Per poter applicare le
metodologie di ingegneria genetica si rende spesso necessario disporre di
elevate quantità di DNA. I campioni che normalmente vengono ottenuti dai
prelievi (sangue, liquido seminale etc) sono spesso insufficienti. Diventa
quindi indispensabile un passo preliminare consistente nell’amplificazione
del materiale genico di cui si dispone, che viene integrato in vettori, ovvero
segmenti di DNA capaci di replicazione autonoma
Un plasmide
è una struttura extracromosomica della cellula costituita da DNA capace di
resistere e di replicarsi indipendentemente dai cromosomi. Nelle cellule
batteriche i plasmidi forniscono le informazioni genetiche necessarie per
alcune attività cellulari, come per esempio la resistenza agli antibiotici, e
nelle colonie batteriche possono essere trasferiti da una cellula all’altra.
L’integrazione del tratto di DNA nel plasmide, dopo aver tagliato entrambi
con il medesimo enzima di restrizione in grado di originare delle sticky ends, avviene per le leggi della complementarietà. Una volta
inserito il campione, questo si duplica insieme al plasmide stesso.
Fig. XVIII. 1 – Cellula di Escherichia coli con cromosoma e plasmide
Nelle cellule di parecchie specie, uomo compreso, sono
stati identificati agglomerati
di DNA simili ai plasmidi che sembrano muoversi da un cromosoma all’altro.
Negli organismi diversi dall’uomo finora studiati, questi agglomerati
sembrano interferire con l’attività genica, come accade coi trasposoni.
Nell’uomo questa connessione non è ancora stata stabilita, nonostante
questi agglomerati di DNA siano quasi identici ai retrovirus che sicuramente
influiscono sull’attività dei geni. Ricordiamo che i
retrovirus
sono degli
RNA virus nei quali si verifica la conversione dell’RNA in DNA per mezzo
della trascrittasi inversa per cui il DNA formato può venir integrato nel DNA
della cellula ospite.
Se sarà la cellula di Escherichia
coli a trasformarsi in un laboratorio,
il vettore utilizzato sarà appunto un plasmide, elemento di DNA circolare che
replica e si diffonde molto facilmente in seno alle colture del germe,
trasmettendo alla progenie microbica la capacità di produrre la proteina
codificata dal gene clonato.
I biotecnologi dispongono oggi di molti tipi di vettore. I
più comuni sono derivati da plasmidi e da virus batteriofagi che condividono
numerose caratteristiche essenziali. Uno dei vettori più conosciuti è il
plasmide di Escherichia coli detto
pBR322 (p = plasmide, BR = Bolivar & Rodriguez, coloro che hanno
sviluppato questo plasmide). Di tale vettore è nota l’intera sequenza (4363
paia di basi nucleotidiche) e, conseguentemente, tutti i siti di restrizione
sul quale potranno operare specifici enzimi, come spiegheremo tra poco in
dettaglio. Un metodo comune di inserimento di DNA umano in tale plasmide
consiste nell’inserire piccole code di poli-Citidina (DNA singola elica) per
ibridizzarle con la coda di poli-G presente nel plasmide, dopo averlo
linearizzato attraverso taglio enzimatico.
Lisando le cellule batteriche si
possono ricavare grandi quantità del filamento originario. I plasmidi sono
infatti facilmente separabili dai cromosomi batterici per le loro piccole
dimensioni. Il DNA così ottenuto viene detto ricombinante in quanto
costituito da un filamento batterico e uno di diversa origine, detto filamento originale.
Preparato e selezionato il clone del gene umano, per
ottenere un prodotto in quantità elevata è necessaria una scelta rigorosa
delle cellule eucariotiche o procariotiche a seconda del vettore prescelto e
in base alle caratteristiche biologiche della molecola umana da sintetizzare.
Tra i procarioti il più utilizzato è sicuramente l’Escherichia
coli; tra gli eucarioti il lievito di birra (Saccharomyces cerevisiae) oppure cellule di mammifero facilmente
espandibili in coltura, come quelle di CHO, derivate dall’ovaio del criceto
cinese.
Fig. XVIII. 2 – Tappe della clonazione di un frammento di DNA
Se la proteina da produrre richiede modificazioni
post-traduzionali perché possa esplicare attività biologica (inserimento di
glucidi, formazione di ponti disolfuro specifici, idrossilazione,
acetilazione, forsforilazione etc) la sua produzione in procarioti può
risultare molto ardua o addirittura impossibile. Per esempio, il tPA
(attivatore tissutale del plasminogeno utilizzato per la lisi dei trombi)
possiede normalmente ben 17 ponti disolfuro. Quando il gene che lo codifica è
espresso in Escherichia coli, solo
una piccola frazione della proteina svolge attività enzimatica, forse proprio
in ragione della mancata formazione dei ponti S-S necessari perché la
molecola assuma la conformazione tridimensionale che le permetta di funzionare
biologicamente. Per cui un tPA attivo viene prodotto in lieviti; al contrario,
l’interleuchina 2 prodotta in Escherichia
coli ha un’attività equivalente a quella naturale, pur essendo priva
dei glucosidi che la caratterizzano in natura
[1]
.
[1] Le Citochine sono fattori solubili secreti dalle cellule del sistema linfatico e che agiscono da segnale per altre cellule linfatiche. Ne esistono due categorie: le Linfochine, secrete dai linfociti, e le Monochine secrete dai macrofagi. Alcune citochine, tuttavia, come gli Interferoni e le Interleuchine, sono secrete sia dai linfociti che dai macrofagi.