Spesso in biologia si è
costretti a procedere per analogia, per cui vale la pena di affrontare il
problema delle ipomelanosi umane su base congenita trasmissibili
ereditariamente, sperando così di gettare un po’ di luce su analoghi
problemi ricorrenti nel pollo e la cui classificazione non è ancora stata
affrontata. Questo approccio attraverso l’uomo potrà anche indurci a
meditare se alcune anomalie a carico del piumaggio debbano essere giudicate
come difetti, anche se vengono pretese quale carattere distintivo di razza o
di varietà. Inoltre, anziché classificarle come mosaicismi somatici,
potrebbero trovare una spiegazione puramente mutazionale a carico del
patrimonio genetico.
Esse si manifestano come
leucodermie generalizzate interessanti il sistema melanocitario dell’epidermide,
dei follicoli piliferi e dell’occhio. Si realizzano in diverse sindromi,
delle quali gli albinismi sono le più conosciute.
Si tratta di leucodermie
generalizzate, con numero normale di melanociti, a trasmissione autosomica
recessiva. Esistono due forme di AOC recessivo, corrispondenti a due diversi
meccanismi patogenetici.
§
AOC tirosinasi positivo:
i follicoli piliferi, posti in presenza di tirosina, riescono a produrre
melanina
§
AOC tirosinasi negativo:
non esiste questa possibilità biosintetica ed è la forma più grave
§
sindrome di Chediak-Higashi:
l’anomalia pigmentaria, diversa da quella presente negli AOC, si associa a
una tendenza all’infezione da piogeni per alterazioni funzionali dei
leucociti polimorfonucleati
§
yellow mutant: forma molto rara, che
alla nascita rassomiglia all’AOC tirosinasi negativo, e verso l’età di 6
mesi/1 anno i capelli diventano rossi.
In queste forme la leucodermia
è molto contenuta e non è apprezzabile se la cute non viene confrontata con
gli altri membri della famiglia. Spesso si presentano in altre sindromi
metaboliche, nelle quali la manifestazione cutanea è un fatto contingente in
presenza di manifestazioni più gravi, per lo più neurologiche.
Possiamo citare la sindrome di Menkes dovuta a un’anomalia
ereditaria dell’assorbimento del rame che così non è disponibile per l’attività
tirosinasica, la fenilchetonuria forse da inibizione competitiva della
tirosinasi da parte della fenilalanina o di suoi metaboliti, l’omocistinuria
in cui si ha un’alterazione del metabolismo della metionina.
La vitiligo
[1]
è una condizione patologica della pelle umana caratterizzata da chiazze
chiare apigmentate. Dal punto di vista istologico, l’epidermide si presenta priva di melanociti
per cui si tratta di un’ipomelanosi ipomelanocitaria, in cui i melanociti
vengono progressivamente rimpiazzarti da cellule indeterminate prive di
qualsiasi formazione granulare, accompagnate da un infiltrato infiammatorio e
da invasione dell’epidermide da parte di polimorfonucleati e da linfociti in
quantità superiore alla norma. La cute dimostra costantemente di essere dopa
negativa.
Si tratta quindi di una melanocitopenia per la quale si
accetta una genesi autoimmune,
in quanto i pazienti presentano un aumento di un certo numero di anticorpi
organo specifici, e sono anche stati dimostrati anticorpi antimelanocitari con
una certa correlazione tra il loro tasso e l’entità delle manifestazioni
cliniche. Recenti studi pongono in evidenza non solo nella vitiligine umana,
ma anche nell’amelanosi spontanea
postnatale
dei polli, l’intervento di fenomeni
autoimmuni che hanno di mira i melanociti.
Forse la vitiligine viene causata anche da alcune sostanze
chimiche durante la melanogenesi, come proposto da Lerner (1971)
con
l’ipotesi dell’autodistruzione
secondo cui alcuni metaboliti coinvolti nella reazione che porta alla sintesi
melanica sarebbero tossici nei confronti dei melanociti, i quali sarebbero
dotati di un meccanismo di autoprotezione nei confronti dei precursori
melanici, meccanismo che fa difetto o che viene perso nel caso della
vitiligine.
Una terza ipotesi patogenetica tiene conto di fattori nervosi in seguito all’osservazione
di turbe della pigmentazione distrettuale dopo simpaticectomia, dovute a un
eccesso di agente neurotossico (tipo norepinefrina) rilasciato in vicinanza
dei melanociti in corrispondenza delle terminazioni nervose periferiche che
potrebbero inibire o impedire la reazione tirosina-tirosinasi, oppure causare
modificazioni letali nei melanociti.
Anche se si manifesta per lo più come affezione
acquisita, la vitiligine è geneticamente determinata in più di 1/3
dei
casi. I due sessi sono colpiti in ugual percentuale e può insorgere a
qualunque età, anche se predilige l’adulto giovane nella seconda e terza
decade di vita. L’intervento di traumi psicoaffettivi è talora addotto dai
pazienti, il sole e i raggi UV non assumono alcun ruolo scatenante,
limitandosi a rivelarla, accentuando il contrasto tra cute sana che si
pigmenta e quella alterata che rimane chiara. La vitiligine presenta talora
associazioni preferenziali con malattie autoimmuni come la tiroidite, il
diabete mellito, l’alopecia areata nonché col morbo di Addison.
In Egitto esiste un rimedio popolare per ricolorire le
chiazze di vitiligo. Usato sia localmente che per os, l’estratto dei semi di Rizzòmolo, l’ombrellifera Ammi
majus, dotato di 8-metoxipsoralene come principio attivo, è in grado di
stimolare la melanogenesi in presenza di radiazioni ultraviolette, ma solo in
alcuni casi.
Si tratta di un’ipomelanosi
congenita anch’essa da melanocitopenia, trasmessa per via autosomica
dominante caratterizzata da una ciocca frontale di capelli bianchi e macchie
acromiche sulla superficie anteriore del torace e sugli arti, mentre le loro
estremità sono risparmiate. Ho avuto la conferma verbale di un piebaldismo in
sede occipitale anch’esso ereditario, ma non posso fornirne l’albero
genealogico.
In quest’affezione l’ipomelanosi
cutanea ha un valore diagnostico importante poiché compare precocemente e
prima degli altri segni clinici. Così, la presenza di macchie ipopigmentate,
lanceolate, a foglia di felce, associata a convulsioni, è molto indicativa
per un’impostazione diagnostica corretta.
Viene citata in quanto trasmessa
per via autosomica dominante. Presenta aplasia dentaria, iperidrosi e canizie
precoce.
Una perdita del colore dei
capelli con incanutimento prima dei 30 anni può essere di origine genetica.
Altre forme, sempre su base
ereditaria, interessanti svariati distretti del soma, si manifestano con turbe
della pigmentazione che sembrano limitarsi a un interessamento dei peli, delle
ciglia e delle sopracciglia.
Esistono ancora sindromi
ereditarie complesse con ipomelanosi come quella di Waardenburg, quella di
Ziprkowski-Margolis, l’ipomelanosi di Ito o incontinentia
pigmenti achromians, la sindrome di Fisch e varie altre ancora che non
vale la pena di riportare in quanto finirebbero col tediare come fa un elenco
telefonico. Da tutto ciò possiamo arguire che spesso la turba ipomelanica
può rappresentare solo un corollario in un disturbo metabolico che coinvolge
distretti ben più importanti per la sopravvivenza.
Da notare che esistono anche le ipermelanosi di origine genetica, che non stiamo ad elencare in quanto il loro interesse nei confronti di quanto si osserva nel pollo è scarso o nullo.
Le efelidi, che sono delle ipermelanosi epidermiche, vengono trasmesse come carattere autosomico dominante, e anche le lentiggini, caratterizzate da cellule pigmentarie di dimensioni maggiori e più ramificate rispetto alle zone limitrofe, rientrano nello stesso gruppo di ipermelanosi epidermiche su base genetica.
A quest’ultimo proposito posso
citare il caso di un mio gallo Sebright argento che aveva un gruppetto di 3-4
piume ipercromiche al petto, giallastre come se si trattasse di lentiggini
irregolari, presenti anche in un suo discendente. Non documentai l’iperpigmentazione,
ma mi ricordo benissimo la correlazione padre-prole, e riferisco quest’osservazione
in quanto penso possa essere contrapposta all’interpretazione che
attribuirebbe l’ipercromia paterna a un mosaicismo somatico casuale.
Avendola osservata fortuitamente grazie a motivi cardiologici irrilevanti, vale la pena soffermarci su una forma di ipomelanosi che in base all'anamnesi da me raccolta non ha alcun substrato genetico né traumatico né tanto meno psicogeno. Siamo nel 2009. Si tratta di un maschio di 47 anni che quando ne aveva 14 cominciò a presentare un'ipopigmentazione della cute in sede perioculare destra, accompagnata da progressiva perdita di pigmento delle ciglia e del sopraciglio dello stesso lato, la cui estremità laterale è tuttavia rimasta normale, con aggiunta di una ciocca di capelli bianchi in sede occipitale destra. Questa ciocca potremmo farla rientrare nel piebaldismo, la ipomelanosi cutanea nella vitiligo, ma per il rimanente quadro clinico entra in ballo ciò che viene comunemente etichettato come poliosi.
La diagnosi che fu emessa all'allora preoccupato quattordicenne fu quella onnicomprensiva di vitiligo, che potrebbe essere discutibile viste le altre alterazioni ipocromiche dei peli e dei capelli, ma non vale la pena accanirci nell'essere precisi, in quanto la dermatologia deve ancora fare luce su una miriade di problematiche che ci forniscano una classificazione chiara e inoppugnabile delle ipocromie.
Quasi inutile sottolineare che i tentativi terapeutici fallirono, ma ormai l'interessato non se ne preoccupa più di tanto. Anzi, quasi si vanta di possedere un raro carattere distintivo, tralasciando la ciocca occipitale che è assai più comune. Nessuno dei suoi ascendenti possiede tale ipomelanosi né la presentano i suoi due discendenti, una figlia quindicenne e un figlio diciannovenne.
Al fine di porre una diagnosi secondo i criteri del 2009, ho consultato la collega dermatologa Raffaella Dell'acqua che così mi ha risposto via e-mail: "Ho visto le foto e sono sempre più propensa a credere che la diagnosi di poliosi sia la più probabile. Infatti non mi pare che il paziente abbia in anamnesi problemi di sordità che spesso si riscontrano nei soggetti affetti da albinismo. Ritengo che, attualmente, l’unica terapia possibile possa essere la 'tinta'.Siamo di fronte a un problema puramente estetico! Per qualsiasi informazione sono a tua disposizione. Un caro saluto." Ma di tinta manco a parlarne! All'interessato le cose vanno benissimo così.
Poliosi non è una sindrome di rigetto suscitata dal vivere in città - pólis in greco - anche se la persona in oggetto ama molto la campagna, dove alleverebbe polli a iosa da mettere in tavola. Né significa numerose chiazze ipocromiche, dal momento che in greco polýs significa numeroso. Poliosi deriva dal greco poliós di incerta etimologia che significa grigio biancastro, quasi bianco, termine che si contrappone a leukós che significa bianco puro e che troviamo nella stramaledetta leucemia. Una persona di veneranda età, distinguibile per i suoi capelli grigi, era detta poliós, non leukós.
Non per creare confusione con quanto espresso nelle pagine precedenti, ma per avere un punto di riferimento affidabile, conviene citare quanto possiamo reperire nel Trattato di Dermatologia (1996) di Alberto Giannetti: "Con il termine poliosi si indica una zona, generalmente tondeggiante, in cui è presente un ciuffo di peli bianchi, non necessariamente confinata al cuoio capelluto, ma che può interessare qualsiasi distretto cutaneo provvisto di peli, quali le sopraciglia, le ciglia, la barba, etc. Le forme congenite di poliosi sono il piebaldismo, la sclerosi tuberosa, la sindrome di Waardenburg, la sindrome di Vogt-Koyanagi-Harada, la sindrome di Alessandrini etc." Più di tanto non posso offrire alla vostra curiosità, che verrà appagata perlomeno dalle foto scattate il 13 maggio 2009.
poliosi
vitiligine e poliosi
Poliosi
di Aldo Moro
Aldo Romeo Luigi Moro
Maglie (LE), 23 settembre 1916 – Roma, 9 maggio 1978
politico e giurista italiano
[1] Vitiligo è un termine già in uso presso gli Antichi, collegato a vitium, nel senso di macchia, difetto fisico.