I caratteri distintivi dell’individuo
dipendono ovviamente dai geni e si basano su differenze a carico dei processi
fisiologici che si svolgono nelle cellule. Poiché i geni provocano i loro
effetti attraverso un’interazione chimica con le altre componenti cellulari,
molti studi sulla loro azione e sui loro effetti appartengono, come abbiamo
visto, alla genetica molecolare.
Molte differenze ereditabili si basano su caratteristiche facilmente distinguibili alla semplice osservazione. Consideriamo alcuni tratti caratteristici dell’uomo: statura alta e bassa, sei dita invece di cinque; capelli lisci invece che ricci; coagulazione del sangue normale anziché emofilia; visione normale dei colori invece di cecità alle differenze cromatiche; idiozia invece di normali capacità mentali; pigmentazione contrapposta ad albinismo.
Talora, come nell’ultimo caso, la semplice osservazione
consente di riconoscere ovvie differenze biochimiche, basate sulla sintesi o
non sintesi di melanina. Per lo più la base biochimica delle differenze
fenotipiche non è desumibile sic et
simpliciter dalle caratteristiche macroscopiche, richiedendo studi
speciali per giungere alla sua definizione.
I geni possono produrre i loro
effetti agendo solo apparentemente a livelli diversi: a livello delle singole
cellule, oppure sulla morfologia e sulla fisiologia specifica di ciascun
organo. Un esempio della prima modalità è rappresentato dall’anemia
falciforme che comporta alterazioni morfologiche e funzionali dei globuli
rossi, la seconda modalità è esemplificabile con gli attributi mentali
secondari al funzionamento del sistema nervoso centrale.
L’azione primaria dei geni strutturali consiste nel dar inizio a una sequenza biochimica
che è stata definita il dogma centrale della genetica molecolare:
DNA ® mRNA ® catena polipeptidica. Questo semplice schema
stabilisce che i geni servono da stampo per la sintesi di molecole di acido
ribonucleico messaggero, l’mRNA, recanti nella sequenza di basi dei loro
nucleotidi la stessa informazione posseduta dal DNA genico, codificata in
forma lievemente modificata, cioè trascritta.
A differenza dei geni, che rimangono a far parte
integrante dei cromosomi, le molecole di RNA se ne separano e passano dal
nucleo al citoplasma dove il messaggio viene tradotto in una sequenza di
aminoacidi che formano catene di polipeptidi specifici. Un certo tipo di
catena polipeptidica può accoppiarsi con polipeptidi dello stesso genere o di
genere diverso a formare complessi di dimensioni maggiori, o può entrare a
far parte di altre molecole complesse. In questo modo, le proteine di una
cellula sono l’espressione mediata
dei geni, i quali non fanno altro che determinare la struttura delle catene di
aminoacidi che compongono le molecole proteiche.
Prendiamo come esempio l’emoglobina umana. Si tratta di una proteina
composta, o cromoproteina, contenuta
nei globuli rossi nella quantità di 280 milioni di molecole per eritrocita,
ciascuna con peso molecolare di circa 64.000. Essa costituisce oltre il 95% di
tutte le proteine citoplasmatiche del globulo rosso. L’emoglobina è formata
da una porzione prostetica, cioè
non proteica, detta ferroprotoeme o più semplicemente eme, che conferisce il caratteristico colorito rosso al sangue, e da
una parte proteica, la globina,
costituita da 4 subunità polipeptidiche contenenti ognuna un gruppo
prostetico. Si tratta di una caratteristica proteina globulare delle
dimensioni di 4,4 x 4,4 x 2,5 nm. Le catene polipeptidiche sono uguali due a
due per composizione aminoacidica e sono denominate rispettivamente a1 e a2
contenenti ciascuna 141 residui aminoacidici, b1 e b2 costituite
ognuna da 146 aminoacidi.
Ciascun gruppo eme è situato in una sacca formata dal ripiegamento della sua
catena polipeptidica avvenuto spontaneamente nell’elemento cellulare
precursore del globulo rosso. L’emoglobina dell’adulto è detta emoglobina
A, mentre nell’embrione e nel feto viene sintetizzata un’emoglobina fetale
detta emoglobina F che contiene due catene g
al posto della catene b
dell’emoglobina adulta. La ragione di questa differenza è che a livello
placentare la pressione parziale di ossigeno è diversa da quella polmonare e
pertanto la curva di saturazione e di dissociazione dell’emoglobina fetale
non può essere uguale a quella dell’emoglobina adulta che attua i suoi
scambi nell’ambiente polmonare.
L’emoglobina è stata d’importanza fondamentale nel
chiarire la relazione tra i geni e i loro effetti a livello molecolare. Allo
stesso tempo ha portato alla comprensione della base molecolare di alcune
malattie del sangue. In molte popolazioni, specialmente in quelle del gruppo
africano, esistono individui i cui globuli rossi assumono una forma a falce
quando sono esposti a una bassa tensione di ossigeno. Queste persone si
dividono in due classi: la maggioranza è sana e possiede meno dell’1% di
globuli rossi di forma irregolare e si dice che queste persone presentano il tratto
falcemico; una piccola minoranza, invece, soffre di una grave anemia, che
spesso diventa fatale prima che l’individuo raggiunga l’età riproduttiva.
Più di un terzo dei globuli rossi di questi individui presenta una forma
anormale causando così l’anemia falciforme.
Il carattere falcemia è controllato da una coppia di alleli. Gli individui i
cui globuli rossi non sono falciformi, sono omozigoti per un allele HbA, hanno cioè un genotipo HbAHbA, coloro che presentano il tratto falcemico sono
eterozigoti per l’allele HbS,
quindi HbAHbS,
gli anemici sono omozigoti HbSHbS.
La comprensione della base molecolare della falcemia ha
preso l’avvio dalla scoperta che un tipo speciale di emoglobina, l’emoglobina
S, differente da quella degli individui normali dotati di emoglobina A, è
presente nei globuli rossi di persone affette da tratto falcemico o da anemia
falciforme: si tratta di un’emoglobina in cui due catene a sono normali, mentre due catene
b sono mutate e nelle
quali in posizione 6 si trova la valina al posto dell’acido glutammico. I
due tipi di emoglobina in certe condizioni possono possedere carica elettrica
opposta, in modo che se si fa passare una corrente elettrica attraverso una
soluzione che contenga entrambi i tipi di emoglobina, uno si muove verso il
polo negativo e l’altro verso il polo positivo.
La presenza di un terzo allele nel locus Hb, HbC, determina la sostituzione dell’acido glutammico nella
catena b con un altro aminoacido,
la lisina, determinando così la
malattia da emoglobina C,
caratterizzata da una modesta anemia emolitica nell’eterozigote, più grave
nell’omozigote.
Ingram, lo scopritore della differenza fra l’emoglobina
A e l’emoglobina S, ha fatto notare che il cambiamento di un aminoacido su
circa 300 è di certo un cambiamento molto piccolo, ma che tuttavia questa
lieve alterazione può essere fatale per lo sfortunato possessore dell’emoglobina
anomala. Ci sono naturalmente molti composti sintetizzati in natura o in
laboratorio che hanno effetti dannosi sull’uomo, e la loro struttura chimica
è spesso solo di poco differente da quella di sostanze innocue o benefiche.
Perciò non sorprende che le entità molecolari chiamate geni siano talvolta
responsabili di alterazioni del materiale molecolare delle cellule, con
effetti di vasta portata nello sviluppo o nelle funzioni dell’organismo. Si
sono scoperte più di 60 catene b anormali, come molte
catene a anormali. Esse sono
tutte dipendenti da geni particolari, e sono responsabili, negli omozigoti o
negli eterozigoti, di anemie con diversi livelli di gravità.