Tra i vertebrati le eumelanine
sono ampiamente presenti nei mammiferi e negli uccelli, mentre sono
occasionali in rettili, anfibi e pesci. Negli invertebrati, fatta eccezione
per l’inchiostro dei cefalopodi, i lavori del passato si limitano a citare l’esistenza
di pigmenti granulari scuri in certi organismi, tra i quali possiamo citare la
medusa Pelagia noctiluca, tra i
celenterati la variante scura dell’Anemone piumoso Metridium
senile. Tuttavia, nessuno di questi presunti pigmenti melanici è stato
isolato e analizzato per dimostrarne l’autentica natura melanica.
Anche a proposito della pigmentazione scura della cuticola
di parecchi insetti esistono delle fondate riserve sulla natura melanica.
Infatti si tratterebbe di una polimerizzazione di substrati proteici cui si
associano pigmenti che sono chimicamente distinti dall’eumelanina dei
vertebrati, anche se dal punto di vista biologico provengono dalla tirosina.
In passato è stato attribuito alla quota proteica
presente nell’eumelanina il ruolo di componente fondamentale della molecola,
e i dati ultrastrutturali deporrebbero per questa interpretazione, vista la
sintesi del pigmento sulla matrice filamentosa del premelanosoma. Studi
recenti hanno messo in luce che una buona quota di aminoacidi e peptidi è
legata in modo lasso coi granuli di melanina, facendo sorgere così qualche
dubbio sulla natura melanoproteica delle eumelanine naturali.
Altro concetto ampiamente diffuso è quello secondo cui le eumelanine sarebbero dei polimeri o miscele di polimeri di notevoli dimensioni a struttura tridimensionale, composta da molte centinaia di unità monomeriche. Dobbiamo ricordare che un certo numero di coloranti, insolubili allo stato solido, hanno una colorazione molto scura pur avendo un peso molecolare relativamente basso.
L’insolubilità delle eumelanine rende davvero
difficile, se non impossibile, stabilirne il peso molecolare, ricorrendo di
volta in volta alla determinazione della loro viscosità, all’osmometria a
pressione di vapore e alla diffrazione a raggi X. Questi metodi hanno messo in
evidenza che il peso molecolare è più basso di quanto ci si
aspettasse, avendo un
range pari a 1.100÷6.000. In un altro studio a carico dei capelli scuri è
stato trovato un peso molecolare di 10.000, ma ciò non toglie che la mancanza
di una precisa caratterizzazione dei campioni solubilizzati renda difficile
tracciare qualsiasi conclusione definitiva sul peso molecolare delle
eumelanine allo stato naturale.
Le eumelanine possono
esistere in differenti stati di ossidazione. Per esempio, si è
visto che l’idrosolfito di sodio fa virare il colore della dopamelanina da
nero a marrone chiaro e che il pigmento, da ridotto, può essere riportato
allo stato di ossidazione aggiungendo ferricianuro di potassio. Una delle
conseguenze maggiori dell’interazione ossidoriduttiva delle eumelanine con l’ossigeno
è la formazione di perossido d’idrogeno grazie a un processo di
trasferimento reversibile di elettroni dai gruppi catechol auto-ossidabili del
pigmento. Data la presenza di perossido d’idrogeno nei sistemi biologici e
la spiccata affinità delle eumelanine per questo ossidante, risulta
verosimile che anche in vivo possa accadere ciò che si osserva in vitro:
presenza di unità pirroliche carbossilate nelle eumelanine presenti in natura
così come possono essere presenti ossimelanine in certi peli, capelli e
piume.
La
degradazione e lo sbiancamento della melanina da parte dell’acqua ossigenata
è da lungo tempo nota in cosmesi allo scopo di schiarire il colore naturale
dei capelli. Pare si susseguano due distinti processi: rapida solubilizzazione
del pigmento dovuta a rottura dei granuli seguita da uno sbiancamento a
velocità minore che dà luogo eventualmente a una soluzione giallo pallido.
Se si blocca l’ossidazione agli stadi iniziali, appena dopo la completa
solubilizzazione, si può ottenere un pigmento marrone in proporzione del 60%
attraverso acidificazione della miscela, ricco in carbossili e solubile in
alcali. La modificazione della struttura di base dell’eumelanina non è
eccessivamente alterata e il nuovo prodotto si dimostra utile come derivato
solubile per ulteriori indagini strutturali sull’eumelanina.
La rapidità di sbiancamento dipende in modo lineare dalla
concentrazione del perossido d’idrogeno e aumenta con l’aumentare del pH,
mentre a pH neutro o lievemente acido l’azione è nulla. Questa reazione è
particolarmente sensibile all’azione catalitica della luce e lo sbiancamento
si accompagna al fenomeno della chemoluminescenza.
Come abbiamo visto, negli anni ‘60 sono stati proposti due modelli completamente diversi della struttura
dell’eumelanina:
§
secondo Mason si tratterebbe di un omopolimero, cioè di un polimero
estremamente regolare costituito unicamente da unità di DHI legate in modo
sequenziale alle posizioni 3 e 7
§
secondo Nicolaus, nonché secondo Swan e altri
ricercatori, si tratterebbe invece di un poichilopolimero, cioè di una
macromolecola estremamente eterogenea costituita da differenti unità legate
tra loro in modo casuale.
Attualmente sembra che nella costituzione del polimero prenda sempre maggiore consistenza la partecipazione del DHICA (acido 5,6-diidrossindolo-2-carbossilico), anche se l’ipotesi di compromesso potrebbe essere quella dell’attuale punto di vista secondo cui si tratterebbe di una miscela di oligomeri di DHI e/o DHICA parzialmente ossidati piuttosto che copolimeri composti da svariati precursori.
Da notare tuttavia che il balzo finale per giungere
alla conoscenza completa delle eumelanine non è ancora stato fatto e si
prevede possa avvenire in un prossimo futuro.