Nel 1983, Carter scriveva a Plant queste belle cose:
«Dubito che le informazioni relative ai reperti archeologici di pollo provenienti dal Pueblo Picuris abbiano mai la ventura di vedere un giorno la luce. Le racconto i fatti come mi sono accaduti. A Santa Fe, New Mexico, ricevetti un lavoro che riguardava i polli. Successivamente, un giovane mi disse che quelle ossa archeologiche di pollo le aveva trovate lui stesso durante gli scavi fatti a Picuris. Persi il suo nome, ma lo rividi a Città del Messico dove era venuto per ascoltare una mia relazione, mi diede un altro lavoro e ritornò a parlarmi delle ossa di Picuris. Cercai di raccogliere informazioni sia su questo individuo che se ne andava in giro a scavare, sia su Hargraves, l’osteologo che aveva identificato i reperti. Non venni a capo di nulla. Presi l’auto e raggiunsi Colorado, dove intervistai lo scavatore, Herbert Dick. Mi portò nel suo laboratorio dove mi mostrò i suoi appunti. Aveva classificato 1 milione di frammenti, dotati di cartellino per ogni livello di scavo, un lavoro veramente meticoloso.
«Gli chiesi sulle tanto sospirate ossa di pollo. Aveva una scatola da scarpe piena di ossa d’uccelli già identificate. Io mi aspettavo di trovarne solo una con ossa di pollo identificate, mentre ce n’erano circa 14, e cominciavano dal basso, dallo strato indisturbato, per continuare negli strati superiori. I reperti erano costituiti praticamente dallo scheletro intero. Il punto su cui insisteva Dick era che i dati deponevano per una deposizione continua senza alcuna azione di disturbo, e che poteva ampiamente confermare quest’ipotesi. I dati di Picuris sono molto importanti perché gli scheletri erano stati rinvenuti tutti in una volta, invece di trovarsi distribuiti in modo irregolare nei vari strati, nel qual caso sono considerati come intrusivi, e che proprio questo modo di presentarsi suggerisce un impiego sacrificale del pollo con divieto di cibarsene. Questo comportamento umano è ampiamente dimostrato per le Americhe, ed è parecchio Asiatico, non certamente Mediterraneo del 1500.
«In una successiva revisione dei dati, qualcuno espresse la possibilità che le ossa del Pueblo Picuris potessero appartenere al Gallo Cedrone Azzurro, Dendragapus obscurus, ma ciò poteva essere stabilito solamente avendo in mano le ossa, che erano in possesso di Hargraves. Ma i reperti erano presso il Prescot College, dove si trovava l’osteologo quando morì. Credo che il Collegio attualmente non esista più.»
Carl Johannessen, dell’Università dell’Oregon, propugna l'ipotesi dell’impiego cerimoniale dei polli in America e in Asia, ed è convinto che si svolgessero delle cerimonie megagalattiche. Questo rafforza la convinzione di introduzioni multiple prima che arrivasse Colombo.
Come sappiamo, le ossa di pollo sono reperti archeologici difficili da ottenere a causa della loro fragilità e della scarsa consistenza, ma pare che la cosa più ardua sia identificarli. È quanto Carter esprimeva in un’altra lettera a Plant:
«...Tutto ciò sa di ridicolo, dal momento che gli specialisti in pollo possono identificarli correttamente, sino a definirne la varietà cui appartengono. Come lei sa, alcuni anni fa sono state trovate ossa che risalgono a circa il 1400, ma lo scopritore non ha avuto il coraggio di pubblicarlo. Non abbiamo molte possibilità: un discorso corretto, sia storico sia evoluzionistico sia genetico, non può essere condotto se non ci sarà uno studioso pronto e disposto a compiere i dovuti confronti su base istologica e osteologica. Penso che costui potrebbe provare che sono implicate almeno due o tre specie differenti. Non dimentichiamo, inoltre, che l’America è stata oggetto di continui contatti sia transpacifici che transatlantici, e, per offrirle spunti di approfondimento, provi a pensare ai Bantu col loro idioma e i loro polli, portati in Sudamerica dai Portoghesi, alle iscrizioni prevalentemente mediterranee diffuse su ambedue le Americhe, all’alfabeto somigliante a quello delle isole Canarie, alle dimostrazioni offerte da Thor Heyerdahl, il Vichingo del nostro secolo, su come sia facile solcare mari e oceani su zattere o su imbarcazioni fatte di papiro.»