Lessico


Finocchio

acquarello di Ulisse Aldrovandi

Dal latino *faenuculum, diminutivo di faenum, fieno. Il nome finocchio viene dato in particolare ad alcune varietà del Foeniculum [sic!] vulgare, specie collettiva originaria delle regioni mediterranee e della quale fanno parte razze selvatiche, bienni o perenni, e razze coltivate, annue.

Sono piante erbacee alte 1,50-2 m, robuste, con foglie pennate divise in segmenti capillari e munite di ampia guaina basale. I fiori, gialli, sono riuniti in ombrelle; i frutti sono diacheni giallastri, detti comunemente semi.

Le cultivar più importanti sono: sativum, coltivato per i semi fortemente aromatici dai quali si estrae un olio; piperitum, utile per le infiorescenze che, con le parti tenere del fusto, si conservano sott'aceto; dulce, di cui si consumano le grosse guaine fogliari che costituiscono il grumolo: quest'ultima è la varietà ortense di gran lunga più diffusa e quella che si suole indicare comunemente quando si parla di finocchio.

La sua coltivazione richiede clima preferibilmente mite (indispensabile nel caso delle colture a produzione invernale), terreno soffice e sciolto e disponibilità di acqua. L'epoca della semina varia secondo la regione. Il finocchio è tra le verdure più digeribili, ha un sapore leggermente dolce e aromatico e si consuma sia crudo (in pinzimonio) sia cotto (al gratin, alla parmigiana, ecc.).

Finocchio
Omosessuale maschile
Cinedo
Dizionario interattivo etimologico
di Manlio Cortelazzo e Paolo Zolli - 1999

Voce fiorentina entrata in italiano solo recentemente con la letteratura neorealistica; Fanf. Tosc. scrive “lo dicono a Firenze per significare Persona che è dedita alla sodomia” e il Panz. Diz. (1905) lo registra col seguente commento: “«volg. spreg. pederasta», così il Petrocchi. Ecco uno dei non pochi casi in cui le voci speciali del gergo fiorentino sono notate dal lessicografo toscano come voce italiana. Giustamente G. Rigutini, benché toscano, non registra tale senso nel suo diz. della Lingua Parlata, né la Crusca nè il Novo Dizionario, diretto dal Broglio, hanno tale senso, nè il Tommaseo nè altri. Io credo che si possa assai bene riconoscere al linguaggio fiorentino l'ufficio di regolatore della lingua italiana, senza il bisogno di rivendere come merce buona tutti i rifiuti del mercato di Firenze. O se pur così piace, fate avvertito chi legge del valore e dell'estensione d'uso della parola”. La voce va senz'altro riconnessa a finocchio 1, ma il passaggio semantico non è chiaro. Panz. Diz. [1923] spiega la metafora col fatto che “il finocchio è tutto buco”. A. Menarini (LN XXIV, 1963, 57-58) formula l'ipotesi secondo la quale “la denominazione figurata del finocchio potrebbe derivare dall'omonima maschera popolare alla quale, anche se oggi è ormai pressoché ignorata, toccò una parte secondaria ma tutt'altro che irrilevante in quei repertori teatrali che per il passato conobbero momenti di grande fortuna” e, dopo aver delineato la storia e le caratteristiche di questa maschera (tra le quali però non c'è l'omosessualità), osserva: “Dato dunque il carattere di questa maschera, non sembra azzardato supporre che la figura di Finocchio, per la sua attività di imbroglione e di mezzano prezzolato, e soprattutto per i suoi modi leziosi ed effeminati, si sia prestata a una similitudine che corrisponde pienamente ai gusti e alla mentalità delle platee popolari”, ma conclude: “Saranno comunque utili ulteriori ricerche sul piano cronologico, più ancora che su quello semantico, poco sapendosi circa la precisa data di apparizione della maschera e ancor meno su quella d'inizio dell'uso traslato; e converrà forse riesaminare anche l'intera serie di voci e di modi fino ad oggi fatta risalire in blocco al finocchio vegetale (finocchiare ‘ornare i propri discorsi’, finocchiata ‘cicalata’, vender finocchio ‘dare a intendere’, infinocchiare ‘dar a intendere fandonie’, e simili), la quale potrebbe, almeno in parte, avere più di un debito verso la nostra maschera”. Da parte nostra non vogliamo escludere l'ipotesi che la metafora possa nascere dal modo di dire, di per sé innocente ma suscettibile di interpretazioni maliziose, il finocchio fra le mele; il Pescetti, che lo registra nei suoi Proverbi italiani, Venezia, 1629, lo spiega così: “si usa quando si vuol mostrare che due cose stanno bene insieme, perché il finocchio si suol metter insieme con le mele in tavola dopo pasto” (c. 229 r.) e nel capitolo “Dispregio e suo contrario” annota ancora: “Io t'ho tra 'l finocchio e le mele. Il medesimo [cioè uguale al modo di dire: Io t'Io t'ho dove si soffian le noci]. Perché il finocchio e le mele si danno infine e de' dietro” (c. 84 r.). Vogliamo anche però ricordare che in alcuni autori (ad es. nel Varchi, Cap. del Finocchio), finocchio indica l'organo maschile della riproduzione. Segnaliamo infine, per completezza, la debole ipotesi di F. Mosino (“Il Taurikano” XI, 1996, 18): “Tra Otto e Novecento la moda maschile degli effeminati, dei gagà, suggeriva l'uso del bastone e del bastoncino, come indispensabile complemento dell'eleganza raffinata” e il leggero bastoncino di bambù era chiamato finocchio o finocchietto.