La cancellazione di siti di
restrizione esistenti, o la creazione di nuovi siti, è il risultato dei
cambiamenti casuali che si verificano nelle sequenze non codificanti del DNA
frapposte ai geni, cioè a carico degli introni.
Gli RFLP sono di primaria importanza negli studi di
genetica, essendo utilizzati come marcatori
genetici durante la mappatura del genoma e nell’identificazione di
geni particolari.
La tecnica della mappatura di restrizione viene usata per
determinare i siti di taglio in un frammento di DNA su cui agiscono gli enzimi
di restrizione. Tagliando il DNA con enzimi di restrizione diversi, utilizzati
sia individualmente che in combinazione, e analizzando numero e dimensioni dei
frammenti risultanti mediante elettroforesi
[1]
,
si può ottenere una mappa di restrizione che riporta la disposizione dei siti
di restrizione presenti sul DNA originale. Questa mappatura viene generalmente
eseguita su tutti gli organismi oggetto di studi genetici.
I
cambiamenti nella sequenza dei frammenti ottenuti testimoniano l’eventuale
scomparsa o il riarrangiamento di alcuni geni, capaci quindi di
provocare un’alterazione dei siti di restrizione. I frammenti vengono
separati mediante elettroforesi su gel e identificati con specifiche sonde
geniche.
Si tratta di una metodica
complessa che può avere come scopo la formulazione di un consiglio genetico.
Permette di studiare la trasmissione di un gene in seno a una famiglia quando
non è nota la sua sequenza ma solo la sua localizzazione su di un cromosoma.
La metodica si serve dell’analisi delle sequenze non codificanti
di DNA contigue al gene in esame e le utilizza come suoi markers indiretti.
Prevede numerosi passaggi tra cui la digestione dell’acido nucleico da parte
di enzimi di restrizione, dell’elettroforesi per la separazione dei
frammenti così ottenuti e del southern
blotting per il loro trasferimento su di un filtro di nitrocellulosa.
Abbiamo già accennato come le sequenze codificanti per proteine enzimatiche o
strutturali rappresentino in realtà solo una piccola porzione dell’intero
genoma e siano ampiamente intervallate da tratti di acido nucleico sprovvisti
di significato codificante.
Come i geni propriamente detti, queste sequenze possono
andare incontro a mutazioni che, al contrario dei primi, non sono soggette a
attivatore tissutale del plasminogeno a una severa selezione in quanto esenti
da conseguenze sul fenotipo. È ovvio, pertanto, che si presentano con una
notevole eterogeneità di costituzione dei nucleotidi, potendo differire da
soggetto a soggetto. L’esistenza di diverse varianti prende il nome di polimorfismo. Queste frazioni di DNA
seguono le modalità di trasmissione mendeliana.
In conseguenza del polimorfismo è possibile che,
sottoponendo le medesime sequenze non codificanti di individui diversi all’azione
di un enzima di restrizione, si ottengano frammenti di lunghezza differente.
È ovvio, infatti, che per effetto di mutazioni si possono formare oppure
perdere siti di restrizione, con variazione del numero e della lunghezza dei
tratti ottenuti dalla digestione enzimatica.
Dal momento che, nel corredo genomico, ogni autosoma è
presente in duplice copia, sottoponendo i due omologhi di un soggetto all’azione
di un enzima di restrizione possono verificarsi due possibilità:
Œ
i due cromosomi si dividono nello stesso numero di
frammenti: omozigosi
i due cromosomi danno origine ciascuno a un numero diverso
di frammenti, che ovviamente differiscono anche per peso molecolare:
eterozigosi
L’analisi degli RFLP consiste:
§
nell’analizzare
le sequenze non codificanti adiacenti a un gene
§
nel
tipizzarle mediante digestione con enzimi di restrizione
§
nel
confrontare i risultati della frammentazione nei soggetti appartenenti a un
medesimo nucleo familiare.
Per comprendere meglio questa indaginosa metodica ci
serviremo di un esempio pratico. Prendiamo il caso di un uomo affetto da
retinoblastoma ereditario, coniugato a una donna sana da cui ha avuto un
figlio che ne è affetto. La coppia è ora in procinto di avere un secondo
figlio e, attraverso l’esame dei villi coriali, desidera avere una diagnosi
prenatale, ovvero sapere se il nascituro sia portatore dell’allele mutante.
Il gene responsabile del retinoblastoma non è ancora stato codificato ma è
stato localizzato a livello della banda 1.4 del braccio lungo del cromosoma 13
(13q14)
[2]
.
È necessario prelevare e isolare i due cromosomi omologhi
13 del padre, della madre, del figlio affetto e del probando. Tutti vengono
poi denaturati e digeriti con un enzima di restrizione. Nel caso fortunato in
cui si verifichi una condizione di eterozigosi per l’RFLP nel genitore
affetto, i due cromosomi genereranno un numero diverso di frammenti. Per
esempio, uno viene diviso in tre parti e l’altro in due. Sottolineiamo il
fatto che l’eterozigosi per il polimorfismo è un fenomeno del tutto
indipendente dal gene in causa.
La condizione di eterozigosi per le sequenze non
codificanti del soggetto affetto è favorevole per l’indagine, in quanto,
creando una situazione di disuguaglianza, permette di caratterizzare e quindi
di distinguere i due cromosomi. Per conoscere quale dei due cromosomi sia
portatore del gene per il retinoblastoma si sottopone il materiale genetico
della madre e del figlio affetto all’azione del medesimo enzima e si
confrontano i risultati con quelli paterni. Se per esempio il padre era 3/2,
la madre 2/2 e il figlio affetto 3/2, è ovvio che il cromosoma affetto sarà
quello che dà origine a tre frammenti.
Pertanto se nel corredo del nascituro, sempre sottoposto
all’azione del medesimo enzima, uno dei due cromosomi si divide in 3 pezzi,
è lecito supporre che il bambino abbia ereditato il gene del retinoblastoma e
quindi sia altamente a rischio di sviluppare la neoplasia.
È
opportuno fare alcune considerazioni riguardo la metodica:
q
si tratta di un metodo d’indagine indiretto, che non
valuta il gene in esame ma geni adiacenti che vengono usati esclusivamente
come markers
q
i geni non codificanti utilizzati devono trovarsi molto
vicini al gene sospetto per rendere quasi nulla una loro separazione durante i
fenomeni di riarrangiamento
q
l’indagine non è applicabile in tutti i casi, in quanto
sono richiesti dei requisiti sfortunatamente non sempre disponibili
q
occorre un pedigree completo con entrambi i genitori e un
precedente figlio
q
occorre trovare un enzima di restrizione che nel genitore
affetto frammenti il DNA in modo tale da creare una situazione di eterozigosi;
bisogna sottolineare che un enzima che abbia avuto successo in un nucleo
familiare ovviamente non è sempre applicabile in altre famiglie.
[1] Elettroforesi: si tratta di una tecnica usata per l’analisi e la separazione dei colloidi, basata sul movimento delle particelle colloidali sotto l’influenza di un campo elettrico. La velocità delle particelle dipende dal campo elettrico applicato, dalla carica elettrica nonché dalla forma e dalle dimensioni delle particelle. Questa tecnica viene soprattutto impiegata nello studio di miscele proteiche, acidi nucleici, carboidrati, enzimi e lipidi.
[2] Nello spelling usato dai genetisti si dice banda 1 punto 4, e sta a significare la sottobanda 4 della banda 1. Qualora si parlasse di una sottosottobanda 5, suddivisione ulteriore della sottobanda 4, allora la rappresentazione grafica dello spelling sarebbe 1.4.5, mentre la scrittura riportata fra parentesi risulterebbe 145. Ricordiamo che la lettera q sta a significare braccio lungo, in quanto il braccio breve è simboleggiato con la lettera p, che sta per il francese petit, piccolo.