Ulisse Aldrovandi
Ornithologiae tomus alter - 1600
Liber
Decimusquartus
qui
est
de Pulveratricibus Domesticis
Libro
XIV
che tratta
delle domestiche amanti della polvere
trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti
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Lactantius[1]
in eundem Socratem ob id invectus ita infit: Quis
iam superstitiones Aegyptiorum audeat reprehendere, quas Socrates
Athenis authoritate confirmavit sua? Illud
vero nonne summae vanitatis, quod ante mortem familiares suos rogavit,
ut Aesculapio Gallum, quem voverat, pro se sacrarent? Timuit videlicet,
ne apud Rhadamanthum recuperatorem voti reus fieret ab Aesculapio.
Dementissimum hominem putarem, si morbo perisset. Cum vero hoc sanus
fecerit, et ipse insanus, qui eum putet sapientem. |
Lattanzio,
attaccando lo stesso Socrate per lo stesso motivo, così comincia:
A
questo punto chi oserebbe biasimare le superstizioni degli Egizi, che ad
Atene Socrate ha rafforzato grazie alla sua autorità? Non è forse vero
che fu un segno di grandissima vanità il fatto di aver pregato prima
della morte i suoi amici di offrire in sua vece un gallo a Esculapio
che lui aveva promesso? Ovviamente ebbe timore di essere obbligato da
Esculapio a sciogliere il voto davanti al giudice Radamanto. Io lo
riterrei un uomo estremamente insensato se fosse morto a causa di una
malattia. Dal momento che una persona assennata avrebbe fatto ciò, e
colui che lo ritiene sapiente è egli stesso pazzo. |
Defendit
Socratem Caelius Rhodiginus[2]
his fere verbis: Oblitus est, inquit, Lactantius sententiae illius,
nunquam futurum Platonicum, qui allegorice non putet Platonem
intelligendum. Quid vero illis involucris sibi Plato voluerit, iam nunc
ex Platonicorum sententia promere adoriar. Prisci Aesculapio medico,
Phoebi filio Gallum sacrificabant, diei, solisque nuncium, id est,
divinae beneficentiae morborum omnium curatrici, quae divinae
providentiae filia nominatur, cui diem, id est, vitae lumen, se debere
fatebantur. Eiusmodi medicum Socrates in superioribus perquiri iusserat
morborum animi curatorem. Praeterea priscorum oracula tradunt, animas
remeantes in caelum paeana, id est, triumphalem cantilenam Phoebo canere.
Reddit ergo Deo votum, ut alacer paeana canens caelestem repetat patriam.
Hactenus Rhodiginus{,}<.> |
Lodovico
Ricchieri prende le difese di Socrate con più o meno queste parole.
Egli dice: Lattanzio si è dimenticato di quella massima che dice:
Giammai diventerà un Platonico colui che non sia dell’avviso che
Platone va inteso in modo allegorico. Ma cosa abbia voluto significare
Platone con quelle coperture, adesso tenterò di esporlo deducendolo dal
modo di pensare dei Platonici. Gli antichi sacrificavano al medico
Esculapio figlio di Apollo - o Febo - un gallo, messaggero del giorno
e del sole, cioè, della beneficenza divina che cura tutte le malattie,
che viene detta figlia della provvidenza divina, alla quale
riconoscevano di essere debitori del giorno, cioè della luce della
vita. Socrate aveva comandato che venisse scelto fra le entità
superiori un siffatto medico come curatore delle malattie dell’anima.
Inoltre le massime degli antichi riferiscono che le anime che ritornano
in cielo cantano a Febo un peana, cioè un canto trionfale. Adempie
pertanto un voto al dio affinché cantando lieto un peana possa far
ritorno alla patria celeste. Fin qui le parole di Lodovico Ricchieri. |
Postremo
alios etiam morientes eidem Aesculapio Gallum vovisse legimus. {Artemidorum}
<Artemidorus>[3]
enim, referente {Paulo} <Lilio> Gyraldo[4],
alterius cuiusdam somnium enarrat, qui Gallum Aesculapio vovit, si sanus
foret. Caeterum Gallinas etiam eidem Deo vovebant, teste Festo[5],
unde dicebat Iuvenalis[6]. Libet
expectare quis aegram Et
claudentem oculos Gallinam impendat amico Tam
sterili, id est pauperi, et Prudentius[7]: Quanvis
promittere et ipsi Dignetur
praestare Deus morientibus aequum. |
Infine
leggiamo che anche altre persone in punto di morte hanno promesso un
gallo allo stesso Esculapio. Infatti Artemidoro di Daldi, in base a
quanto riferito da Giglio Giraldi, narra il sogno di un’altra persona
che promise un gallo a Esculapio se fosse diventato sano. Inoltre
offrivano allo stesso dio anche le galline, come riferisce Festo, per
cui Giovenale diceva: Fa
piacere stare ad aspettare che qualcuno sacrifichi una gallina ammalata
e che sta chiudendo gli occhi per un amico tanto improduttivo,
cioè povero. Nonostante
anch’essi siano soliti promettere una gallina o un gallo, affinché il
dio della medicina si degni di concedere ai moribondi il giusto. |
Non
admittebantur vero Gallinae ad eiusmodi sacra, nisi, ut Alexander ab
Alexandro[9]
scribit, quae rostro essent nigro, nigrisque pedibus, et digitis
imparibus. Si enim rostrum pedesque lutea habuissent, velut impurae ab
aruspicibus credebantur. Plinius huius rei quidem mentionem facit, sed
de imparitate non{:} inquiens: Gallinae
luteo rostro pedibusque ad rem divinam purae non videntur: ad opertanea
sacra nigrae. Sed num istaec sacra ad Aesculapium pertineant
videndum foret. Ea autem seclusa vocabantur Graecis μυστήρια. |
Ma
erano ammesse a siffatti sacrifici solo quelle galline che, come scrive
Alessandro Alessandri, presentavano becco nero e zampe nere, e dita
dispari. Se infatti avessero avuto becco e zampe gialli venivano
ritenute impure dagli aruspici. Senza dubbio Plinio fa menzione di ciò,
ma senza parlare del numero dispari: Per i servizi divini non sono
ritenute incontaminate quelle con becco e zampe gialli: quelle nere sono
adatte per i riti segreti. Ma bisognerebbe analizzare se questi riti
riguardavano Esculapio. Infatti quelli che si svolgevano di nascosto
venivano detti dai Greci mystëria - riti segreti. |
Hoc
idem avium genus Herculi, eiusque uxori {Mnesias[10]} <Mnaseas>,
referente Aeliano[11],
miro modo {sacras} <sacrum> fuisse prodidit. Fuisse nempe templum
quoddam Herculis, et uxoris eius, hanc ceu Iovis filiam in huius templi
ambitu cicures aves multas nutrisse, nempe Gallos, et Gallinas,
compavisse autem, et gregatim pro sui generis sexu degisse, et sumptu
alites publico, diis, quos diximus, consecratos, Gallinas in aede {Hebae}
<Hebes>, Gallinaceos in Herculis pastos. Fluxisse autem in medio
rivum perennem, et {lympidae} <limpidae> aquae. Gallinarum nullam
ad Herculis templum accessisse, nec ullum Gallorum ad {Hebae} <Hebes>:
at suo tempore mares stimulatos libidine rivum transvolasse, et postquam
impleverant faeminas, ad Deum suum, et suas redisse sedes lustratos,
purgatosque interfluenti rivo, quo sexus uterque dispesceretur. Natis
deinde tempestive ovis, et exclusis incubitu pullis, faeminas novellas
matribus, mares genitoribus accessisse, et altos. Haec ille. Quae
nunquid vera sint, alii iudicent. Mihi sane vel fabulam sapere videtur,
vel daemonis arte facta. |
In
base a quanto riferisce Eliano,
Mnasea ha riferito che questo stesso
genere di volatili fu particolarmente sacro a Ercole e alla sua
consorte - Ebe. C’era appunto un tempio di Ercole e di sua moglie, e
costei in quanto figlia di Giove entro il perimetro di questo tempio
allevava molti volatili domestici, cioè galli e galline, ma che avevano
paura, e che vivevano in branco suddivisi per sesso di appartenenza, e
che erano uccelli - mantenuti - a spese pubbliche, consacrati agli dei
che abbiamo detto, le galline nel tempio di Ebe, i galli erano allevati
in quello di Ercole. Ma in mezzo scorreva un canale perenne e di acqua
limpida. Nessuna delle galline accedeva al tempio di Ercole, né alcun
gallo a quello di Ebe: ma a tempo opportuno i maschi stimolati dal
desiderio sessuale attraversavano a volo il canale e dopo aver fecondato
le femmine facevano ritorno al loro dio e alle loro dimore purificati e
purgati dal canale che scorreva in mezzo, dal quale veniva separato il
sesso di appartenenza. Quindi, dopo che le uova erano schiuse a tempo
debito e che i pulcini erano nati grazie all’incubazione, le giovani
femmine se ne andavano con le madri, i maschi coi padri, e venivano
allevati. Queste le sue parole. Giudichino altri se queste cose sono
vere. In verità a me sembra che abbiano o il sapore di una favola, o
che siano opera dell’abilità di un demone. |
Plutarchus[12],
Aegyptios scribit, Osiridi Gallum immolare solitos, alias album, alias
nigrum: supera {syncera} <sincera>, et manifesta infera mixta, et
varia innuentes. Alibi etiam Hermanubidi[13]
immolasse tradit, et Anubidi. Est autem vocabulum, ut videtur, Graecae
originis, ὁ
ἀναφαίνων τὰ
οὐράνια καὶ
τῶν ἄνω <φερομένων>[14]
λόγος,
hoc est, ratio superiorum, et caelestia declarans, uti Hermanubis
inferiora, sacrificabant autem utrique Gallum, illi album, quod ut
diximus, caelestia pura, et lucida sint, huic κροκίαν[15],
hoc est, pennis, et iubis croceis praeditum, Gyraldus[16] etiam croceum
transtulit. Sed videndum nunquid pro κροκίαν,
κορακίαν
legendum sit, hoc est nigrum, quem etiam Osiridi diximus sacrificasse. |
Plutarco
scrive che gli Egiziani erano soliti immolare un gallo a Osiride, a
volte bianco, a volte nero: volendo significare che le cose celesti sono
pure e inequivocabili, le cose che stanno in basso sono miscelate e
ambigue. In un altro punto riferisce che immolavano anche a Ermanubi e
ad Anubi. A quanto pare si tratta di un vocabolo di origine greca, ho
anaphaínøn tà ouránia kaì tôn ánø pheroménøn lógos,
cioè, la causa di ciò che sta in alto e che mostra le cose celesti,
come Ermanubi ciò che sta in basso, e sacrificavano un gallo ad
ambedue, bianco al primo, in quanto, come abbiamo detto, le cose celesti
sono pure e limpide, al secondo un gallo krokían,
cioè, dotato di penne e di mantellina color zafferano, e anche Giglio
Giraldi ha tradotto con croceo. Ma bisogna vedere se invece di krokían bisogna leggere korakían,
cioè nero, che abbiamo detto sacrificavano anche a Osiride. |
Albos
immolare apud Epirotas ex usu fuisse vel inde constat, quod Pyrrhus rex,
ut idem Gyraldus[17]
testatur, splene laborantibus medens, albo Gallo sacrum perageret.
Author est quoque in citato paulo ante libro Plutarchus Magos Zoroastris
exemplo <canes,> Gallinas, et terrestres echinos Bono Deo
attribuisse, aquaticos[18] autem Malo. |
Presso
gli abitanti dell’Epiro immolare quelli bianchi proveniva da una
consuetudine oppure dipendeva dal fatto che il re Pirro, come
testimonia lo stesso Giraldi, siccome curava gli ammalati di milza,
faceva una cerimonia sacra usando un gallo bianco. Sempre nel libro
citato poco prima, Plutarco riferisce che i sacerdoti dei Persiani
sull’esempio di Zoroastro attribuivano al dio buono i cani, le galline e i ricci terrestri, ma quelli
d'acqua al dio
cattivo. |
[1] De falsa sapientia III,20. (Aldrovandi) – Il De falsa sapientia costituisce il III libro delle Divinae institutiones e non è pubblicato nel web (22 giugno 2008).
[2] Lectionum Antiquarum XVI,12. (Aldrovandi)
[3] Onirocriticon. (Aldrovandi) - Onirocriticon liber V. (Conrad Gessner)
[4] Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 408: Artemidorus quoque in libro Onirocriticon quinto, somnium cuiusdam narrat, qui gallum Aesculapio vovit, si sanus foret, Gyraldus. Et rursus in libro de Symbolis Pythagorae. Aesculapio gallus immolabatur. sunt qui gallinas scribant, et has quidem rostro nigro, nigrisque pedibus, et digitis imparibus. Si enim luteo essent rostro, vel pedibus, impurae putabantur ab aruspicibus. - Negativa la ricerca in Historiae Deorum Gentilium, per cui è verosimile che la notizia di Artemidoro sia contenuta nel Symbolorum Pythagorae Interpretatio.
[5] Festo parla di galline immolate a Esculapio alla voce In Insula del suo De verborum significatione: In Insula – Aesculapio facta aedes fuit, quod aegroti a medicis aqua maxime sustententur. Eiusdem esse tutelae draconem, quod vigilantissimum sit animal: quae res ad tuendam valetudinem aegroti maxime apta est. Canes adhibentur eius templo, quod is uberibus canis sit nutritus. Bacillum habet nodosum, quod difficultatem significat artis. Laurea coronatur, quod ea arbor plurimorum remediorum. Huic gallinae immolabantur.
[6] Satira XII, 95-97: Libet expectare quis aegram | et claudentem oculos gallinam inpendat amico | tam sterili;. – Aldrovandi nella nota a bordo pagina riporta la satira 2, ma si tratta evidentemente di un errore dovuto a un'eccessiva fiducia in Gessner, oppure, a un sistematico download da Gessner senza alcuna verifica. Ecco Gessner a pagina 456 della Historia animalium III (1555): Libet expectare quis aegram | Et claudentem oculos gallinam impendat amico | Tam sterili, (pauperi,) Iuvenalis Sat. {2.} <12.> immolabant enim nimirum diis, praesertim Aesculapio, pro salute et sanitate donanda gallinas.
[7] Apotheosis. (Aldrovandi)
[8] Si emenda in base a un'edizione di Opera Aurelii Prudentii Clementis (cura Rud. Langii, edit. R. Paffroet, Deventer, circa 1490).
[9] Gessner attribuisce la citazione a Giglio Gregorio Giraldi e non ad Alessandro Alessandri. - Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 408: [...]Gyraldus. Et rursus in libro de Symbolis Pythagorae. Aesculapio gallus immolabatur. sunt qui gallinas scribant, et has quidem rostro nigro, nigrisque pedibus, et digitis imparibus. Si enim luteo essent rostro, vel pedibus, impurae putabantur ab aruspicibus. – Giglio Gregorio Giraldi Historiae Deorum Gentilium Syntagma XVII: Aesculapio de capra res divina in primis fiebat, quoniam capra nunquam sine febre esse dicitur: salutis vero deus Aesculapius. Sed et gallus illi immolabatur, ut est alibi a me dictum. Sunt qui gallinas scribant, et has quidem rostro nigro, nigrisque pedibus, et digitis imparibus. Si enim luteo essent rostro, vel pedibus, impurae putabantur ab aruspicibus. – Karin Zeleny nel suo studio sulle Historiae Deorum Gentilium del 1999 riporta che Giraldi scrisse il trattato citato da Gessner, contenuto in Libellus in quo aenigmata pleraque antiquorum explicantur - Paroeneticus Liber adversus ingratos - Symbolorum Pythagorae Interpretatio, cui adiecta sunt Pythagorica Praecepta mystica a Plutarcho interpretata - Libellus quomodo quis ingrati nomen et crimen effugere possit (Basileae 1551). Nulla vieta che la stessa frase riportata da Gessner e tratta dal liber de Symbolis Pythagorae sia contenuta pari pari nel Syntagma XVII delle Historiae Deorum Gentilium. -Io credo a Gessner e non ad Aldrovandi.
[10] Liber de amoribus Iovis. (Aldrovandi) - Eliano invece scrive: “Mnasea, nel suo trattato sull’Europa, parla di un tempio dedicato a Eracle [...]” (La natura degli animali XVII,46 - traduzione di Francesco Maspero)
[11] La natura degli animali XVII,46. (Aldrovandi) - Aldrovandi ha già citato questo tempio a pagina 206.
[12] De Iside et Osiride. (Aldrovandi) - Lind così scrive: “Plutarch De Iside et Osiride is the reference given, but it has no such statement in it that I can find.” (1963) Lind probabilmente ha ragione, in quanto anche la mia ricerca in Plutarco è stata negativa. Dovrebbe trattarsi di una pura invenzione di Aldrovandi.
[13] Ermanubi viene citato da Aldrovandi anche a pagina 188. § Plutarco, Moralia, Iside e Osiride 61 – 375d-e: Ὁ δὲ Ὄσιρις ἐκ τοῦ ὁσίου <καὶ> ἱεροῦ τοὔνομα μεμιγμένον ἔσχηκε· κοινὸς γάρ ἐστι τῶν ἐν οὐρανῷ καὶ τῶν ἐν ᾅδου λόγος· ὧν τὰ [375e] μὲν ἱερὰ, τὰ δὲ ὅσια τοῖς παλαι ἔθος ἦν προσαγορεύειν. Ὁ δ' ἀναφαίνων τὰ οὐράνια καὶ τῶν ἄνω φερομένων λόγος Ἄνουβις, ἔστι δὲ ὅτε καὶ Ἑρμάνουβις ὀνομάζεται, τὸ μὲν, ὡς τοῖς ἄνω, τὸ δὲ, ὡς τοῖς κάτω προσήκων. Διὸ καὶ θύουσιν αὐτῷ τὸ μὲν λευκὸν ἀλεκτρυόνα, τὸ δὲ κροκίαν, τὰ μὲν εἰλικρινῆ καὶ φανὰ, τὰ δὲ μικτὰ καὶ ποικίλα νομίζοντες. § Sic ergo Osiris nomen habet ex hosio et hiero (quod est sancto et sacro) conflatum: communis enim est ratio eorum quae in coelo et apud inferos sunt, quorum altera hiera, altera hosia veteres nuncupabant. Jam qui coelestia ostendit Anubis, superiorum quasi ratio (ano enim supra est), aliquando etiam Hermanubis usurpatur: altero nomine superioribus, altero inferis scilicet conveniente: itaque ei immola{ba}nt alias album, alias flavum gallum: supera sincera et manifesta, infera mixta et varia esse docentes. (Plutarchi Scripta Moralia tomus primus, Frederic Dübner, Parisiis, Editore Ambrosio Firmin Didot, 1868) § Osiride ha ricevuto il nome dall'unione di hósios (santo) e hierós (sacro): infatti il modo di esprimere le cose che stanno in cielo e agli inferi è equivalente; e gli antichi avevano l'abitudine di chiamare hierà (sacre) le prime, hósia (sante) le seconde. Siccome Anubi è colui che svela le cose celesti e la spiegazione razionale delle cose che si muovono verso l'alto, e talvolta è anche chiamato Ermanubi, in quanto il primo nome riguarda ciò che sta in alto, il secondo ciò che sta in basso. Per cui gli immolano anche un gallo bianco nel primo caso, nel secondo caso uno color zafferano, volendo significare nel primo caso le cose pure e pulite, nel secondo caso le cose mescolate e multiformi. (traduzione di Elio Corti – revisione di Roberto Ricciardi)
[14] Giglio Gregorio Giraldi, Historiae Deorum Gentilium Syntagma IX: qui et alio loco eiusdem libri, Anubin et Hermanubin sic distinguere videtur, ὁ δὲ ἀναφαίνων τὰ οὐράνια, καὶ τῶν ἄνω φερομένων Ἄνουβις, λόγος. Ἔστιν δὲ ὅτε καὶ Ἑρμάνουβις ὀνομάζεται. hoc est, Ratio coelestia, et quae superius feruntur ostendit Anubis, est et quando Hermanubis vocetur.
[15] Il sostantivo maschile κροκίας in Plutarco De Iside et Osiride 375e significa color zafferano, riferito al gallo. § Per l'analisi di generica storica relativa al piumaggio fulvo, si veda Il gallo di Ermanubi, il primo pollo color zafferano.
[16] Lilius Gregorius Gyraldus, Historiae Deorum Gentilium Syntagma XVII: Est et apud Plutarchum in libro Isidis et Osiridis, ubi de Anubi agit, et Hermanubi: Ad hunc, inquit, inferiora, sicut ad illum superiora pertinent: quapropter illi candidum gallum, huic croceum immolant.
[17] Lilius Gregorius Gyraldus,
Historiae Deorum Gentilium Syntagma XVII: Sed
Pyrrhus quoque rex, cum splene laborantibus mederetur, albo gallo sacrum
peragebat. (Basileae,
Oporinus 1548)
[18] Il
testo greco di Plutarco (Iside e Osiride 46,267-268) cui
fa riferimento la citazione di Aldrovandi – tratta da Gessner – si
presenta in due versioni diverse. In una versione troviamo quanto proposto
da Aldrovandi (che omette i cani) e ovviamente da Gessner, nell'altra quanto
proposto dalla traduzione inglese del testo di Plutarco pubblicata dalla Loeb
Classical Library. Si tratta di accettare τοὺς ἐνύδρους
(quelli d'acqua) oppure μῦς
ἐνύδρους (topi
d'acqua). È un problema che Gessner già si era posto in Historia
animalium I (1551) pagina 830 disquisendo De
mure aquatico e che
troveremo dopo le citazioni inerenti il brano in discussione. Vedremo che
quasi per ironia della sorte Gessner salva dalle grinfie degli Zoroastriani
il ratto delle chiaviche (che forse collaborò nel farlo morire di peste il
13 dicembre 1565) per sostituirlo, da un esatto punto di vista linguistico,
con la tartaruga d'acqua. L'analisi di questi dati è presente nel lessico
alla voce ratto. § Andiamo con ordine e vediamo i vari testi in sequenza,
nei quali compariranno ricci di mare oppure topi d'acqua. Non stiamo a
discutere se ὄρνιθας
va tradotto con polli/galline oppure più
genericamente con uccelli. § Conrad Gessner Historia
animalium III (1555) pagina 456: Magi Zoroastren secuti canes,
gallinas (ὄρνιθας)
et terrestres echinos bono deo attribuunt, aquaticos
autem malo, Plutarchus in libro de Iside et Osiride. § Fredericus
Dübner:
Καὶ
γὰρ τῶν φυτῶν
νομίζουσι τὰ
μὲν τοῦ
ἀγαθοῦ θεοῦ,
τὰ δὲ τοῦ
κακοῦ δαίμονος
εἶναι·
καὶ τῶν
ζῴων,
ὥσπερ κύνας
καὶ ὄρνιθας
καὶ χερσαίους
ἐχίνους,
τοῦ ἀγαθοῦ·
τοῦ δὲ φαύλου,
τοὺς
ἐνύδρους
εἶναι· διὸ
καὶ τὸν
κτείναντα
πλείστους
εὐδαιμονίζουσιν.
- Nam et de
stirpibus ita judicant, quasdam boni dei esse, mali quasdam genii: et
animalium alia, ut canes, aves, et echinos terrestres, bono, aquaticos malo
adjudicant; itaque et beatum eum praedicant, qui plurimos interfecerit. (Plutarchi
Scripta moralia Graece et Latine – Fredericus Dübner
– Parisiis - Firmin Didot – 1868) § W. Sieveking: Καὶ
γὰρ τῶν φυτῶν
νομίζουσι τὰ
μὲν τοῦ
ἀγαθοῦ θεοῦ,
τὰ δὲ τοῦ
κακοῦ δαίμονος
εἶναι, καὶ τῶν
[369.F] ζῴων
ὥσπερ κύνας
καὶ ὄρνιθας
καὶ χερσαίους
ἐχίνους τοῦ
ἀγαθοῦ, τοῦ [δὲ]
φαύλου μῦς
ἐνύδρους
εἶναι· διὸ
καὶ τὸν
κτείναντα
πλείστους
εὐδαιμονίζουσιν.
(ed. W. Sieveking, Plutarchi
moralia, vol. 2.3, Leipzig 1935) § Loeb Classical Library:
In fact, they believe that some of the plants belong to the good god and
others to the evil daemon; so also of the animals they think that dogs,
fowls, and hedgehogs, for example, belong to the good god, but that
water-rats belong to the evil one. (published in the Loeb Classical Library,
1936) § Conrad Gessner Historia animalium I (1551) pagina 830 De
mure aquatico. Magos qui Zoroastren sectantur, imprimis colere aiunt
herinaceum terrestrem, maxime vero odisse mures aquaticos (μῦς
ἐνύδρους,)
& quo quisque plures occiderit, eo chariorem deo
felicioremque existimare, Plutarchus Symposiacorum quarto quaestione ultima.
Et
mox, Quare Judaei etiamsi execrarentur suem, occidere deberent, ut magi
mures. Caeterum in Commentario de Iside, magos scribit animalia quaedam boni
daemonis esse putare, ut canes & gallinas, & terrestres echinos:
mali autem aquaticos esse, τοὺς ἐνύδρους
εἶναι:
lego τοὺς ἐνύδρους
μῦς,
ex superioribus locis. An vero aquaticos mures
intelligat illos de quibus hic scribimus, incertum est; ego testudines
aquaticas potius, (nam has quoque mures appellant,) intellexerim. §
Plutarco Convivialium disputationum Liber IV Quaestio V Utrum
suem venerantes Iudaei, an potius aversantes, carne eius abstineant.
Magos autem, qui a Zoroastre descendunt, terrestrem echinum quam maxime
venerari, mures aquatiles [τοὺς
ἐνύδρους
μῦς]
odisse, diisque carum et beatum judicare eum qui
plurimos interfecerit. Existimo autem Judaeos, si abominarentur porcum,
interfecturos eum fuisse, sicut mures [τοὺς
μῦς]
necant magi: nunc tam interficere, quam edere suem iis
est religio. (Plutarchi Scripta moralia Graece et Latine –
Fredericus Dübner – Parisiis -
Firmin Didot – 1868)