Vol. 1° -  VIII.15.

Mettiamo la parola fine

15.1. Digressione bibliografica

Bisogna fare una piccola digressione bibliografica. Ilaria Luzzana Caraci, insieme a Mario Pozzi, ha curato un’opera che apprezzo moltissimo non solo perché il testo è scorrevolissimo ed avvincente, ma perché riporta anche i brani in lingua originale, con relativa traduzione. Si tratta di Scopritori e Viaggiatori del Cinquecento.

A pagina 14 del primo volume a proposito di Cristoforo Colombo leggiamo:

«Ben più serio è viceversa il problema dell'attendibilità delle fonti colombiane. Com'é noto, accanto agli scritti autografi - brani del Giornale di bordo del primo viaggio, lettere, appunti e frammenti di vario genere - le principali fonti utilizzate per la biografia dello scopritore sono state la Historia de las Indias di Bartolomé de Las Casas, e le Istorie attribuite al figlio Fernando; soprattutto queste ultime, per l'autorità che derivava loro dall'essere ritenute opera di colui che più d'ogni altro forse godette dell'affetto di Colombo e che più si prodigò, dopo la sua morte, per onorarne il nome. Proprio in ragione della loro attribuzione a don Fernando, alle Istorie è stata accordata sempre una grande fiducia, e sulla loro base sono state costruite per secoli tutte le biografie di Colombo. Solo dalla fine dell'Ottocento si è cominciato a sospettare di quella attribuzione, e solo in epoca assai più recente i colombisti si sono persuasi che esse siano da considerare una fonte inquinata e faziosa. Ma la tradizione che si fonda sulle Istorie è dura a morire. Si pensi che soltanto in base alla loro  testimonianza sono state divulgate e ritenute credibili notizie del tutto prive di fondamento, le quali, anziché onorare il grande navigatore, com'era probabilmente nelle intenzioni di chi si era dato la pena di inventarle, hanno in larga misura contribuito a renderlo poco credibile. Basti ricordare la discendenza illustre che si attribuiva a Colombo dal console romano che aveva fatto prigioniero Mitridate, gli studi compiuti all'Università di Pavia e l'esistenza, tra i suoi antenati, di altri ammiragli.»

E a pagina 43 troviamo:

«Il Giornale di bordo del primo viaggio di Cristoforo Colombo, nell’originale manoscritto da lui redatto giorno per giorno - dal 3 agosto 1492 al 15 marzo 1493 - è andato purtroppo perduto. Ne resta però un estratto, o meglio una compilazione, di mano di Bartolomé de Las Casas, che si conserva nella Sala dei Manoscritti della Biblioteca Nazionale di Madrid, e che fu pubblicato per la prima volta da Martín Fernández de Navarrete nel I volume della sua Colección (1825). Si tratta indubbiamente di un documento di valore storico inestimabile, anche se la sua analisi critica pone non pochi né facili problemi.

«È probabile che Colombo avesse consegnato il suo diario ai re Cattolici a Barcellona, nell'aprile 1493; di certo, cinque mesi più tardi i sovrani ne inviarono a Siviglia, dove l’ammiraglio era impegnato nei preparativi della seconda spedizione, una copia, come Colombo aveva loro richiesto. L'originale rimase così con tutta probabilità gelosamente custodito negli archivi reali. Non sappiamo però se la copia consegnata a Colombo fosse in tutto e per tutto identica al testo primitivo o se invece, magari d'accordo con Colombo stesso, non si fosse provveduto a modificare o ad omettere notizie o dati che non si voleva fossero conosciuti. Quel che è certo è che la trascrizione del Giornale venne effettuata in grande segretezza, tanto che i sovrani potevano dichiarare nella lettera a Colombo del 5 settembre 1493: “Nosotros mismos, y no otro alguno, habemos visto algo del libro que nos dejastes.”

«È molto probabile che, come è stato validamente sostenuto da diversi studiosi, Colombo stesso, resosi perfettamente conto dei problemi politici che avrebbe comportato la presa di possesso da parte della Spagna di territori che giacevano a sud della linea di demarcazione del Trattato di Toledo, non solo avesse provveduto a suggerire ai suoi sovrani quella soluzione che, dopo le parziali concessioni delle bolle Inter Cetera I e Eximiae devotionis, portò, con la seconda Inter Cetera, la raya da polo a polo cento leghe a ovest delle Azzorre; ma si fosse preoccupato fin dal principio di celare in qualche modo la reale posizione delle terre scoperte. Sicché in definitiva i valori di latitudine così palesemente e grossolanamente erronei che si leggono nel diario colombiano potrebbero essere stati volutamente alterati dallo scopritore fin dalla stesura dell'originale del Giornale di bordo. Non si spiega altrimenti perché nella già citata lettera dei re Cattolici in data 5 settembre 1493 si legga: “[...] habíamos menester saber los grados en que están las islas y tierra que fallastes y los grados del camino por donde fuistes, por servicio nuestro.”

«La politica del sigillo pone dunque una prima ipoteca alla lettura e alla corretta interpretazione del diario colombiano, sia che si voglia farne cadere gli effetti sulla iniziale stesura del testo, sia sulla sua trascrizione. Ma il problema si complica quando si tiene conto che dalla copia consegnata a Colombo altre ne vennero tratte, quale per esempio quella che nel 1554 era in possesso di don Luis Colón, nipote dello scopritore, che in quell'anno ottenne la licenza per la sua pubblicazione, peraltro mai avvenuta.

«Da una di tali copie deriva anche il manoscritto di Madrid, che, s'è detto, risulta trascritto dal Las Casas. Non é accertato però che sia stato proprio il battagliero vescovo di Chiapas a compilarlo nella forma riassuntiva in cui ci è pervenuto. Intorno a questa questione i pareri degli studiosi sono alquanto discordi. Per parte nostra osserveremo che, se è vero che il Giornale di bordo non rappresenta la sola fonte su cui si è basato il Las Casas per redigere la sua Historia de las Indias (e può sembrare perciò strano che egli si sia dato la pena di compilarne un riassunto, quando poi non dovette utilizzarlo se non in parte), è però altrettanto vero che i brani del diario colombiano riportati integralmente nel manoscritto di Madrid si riferiscono quasi esclusivamente a temi che solo al Las Casas potevano stare a cuore: la mansuetudine e la disponibilità degli indios verso gli Spagnoli, le ricorrenti dichiarazioni di Colombo relative ai grandi vantaggi che sul piano politico e soprattutto religioso la conquista avrebbe portato, la concezione tutta colombiana della scoperta come missione voluta da Dio, ecc.

«Comunque si voglia interpretare la cosa, resta sempre il fatto che neppure il Giornale di bordo, il documento più completo e più illuminante che ci resti dello scopritore del Nuovo Mondo, è sfuggito al destino comune a tutte le fonti colombiane, quello cioè di una manipolazione, la cui reale entità non è possibile determinare, anche se possiamo ragionevolmente pensare sia stata meno profonda di quella a cui andarono soggette le Istorie fernandine. Infatti i brani autografi, che interrompono spesso il sunto e rappresentano all'incirca un quarto dell'intero testo, dimostrano che come regola il compilatore si mantenne fedele all'originale da cui attingeva assai più di quanto le consuetudini del tempo non permettessero. Il quasi religioso rispetto per un documento di cui già allora si comprendeva certamente il valore fa sì che lo stile di Colombo, affrettato e conciso così come le circostanze in cui avvenne la stesura del Giornale imponevano, la sua sintassi angolosa e semplificata si riflettano nel riassunto, tanto più evidenti attraverso la forma indiretta, che proprio in ragione della fedeltà al testo-base rende talvolta poco scorrevole il periodo e non certo agevole la lettura.

«Ciò nonostante, così come è pervenuto a noi, il Giornale di bordo contiene anche un certo numero di errori, certamente di trascrizione, dovuti forse al Las Casas, o forse a colui che compilò la copia dalla quale egli trasse il suo sunto. Lo stesso Las Casas del resto lamenta talvolta nelle sue note il cattivo stato del manoscritto da cui copia.»

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