Lessico
Esperia
Hesperiden
- 1884 - München - Neue Pinakothek
Hans von Marées (Wuppertal-Elberfeld 1837 – Roma 1887)
Esperia: in greco Hespería, in latino Hesperia. Nome con cui i Greci indicavano le terre a occidente e in particolare l'Italia e la Spagna chiamata anche Esperia ultima.
Nella mitologia greca le Esperidi erano ninfe, figlie di Atlante o di suo fratello Espero, figli di Giapeto e di Asia, nota anche come Climene. Erano le quattro figlie della Terra della sera - Egle, Aretusa, Eretia, Esperia - che aiutate dal drago Ladone custodivano in un giardino dell'estremo occidente i pomi d'oro donati da Gea a Era quando questa aveva sposato Zeus. Esse subirono un furto da parte di Atlante (il gigante, figlio di Giapeto e di Asia), che rubò nel giardino alcuni dei preziosi frutti per darli a Ercole, ma Atena li riportò alle Esperidi dopo averli avuti in omaggio dall'eroe.
Alla nostra penisola la denominazione di Italia, di origine greca, le venne dal vocabolo grecizzato di Vitelia (terra dei vitelli), che in origine comprendeva un tratto della Calabria, dove aveva sede l'antico popolo degli Itali, e poi, nel sec. V aC, incluse anche il territorio dei Bruzzi, e, successivamente, nel sec. IV, quello dei Lucani e la Campania, per estendersi, dopo la spedizione di Pirro, a tutta l'Italia a sud della Liguria e della Gallia Cisalpina, un'Italia intesa però ancora come espressione geografica, più che come unità politica.
È da precisare tuttavia che, in concomitanza con tale denominazione, altri nomi erano anticamente usati per indicare l'Italia, come Esperia (terra d'Occidente), Saturnia (terra di Saturno, originariamente il Lazio), Oenotria (l'Italia sud-occidentale, terra del vino), Ausonia (terra degli Ausoni, gli abitanti dell'Italia meridionale, dal Lazio alla Calabria, appartenenti allo stesso gruppo linguistico degli Italici.), ma su tutti si affermerà alla fine la denominazione destinata a durare nei secoli.
Esperidi
Le Esperidi sono figure della mitologia greca, figlie della Notte. Secondo le leggende, custodivano il giardino dei pomi d'oro di Era. Figlie di Espero (figlio di Giapeto e fratello di Atlante), versioni posteriori le fanno figlie di Atlante.
Le Esperidi erano ninfe la cui genealogia rimane spesso confusa: vengono talvolta nominate come figlie della Notte, di Teti e Oceano, di Zeus e Temi, di Forco e Ceto e anche, secondo la teoria più accreditata, di Atlante ed Esperide. Incerto è pure il loro numero, tanto che alcuni mitografi nominano cinque Esperidi, altri ne nominano sette. Chi sottolinea invece che erano tre, le collega alla triplice dea della Luna nel suo aspetto di sovrana della morte. I numeri riferiti vanno comunque da una a undici, e alcuni dei loro nomi sono: Egle, Aretusa, Esperia o Esperetusa, Eriteide ecc.
Ad ogni modo, resta certo che vivevano nell'estremo Occidente del mondo, oltre i confini della terra abitata, e lì possedevano un meraviglioso giardino ove avevano il compito di custodire il prezioso albero che dava mele d'oro, dono di Gea per le nozze di Zeus con Era. Per maggior sicurezza, affinché le stesse Esperidi non cogliessero le prodigiose mele, Era aveva ordinato al serpente Ladone dalle cento teste di presiedere alla guardia, stando costantemente arrotolato attorno al tronco dell'albero. Atlante sosteneva la volta del cielo poco distante dalla terra delle figlie, ed Elios, divinità del sole, terminato il suo corso quotidiano, scendeva nel giardino (il sole tramonta infatti ad Occidente) e vi lasciava i cavalli del suo carro a pascolare, e con loro riposava lì durante la notte.
Le Esperidi vengono così collegate al tramonto, quando i colori che assume il cielo ricordano, appunto, quelli di un melo carico di frutti dorati. In tutti i racconti sono comunque custodi di oggetti magici: è quindi possibile che le Esperidi possano essere associate a dei riti segreti, che si tenevano al sopraggiungere della sera con dolci melodie, perché anche il canto, insieme con la danza, è una delle prerogative loro assegnate.
Una poco celebre vicenda narra che, strappate alla loro terra insieme con le loro greggi da alcuni pirati agli ordini di Busiride re d'Egitto, le Esperidi furono poi liberate da Eracle, che le restituì al padre Atlante, ottenendo quale ricompensa l'insegnamento dell'astronomia. Eracle compare pure in un altro racconto legato alle Esperidi. Per conquistare le preziose mele come da volontà del re Euristeo, Eracle dovette ricorrere all'aiuto di Atlante e sostituirlo temporaneamente nel custodire i pilastri del cielo e portare il mondo sulle spalle. Ma il maggiore ostacolo era costituito da Ladone, che custodiva i pomi d'oro per volontà di Era. Non c'è accordo tra i mitografi sul fatto che Eracle abbia dovuto abbattere questa creatura che non chiudeva mai gli occhi, perché alcuni parlano di una consegna 'pacifica' dei frutti da parte di Atlante o delle stesse Esperidi.
Si racconta, d'altra parte, che Eracle uccise il serpente scoccando una freccia al di sopra delle mura del giardino costruite da Atlante. Era poté solo attenuare il suo dolore per la morte di Ladone ponendone l'immagine tra gli astri, come costellazione del Serpente; le mele colte da Eracle le vennero poi restituite da Euristeo. Secondo altre fonti, i pomi tornarono invece a Eracle; questi, a sua volta, li diede ad Afrodite, come vedremo in seguito, oppure ad Atena: la dea decise infine di renderle a Era, poiché non era corretto che venissero donate a chiunque. Vi è però una triste conclusione: il giorno successivo al compimento dell'impresa di Eracle, nello stesso giardino arrivarono a porre piede gli Argonauti, che assistettero alla trasformazione in alberi (un pioppo nero, un salice e un olmo) delle Esperidi, morte disperate per la perdita del loro tesoro e del loro amato custode-protettore.
I pomi aurei delle Esperidi compaiono pure nel mito di Atalanta, fanciulla velocissima nella corsa che sfidava i suoi pretendenti mettendo sé stessa come premio. Uno di questi corteggiatori era Melanione (o Ippomene) che, chiedendo aiuto ad Afrodite, ricevette dalla dea tre mele d'oro del Giardino delle Esperidi, che a sua volta Eracle le aveva regalato. Mentre si svolgeva la gara, Ippomene lanciò i pomi uno dopo l'altro a terra, così che Atalanta, irresistibilmente attratta, si fermò a raccoglierli perdendo la contesa.
L'iconografia riguardante le Esperidi è sviluppata maggiormente sul tema di Eracle e le mele d'oro, mentre i soggetti pressoché infrequenti sono quelli del rapimento delle sorelle e la loro metamorfosi in alberi. Le figurazioni più antiche delle Esperidi giunte fino a noi sono quelle sui vasi attici a figure rosse del V secolo aC, dove peraltro non appaiono molto frequentemente. Meno rare sono invece le rappresentazioni nella ceramica dell'Italia meridionale.
La produzione artistica caratterizzata dal soggetto delle Esperidi è molto scarsa, ma mai del tutto assente, durante il Rinascimento e per l'intero periodo che decorre dal XVII al XVIII secolo. Soggetto analogo a quello delle Esperidi danzanti e tenentesi per mano è quello delle tre Grazie, la cui fortuna artistica fu tuttavia maggiore.
Le mele d'oro e il serpente Ladone sono gli attributi distintivi delle Esperidi, figurate come graziose fanciulle che il più delle volte compaiono in numero di tre e sono caratterizzate da un'espressione nostalgica. Rappresentate generalmente vestite a differenza delle Grazie, vengono collegate al tramonto e contengono perciò un alone di magico mistero.
The
Garden of the Hesperides - 1892
by Lord Frederick Leighton (Scarborough 1830 - London 1896)
In
Greek mythology, the Hesperides are nymphs who tend a blissful garden in a far
western corner of the world, located near the Atlas mountains in Libya, or on
a distant blessed island at the edge of the encircling Oceanus, the
world-ocean.
According to the Sicilian Greek poet Stesichorus, in his poem the "Song
of Geryon", and the Greek geographer Strabo, in his book Geographika
(volume III), the Hesperides are in Tartessos, a location placed in the south
of Iberia (Spain). The Euboean Greek poet Hesiod said that the ancient name of
Cádiz was Erytheia, another name for the Hesperides. Others situate the
gardens of Hesperides in the region located between Tangier (formerly Tinjis)
and Larache in Morocco.
The Nymphs of the Evening
Ordinarily the Hesperides number three, like the other Greek triads (the Three Graces and the Moirae). "Since the Hesperides themselves are mere symbols of the gifts the apples embody, they cannot be actors in a human drama. Their abstract, interchangeable names are a symptom of their impersonality," Evelyn Harrison has observed; nevertheless, among the names given to them, though never all at once, are Aegle ("dazzling light"), Arethusa, Erytheia (or Erytheis), Hesperia (alternatively Hespereia, Hespere, Hespera, Hesperusa, or Hesperethoosa). Lipara, Asterope and Chrysothemis are named in a Hesperide scene of the apotheosis of Heracles (romanised to Hercules) on a late fifth-century hydria by the Meidias Painter in London. They are sometimes called the Western Maidens, the Daughters of Evening, or Erythrai, the "Sunset Goddesses", designations all apparently tied to their imagined location in the distant west. Hesperis is appropriately the personification of the evening (as Eos is of the dawn) and the Evening Star is Hesperus. In addition to their tending of the garden, they were said to have taken great pleasure in singing.
They are sometimes portrayed as the evening daughters of Night (Nyx) and Darkness (Erebus), in accord with the way Eos in the farthermost east, in Colchis, is the daughter of the titan Hyperion. Or they are listed as the daughters of Atlas, or of Zeus and either Hesperius or Themis, or Phorcys and Ceto.
Erytheia ("the red one") is one of the Hesperides. The name was applied to the island close to the coast of southern Hispania, that was the site of the original Punic colony of Gades (modern Cadiz). Pliny's Natural History (4.36) records of the island of Gades: "On the side which looks towards Spain, at about 100 paces distance, is another long island, three miles wide, on which the original city of Gades stood. By Ephorus and Philistides it is called Erythia, by Timæus and Silenus Aphrodisias, and by the natives the Isle of Juno." The island was the seat of Geryon, who was overcome by Heracles.
The Garden of the Hesperides
The Garden of the Hesperides is Hera's orchard in the west, where either a single tree or a grove of immortality-giving golden apples grew. The apples were planted from the fruited branches that Gaia gave to her as a wedding gift when Hera accepted Zeus. The Hesperides were given the task of tending to the grove, but occasionally plucked from it themselves. Not trusting them, Hera also placed in the garden a never-sleeping, hundred-headed, dragon, named Ladon, as an additional safeguard.
The Eleventh Labour of Hercules
In order to make Ten out of the Twelve Labours of Heracles (also known as the Twelve Labours of Hercules), it was suggested that Eurystheus discounted those where Heracles was aided or paid, and so two additional labours were given. The first of these was to steal the apples from the garden of the Hesperides. Heracles first caught Nereus, the shape-shifting sea god, to learn where the Garden of the Hesperides was located.
In some variations, Heracles, either at the start or at the end of his task, meets Antaeus, who was invincible as long as he touched his mother, Gaia, the earth. Antaeus was killed by suspending him in a tree. Herodotus claims that Heracles stopped in Egypt, where King Busiris decided to make him the yearly sacrifice, but Hercules burst out of his chains.
Hercules
stealing the golden apples from the Garden of the Hesperides.
Detail of a Twelve Labours Roman mosaic from Llíria, Spain (3rd cent. AD).
Finally making his way to the Garden of the Hesperides, Heracles tricked Atlas into retrieving some of the golden apples for him, by offering to hold up the heavens for a little while (Atlas was able to take them as, in this version, he was the father or otherwise related to the Hesperides). Upon his return, Atlas decided that he did not want to take the heavens back, and instead offered to deliver the apples himself, but Heracles tricked him again by agreeing to take his place on condition that Atlas relieve him temporarily so that Heracles could make his cloak more comfortable. Atlas agreed, but Heracles reneged and walked away. According to an alternative version, Heracles slew Ladon instead.
According to some, Heracles was the only person to steal the apples, other than Perseus, although Athena later returned the apples to their rightful place in the garden. They are considered by some to be the same "apples of joy" that tempted Atalanta, as opposed to the "apple of discord" used by Eris to start a beauty contest on Olympus.
On Attic pottery, especially from the late fifth century, Heracles is depicted sitting in bliss in the Gardens of the Hesperides, attended by the maidens. Later, William Shakespeare wrote "For valour, is not Love a Hercules. Still climbing trees in the Hesperides?" (Love's Labours Lost, IV.III).