Per circa 50 anni le leucosi aviarie sono state le peggiori malattie del pollo domestico. Gli allevatori parlavano di malattia del fegato grosso oppure di paralisi dato che i pollastri a partire dalla 6ª settimana presentavano una paralisi completa di una o di ambedue le zampe e le ali.
Tale paralisi era determinata da
piccoli tumori linfocitari lungo il decorso dei nervi sciatici o brachiali.
Chi sopravviveva a questa neurolinfomatosi poteva successivamente giungere all’exitus
per tumori del fegato o di altri visceri.
Si
è successivamente dimostrato che la sindrome consisteva di 2 diverse
malattie:
q
neurolinfomatosi,
o morbo di Marek propriamente detto,
scoperta dal patologo ungherese nel 1907, dovuta a un Herpesvirus
q
leucosi
linfoide, che provoca tumori non solo negli organi linfoidi, ma
anche nella borsa di Fabrizio ,
dovuta a Leucovirus,
Retrovirus esogeni dei sottogruppi
A,B,C,D, che appartengono agli RNA virus.
Sino
al 1970 erano noti solo due
metodi efficaci per far fronte al morbo di Marek:
ü
isolare
i pulcini alla schiusa e mantenerli separati dagli adulti che sono un
serbatoio di virus; l’isolamento dura 4-5 mesi e a quest’età i polli sono
pressoché tutti resistenti e possono essere esposti al contagio
ü
selezionare
ceppi resistenti.
Dopo la scoperta del virus responsabile, divenne in breve
disponibile un vaccino efficace, per cui la
malattia è sotto controllo se si sottopongono i pulcini a vaccinazione.
Cole riuscì ad ottenere 2 ceppi di Livorno bianca
partendo da un ceppo della Cornell University, e uno di essi risultò
estremamente resistente al morbo di Marek, mentre l’altro era estremamente
suscettibile. Venne inoculata una dose standard di virus del ceppo JM in
pulcini di 2 giorni dei quali fosse noto l’albero genealogico. Tutti i
pulcini che morirono o che mostrarono segni di paralisi, nonché quelli che
sopravvissero fino a 8 settimane, vennero sottoposti ad autopsia per
evidenziare le lesioni macroscopiche del Marek. Facendo gli opportuni incroci
tra soggetti resistenti, si ottenne una percentuale del 3,6% di individui
suscettibili. La rapidità con cui si giunse a tale risultato portò a dedurre
che i geni implicati debbano essere pochi.
Pare che l’allele eritrocitario B21 possa esercitare, anche in ceppi diversi da quello studiato da Cole, una propria influenza sulla resistenza al Marek. Quindi questo allele potrebbe rappresentare un indicatore di resistenza utile per gli allevatori.
L’unico problema resta il poter disporre di laboratori in cui si possa controllare la presenza o meno dell’antigene B21.
I soggetti dotati dell’antigene
B19 mostrano invece di essere suscettibili.