Le frequenze stimate dei tassi
di mutazione da alleli normali in anormali, variano da 1 su 10.000 fino a 1 su 1.000.000.
Poiché ogni gamete contiene molti geni che possono andare incontro a
mutazione, è importante stimare la frequenza con cui i gameti recano uno o
più geni mutanti in uno qualsiasi dei molti loci presenti.
Sarebbe facile determinare
questa frequenza, se si conoscesse:
§
la
frequenza media di mutazione per locus
§
il
numero totale di loci che possono subire una mutazione.
La
semplice moltiplicazione di questi due valori esprimerebbe la frequenza totale
degli alleli mutanti.
Si è visto che è difficile ottenere una stima soddisfacente del tasso medio delle
mutazioni per locus, poiché i tassi conosciuti sono imprecisi e,
anche qualora fossero esatti, i valori medi potrebbero non riflettere veri
valori medi di tutti i singoli tassi, conosciuti o ignoti.
Ammettiamo, in modo piuttosto arbitrario, che il tasso
medio sia di 1 su 1.000.000; questo tasso potrebbe essere più elevato se
nella valutazione fossero incluse mutazioni con effetto dannoso piuttosto
lieve, mentre potrebbe essere molto più basso se includessimo molti loci con
un basso tasso di mutazione; inoltre, nell’uomo, il numero totale di loci
manca probabilmente di una stima sicura, e si ammette arbitrariamente che
oscilli tra 10.000 e 100.000.
[1]
Se ci basiamo su 10.000 loci presenti nell’uomo e li
moltiplichiamo per il tasso stimato di 1/1.000.000 di mutazioni per locus,
troviamo che nell’uomo un gamete su 100 porta una nuova mutazione nociva. Se
invece ci basiamo su di una stima di 100.000 loci genici e moltiplichiamo
questo numero per il tasso di mutazione di 1/1.000.000, si ottiene una
frequenza di mutazioni per gamete pari al 10%.
Poiché ogni individuo deriva da due gameti, le due stime
sopra riportate indicano che un
minimo del 2% e un massimo del 20% di esseri umani è portatore di un gene
appena mutato, più o meno dannoso.
Esiste un altro metodo per stimare il numero di geni per
individuo che abbiano appena subito mutazioni. Tale metodo non si basa sulla
determinazione diretta della frequenza di mutazione, bensì utilizza delle
stime del numero medio di geni dannosi, vecchi o nuovi, portati da un
individuo. Questo numero è stato valutato in base agli studi sulla prole di
matrimoni consanguinei. Se limitiamo l’analisi agli alleli letali, e se si
considerano gli effetti dei geni subletali in termini di letali equivalenti, si ottiene una stima di circa 4 letali o letali
equivalenti per individuo.
Se si ammette un equilibrio fra un incremento di nuovi
alleli mutanti e una loro riduzione dovuta alla selezione, si può ipotizzare
che il 2% dei quattro letali equivalenti derivi da eventi mutazionali appena
avvenuti. In altre parole 0,02 x 4, cioè l’8% di tutti gli individui è
portatore di un letale equivalente, il quale ha appena avuto origine per
mutazione. Questo valore dell’8% si trova tra i due valori del 2% e 20%
appena stimati.
Come ha sottolineato Neel, l’interpretazione dei
risultati che emergono dagli studi sulla consanguineità si basa su una serie
di ammissioni non dimostrate. Perciò, la stima della frequenza dei letali
equivalenti che hanno appena avuto origine in seguito a mutazione deve essere
considerata poco attendibile.
Qualunque sia il valore reale, le stime delle percentuali
di zigoti recanti nuovi geni mutanti assume un significato particolare quando
vengano considerate in termini di numero di persone in interi Paesi, oppure in
tutto il mondo. Persino la stima più bassa del 2% comporta che 1.100.000
Italiani siano portatori di un gene dannoso assente nei loro genitori; in Cina
questo vale per 22.000.000 di persone, mentre per l’umanità intera i
portatori di geni appena mutati non sono meno di 110.000.000
[2]
.
Bisogna ammettere che le mutazioni spontanee hanno continuamente fornito nuovi geni al pool genico da quando la vita ha avuto inizio.
Prese singolarmente, per
lo più le mutazioni non producono che un danno lieve e talune possono anche
essere benefiche; tuttavia i geni mutanti dannosi che si vanno accumulando
nell’arco delle generazioni e allo stato eterozigote oppure omozigote,
ovvero in combinazioni poligeniche, riducono l’idoneità riproduttiva della
popolazione.
[1]
Il
genoma umano è contenuto
in 46
cromosomi, e 3,12
miliardi di paia
di basi azotate
costituiscono il patrimonio genetico aploide.
I geni stimati sono in media 100.000. I valori estremi più accreditati per
l’anno 2000 sono rispettivamente 30.000 e 120.000.
Solo due cromosomi
umani sono stati sequenziati. Nel dicembre 1999
toccò al cromosoma 22 la perdita della privacy: la sua porzione
eucromatinica è composta da 33,4 megabasi e contiene almeno 545 geni; secondo
gli scienziati, contiene alcuni geni coinvolti in malattie come la
schizofrenia e la sordità.
15 aprile 2000: 3
cromosomi umani - il 5, il 16 e il 19 - sono stati decifrati;
con 300 milioni di coppie di basi, combinate in 10.000-15.000 geni,
rappresentano l'11% del genoma umano. Il cromosoma 5 (pari al 6%
del genoma) ha a che fare col cancro colonrettale
e una forma di leucemia; il cromosoma 16 (3% del genoma) sarebbe implicato
nei tumori del seno e della prostata, e in una malattia renale; mentre
mutazioni o malfunzionamenti di geni del cromosoma 19 (2%
del genoma) sarebbero responsabili dell'aterosclerosi e di una forma di
diabete.
Il
2000 ha violato la privacy anche del cromosoma 21,
quello responsabile della sindrome di Down. 18
maggio 2000: il braccio lungo
del cromosoma 21contiene 33.546.361 bp; il braccio corto 281.116 bp. In
totale vi sono allocati 127 geni noti, 98 geni previsti e 58 pseudogèni.
[2] I dati riferiti al 1990 riportano una popolazione mondiale pari a 5.300.428.000, di cui 56.778.031 Italiani e 1.130.483.401 Cinesi.