano quei grandi sentimenti che sconvolgono l'uomo.
Filantropia
Menandro evidenzia e auspica il sentimento di unione, fratellanza e amicizia tra gli uomini, i quali non devono combattersi tra di loro o odiarsi per il proprio pensiero, la patria di origine o la condizione sociale. Nelle commedie di Menandro, il ricco e il povero (basti vedere Demea e Nicerato nella Samia o Sostrato e Gorgia nel Dyskolos), il servo e il padrone (Davo e Cleostrato nell'Aspis) sono messi sullo stesso piano umano, ognuno di loro ha pari dignità e libertà di pensiero. Vi è anche il rispetto nei confronti delle opinioni altrui, come dice anche Cnemone nella parte risolutiva del Dyskolos: cnemone: (…) Quanto a me, se vivo, lasciatemi vivere come mi piace.
Confronto con Aristofane
La commedia menandrea, che influenzerà molto la comicità latina e posteriore, rompe inevitabilmente con la struttura delle commedie aristofanee, soprattutto per motivi sociali. Per comprendere appieno le differenze si deve però distinguere gli ambiti concettuali che le caratterizzano.
Se in Aristofane il teatro esaltava e promuoveva i valori civili della polis e attaccava e metteva alla berlina gli avversari politici, in Menandro serve per un'indagine sociale o per il diletto gli spettatori ed è priva, inevitabilmente, di quella invettiva politica.
Nel teatro di Aristofane l'eroe comico si presenta nella scena come unico e indiscusso protagonista della vicenda, prevaricatore e portavoce della sua idea che è superiore rispetto alle altre, tutto è subordinato al suo pensiero. Gli altri personaggi sono utili solo per farne risaltare ulteriormente la passionalità e il carattere. Per esempio nella Pace il contadino Trigeo libera di sua mano - o meglio, con l'appoggio del coro, mancante nella commedia di Menandro - la Pace, reclusa da Πόλεμος (Pòlemos, prosopopea della Guerra), riportando la concordia tra Atene e Sparta (ricordiamo che questa commedia viene prodotta e pubblicata nel periodo della guerra del Peloponneso). E quando, tornato in patria vincitore, trova ancora chi giovava della guerra - il venditore di armi, ad esempio - Trigeo lo scredita e lo convince a trovare altra occupazione.
Insomma, è il protagonista stesso che risolve la situazione, la quale non è affatto intrecciata e dettata dal caso come sarà in Menandro. In contrapposizione alla Τύχη (Týche, cioè la Fortuna, nel senso del Caso), vi è invece un ordine razionale degli avvenimenti e delle cose, che coincidono strumentalmente con l'idea intesa dall'autore e protratta con passionalità dall'eroe comico.
Sostanzialmente la commedia di Aristofane aveva lo stesso pubblico della tragedia, e di questa ne parodizzava aspetti e stili. La tragedia infatti era un teatro destinato alla popolazione intera (o quasi), e quindi la sua parodia sfruttava in pieno gli stessi strumenti, primo fra tutti il coro. Durante il periodo ellenistico però la tragedia va scemando, e il commediografo non può più appoggiarsi alla sua parodia, ma deve costruire uno stile adatto al nuovo pubblico. Il complesso degli spettatori di Menandro non è quindi riconoscibile nel popolo (inteso in tutte le sue parti), bensì in una ristretta cerchia elitaria di aristocratici e (soprattutto) altoborghesi. Questo pubblico "alto" vuole commedie dai toni temperati e soprattutto vuole temi familiari, e così Menandro narra di eventi che spesso si esplicano nelle mura familiari, in contesti domestici (per dirla alla greca quel micro-cosmo che è l'οἶκος òikos, la casa), e in cui alla fine tutto torna alla normalità (spesso tramite l'agnizione, quel procedimento per cui ad esempio la cortigiana di cui si è innamorato il protagonista la si scopre essere di nobile stirpe, permettendo quindi l'amore, e il matrimonio, nel pieno della legalità etico-morale).
Il senso del comico
Come si è visto, la concezione stessa della comicità, e le basi socio-politiche su cui si costruisce, differisce enormemente fra Menandro e Aristofane. Nella critica quest'ultimo non concede pietà: chi è in antitesi con il suo eroe (come personaggio, come figura o come idee) viene screditato e (spesso) umiliato di fronte agli occhi della città intera. Ne Le nuvole la scuola socratica è rappresentata come un pensatoio di personaggi stravaganti, truffatori e buffoni che utilizzano l'arte della parola per raggiungere i propri scopi. Non vi è quella distaccata, pacata ed elegante ironia presente in Menandro, quel riso apotropaico che scaccia le preoccupazioni con la calma di chi sa che andrà tutto a finire bene, piuttosto un'enfatizzazione di quello che dal comico viene considerato "dannoso" (la guerra ne La Pace, il pensiero di Socrate che Aristofane riteneva destabilizzante per l'educazione dei giovani ne Le nuvole) che serve a rimediare alla situazione o a spingere la comunità intera a prendere dei provvedimenti, come fa appunto Strepsiade, protagonista de Le nuvole, con un grande rogo.
In Menandro non ci sono eroi, non ci sono quelli che con la loro passionalità risolvono i problemi. Anzi, le passioni vengono viste come un pericolo per la tranquillità dell'animo, come un furor (in latino, furore appunto, nel senso peggiore che gli si possa dare) che sconvolge la serenità di un organismo fragile come quello della famiglia (basti vedere cosa comporti l'ira di Demea nella Samia); questo coincide anche con altri pensieri dell'epoca, quali l'epicureismo, il cui fondatore, commilitone di Menandro, operava ad Atene contemporaneamente a lui. All'eroe comico aristofanesco viene quindi contrapposto "uno dei tanti" (in greco τῶν πολλῶν τις ὦν, ton pollòn tis on), che vuole trascorrere la propria vita in serenità con i propri cari esercitando la φιλία (philìa, il valore dell'amicizia e dell'amore umano, simile al rapporto di filantropia cristiano) nei confronti del prossimo che lo circonda.
Confronto con i comici latini
Plauto e Terenzio presentano diverse analogie con il modello greco a cui si sono abbondantemente ispirati, basti vedere che tutte le loro produzioni sono molto simili a quelle di Menandro in fatto di trama e di intreccio. Sono sempre presenti i tipici topoi quali l'innamoramento contrastato, lo scambio di persona, il riconoscimento, il ritorno di una persona dopo tanto tempo che scioglie tutta la matassa, il lieto fine che culmina con il matrimonio. Alcune commedie, poi, riprendono addirittura gli stessi personaggi: un esempio è dato dall'avaro nell'Aulularia che viene ripreso dall'Aspis. Il concetto di Τύχη è predominante in tutti e tre gli autori e l'interesse per una realtà comune quali la famiglia è un altro aspetto utilizzato comunemente. Ma in una società come quella romana, non tutti i concetti possono essere ripresi appieno; per lo più potrebbero essere simili o molto vicini, ma non equivalenti.
Plauto non riprende l'indagine psicologica o i riferimenti alle dottrine Epicuree, né tanto meno ripone quella speranza nel genere umano che aveva proposto Menandro o esamina l'uomo quale è. Plasma le commedie, semmai, per proporle agli uomini vissuti in un periodo storico differente e per renderle più congeniali al suo pensiero.
Terenzio invece è più vicino a Menandro perché riprende il concetto di filantropia, dal latino chiamato humanitas (Homo sum humani nihil a me alienum puto). Ma se Terenzio promuove questo concetto a una ristretta élite - mentre il resto delle persone compie volenterosamente il male e tenta di distruggere i valori avvalorati dal commediografo - Menandro lo ripropone all'umanità intera, in cui ha fiducia e spera, sogna che essa potrà un giorno trovare quella concordia che, con l'impero di Alessandro Magno, ha raggiunto almeno in parte.
Una citazione dalla Thais di Menandro si trova nella Prima lettera ai Corinzi 15,33: «Le cattive compagnie corrompono i buoni costumi». A sua volta questo detto deriva probabilmente da Euripide. Collezioni di citazioni da Menandro erano raccolte in un libro di morale da destinarsi alle scuole. Quest'ultima, probabilmente, era la fonte della citazione di Paolo.
Opere
Aspis ("Lo
Scudo"; pervenuta per circa una metà)
Georgos ("L'Agricoltore")
Dis Exapaton ("Il Duplice Ingannatore")
Dyskolos (l'unica opera pervenuta nella sua interezza)
Encheiridion ("Il Manuale")
Epitrepontes ("L'Arbitrato"; pervenuta nella più gran parte)
Heros ("L'Eroe")
Hypobolimaios
Karchedonios ("Il Cartaginese")
Kitharistes ("Il Citaredo")
Kolax
Koneiazomenai
Leukadia
Methe
Misoumenos
Naukleros ("Il Capitano della Nave")
Orge
Perikeiromene
Perinthia
Plokion ("La Collana")
Pseudherakles ("Il falso Ercole")
Samia (La donna di Samo)
Sentenze. Non una commedia ma una raccolta di aforismi di saggezza popolare
sulle donne, l'amicizia, l'educazione, la fortuna.
Sikyonioi
o Sikyonios
Synaristosai
Phasma ("Il Fantasma")
Theophoroumene
Trophonios
Museo Chiaramonti - Città del Vaticano
Menander (Greek: Μένανδρος, Ménandros; ca. 342–291 BC), Greek dramatist, the best-known representative of Athenian New Comedy, was the son of well-to-do parents; his father Diopeithes is identified by some with the Athenian general and governor of the Thracian Chersonese known from the speech of Demosthenes De Chersoneso. He presumably derived his taste for comic drama from his uncle Alexis.
Menander was the friend, associate, and perhaps pupil of Theophrastus, and was on intimate terms with the Athenian dictator Demetrius of Phalerum. He also enjoyed the patronage of Ptolemy Soter, the son of Lagus, who invited him to his court. But Menander, preferring the independence of his villa in the Peiraeus and the company of his mistress Glycera, refused. According to the note of a scholiast on the Ibis of Ovid, he drowned while bathing, and his countrymen honored him with a tomb on the road leading to Athens, where it was seen by Pausanias. Numerous supposed busts of him survive, including a well-known statue in the Vatican, formerly thought to represent Gaius Marius.
Menander was the author of more than a hundred comedies, and took the prize at the Lenaia festival eight times. His record at the City Dionysia is unknown but may well have been similarly spectacular. His rival in dramatic art (and supposedly in the affections of Glycera) was Philemon, who appears to have been more popular. Menander, however, believed himself to be the better dramatist, and, according to Aulus Gellius, used to ask Philemon: "Don't you feel ashamed whenever you gain a victory over me?" According to Caecilius of Calacte (Porphyry in Eusebius, Praeparatio evangelica) Menander was guilty of plagiarism, his The Superstitious Man being taken from The Augur of Antiphanes. But reworkings and variations on a theme of this sort were commonplace, and the charge is a foolish one. Menander subsequently became one of the favorite writers of antiquity. How long complete copies of his plays survived is unclear, although twenty-three of them, with commentary by Michael Psellus, were said to still have been available in Constantinople in the 11th century. He is praised by Plutarch (Comparison of Menander and Aristophanes) and Quintilian (Institutio Oratoria), who accepted the tradition that he was the author of the speeches published under the name of the Attic orator Charisius.
An admirer and imitator of Euripides, Menander resembles him in his keen observation of practical life, his analysis of the emotions, and his fondness for moral maxims, many of which became proverbial: "The property of friends is common," "Whom the gods love die young," "Evil communications corrupt good manners" (from the Thaïs, quoted in 1 Corinthians 15:33). These maxims (chiefly monostichs) were afterwards collected, and, with additions from other sources, were edited as Menander's One-Verse Maxims, a kind of moral textbook for the use of schools.
The single surviving speech from his early play Drunkenness is an attack on the politician Callimedon, in the manner of Aristophanes, whose bawdy style was adopted in many of his plays.
Menander found many Roman imitators. The Eunuchus, Andria (comedy), Heauton Timorumenos and Adelphi of Terence (called by Caesar "dimidiatus Menander") were avowedly taken from Menander, but some of them appear to be adaptations and combinations of more than one play. Thus in the Andria were combined Menander's The Woman from Andros and The Woman from Perinthos, in the Eunuchus, The Eunuch and The Flatterer, while the Adelphi was compiled partly from Menander and partly from Diphilus. The original of Terence's Hecyra (as of the Phormio) is generally supposed to be, not by Menander, but Apollodorus of Carystus. The Bacchides and Stichus of Plautus were probably based upon Menander's The Double Deceiver and Philadelphoi, The Brotherly-Loving Men, but the Poenulus, does not seem to be from The Carthaginian, nor the Mostellaria from The Apparition, in spite of the similarity of titles. Caecilius Statius, Luscius Lavinius, Turpilius and Atilius also imitated Menander. He was further credited with the authorship of some epigrams of doubtful authenticity; the letters addressed to Ptolemy Soter and the discourses in prose on various subjects mentioned by the Suda are probably spurious.
Until the end of the 19th century, all that was known of Menander were fragments quoted by other authors and collected by Augustus Meineke (1855) and Theodor Kock, Comicorum Atticorum Fragmenta (1888). These consist of some 1650 verses or parts of verses, in addition to a considerable number of words quoted from Menander by ancient lexicographers.
This situation changed abruptly in 1907, with the discovery of the Cairo Codex, which contained large parts of the Samia; the Perikeiromene; the Epitrepontes; a section of the Heros; and another fragment from an unidentified play. A fragment of 115 lines of the Sikyonioi had been found in the papier mache of a mummy case in 1906.
In 1959, the Bodmer papyrus was published contained Dyskolos, more of the Samia, and half the Aspis. In the late 1960s, more of the Sikyonioi was found as filling for two more mummy cases; this proved to be drawn from the same manuscript as the discovery in 1906, which had clearly been thoroughly recycled. Other papyrus fragments continue to be discovered and published. In 2003, a 9th century palimpsest manuscript has been found containing parts of the Dyskolos and 200 lines of another, so far unidentified piece of Menander.
The apostle Paul in 1 Corinthians 15:33 quotes Menander in the text "Bad company corrupts good character" (NIV) who probably derived this from Euripides (Socrates, Ecclesiastical History, 3.16).
Works
Aspis ("The Shield";
about half)
Georgos ("The Farmer")
Dis Exapaton ("Double Deceiver")
Dyskolos ("Old Cantankerous" or "The Grouch") the only
play that survives in its entirety
Encheiridion ("Handbook")
Epitrepontes ("Men at Arbitration"; most)
Heros ("The Hero")
Hypobolimaios ("The Changeling")
Karchedonios ("Carthaginian")
Kitharistes ("The Harper")
Kolax ("The Toady" or "Flatterer")
Koneiazomenai ("Drugged Women")
Leukadia
Methe ("Drunkenness")
Misoumenos ("The Man She Hated")
Naukleros ("The Ship's Captain")
Orge ("Anger")
Perikeiromene ("Girl who has her hair cropped"; George Bernard Shaw
suggested Rape of the Locks, after Alexander Pope)
Perinthia ("Girl from Perinthos")
Plokion ("The Necklace")
Pseudherakles ("The Fake Hercules")
Samia ("Girl from Samos"; four out of five sections)
Sikyonioi or Sikyonios ("Sicyonian(s)"; about half, )
Synaristosai("Those who eat together at noon"; "The Ladies Who
Lunch")
Phasma ("The Phantom")
Theophoroumene ("The Possessed Girl")
Trophonios ("Trophonius")
The standard edition of the least-well-preserved plays of Menander is Kassel-Austin, Poetarum Comicorum Graecorum vol. VI.2. For the better-preserved plays, the standard edition is now Arnott's 3-volume Loeb; a complete text of these plays is now being prepared by Colin Austin of Trinity Hall, Cambridge, for the Oxford Classical Texts series.