Vol. 2° -  XVIII.2.

Gli strumenti a disposizione

2.1. Gli enzimi di restrizione

Questi enzimi, appartenenti alla categoria delle endonucleasi, prodotti da numerosi batteri, possono tagliare le molecole di DNA estraneo in un punto particolare, proteggendo così la cellula batterica in quanto tagliano - e quindi distruggono - il DNA dei virus invasori. La cellula batterica si protegge dall’attacco da parte dei propri enzimi di restrizione modificando le basi del suo DNA durante la replicazione. Il taglio del DNA può avvenire all’interno del filamento senza la necessità di trovare un estremo libero cui ancorarsi. Le endonucleasi frammentano il genoma in maniera precisa e riproducibile.

Le endonucleasi di restrizione, o enzimi di restrizione, rappresentano una classe di enzimi molto importante per la capacità di tagliare molecole di DNA a doppia elica in siti specifici. Gli enzimi riconoscono infatti sequenze uniche di nucleotidi. Identica importanza assume il fatto che la specificità è assoluta. In tal modo una molecola di DNA che manchi di una particolare sequenza nucleotidica non potrà essere tagliata da un determinato enzima e risulterà perfettamente resistente ad esso, rendendosi in tal modo facilmente riconoscibile. Questi enzimi hanno quasi tutti origine batterica e in natura hanno la funzione di proteggere i batteri dagli attacchi virali. Attualmente se ne utilizzano più di 100 e possono essere sfruttati da soli o in combinazione tra loro, permettendo di separare il DNA estratto da varie cellule e tessuti digerendolo in pezzi, che sono definiti da una specifica sequenza. Questi enzimi sono ormai entrati nella pratica corrente della diagnostica genetica e batteriologica. Rappresentano uno dei più importanti esempi di come ricerche di base, apparentemente lontane anni luce dall’applicazione pratica, si traducono invece rapidamente nell’applicazione clinica, sovvertendone procedure e canoni consolidati.

Le molecole di DNA ricombinante non sarebbero state costruite senza l’impiego delle endonucleasi di restrizione, capaci di tagliare il DNA a doppia elica a livello di specifiche sequenze di coppie di basi, dette siti di restrizione, o sequenze di riconoscimento degli enzimi di restrizione. Gli enzimi di restrizione servono a produrre molecole di DNA da clonare e quindi per costruire molecole di DNA ricombinante disponendo di frammenti di DNA e dei vettori di clonazione. Vengono inoltre usati per studiare l’organizzazione di qualsiasi frammento di DNA. Enzimi di questo tipo non sono stati riscontrati negli eucarioti.

Un ceppo batterico, per ogni attività di restrizione, possiede una DNA metilasi che riconosce la medesima sequenza, la quale viene modificata aggiungendo gruppi metilici a residui di adenina o citosina. Di regola, la metilazione blocca il legame dell’enzima di restrizione, rendendo il DNA resistente alla scissione. Tuttavia, alcuni enzimi di restrizione interrompono in modo specifico solo sequenze metilate. In ogni caso, l’effetto delle metilasi di restrizione di un ceppo batterico è quello di fornire un meccanismo di degradazione delle molecole di DNA esogeno e allo stesso tempo di proteggere il DNA batterico endogeno.

I sistemi di restrizione-modificazione sono stati scoperti a causa dei loro effetti sul DNA dei batteriofagi [1] . Il DNA fagico può passare da un batterio all’altro dello stesso ceppo perché ha lo stesso pattern o modello di metilazione del DNA dell’ospite. Quando il DNA fagico entra in un nuovo ceppo batterico, viene attaccato dall’endonucleasi dell’ospite, per cui il fago tende ad essere ristretto a un solo ceppo batterico. Tuttavia, una piccola parte del DNA fagico può sfuggire all’attacco e, se questo DNA sopravvive a un ciclo di replicazione, acquisisce il pattern di replicazione dell’ospite poiché si è replicato in presenza della sua metilasi. D’ora in poi questi fagi possono continuare a replicarsi efficacemente nel nuovo ospite.

Gli enzimi di restrizione prendono il nome dall’organismo dal quale vengono isolati. Per convenzione si usa un sistema a tre lettere in corsivo. Se un ospite particolare ha diversi sistemi di restrizione-modificazione, questi vengono identificati con i numeri romani (es.: HaeI, HaeII, HaeIII). Le lettere addizionali indicano un particolare ceppo batterico da cui è stato ottenuto l’enzima. Per esempio, BgIII viene da Bacillus globigi; EcoRI è dal ceppo di Escherichia coli RY13 e HindIII dal ceppo Rd di Haemophilus influenzae. La pronuncia di questi vocaboli è particolare e non segue una regola precisa. Per esempio, BamHI suona “bam-acca-uno”, BgIII è ”bi-gi-elledue”, EcoRI è “eco-erre-uno”, HindIII è “ind-tre”, HhaI è “a-a-uno” e HpaII è “epa-due”. Gli enzimi di restrizione appartengono a due classi:

Œ Enzimi di restrizione di Tipo I: riconoscono una specifica sequenza di coppie di nucleotidi nel DNA e tagliano il DNA in posizioni non specifiche a una certa distanza da quella sequenza. Poiché il sito di taglio non è una specifica coppia di basi, gli enzimi di restrizione di Tipo I non sono molto utili per la costruzione o l’analisi di molecole di DNA ricombinante.

Enzimi di restrizione di Tipo II: anche questi enzimi riconoscono specifiche sequenze di coppie di nucleotidi, all’interno delle quali tagliano il DNA. La sequenza di riconoscimento per gli enzimi di tipo II è lunga 4-6, raramente 8 nucleotidi. Poiché tutti i frammenti di DNA generati dal taglio con un particolare enzima di restrizione di tipo II sono stati tagliati a livello della stessa sequenza, questi enzimi sono molto utili per costruire molecole di DNA ricombinante. Questi enzimi sono stati isolati da numerosi ceppi batterici. Poiché ciascun enzima taglia il DNA a livello di una specifica sequenza di coppie di nucleotidi, il numero di tagli praticati da un certo enzima in una particolare molecola di DNA dipende dal numero di volte che la sequenza di riconoscimento/taglio è presente in quel DNA. In alcuni casi, enzimi di restrizione isolati da batteri differenti riconoscono e tagliano la stessa sequenza nucleotidica e vengono detti isoschizomeri.

Esistono endonucleasi in grado di tagliare entrambi i filamenti della doppia elica allo stesso livello, con formazione di due monconi netti, blunt ends, e altre invece capaci di interrompere i filamenti a differenti livelli secondo un taglio obliquo. In quest’ultimo caso si ottengono due estremi a singola elica complementari, sticky ends, che sono pertanto particolarmente reattivi e capaci di legarsi a tratti di DNA corrispondenti, generati dalla digestione con lo stesso enzima. Da notare che sticky in inglese significa appiccicaticcio.

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[1] Batteriofagi o fagi: devono il loro nome al greco fagéø che significa io mangio. Si tratta di virus parassiti di un batterio. Ogni fago è specifico per un singolo tipo batterico. La maggior parte dei fagi, i fagi virulenti, infettano una cellula batterica, si moltiplicano rapidamente al suo interno e la distruggono, provocandone la lisi. I fagi temperati rimangono invece quiescenti all’interno dell’ospite dopo esservi penetrati: il loro acido nucleico si integra con quello dell’ospite e si moltiplica con questo, dando origine a cellule figlie infette essendo in quanto la lisi batterica viene innescata solo da fattori ambientali. I fagi vengono usati sperimentalmente nell’identificazione dei batteri, nel controllo di processi industriali dipendenti dai batteri (come nell’industria casearia) e nell’ingegneria genetica come vettori di clonazione: viene infatti sfruttata la loro capacità di alterare il corredo genetico delle cellule batteriche.