In quasi tutti i mammiferi, come
in parecchi altri vertebrati, sono presenti melanociti in svariati distretti
profondi, come:
o
il tratto uveale dell’occhio
o
l’orecchio interno
o
le leptomeningi
o
la mucosa orale
o
l’epitelio pigmentato della retina.
Come abbiamo già detto, i melanociti dell’epitelio pigmentato della retina derivano dal foglietto esterno della coppa ottica, e i melanosomi che essi producono dovrebbero difendere i fotorecettori retinici dalla luce diffusa, essendo anche deputati a nutrire e a riparare le cellule retiniche.
I melanociti della substantia nigra e del locus caeruleus prendono origine dall’ectoderma cerebrale e producono la neuromelanina che differisce dal pigmento cutaneo anche dal punto di vista biosintetico, in quanto deriva dalla dopamina senza che sia necessario l’intervento della tirosinasi.
Gli albini hanno una normale produzione di neuromelanina.
L’epitelio pigmentato della retina viene spesso incluso in queste cellule melaniche extracutanee nonostante esso non origini dalla cresta neurale bensì dal foglietto esterno della coppa ottica. Esistono tuttavia numerose similitudini tra la melanogenesi che si svolge nell’epitelio retinico e negli altri melanociti extracutanei.
Tutti quanti condividono la proprietà di sintetizzare pigmento solo durante i primi stadi della loro vita embrionale e Masson li ha denominati continenti in opposizione ai melanociti dei distretti cutanei. Infatti, una volta elaborata la loro quota di pigmento, apparentemente lo conservano per tutta la vita. Tuttavia, la dimostrazione di un’attività tirosinasica in estratti di occhio di bovino adulto e le ripetute osservazioni cliniche nei melanociti della coroide e dell’iride sul fatto che essi possono andare incontro a trasformazione neoplastica, suggeriscono che la perdita dell’attività pigmentaria in queste cellule non debba essere necessariamente completa o irreversibile.
Esistono
prove che i melanociti delle leptomeningi umane e dell’orecchio interno possono diventare funzionalmente attivi
in condizioni sia fisiologiche che patologiche.
Nonostante queste e altre osservazioni che non stiamo a
elencare, è chiaro che la sintesi di pigmento nei melanociti extracutanei
dell’adulto, se esiste, è abitualmente trascurabile. Da cui sorge spontanea
la domanda quale sia la funzione di queste cellule. Per la pigmentazione dell’orecchio
interno si pensa, tra l’altro, a una funzione protettiva contro l’effetto
di sostanze ototossiche, mentre l’epitelio pigmentato della retina
svolgerebbe un ruolo vitale nei confronti del nutrimento e dei processi
riparativi della porzione fotosensoriale.
Buona parte della
glia
dei vertebrati ha un’origine
comune col tessuto nervoso, con cellule che spesso hanno una morfologia che
ricorda quella dei melanociti, e formano una guaina che avvolge alcuni nervi
periferici.
Alcuni neuroni, specialmente quelli del sistema
dopaminergico della parte intermedia del cervello dei primati, presentano una
colorazione grigia o scura. Il loro pigmento, noto come neuromelanina, è stato studiato in
modo approfondito. Esistono inoltre numerosi altri dati in letteratura che
parlano di materiale melanico in sistemi cellulari e in organi che non hanno
un’origine neurale.
Tuttavia, in parecchi casi non è detto che il pigmento sia una melanina nel significato biochimico attuale e che esso venga sintetizzato entro la cellula attraverso ossidazione enzimatica della tirosina via dopa e metaboliti correlati.
Pertanto bisogna restringere il campo della nostra
attenzione a quei pochi esempi di cellule per le quali si è potuto dimostrare
un’attività melanosintetica, come le cellule endoteliali del fegato o del rene
dei vertebrati e la ghiandola
dell’inchiostro dei cefalopodi, essendo questo l’esempio meglio
definito di sistema di produzione melanica presente negli invertebrati.