Proseguiamo con le razze italiane: Robusta lionata, Robusta maculata ed Ermellinata di Rovigo

di Focardi Fabrizio

Non ho mai nascosto il mio scetticismo quando si parla del recupero di alcune vecchie razze italiane.

Non è che per questo manchi di “patriottismo”: le ragioni sono altre. Prima di tutto, la scarsa perseveranza dell’allevatore italiano – comunque: chi è senza peccato scagli la prima pietra (compreso lo scrivente) – , e poi il basso numero di allevatori su cui si può contare.
La Livorno, l’Ancona, la Valdarno e la Siciliana sono discretamente decollate, così come, anche se con meno slancio, la Polverara . Stentano invece, per la necessità di ampi spazi, le oche ed i tacchini; va bene invece l’anatra Germanata Veneta.

In alcuni siti internet si sbandierano presunti facili recuperi di polli italiani dalle caratteristiche produttive accattivanti. Nella maggior parte dei casi, per la mancanza di una benché minima popolazione con cui iniziare una selezione – aggravata dall’insufficiente materiale storico disponibile -, l’impresa si prospetta molto ardua, ma soprattutto si corre il rischio di riportare in vita qualcosa che non è mai esistito.
Preferisco quindi scoraggiare, piuttosto che illudere. Molte “razze” sono veramente state meteore prive di una seria selezione e, di conseguenza, con caratteristiche variabili; ma, quando invece esiste una qualche possibilità di riuscita, molto volentieri mi rendo disponibile e, con entusiasmo, mi metto alla ricerca di tutto quanto può essere utile all’allevatore.
Ho iniziato, nel passato Notiziario, con la Romagnola e continuo ora con altre due razze: la “Robusta Lionata” e la consorella “Robusta Maculata”. Se l’argomento sarà per voi interessante mi propongo di continuare: non avrete che da chiedere.

Nonostante queste siano razze non riconosciute, mi giunge voce che siano allevate da un buon numero di allevatori, e non solo nel Nord Est italiano, dove hanno avuto origine.
Immagino sia merito della loro duplice attitudine: 160/170 uova all’anno di circa 55/60 g. e ottima carne per chi gradisce la pelle gialla.
Premetto che non rientrano fra le mie simpatie, ma questo poco conta, e poi forse qualcuno di voi potrà farmi cambiare opinione.
Ricordo di averle ambedue già viste, alla fine degli anni ’80, esposte in mostre ANSAV, e, guardando fra le mie innumerevoli scartoffie, ho ritrovato gli standard che allora circolavano su pagine dattiloscritte.
Non chiedetemi come mai non siano state inserite nel nostro libro standard, non lo ricordo: forse perché quando fu edito erano già da lungo tempo sparite, o forse per una dimenticanza, o forse perché non si riteneva che avessero raggiunto una sufficiente omogeneità.
Non si può comunque definirle vecchie razze italiane – la loro selezione è abbastanza recente -, né tanto meno autoctone, come furono ridicolmente definite in un articolo su una rivista specializzata alcuni anni fa.

In tutti, o quasi, gli scritti che mi sono capitati fra le mani vengono definite “razze sintetiche”. Confesso che questa definizione necessiterebbe, da parte del suo ideatore, di una spiegazione. Per sintesi si intende che, partendo da una serie di elementi singoli, si giunga ad una conclusione unitaria. Nel nostro caso: incrociando polli diversi si è arrivati alle due razze. Niente di più o di meno di quello che è avvenuto con molte delle razze oggi esistenti

Cominciamo intanto col far chiarezza sul significato della parola “razza”: una razza consiste in una serie omogenea di soggetti contraddistinti da comuni caratteri esteriori ed ereditari; una razza pura si identifica in condizioni di ampia omozigosità del genotipo.
“Selezione” è un termine generico che indica la scelta dei riproduttori secondo determinati criteri, indipendentemente che appartengano o no alla stessa razza.
Una selezione può mirare a fissare determinate caratteristiche che possono avere una funzione economica – produzione delle uova, modifica della muta, precocità di sviluppo e qualità della carne – o una funzione morfologica. Quest’ultima riguarda le caratteristiche esteriori, e quindi la loro corrispondenza allo standard della razza: colore del piumaggio, dei tarsi e degli orecchioni; caratteristiche della cresta o dei bargigli; portamento, ma anche mole e temperamento.
Spesso, nella selezione di mantenimento che noi facciamo, si arriva a tralasciare completamente quella economica dando invece massima importanza a quella morfologica.
Questo non è del tutto giusto in quanto una razza deve possedere le caratteristiche morfologiche richieste, ma anche quelle economiche.
Solo che quest’ultime non sono determinabili dal giudice, quindi, anche se ingiustamente, spesso non sono prese in considerazione dall’allevatore.
Due razze pure possono essere usate per la creazione di ibridi, che difficilmente trasmetteranno le stesse loro caratteristiche alla prole se non viene seguito un programma genetico.

Le nostre due razze sono state selezionate nel 1965 dalla Stazione Sperimentale di Pollicoltura di Rovigo. Le razze che hanno maggiormente contribuito alla loro creazione sono state la Orpington fulva e la White America.
E qui è bene fare una importante precisazione: niente da dire sulla Orpington, ma la White America fa parte di quei ceppi, creati con l’incrocio di linee pure di razze diverse, che hanno subìto una selezione per scopi economici; non è dunque assicurata una stabilità genetica delle caratteristiche morfologiche.

Ecco l’origine della White America che Giancarla Pozzi dà nel suo libro”Le Razze dei Polli – 1961″:

«Creata nel Massachusset, sembra partendo da una mutazione bianca della Barnevelder.
I pulcini così nati si dimostrarono assai robusti e vennero allevati e riprodotti tra di loro. Le uova erano color rossastro e grosse, ma i pulcini erano di lenta crescenza.
Fu allora praticato l’incrocio con la razza Rhode Island ed i discendenti furono poi sottoposti a rigorosa selezione scegliendo, come riproduttori, esclusivamente i soggetti a livrea bianca e che corrispondevano ai piani previsti, per conformazione, precocità, facilità dell’impiumamento (sic), intensità di fetazione.
Si suppone che alla formazione della White America abbiano partecipato anche altre razze quali la Leghorn White (Livorno di selezione americana, ndr), o la White Rock (Plymouth Rock bianca, ndr), data la cresta piegata di lato che è della Leghorn e non delle altre razze formative, pur non escludendo che sia un carattere nuovo congiunto semplicemente alla nuova costituzione del genotipo, per gli incroci praticati e la successiva selezione.
In complesso, i soggetti della White America, presentano caratteristiche vantaggiose, essendo di precoce sviluppo, rustici, di rapido impiumamento, di conformazione arrotondata e ben carnosa, con scheletro leggero, zampe brevi e di colore giallo, così come è gialla la pelle.
La deposizione (all’inizio le uova pesavano g. 50 e successivamente da 55 a 60) si mantiene su buone medie. L’alimentazione non è ricercata né costosa, e la conversione in carne è redditizia.
Le uova hanno il guscio resistente e di colore scuro. »

Mi sembra di capire che la White America fosse un crogiuolo di geni raccattati a destra e a manca, alcuni meglio fissati con la selezione, ma gli altri?

Sarebbe interessante conoscere lo stato attuale dei soggetti esistenti. A questo scopo, riporto i due standard ANSAV che ho ritrovato. Sono un po’ stringati, ma come inizio possono andare.
Quello che mi preoccupa maggiormente è il disegno e la colorazione della Maculata. È un disegno non standardizzato in nessuna razza e non chiaramente descritto nello standard riportato, e, pertanto, di difficile interpretazione.
Sono dell’opinione che la White America debba influire negativamente sull’omogeneità del risultato.
Si parla di «grosse macchie di color grigio scuro fino a nero diffuse irregolarmente su tutto il corpo»: purtroppo non è abbastanza. Le macchie hanno una forma? Sono all’apice della penna? Il colore della macchia deve essere pulito? Lo stacco deve essere netto? Se le macchie sono troppo estese possono dar luogo a zone di colore, come ad esempio nel petto dell’Amburgo: è accettabile o è da considerarsi difetto?
Del resto l’omogeneità del disegno e del colore è basilare. Vorrei quindi conoscere dagli allevatori i risultati delle varie selezioni.
Colore e disegno della Lionata si identificano, più o meno, nella nostra “Fulva a coda nera”.
Una sola richiesta mi lascia perplesso: «tutte le penne caudali finiscono nere con brillantezza verde».
Si intende che le timoniere – nei due sessi – e falciformi – nel gallo – cominciano fulve per finire all’estremità nere? Ma in che misura? Una penna che comincia fulva difficilmente riesce ad avere una estremità di un nero brillante a riflessi verdi; è più facile che sfumi dal fulvo al bruno nerastro.
Ricordo ben poco dei soggetti che ho visto tanti anni fa, ma nella foto che ho davanti mi sembra che la coda della gallina abbia solo le timoniere leggermente sfumate di grigiastro, mentre il gallo abbia nere solo le falciformi e le timoniere più o meno come la gallina.

Appare evidente che senza l’aiuto degli allevatori poco si potrà fare.
Sarebbe necessario che uno di loro si prendesse l’onere di coordinatore: altro non dovrebbe fare che stilare un elenco degli allevatori con il numero approssimato dei soggetti allevati delle due razze, e, oltre a collaborare con il CTS, raccogliere i suggerimenti da sottoporre poi a valutazione.
Mi auguro veramente che almeno uno di buona volontà si faccia avanti, altrimenti forse non vale neanche la pena di cominciare.
Il passo successivo sarà un confronto delle diverse linee, magari ai prossimi Campionati Italiani.

Fabrizio Focardi

Per chi mi volesse contattare ecco i miei recapiti:
– Telefono: 055 8303272 (preferibilmente dalle 15,30 alle 19,00)
– E-mail: fabrizio.focardi@hotmail.it

Bibliografia:
  • – Giancarla Pozzi, Le razze dei Polli, Bologna 1961
  • – Veneto Agricoltura: Opuscolo Progetto CO.VA.

Augurabile anche per altre Regioni è l’interesse della Regione Veneto a favorire l’allevamento delle loro razze avicole che, con la collaborazione di Veneto Agricoltura, ha organizzato il “Progetto CO.VA.”, pubblicizzato con un opuscolo in cui le razze vengono presentate con foto a colori e schede tecniche. Così recitano i loro fini:

« Interventi per la Conservazione e la Valorizzazione di razze avicole locali venete.
Veneto Agricoltura ha attivato per conto della Regione Veneto un progetto avicolo mirato alla salvaguardia di razze autoctone venete. L’intervento denominato CO.VA. (Conservazione e Valorizzazione di razze avicole venete), prende in considerazione alcune delle razze che per aspetti storici, socio-culturali e potenzialità produttive, sono state giudicate interessanti e meritevoli di tutela e valorizzazione.
Tra le cause dell’attuale limitata diffusione di queste razze, si possono citare la esasperante offerta di prodotti standardizzati e il diffuso impiego di incroci in grado di raggiungere elevate performance produttive. Tuttavia, lo sviluppo di microfiliere locali e di nicchia, quali strategia da contrapporre ai processi di globalizzazione dei mercati, sono oggi degli interventi particolarmente interessanti anche nel settore avicolo, con l’impiego di razze locali che per certi caratteri (rusticità e resistenza alle malattie) sono superiori agli ibridi commerciali. Anche in aree marginali tali caratteri possono dare risultati economici di tutto rispetto e testimonianza di un patrimonio genetico che non può essere assolutamente disperso. »

Robusta lionata

I – Generalità
Paese di origine: Italia. Rovigo 1965, Stazione di Pollicoltura. Selezionata da Orpington Fulva e White America.
Pesi Gallo: 3,8-4,2 kg.
Pesi Gallina: 2,8-3 kg.
Uova: Min. 55 g., color salmone.
Misura anello: Gallo II, Gallina III
Colorazione: Classica
Tipo ed indirizzo per l’allevamento Pollo con buona attitudine alla produzione di uova e di carne con accrescimento abbastanza rapido.

Robusta Lionata

Caratteristiche del gallo
Tronco: largo e profondo
Collo: medio lungo, leggermente arcuato.
Dorso: ben sviluppato, la linea collo-dorso-coda formano un arco ben equilibrato.
Petto: profondo, largo e ben sviluppato.
Ventre: Largo, profondo e ricco di piumaggio.
Ali: portate orizzontalmente e ben aderenti, medio lunghe.
Coda: corta e larga, timoniere parzialmente nascoste dalle falciformi.
Testa: piccola e ben arrotondata.
Cresta: semplice e dritta, medio grande con 5-6 dentelli.
Bargigli: di media grossezza, rotondi e rossi.
Orecchioni: rossi.
Faccia: liscia e fine nei tessuti.
Occhi: da arancione a rosso.
Becco: forte, leggermente convesso.
Cosce: carnose, plumole folte senza cuscini.
Tarsi: corti. Sottili, gialli, senza calza.
Caratteristiche della gallina
Caratteristiche: Più raccolta del gallo, identica nelle linee, coda corta.

Robusta Lionata female

Piumaggio: Struttura: folto, leggermente sciolto.
Colore e disegno: colore base giallo-fulvo in tonalità calda, mantellina con punti o pernicitura nera irregolare, remiganti con venatura bruna: nelle galline è ammesso leggero disegno sul groppone; tutte le penne caudali finiscono nere con brillantezza verde; pelle gialla.
Difetti Gravi: Corpo stretto; forma della Cocincina; cuscini; etto alto e piatto; coda aperta o a punta; pelle o tarsi bianchi;bianco negli orecchioni.

I – Generalità
Paese di origine: Italia. Rovigo 1965, Stazione di Pollicoltura. Selezionata da Orpington Fulva e White America.
Pesi Gallo: 3,8-4,2 kg.
Pesi Gallina: 2,8-3 kg.
Uova: Min. 55 g., color salmone.
Misura anello: Gallo II, Gallina III
Colorazione: Classica
Tipo ed indirizzo per l’allevamento Pollo con buona attitudine alla produzione di uova e di carne con accrescimento abbastanza rapido.
Robusta Lionata
Caratteristiche del gallo
Tronco: largo e profondo
Collo: medio lungo, leggermente arcuato.
Dorso: ben sviluppato, la linea collo-dorso-coda formano un arco ben equilibrato.
Petto: profondo, largo e ben sviluppato.
Ventre: Largo, profondo e ricco di piumaggio.
Ali: portate orizzontalmente e ben aderenti, medio lunghe.
Coda: corta e larga, timoniere parzialmente nascoste dalle falciformi.
Testa: piccola e ben arrotondata.
Cresta: semplice e dritta, medio grande con 5-6 dentelli.
Bargigli: di media grossezza, rotondi e rossi.
Orecchioni: rossi.
Faccia: liscia e fine nei tessuti.
Occhi: da arancione a rosso.
Becco: forte, leggermente convesso.
Cosce: carnose, plumole folte senza cuscini.
Tarsi: corti. Sottili, gialli, senza calza.
Caratteristiche della gallina
Caratteristiche: Più raccolta del gallo, identica nelle linee, coda corta.
Robusta Lionata female
Piumaggio: Struttura: folto, leggermente sciolto.
Colore e disegno: colore base giallo-fulvo in tonalità calda, mantellina con punti o pernicitura nera irregolare, remiganti con venatura bruna: nelle galline è ammesso leggero disegno sul groppone; tutte le penne caudali finiscono nere con brillantezza verde; pelle gialla.
Difetti Gravi: Corpo stretto; forma della Cocincina; cuscini; etto alto e piatto; coda aperta o a punta; pelle o tarsi bianchi;bianco negli orecchioni.

Robusta maculata

I – Generalità
Paese di origine: Italia. Rovigo 1965, Stazione di Pollicoltura. Selezionata da Orpington e White America.
Pesi Gallo: 3,8-4,2 kg.
Pesi Gallina: 2,8-3 kg.
Uova: Min. 55 g., rosato o bruno.
Misura anello: Gallo II, Gallina III
Colorazione: Classica
Tipo ed indirizzo per l’allevamento Buona attitudine alla produzione di uova e di carne, precocità media.

Robusta Maculata male

Caratteristiche del gallo
Tronco: largo e profondo
Collo: medio lungo, leggermente arcuato.
Dorso: largo sulle spalle, ben sviluppato.
Petto: profondo e lungo.
Ventre: lungo, profondo e ricco di piumaggio.
Ali: portate orizzontali e ben aderenti.
Coda: corta e larga.
Cresta: semplice, dritta, ben sviluppata, con 6-8 dentelli.
Bargigli: molto sviluppati, rossi.
Orecchioni: rossi.
Faccia: liscia e fine nei tessuti.
Occhi: da arancione a rosso.
Becco: forte, leggermente convesso.
Cosce: carnose, ricche di piume senza cuscini.

Robusta Maculata female

Caratteristiche della gallina
Caratteristiche: Assomiglia al gallo fino al dimorfismo sessuale.
Piumaggio: Struttura: sciolto, folto, liscio, pelle gialla.
Colore e disegno:
Gallo: mantellina bianco argento con fiamma nera sfondante; rimanente piumaggio argento oscuro con punti neri irregolari; remiganti, timoniere e falciformi neri con brillantezza verde.
Gallina: colore base bianco argento, grosse macchie di color grigio oscuro fino a nero diffuse irregolarmente su tutto il corpo.
Difetti Gravi: Corpo stretto; formazione di cuscini; petto alto e piatto; pelle e tarsi bianchi; bianco negli orecchioni.

Ermellinata di Rovigo

Eccoci arrivati a considerare un’altra razza, l’ultima, della serie definita da qualcuno “Razze Sintetiche”; devo ammettere che questa è quella che a me piace di più, molto probabilmente per la colorazione, che è la mia preferita.
Non credo di aver mai visto soggetti di questa razza. Più oltre, comunque, riporterò lo standard ritrovato, che fa parte, come quelli delle Robuste, delle pagine dattiloscritte che circolavano alle mostre ANSAV verso la fine degli ani ’80.
Molto di quanto ho detto nel mio precedente articolo vale anche per questa razza: penso non vi sarà difficile discernerlo dal resto.

La selezione iniziò presso la “Stazione Sperimentale di Pollicoltura” di Rovigo nel 1959, incrociando polli Sussex e Rhode Island, che forse però non furono i soli che concorsero alla nascita di questa razza.
Fu fatta, in seguito, una selezione motivata prevalentemente da scopi economici: negli anni ’50 si cercava di risollevare l’avicoltura immettendo sul mercato ceppi che potevano fare concorrenza agli incroci americani; fu data quindi la precedenza a caratteristiche importanti come crescita e impennamento veloce, resistenza alle comuni malattie e buona deposizione di uova grosse e di colore bruno chiaro.
L’idea era soprattutto di creare un pollo di ottima carne, ma le cui galline fossero anche buone ovaiole. Della discendenza furono preferiti i soggetti della colorazione della Sussex, ma i tarsi furono selezionati gialli; questo molto probabilmente perché in Italia, chi doveva consumare il prodotto, aveva la convinzione che il tarso e la pelle gialli fossero sinonimo di carne migliore.
Non sono un consumatore assiduo di carne di pollo, quindi non posso dare un giudizio per esperienza diretta; ma da quello che leggo sulla vecchia letteratura, negli altri Paesi si è sempre pensato il contrario: cioè che la carne migliore fosse quella delle razze a tarsi scuri o biancastri, come per esempio le razze francesi quali la Bresse – rispetto alla quale non è da meno la nostra Valdarno, sempre a carne bianca e tarsi ardesia -, la Faverolles, la Houdan e le inglesi Sussex e Dorking e tante altre razze definite “da carne”. A riprova di ciò, la Livorno – razza a pelle e tarsi gialli -, in alcuni libri anche italiani, è definita una razza dalla carne non particolarmente prelibata.
In effetti, per quello che ho potuto osservare maneggiando i polli, mi sono reso conto che la pelle bianca è in genere più sottile e l’accumulo di grasso sottocutaneo è minore; ma non è mia intenzione sfatare un mito così radicato: anche secondo mia madre la pelle gialla e le uova scure erano, senza ombra di dubbio, le migliori.

Spero che esista un buon numero di allevatori di questa razza e mi auguro che i soggetti esistenti non siano troppo lontani dallo standard.
L’unica colorazione di questa razza, la Bianca Columbia Nero, non è così facile da mantenere come potrebbe sembrare: una cosa è allevare per produrre uova e carne, un’altra è farlo per portare i soggetti alle mostre; e, quando si ha a che fare con uno standard, quello che prima passava inosservato, dopo potrà diventare un difetto, non sempre facile da eliminare.
Comunque, come si suol dire, “Roma non fu fatta in un giorno”: non pretendo quindi, oggi, la perfezione. Vedremo insieme quello che esiste e dove c’è da lavorare. I soggetti che ho visto in internet peccano soprattutto nel disegno, specialmente della mantellina: le fiamme sono scarse in ambo i sessi e presenti solo nella parte bassa. Questo non sarebbe cosa gravissima – nello standard si potrebbe anche richiedere una mantellina con un disegno non troppo importante -, ma il nero dovrà essere intenso e brillante con riflessi verdi, e, sempre in base a quello che ho potuto vedere, il colore mi sembra più grigiastro che nero.
Sono anche curioso di conoscere il colore del piumino.
Ho parlato molto, in alcuni recenti notiziari, della colorazione “Bianca Columbia Nero”, proprio a proposito della Sussex, ed a questi articoli, oltre che allo standard, potrete fare riferimento per valutare i vostri animali.

È importante che tutti gli allevatori collaborino col CTS. Prima di tutto per attestare la situazione attuale – numero dei soggetti esistenti e loro condizioni – e poter così intervenire di conseguenza con un programma di recupero concordato.
Qui di seguito lo standard, che, come quello delle Robuste, non è particolarmente preciso, ma può servirci da base per decidere poi, insieme, cosa aggiungere.

Ermellinata di Rovigo

Ermellinata di Rovigo – (Standard)
Paese di origine: Italia, Rovigo. Stazione sperimentale di Pollicoltura; selezionata da Sussex e Rhode Island.
Pesi Gallo: 3.4-3,9 kg
Pesi Gallina: 2,6-3,1 kg
Uova: Min. 55 g. da rosato a bruno
Colorazione: Classica (Ermellinata) (Bianca Columbia Nero ndr)
Tipo ed indirizzo per l’allevamento Pollo con buone attitudini per la produzione di uova e di carne con accrescimento abbastanza rapido.
Caratteristiche del gallo
Tronco: largo e lungo, a forma di parallelepipedo.
Collo: medio lungo con mantellina ricca.
Dorso: lungo, portato orizzontale.
Petto: pieno e largo, ben arrotondato e profondo.
Ali: ben aderenti, medio lunghe, portate orizzontali.
Ventre: profondo, largo, ma non grasso.
Coda: di media grandezza, portata larga a 30/40°, con numerose falciformi di media lunghezza con barbe larghe e calami non troppo marcati; timoniere corte e poco visibili.
Testa: medio grande, piatta.
Cresta: semplice e dritta con 5-6 dentelli.
Faccia: rossa e fine nel tessuto.
Occhi: rossi, ammessi anche gialli.
Becco: medio forte,leggermente convesso, di color corno chiaro con cima scura.
Cosce: di media lunghezza, carnose, ben impiumate.
Tarsi: di media lunghezza con ossatura fine e senza calze, giall; venature rosse nel gallo non sono difetto.
Caratteristiche della gallina
Caratteristiche: Appare più piccola del gallo, con testa esile e cresta piccola e diritta a dentellatura regolare.
Piumaggio: Struttura: leggermente sciolto ma aderente, ricco.
Colore e disegno: tipico disegno ermellinato (Bianca Columbia Nero ndr) con disegno scuro non troppo accentuato.
Difetti Gravi: forma del corpo corta o stretta; piumaggio sottile; calami molto rigidi della coda; formazione di cuscini; ossatura grossolana.

Qualcuno di voi, fra i più giovani, si chiederà come mai si chiama “Ermellinata” quando invece la colorazione è “Bianca Columbia Nero”. La ragione è semplice: perché questa colorazione, in Francia, si chiamava e si chiama ancor oggi “Blanc herminé noir”; ermellinato è dunque il disegno nero – che ricorda quello dell’ermellino nel suo mantello invernale –, mentre bianco è il mantello.
La stessa colorazione, per un periodo e solo da alcuni, è anche stata chiamata “Chiara”, in riferimento al termine tedesco di allora “Hell”.
In verità è giusto chiamarla “Bianca Columbia Nero” perché questa colorazione fu presentata per la prima volta nella Wyandotte e gli fu dato il nome dello stato americano di “Columbia”, dove ebbe luogo l’esposizione.
Sia ben chiaro, dico questo solo per curiosità, e non perché vorrei cambiarle il nome: mi va benissimo Ermellinata di Rovigo nella colorazione Bianca Columbia Nero.

Coraggio dunque, fatevi avanti: “l’unione fa la forza”.

Per chi mi volesse contattare, ecco i miei recapiti:
– Telefono: 055.8303272 (preferibilmente dalle 15,30 alle 19,00)
– E-mail: fabrizio.focardi@hotmail.it

Esperienze di Allevamento Combattente Malese

di Focardi Fabrizio

Sarebbe interessante inaugurare una rubrica che, con la partecipazione degli allevatori, possa essere di aiuto a chi pratica o si avvicina al nostro hobby.
Come ho spesso sostenuto, l’esperienza – sia nell’allevamento che nella selezione – è un grande tesoro.
Anche se a noi capita di dare talvolta qualcosa per scontato, ad altri – per una nuova razza, o più semplicemente per iniziare il nostro hobby – potrà essere di grande utilità.
Allevare, come noi l’intendiamo, non è cosa semplice, proprio perché ogni razza ha diverse necessità di allevamento e, ovviamente, di selezione.

Personalmente ho la fortuna di avere molti amici allevatori stranieri, e va riconosciuto che per molti di loro la costanza è una virtù non così rara come da noi: molti allevano la stessa razza, nella stessa colorazione, da una vita; se ne può quindi dedurre che di esperienza ne abbiano da vendere.
Devo comunque confessare che anch’io non riesco a mantenere la stessa razza per lungo tempo.
Ho molte occasioni – ma è l’occasione che fa l’uomo ladro! -, scrivendo i miei articoli, di rivolgermi a questi “personaggi” ed il loro entusiasmo ed amore per i propri animali mi fa il più delle volte venire la voglia di “riprovarci”, e così si ricomincia.
Trovo comunque, nel mio comportamento, un lato positivo (ma forse altro non è che una facile giustificazione): allevando anche solo per due o tre anni una razza mi rendo conto delle difficoltà che può presentare, soprattutto nella selezione, e riesco pertanto a conoscerla meglio, più profondamente di quanto sarebbe accaduto se non l’avessi mai allevata; tutto ciò mi è di grande aiuto nel mio lavoro di giudice e membro del CTS.

Pulcini MaleseQuest’anno, per la preparazione della dispensa per il “Corso Giudici”, ho contattato Werner Lamkemeyer, allevatore e Presidente del “Club del Malese” tedesco.
Già ci conoscevamo reciprocamente, anche se non personalmente, per i rapporti avuti con Willem von Ballekom, segretario del “Asian Gamefowls Society”: il conoscersi però direttamente ci ha dato l’opportunità di far nascere una reciproca amicizia.

Inutile dire che il Malese mi ha subito affascinato e non ho saputo resistere all’offerta di ricevere 25 uova.
Mi sono arrivate in condizioni perfette, grazie anche all’ottimo imballaggio: sistemate dentro contenitori classici da 6/10 uova, ben inzeppati per mantenerle ferme, e questi, a loro volta, inseriti in una scatola molto grande, ma ben riempita di polistirolo espanso a scaglie.

Dopo averle tenute punta in giù per circa dodici ore le ho date a covare a 5 piccole gallinelle, senza particolari caratteristiche di alcuna razza, ma buone covatrici ed ottime madri.
Pochissime quelle chiare – solo quattro -, ma alla fine solo dodici si sono schiuse; nelle altre purtroppo le calaze non hanno retto al viaggio ed i pulcini, mal posizionati nell’uovo, non sono riusciti ad uscire; due sono morti poco dopo la nascita.
Era verso la fine di marzo: tardi per far nascere una razza così lenta. In compenso non era più così freddo ed ho potuto affidarli tutti alla chioccia più grossa. Gli ho alloggiati in una stalla, all’interno di un recinto di circa 15 m².
Fin dall’inizio hanno dimostrato grande vitalità e tanta intraprendenza, ma soprattutto una grande voracità: incredibile!, con le loro zampette raspavano ovunque, costantemente alla ricerca di cibo.
Ho iniziato con una buona miscela, primo periodo, con coccidiostatico.

Pulcini MaleseDopo alcuni giorni ho cominciato, alla sera, a buttare della verdura (cavolo, cicoria, o semplice erba, evitando le insalate: troppo acquose) tritata finemente, assolutamente ignorata per i primi giorni sia dalla chioccia che dai pulcini; poi, piano piano, hanno cominciato ad apprezzarla e quando la vedevano arrivare era festa!

A due settimane, per un necessario apporto di proteine animali, ho cominciato a dargli il mangime – assolutamente privo di pollo – che uso per Jago, il mio cane Pastore Tedesco: la razione era di due pellets a testa sbriciolate nel frullatore; l’accoglienza è stata identica a quella riservata alle verdure.

Finché sono rimasti chiusi avevano sempre a disposizione, in una vaschetta, del grit che uso per i miei pappagalli.
A circa tre settimane, col bel tempo, ho cominciato a farli uscire tenendoli fuori sempre più a lungo.
A circa tre mesi ho iniziato a somministrare, in aggiunta alla miscela, un misto di grani di pezzatura piccola, e una volta al giorno 4/5 pellets del solito mangime di Jago, dato a quel punto ovviamente intero.

A parte la miscela iniziale non ho mai fatto le cure preventive contro la coccidiosi, che in genere faccio a tutti i miei pulcini; era chiaramente visibile che non ne avevano assolutamente bisogno, sempre vispi e forti com’erano.
Li guardavo crescere, giorno dopo giorno: le zampe crescevano a vista d’occhio fino a diventare dei veri trampoli che si concludevano in dita lunghissime.
Nonostante la mole e l’età, verso i cinque mesi erano ancora dei pulcini e seguivano la madre che, cosa strana, continuava a proteggerli ed a chiamarli.
Non so la ragione del prolungamento della maternità di questa gallina: con altri pulcini le cure non si prolungavano oltre il primo mese, con questi invece fino a cinque mesi, o giù di lì; forse, anche se grandi e grossi, si rendeva conto che erano sempre bisognosi delle sue cure.
Hanno vissuto, e vivono tutt’oggi, in promiscuità con polli nani ibridi – circa 10 soggetti – e sei galline Livorno – che tengo solo per la produzione di uova – e, perlomeno fino ad ora, vanno abbastanza d’accordo.

Hanno circa sette mesi e non ho ancora sentito un chicchirichì: il loro interesse primario è mangiare e correre in giro.
Li apro la mattina molto presto e restano liberi tutto il giorno in circa cinquemila metri di terreno dove possono trovare, a seconda della stagione, erba e frutta.
Mi sono accorto che non disdegnano le ghiande intere.
Sono due galli e cinque galline della colorazione Frumento – gli altri, di altre colorazioni, li ho regalati: sono bellissimi, ma forse l’occhio del padrone prevale su quello del giudice.
Sono grandi ed hanno un brutto sguardo, ma sono molto domestici e pieni di fiducia nell’essere umano tanto che, anche da estranei, si lasciano accarezzare.

Pulcini Malese Pulcini Malese

Speriamo che duri: vivo con sole donne – moglie e figlie s’intende! – e non so cosa succederebbe se tirassero fuori il loro carattere da combattente.

L’abilitazione mirata nella preparazione dei giudici d’esposizione

di Bergamo Stefano

Apparso sul numero di gennaio/marzo di Avicoltura/Avicultura, il bell’articolo Giudizi diversi in mostre diverse, a firma di Marco Galeazzi, analizza quali possano essere i fattori di rilievo che contribuiscono ad influenzare la formulazione del giudizio finale su un soggetto in esposizione.

Premetto che condivido pienamente la disamina dell’amico Marco, che stimo molto come giudice e con il quale ho avuto modo di lavorare in diverse occasioni, e conseguentemente di imparare, approfondendo così le mie ancora limitate nozioni nel settore dell’avicoltura sportiva e amatoriale.
In questa sede vorrei tuttavia riprendere un passaggio del citato articolo, dal quale emergono alcune problematiche che ho già avuto modo di affrontare diverse volte parlando sia con esponenti della federazione, sia con giudici ed allievi giudici. Il punto cui mi riferisco tratta della preparazione dei giudici e mette in rilievo come sia ben difficile, se non impossibile, ‘conoscere e valutare in modo ugualmente corretto tutte le razze’, considerato che le stesse ammontano a ben 247, colorazioni escluse. Ragionamento ineccepibile ed incontestabile, che mette a nudo il cuore del problema: la difficoltà di memorizzare, elaborare e tradurre in una valutazione coerente una quantità così vasta di dati e nozioni.

Per ovviare all’inconveniente di cui sopra si potrebbe provare a convincere chi è dotato di memoria prodigiosa a diventare giudice federale, cercando i papabili, per esempio, tra i laureati alla Scuola Normale Superiore di Pisa o i ricercatori del CNR. Tali eredi di Pico della Mirandola potrebbero rivelarsi interessati a fare sfoggio delle proprie capacità mnemonico-cognitive anche alle mostre sociali organizzate nei vari angoli della Penisola. Forse.
Tuttavia, le probabilità di successo sembrano alquanto ridotte.
Una soluzione più realistica, quindi, potrebbe essere quella di tentare la strada delle riforme, modificando i criteri di preparazione ed abilitazione attualmente in uso, ed adottando un sistema di preparazione per gradi, che consenta all’allievo giudice di stilare il proprio ‘piano di studi’ sulla base degli interessi personali e con un occhio di riguardo per quelle che l’appassionato considera specie, razze e colorazioni speciali.
A questo punto, l’obiezione che già diverse volte mi è stata sollevata, nel corso delle conversazioni cui accennavo in precedenza, è che ‘l’Italia non ha le specializzazioni’. L’articolo di Marco costituisce già un segnale a mio parere positivo, in quanto precisa che la specializzazione nel nostro Paese ‘per il momento’ non esiste.

A motivo di tale peculiarità si adduce il fatto che la nostra Penisola conta poche e scarsamente popolate associazioni, che possono permettersi di invitare solo un (1) esperto giudice abilitato a giudicare tutte le razze in occasione delle mostre sociali di cui sopra.
Tale figura di esperto giudice è quello che nelle esposizioni canine si chiama un all-rounder, vale a dire un giudice a tutto tondo, completo di nozioni apprese per gradi, di razza in razza, su voluminosi manuali e dotato dell’esperienza derivante da anni di esercizio dell’attività di giudice. Tale figura esiste anche nel settore dell’avicoltura sportiva di molti Paesi europei, come Germania, Paesi Bassi, Belgio, ecc. (per fare un esempio, in Olanda tale qualifica è denominata “di categoria A”, opposto al tipo C che corrisponde al neo-abilitato: l’accostamento alle nostre serie A, B e C viene spontaneo!).
La qualifica di giudice di categoria A si ottiene dopo aver superato un esame di tipo generale (tassonomia, morfologia, genetica, colorazioni, ecc) suddiviso per specie avicola, e successivamente un esame teorico-pratico per ogni singola razza all’interno della specie prescelta.
In alcuni Paesi (tra cui Germania e Paesi Bassi) è previsto un limite al numero massimo di razze per le quali si può richiedere di sostenere l’esame, sia per il primo anno sia per gli anni successivi.
Tale numero massimo consentito va progressivamente aumentando di anno in anno, a volte addirittura in proporzione al numero di razze per le quali si è superato l’esame: è il caso dei Paesi Bassi, in cui un allievo giudice all’inizio della carriera non è autorizzato a studiare per più di tre razze, per un massimo di sei se di queste è presente anche la varietà nana. In seguito, col passare degli anni, il giudice determinato a conseguire la qualifica di all-rounder continuerà a sostenere l’esame su sei razze per anno, per finire con un esame annuale su dieci razze negli ultimi due anni.

Si vede quindi come il conseguimento della qualifica di all-rounder sia il coronamento di una carriera, un percorso di studio che dura una vita, che vede l’appassionato di avicoltura muovere i primi passi da giudice dando l’esame per la razza o il gruppo di razze che più gli stanno a cuore, e sulle quali si farà un punto d’onore di essere preparatissimo. Una volta superata la parte generale ed ottenuta l’abilitazione a giudicare la ‘propria’ razza, il novello giudice ha facoltà di continuare ad ampliare il novero delle razze per le quali farsi abilitare, sostenendo i relativi esami teorico-pratici. Se ne ha voglia, tempo e soprattutto interesse. Altrimenti, rimarrà un giudice preparatissimo su una specifica razza o gruppo di razze, destinato ad approfondire sempre più le proprie conoscenze in materia ed a ridurre al minimo eventuali contestazioni o dubbi sulla propria competenza.

Tornando al caso dell’Italia, il sistema attualmente in uso impone al novello giudice un percorso completamente opposto: per dirla alla siciliana, in Italia il giudice deve “nascere imparato”. Poca meraviglia desterà quindi il fatto che, non appena il giudice federale si cimenta con tutte le razze e colorazioni presenti ad una mostra, ci sia sempre qualche allevatore locale che si sente più preparato sulla propria razza, e che per umana debolezza non resiste alla tentazione di farlo notare. E – come ammette anche l’articolo di Marco – non sempre a torto. Perché non è umano chiedere ad un appassionato dell’elegante e delicata Sebright, per poter giudicare la propria razza, di imparare tutto quel che c’è da sapere sulle anatre, esponendosi a subire il fangoso fascino della Germanata veneta. O di accumulare nozioni sulle faraone, nella speranza che si lasci ammaliare dai loro deliziosi vocalismi, quasi fossero novelle sirene d’Ulisse. O infine, di soffermarsi a studiare nei minimi dettagli le carnose caruncole dei tacchini, salvo poi avere un’improvvida amnesia quando si trova di fronte al nobile ma ahimé non certo avvenente animale in carne ed ossa, che, gonfio d’orgoglio, ostenta le proprie scarlatte escrescenze a reclamare un parere da parte del malcapitato novello giudice, mentre quest’ultimo in realtà non chiedeva altro che di rimanere un fine cultore della leggiadra creatura selezionata oltremanica da Sir John Sebright.

A questo punto mi permetto quindi di sollevare alcune obiezioni:
– raramente il giudice unico invitato a giudicare un’intera mostra riesce a valutare da solo tutti i soggetti iscritti: è frequente infatti che ci sia qualche giudice o allievo giudice locale, o proveniente da associazioni limitrofe, che si offre o si trova costretto a dare una mano. Ecco quindi che la prassi viene a smentire che sia d’obbligo invitare un (1) solo giudice in esposizione;
– non è invece raro il caso di giudici federali o allievi tali che si recano, a proprie spese e per proprio interesse personale, a visitare questa o quell’altra mostra: ecco che una suddivisione delle razze fra i giudici presenti potrebbe avere luogo senza eccessivi esborsi da parte del comitato organizzatore, se solo detti spostamenti fossero coordinati;
– il suddividere l’intero scibile avicolo in una parte generale e – ad esempio – in gruppi di razze da affrontarsi uno per volta permetterebbe all’allievo giudice di farsi abilitare almeno in parte, e quindi di alleggerire in primo luogo la materia d’esame da portare, aumentando così le proprie probabilità di successo, ed in secondo luogo anche il carico di lavoro dei giudici all-rounder già abilitati: sembrerebbe chiaro che abilitare parzialmente alcune persone in più difficilmente ci porterà ad avere giudici in meno;
– si potrebbe infine, come si è fatto in altri Paesi europei, dare al giudice parzialmente abilitato, se invitato a giudicare ad una mostra, la possibilità di richiedere dall’Ordine dei giudici un’estensione temporanea dell’abilitazione anche alle razze sulle quali si trova ancora in corso di preparazione senza avere sostenuto l’esame (ad esempio, tale possibilità è prevista in Olanda per i giudici in possesso dell’abilitazione per almeno la metà delle razze presenti nello standard).

Spero di essere riuscito nell’intenzione di sottolineare i vantaggi di quella che in Italia si definisce specializzazione, ma che a mio parere meglio potrebbe chiamarsi abilitazione parziale o anche mirata. Poche razze ma conosciute in modo approfondito è la formula in uso in Europa per chi inizia l’attività di giudice, con esami dedicati che vertono su materiale circoscritto, a semplificare il compito sia dell’esaminando che dell’esaminatore. Può consolare il fatto che l’articolo di Marco, da cui queste mie osservazioni hanno tratto spunto, conclude dicendo che ‘ogni suggerimento, fattibile, è ben accetto’. Parola di esaminatore.

Wyandotte a disegno orlato

di Focardi Fabrizio

Finalmente una richiesta di un allevatore, Gian Paolo Bretti, che mi chiede notizie storiche e genetiche sulla razza che alleva da alcuni anni: la Wyandotte Oro Orlata Blu.
Colgo l’occasione per allargare l’argomento alle quattro colorazioni con orlatura riconosciute per questa razza, tutte strettamente legate geneticamente.

Wyandotte

Wyandotte Oro Orlata blu
All. Gian Paolo Bretti

Cominciamo con un po’ di genetica di base, almeno lo stretto indispensabile per consentirci di parlare delle nostre colorazioni. Quante volte ho sentito dire: “ma che combinano questi tedeschi? Dal mio gruppo, comprato in Germania, escono soggetti con colori e disegni che nulla hanno a che vedere con quello che ci si sarebbe aspettato”. Si sceglie un soggetto per il suo aspetto fenotipico, sperando che quelle caratteristiche che mostra, generalmente provenienti da geni dominanti, vengano passate alla prole; ma il bagaglio genetico recessivo non è evidente e ci può riservare delle sorprese, e non solo nella colorazione, ma anche nella crescita, nella resistenza a determinate malattie, nella formazione del piumaggio, nella fertilità o nella produzione di uova, nella mole, ecc.
Se poi alleviamo in consanguineità, si contribuirà a rafforzarle, sia le buone che quelle che proprio non vorremmo.

Come ho già altre volte accennato, allevo, oltre ai polli, anche Agapornis di diverse specie. Ho un’ottima coppia di Nigrigenis, della colorazione ancestrale (verde), che riproduce senza problemi da molti anni e dalla quale ho sempre avuto discendenti ancestrali; avendo altre coppie – sempre ancestrali e volutamente non consanguinee -, non ho mai tenuto nessuno dei figli, almeno fino allo scorso anno, quando decisi, per non trovarmi con tutti i riproduttori attempati, di cominciare a tenere per me qualche esemplare giovane.
Due di questi, fratello e sorella, decisero di metter su famiglia; ebbene, ebbi una piacevolissima sorpresa: due loro figli su quattro erano blu.
È evidente che uno solo dei genitori dei giovani riproduttori era portatore, ed ambedue i figli scelti hanno ereditato da quel soggetto il gene portatore del blu.

Esistono dunque geni dominanti e geni recessivi, cioè non tutti hanno lo stesso potere. Un gene dominante agisce da solo. Un gene recessivo può agire solo se presente in doppia dose.
I geni dominanti si identificano con una lettera maiuscola, i geni recessivi con una minuscola.
I geni, portatori di caratteri ereditari, hanno sede nei cromosomi, i quali sono sempre associati per paia.
Su un cromosoma ogni gene occupa sempre lo stesso posto, che viene chiamato “locus” (luogo, al plurale “loci”). Quando una coppia di cromosomi ha, nei punti corrispondenti, due geni identici, si dicono geni “omozigoti”. Quando invece una coppia di cromosomi ha, in due punti corrispondenti, due geni che trasmettono lo stesso carattere, ma con particolarità diverse – e di cui uno (dominante) prevale sull’altro (recessivo) – si dicono geni “eterozigoti”. Una coppia di geni che occupano lo stesso locus è detta allele.
Ogni cromosoma del paio proviene da uno dei genitori, i quali erano in possesso di uno dei due cromosomi di ogni paio, che, a loro volta, lo avevano ricevuto da ciascuno dei propri genitori e così di seguito a ritroso.
L’insieme dei fattori che caratterizzano un individuo sotto il profilo genetico ed ereditario è detto “genotipo”. L’insieme dei caratteri fisici visibili di un individuo, dovuti sia al patrimonio genetico sia all’azione dell’ambiente, è detto “fenotipo”.

La conoscenza dell’origine dei nostri polli è dunque molto importante: mai riprodurre a casaccio inserendo nel gruppo soggetti di origine sconosciuta. Occorre sempre, prima, vedere quello che porteranno.
I disegni del piumaggio sono generati dall’azione combinata di più geni; vediamo quali sono quelli che determinano il disegno ed il colore delle varietà a piumaggio orlato:

  • “eb” = perniciato. È responsabile della colorazione di base (sì, perché queste colorazioni fanno parte di questa famiglia).
  • “Pg” = da pencilling, pattern gene. Gene del disegno a maglie, detto anche pluriorlato.
  • “Co” = da columbia. Restringe il nero al collo e alla coda.
  • “Ml” = da melanotico. Estende il pigmento nero alle aree occupate dal pigmento rosso.
  • “S” = da silver, argento. Sopprime la sintesi di pigmento oro e rosso.
  • “Bl” = da blu. Se presente in dose singola ha la capacità di diluire il nero in blu.
  • “I” = da inhibitor. Inibitore del colore, caratteristico del bianco dominante. In dose singola ha un’azione inibente, praticamente completa, sul nero, mentre il rosso subisce scarse modificazioni.

L’orlo singolo è un derivato dell’orlo doppio (pluriorlato). L’aggiunta del gene “Co” ai geni “Pg” e “Ml” determina la rimozione del nero delle maglie dal centro della penna, confinandolo alla sua estremità e determinando così un orlo singolo.
In questa sequenza di formule penso di rendervi la cosa più chiara:

  • Perniciata: eb/eb
  • Perniciata Maglie Nere: eb/eb-Pg/Pg
  • Perniciata Maglie Blu: eb/eb-Pg/Pg-Bl/bl+
  • Perniciata Argento Maglie Nere: eb eb-Pg/Pg-S/S gallo, S/W gallina.

Ed ecco ora le colorazioni che ci interessano:

  • Oro Orlata Nero (tipo Wyandotte): eb eb-Pg/Pg-Co/Co-Ml/Ml
  • Oro Orlata Blu (tipo Wyandotte): eb/eb-Pg/Pg-Co/Co-Ml/Ml-Bl/bl+
  • Oro Orlata Bianco (tipo Wyandotte): eb/eb-Pg/Pg-Co/Co-Ml/Ml-Bl/Bl
  • Argento Orlata Nero (tipo Wyandotte): eb/eb-Pg/Pg-Co/Co-Ml/Ml-S/S gallo, S/W gallina

Come potete vedere, man mano che il disegno o il colore cambiano, alla formula iniziale si aggiungono altri geni; ma vediamo adesso ogni singola colorazione:

Oro Orlata Nero

Ai geni della colorazione Perniciata si aggiungono i geni “Pg” (che determinano la pluriorlatura) e “Ml” (melanizzante) che, combinati col gene “Co” (columbia), danno origine all’orlo semplice.
Questa colorazione è stata creata in America nel 1888, pochi anni dopo l’Argento Orlata Nero.
Da vecchi scritti si apprende la sua derivazione dalla Livorno Perniciata con cresta a rosa, Amburgo Oro Pagliettata Nero e Cocincine Perniciate.
Edward Brown presume invece un incrocio tra le Rhode Island, allora non ancora riconosciute come razza, e le Argento Orlate Nero.
Gli allevatori inglesi invece incrociarono l’Argento Orlata Nera con il Combattente Indiano fagianato; questo portò una penna stretta, dura e con poco piumino; si dovette faticare molto per riottenere il piumaggio come richiesto.
Le timoniere nei due sessi, e le falciformi nel gallo, sono richieste nere lucenti e con forti riflessi verdi.
In questa colorazione il colore di fondo non dovrebbe essere né marrone/castano né oro chiaro, ma un tono medio che sfuma nel rossiccio con riflessi seta morbidi e lucenti.
Importante è la sua uniformità, anche nel gallo, dove purtroppo non sempre è presente nella sella e mantellina.
Appena l’allevatore noterà una perdita di tono nel colore, sarà bene che provveda ad un suo riequilibrio prima che sia troppo tardi, così da evitare di andare incontro ad un lungo e difficile lavoro di ripristino.

Oro Orlata Blu

Si aggiungono i geni “Bl/bl”, eterozigoti, che trasformeranno l’orlatura nera in blu. Questa colorazione è stata selezionata in Germania. I progenitori furono l’Andalusa e la Wyandotte Oro Orlata Nero. All’inizio, i discendenti erano un miscuglio di colori che, geneticamente, si portavano dietro; pochi speravano in un futuro risultato espositivo. Lo scarto era tantissimo: solo l’uno, il due, il tre percento al massimo, erano accettabili. Alle mostre, per la loro non idonea morfologia, non erano esposti insieme alle altre Wyandotte, ma in una categoria a parte, col nome generico di “Orlata Blu”. Poi, avvicinandosi sempre più alla tipologia della razza, presero il posto che gli spettava, anche se erano genericamente chiamate “di altre colorazioni”. Alla Oro Orlata Blu fu comunque propizia la discendenza dalla Argento Orlata Nero, in quanto quest’ultima era ben stabilizzata nelle caratteristiche morfologiche della razza. Lo scarto era ancora alto, ma si era arrivati a selezionare un terzo della produzione con buona forma e disegno. Nel 1920, in occasione della mostra nazionale di Lipsia, a coronamento del sogno di chi ci si era dedicato, fu fondato il Club della Wyandotte Oro Orlata Blu. Con il Club aumentarono gli allevatori e nel 1929 gli animali esposti a Lipsia erano già più di cento. Oggi questa colorazione è molto diffusa e vanta un alto numero di allevatori che la mantengono costantemente ad un alto livello di selezione. Proprio come nella Blu, anche nella Oro Orlata Blu avremo un risultato misto a seconda del gruppo che mettiamo in riproduzione:

  • Oro Orlata Blu x Oro Orlata Blu: circa il 50% saranno Oro Orlata Blu, il 25 % Oro Orlata Nero e il rimanente 25% sarà Splash.
  • Oro Orlata Blu x Splash: 50% Oro Orlata Blu e 50% Splash.
  • Oro Orlata Blu x Oro Orlata Nero: 50% Oro Orlata Blu e 50% Oro Orlata Nero.
  • Splash x Oro Orlata Nero: 100% Oro Orlata Blu. Ma attenzione: solo il 50% sarà un blu di buona intensità; il 25% sarà troppo scuro ed il 25% sarà troppo chiaro.

Sì, è veramente una colorazione complicata. Immagino il nostro amico Bretti alle prese con un soggetto diciamo “perfetto” in quanto a morfologia e posizione, ma reso inservibile ai fini espositivi dall’intensità del blu: c’è da mordersi le mani.
È bene selezionare un’orlatura abbastanza carica, soprattutto perché il blu, nella prole, tende sempre a schiarire; deve invece mantenere una netta differenza dall’orlatura splash: un orlo blu biancastro è da evitare. L’ideale sarebbe un blu “piccione”.
Il piumaggio del mantello deve essere di un rosso bruno omogeneo, intenso e lucente. Nel gallo la mantellina, le spalle e la sella devono armonizzare col resto del piumaggio e non mostrare fra loro differenze di colore.
Galli con un colore opaco in genere non sono soddisfacenti neanche nel colore di fondo, ed è preferibile non usarli come riproduttori. Fare molta attenzione all’omogeneità del colore di fondo delle fasce dell’ala, che dovrebbero – il condizionale è d’obbligo – essere almeno due, preferibilmente tre, il più possibile senza marezzature.
Nelle galline la parte superiore del petto non sempre ha un buon disegno, specialmente nelle punte. Non è comunque facile trovare galline con colore di fondo e orlatura perfetta, pertanto occorre essere tolleranti anche se nella selezione non si deve perdere di vista il loro miglioramento.
Importante è la lucentezza del piumaggio, specialmente nell’orlo oro della mantellina.
Il piumaggio in questa colorazione è un po’ più duro, quindi anche la forma ne soffre: occorre tenerne conto.

Una curiosità: negli Stati Uniti ed in Canada la “colorazione” Splash è riconosciuta in molte razze.
Ecco le caratteristiche fenotipiche che ho tradotto dallo standard dell’American Bantam Association (ABA):

Splash (trad. Spruzzato)

Blu ardesia e bianco, quest’ultimo con una tenue sfumatura grigio/blu. Penne con macchie blu di forma e grandezza irregolare fino ad una distinta ticchiolatura a forma di “V”. Timoniere e remiganti primarie con meno blu che nel resto del piumaggio.
Piumino blu ardesia e bianco fuligginoso distribuiti equamente.
Difetti Gravi: presenza di ruggine; più del 50% di blu nel piumaggio.

Oro Orlata Bianco

Nel nostro standard viene data la formula genetica che sopra ho riportato, ma, sulla base di alcune informazioni che ho in proposito trovato, mi è sorto un dubbio: ma ne parlerò più avanti.
All’Oro Orlata Nero aggiungiamo i geni omozigoti “Bl/Bl”, che, in presenza di una loro forte azione, trasformeranno l’orlo nero in bianco senza tracce di blu o nero. Da un ceppo all’altro – ma credo anche dallo stesso ceppo – si otterranno, a mio avviso, soggetti con una variabilità di purezza dell’orlatura, specialmente nella mantellina.
In effetti non credo che questi geni portino un’orlatura bianca, ma piuttosto un’orlatura bianco-sale, classica dello splash. Penso che in una situazione del genere i soggetti con orlatura più bianca saranno da ritenere i migliori.
Il colore di fondo non deve essere così intenso e bruno come nella oro, ma deve avere una tonalità più calda e più tenue.
Ho un interessante libro tedesco che racconta l’esperienza degli allevatori in questa colorazione, i quali, hanno raggiunto, a parte i problemi morfologici di cui ho più volte parlato, un ottimo livello.
Si scrive che fu originata dall’incrocio gallo Oro Orlata Nero con gallina Bianca; al risultato fu dapprima dato il nome di colorazione Camoscio, per il colore appunto più tenue, ed in seguito Oro Orlo Bianco. Ancora oggi, per rinsanguare o per riprendere una purezza perduta i tedeschi usano questo sistema.
Per ottenere il meglio non sarà neanche necessario avere una colorazione ed un disegno del mantello regolari e puliti, ma avrà invece molta importanza che le penne del petto fino alle gambe, e del dorso fino alla coda, siano il più larghe possibili e arrotondate.
Oggi in Germania non è possibile esporre i soggetti splash scartati dalla riproduzione della Oro Orlata Blu proprio a causa delle ingerenze di colore blu e nero nell’orlatura, per il colore di fondo troppo intenso, per le teste interamente blu delle galline e le code variopinte dei galli. La presenza di qualcuna di queste caratteristiche, che ne tradiscono l’origine, in Germania è fortemente penalizzata anche se presenti su soggetti per altre caratteristiche molto validi.
Si consiglia ai giudici tedeschi di essere tolleranti in questa colorazione per non scoraggiare gli allevatori e far sì che continuino a lavorare per il raggiungimento di un livello sempre migliore.
Da qui il mio dubbio sulla formula genetica sopra descritta: se si usa il bianco per avere un’orlatura bianco puro, infatti, non si avranno i geni omozigoti “Bl/Bl”,bensì il gene dominante “I”, che, in dose singola, è in grado di sopprimere l’eumelanina (nero), ma contemporaneamente avrà anche un leggero effetto sulla feomelanina (rosso); in effetti il rosso/bruno di questa colorazione, come abbiamo detto, non è così intenso come nella oro.
Sarebbe anche interessante provare e accertare se il gene inibitore “I” dà tonalità diverse fino ad arrivare a quella che oggi è denominata “Fulva a Orlo Bianco”.
Essendo curioso, ho cercato anche negli altri standard. In quello olandese, per quello che mi è possibile capire, non esiste questa colorazione, ma esiste la “Geel-Witgezoomd”, che, tradotta, è “Fulva (gialla) Orlata Bianco”, chiamata anche fra parentesi “Camoscio”.
È ovvio che fra le due colorazioni, Oro (anche se con tonalità tenue e calda) e Fulva, ci dovrà pur essere una differenza nel colore di fondo. Quello che mi chiedo è se questa differenza si ottiene sempre, con una mirata selezione, con l’incrocio Oro Orlata Nero x Bianco, cioè se il gene “I” della Bianca ha la possibilità, forse in presenza di altri geni modificatori, di schiarire ulteriormente il colore di fondo fino a fulvo. Indagherò e vi terrò informati.

Argento Orlata Nero

Il gene “S” dell’argento inibisce il pigmento rosso e lascia inalterato quello nero, per cui la parte interna della penna assume un colore bianco argento.
È la colorazione classica della Wyandotte. Questo è anche dovuto al fatto che è stata la sua prima colorazione, quando, nel lontano 1870, un gruppo di allevatori, partendo dalla Sebright e dalla Cocincina, selezionarono quella che all’inizio fu chiamata la Sebright-Cochin – o Sebright-Brahma o American Sebright – per diventare poi la Wyandotte (dal nome di una tribù di indiani). Il suo standard fu redatto da Felch e ammesso nell’ “American Standard of Perfection” nel 1883.
Un difetto comune di questa colorazione è la struttura della penna, che è in genere troppo fine, tanto da permettere all’orlatura delle penne sottostanti di trasparire sulla superficie, rovinando l’effetto del classico contrasto.
Il colore di fondo è richiesto bianco-argento in tutte le parti.
È la colorazione più allevata – penso per il bellissimo contrasto che generano i due colori in un disegno molto particolare -, ma raramente ho avuto modo di vedere, proprio in questa colorazione, dei galli con le piccole copritrici delle ali ben disegnate e prive di sfumature giallastre o, peggio ancora, ruggine: consiglio ai giudici di essere tolleranti; ma esserlo meno se queste sfumature sono anche sulla mantellina o se questa assume una tonalità troppo scura.
Posso raccontarvi una mia esperienza in questa colorazione, risalente a molti anni fa: era nata da poco l’allora A.I.A.FI.PI (oggi Associazione Toscana Avicoltori – A.T.A.), e, da buon Presidente, cercavo di aiutare gli amici allevatori a reperire riproduttori di buon livello. Su un catalogo austriaco trovai un allevatore che con i suoi soggetti aveva avuto dei buoni giudizi, e, dopo accordi, mi feci inviare alcune uova. Ricordo ancora oggi che, non potendolo fare personalmente, Marco Galeazzi dovette fare una levataccia per andare a ritirarle alla stazione di Firenze all’arrivo del treno da Vienna.
Nel pacco c’era anche una lettera che mi informava che, oltre alle uova di Wyandotte Argento Orlo Nero, ne aveva aggiunte un cer-to numero di un incrocio – che lui effettuava regolarmente a distanza di un certo numero di anni – con la Bianca.
Alla schiusa, già dal piumino dei pulcini, si notava la differenza. A piumaggio fatto le argentate erano veramente belle sia come forma che colore; sia io che Marco le ricordiamo ancora oggi e quando, anche in Germania, si vedono maschi premiati con le copritrici delle ali brunastre non si può fare a meno di dire: ma ricordi come erano le Wyandotte austriache!
Nei pulcini, figli dei soggetti incrociati, l’orlatura era sparita; avevano invece un piumaggio con disegno simile al Columbia, anche se molto più sporco e poco preciso; la forma era comunque sempre molto bella. Questi, incrociati con soggetti argentati preferibilmente in possesso di un orlatura pesante, già davano, in F1, ottimi soggetti con buona orlatura e un bianco perfetto.
I riproduttori, oltre ad avere, beninteso, una buona morfologia, devono anche avere un colore di fondo pulito e uniforme nella tonalità.
Esiste un’altra di queste colorazioni: la Fulva Orlata Nero. Non ne parlerò in questo articolo, in quanto, al momento, presente solo nella Wyandotte Nana; ma, se qualcuno un giorno decidesse di darsi a questa “primizia”, mi informi e ne riparleremo.

Selezione e giudizio

Non mi dilungherò sulla forma e morfologia, di cui ho già tanto parlato in diverse occasioni. Per chi non lo sapesse, esiste una dispensa – la prima fatta dal C.T.S. – proprio sulla Wyandotte, nana e grande, ancora attuale per quanto concerne la forma; meno per le colorazioni, che hanno, da allora, subito diversi aggiornamenti.
Una Wyandotte non è mai bella se non ha una bella forma.

Wyandotte

Per raggiungerla sono assolutamente necessarie determinate caratteristiche: corpo solo leggermente più lungo che alto; linea inferiore ben arrotondata ininterrottamente dal collo fino a sotto la coda: petto e ventre pertanto devono essere pieni e profondi; collo non troppo lungo; dorso largo e di lunghezza media che prosegue in linea dritta, regolarmente ascendente fino alla fine della coda; gambe appena in vista e tarsi forti e di media lunghezza; ali piuttosto corte, ben serrate al corpo e portate, nei due sessi, orizzontali.

La testa, nel suo complesso, è molto bella e caratteristica: deve essere proporzionata ed avere una forma arrotondata e compatta.
La cresta, a rosa, ha una spina non troppo lunga e su tutta la parte superiore ha una fine e omogenea perlatura: in tutta la sua lunghezza deve stare ben aderente alla testa.
Becco corto e bargigli non troppo grandi, ben arrotondati e ben distesi, senza pieghe.

Wyandotte

Nelle colorazioni che stiamo trattando, un difetto che si incontra sovente – perlomeno nei soggetti che ho visto alle varie mostre – è la coda non sufficientemente piena e larga e la linea del dorso che non sale come dovrebbe.
Nella gallina le timoniere dovrebbero sporgere dalle copritrici: poco, ma dovrebbero essere comunque sempre visibili. A causa della struttura della coda ottenuta nella maggior parte dei Paesi, invece, le timoniere sono sempre difficili da vedere perché non sporgono come dovrebbero. Questa particolarità è però più accentuata nella razza nana, dove le timoniere, oltre ad avere assunto una struttura troppo morbida, sono spesso, invece che nere, dello stesso colore del resto del piumaggio. Questo, sia nella grande che nella nana, andrebbe se-veramente penalizzato; ma quasi mai lo è. Che dobbiamo fare?, lasciar perdere, nonostante lo standard? Personalmente sono contrario a tanta tolleranza. Nella selezione del colore gli allevatori devono fare ben attenzione a quello che lo standard richiede, e seguire sempre le eventuali variazioni che riporta il C.T.S. sul Notiziario.
Un esempio: anni addietro il nostro standard, ma anche quello tedesco, così descriveva queste colorazioni:
Gallo: lanceolate della mantellina e della sella bianche (o rosse) con una fiamma nera, rachide bianca (o rossa). Dorso e spalle bianco argento (o rosso) con tracce di orlatura che non facciano apparire in superficie un disegno fuligginoso; piccole copritrici delle ali bianche argento (o rosse).
Queste caratteristiche, forse preferibili per un migliore aspetto esteriore del gallo, purtroppo portavano, nelle galline, la presenza di una pre-orlatura nel petto e di un’orlatura spesso interrotta.
La soluzione a questo problema venne dall’Inghilterra: adottare l’uso di due gruppi riproduttori, uno per ottenere galli da poter esporre, ed uno, usando galli con un disegno ritenuto difettoso nelle parti sopra descritte, per ottenere galline con un buon disegno. Questo sistema era in uso anche nelle colorazioni Perniciate a Maglie, dove il petto del gallo era richiesto nero intenso, quando invece, per avere nelle galline un buon disegno, netto e di buona intensità, si dovevano usare galli con un’orlatura bruna o argentea, a seconda della varietà, anche abbastanza pesante.
È comunque un tipo di allevamento che non approvo e che trovo innaturale; oltretutto richiede molto più spazio ed una selezione molto più difficile e laboriosa, che noi italiani non siamo abituati a fare: è meglio quindi limitarne la necessità con standard adeguati.

Wyandotte Wyandotte Wyandotte Wyandotte

Oggi lo standard delle Wyandotte orlate è cambiato. Si richiedono, nel gallo, lanceolate della mantellina e della sella con fiamma nera interrotta nella parte centrale da una lancia del colore di fondo – molto di più quindi che la sola rachide -; dorso e piccole copritrici delle ali con un’orlatura nella punta della penna, definita “a punta di freccia”; il dorso del colore di fondo senza disegno è indesiderato, ma, a mio avviso, se non troppo evidente e se si è riusciti ad ottenere un buon disegno in generale, occorrerà essere clementi.
Queste colorazioni richiedono comunque, da parte dell’allevatore, una buona esperienza: non si deve mai abbassare la guardia ed al primo segno di deterioramento si deve prontamente intervenire.
Mantenere assolutamente, come ho già detto – e non è facile come potrebbe sembrare – una penna larga e arrotondata: si avrà così una maggiore superficie destinata al colore di fondo e questo andrà a beneficio dell’aspetto, anche in presenza di un’orlatura un po’ troppo importante.
L’orlatura deve essere presente in tutte le parti dove richiesta, avere sempre lo stesso spessore, non essere troppo pesante ma neanche ridotta ad un filo, e non avere interruzioni (quando nera deve essere lucente con riflessi verdi). Non devono esistere attenuazioni, ad esempio, nella parte alta e bassa del petto o sulle gambe. In tutte le colorazioni è importante la nitidezza del disegno e la divisione dei due colori, che deve essere ben netta. Un pigmento troppo abbondante darà un orlo troppo largo che, in presenza di una penna troppo stretta, darà una punta completamente nera.
Un orlo troppo sottile, invece, potrà fare anche un bell’effetto, soprattutto se regolare, ma, specialmente nella gallina, determinerà una mancanza di disegno nel petto e sul dorso verso la coda, e, spesso, invece dell’orlo nero a riflessi verdi, si potrà avere un orlo grigiastro quasi brunastro.
Queste galline comunque possono essere preziose nell’allevamento: accoppiandole con un gallo con piumino scuro e disegno robusto, sia nel petto che nelle gambe, si controbilancerà colore/disegno e si otterrà più uniformità. Nella riproduzione è preferibile non usare soggetti con orlo a mezzaluna.
Una regola da tenere sempre ben presente: mai accoppiare due soggetti con lo stesso difetto.
Fondamentalmente, quindi, la gallina più pregevole è quella con l’orlo un po’ più marcato, fintanto che le penne hanno la sufficiente grandezza, larghezza e rotondità da lasciare sempre ampio spazio al colore di fondo.
Una gallina vecchia che mantiene una penna con colore carico e pulito sarà indubbiamente preziosa come riproduttrice.
Una pre-orlatura del colore di fondo, dove non espressamente richiesta (mantellina in ambo i sessi e lanceolate della sella nel gallo), anche se finissima, è da considerarsi difetto grave.
Le grandi copritrici delle ali, invece, nei due sessi devono avere una buona orlatura per dare così origine a tre fasce dell’ala ben evidenti: almeno due devono essere ben delineate e precise nel colore e nel disegno.
Nella gallina cercare di eliminare tutte le tracce di pepatura nelle copritrici della coda.
La presenza di una rachide chiara che divide in due parti la penna è un difetto abbastanza grave.
Chi alleva queste colorazioni – io ho allevato la Wyandotte Nana Argento Orlata Nero – sa che il piumaggio delle galline, dopo la prima muta, spesso si sporca al centro: cioè, nel bianco o nell’oro appare come una leggera ticchiolatura che, a seconda della sua intensità, può arrivare a rendere il soggetto inutile ai fini espositivi, anche se resterà valido per la riproduzione. C’è chi dice che questo può anche derivare dal riapparire del doppio orlo, anche se non è del tutto evidente; ciò sarà più grave se si riscontrerà su soggetti giovani.
L’orlatura deve circondare completamente il colore di fondo, anche nella parte bassa della penna, dove inizia il piumino, che nei due sessi è richiesto più o meno del colore dell’orlatura. Nell’ultimo Notiziario del 2006 ho parlato del piumino delle Sussex Columbia, dove appariva chiara la sua importanza per ottenere un buon disegno di superficie. Molti dei libri che ho consultato sono concordi nell’individuare questa importanza anche nelle Wyandotte orlate, oltre che a quelle con disegno Columbia. Non ho avuto modo, quando allevavo la razza nana, di accertare questa eventualità: non avevo esperienza sufficiente, ma ricordo che il bianco non sempre era bianco puro e che alcune femmine, anche giovanissime, avevano più pepatura di altre nelle copritrici della coda.
Può succedere, a seguito del cambio di alcuni soggetti formanti un gruppo, che il buon risultato fino ad allora ottenuto cambi rotta: in questo caso è bene cercare di individuare il “colpevole” e tenerlo in osservazione insieme alla sua prole.
Come abbiamo detto, il piumino scuro è una riserva di pigmento che influisce, nel nostro caso, sul colore e spessore dell’orlatura, del disegno della mantellina e delle remiganti. Se troppo intenso in ambedue i riproduttori, può determinare quell’antiestetica pepatura che, a seconda della sua densità, abbassa di molto il punteggio. Sarà l’esperienza dell’allevatore a dosare i colori; a volte sarà sufficiente scegliere riproduttori con la parte della rachide vicina alla pelle biancastra, o anche quelli con il piumino, sempre nella parte bassa, un po’ più chiaro.

Per mantenere una necessaria vitalità nel gruppo si deve ricorrere all’introduzione di nuovo sangue; come ho già detto, questo deve avvenire con attenzione, meglio se con una gallina: sarà più facile controllarne il risultato.
I miei articoli sono frutto della ricerca che faccio nei miei libri e nelle riviste che ricevo, della mia esperienza di giudice e spesso di allevatore e delle conversazioni logorroiche con tanti amici allevatori stranieri.
Ho allevato tantissime razze, forse troppe – lo ritengo un difetto per un allevatore, non un pregio -; questo mi è comunque servito per il mio lavoro, però le razze sono tante e le colorazioni pure.
Sarebbe pertanto utile conoscere quello che veramente succede nella pratica dell’allevamento, specialmente in una colorazione particolare come la blu: colorazione che io non ho mai provato proprio per le difficoltà che comporta.
Sarebbe interessante pubblicare una specie di “diario di allevamento” – e questo lo potrebbe fare l’amico Bretti, o qualcun altro – per conoscere ad esempio il numero di galline che in questa razza un gallo può accudire, la percentuale di fertilità e di mortalità nel guscio.
Ma soprattutto, in una colorazione come la blu, sarebbe interessante conoscere che sistema di allevamento si è adottato, quali riproduttori – se erano in consanguineità o gruppi diversi per ottenere galli e galline -, e poi quali colorazioni sono state usate e le varie percentuali ottenute: quelle reali però, che solo l’allevatore ci può dare.
Cioè quanti hanno l’orlatura blu, quanti nera e quanti splash?, e poi, se il blu ha un’intensità omogenea fra i diversi soggetti.
Ho sentito, ad esempio, da un allevatore tedesco, che i neri che escono dall’unione blu con blu non si possono usare né come soggetti da esposizione né come riproduttori, in quanto l’orlatura assume la forma di lancia su tutto il piumaggio, e non su tutto il perimetro della penna. Sarà vero?

E per finire una confessione: non sono un genetista, anzi…! Ho cercato, pertanto, di rendere le cose il più semplici possibile, così come le capirei io se qualcuno me le spiegasse; spero di non aver commesso errori, ma se lo avessi fatto concedetemi le attenuanti del caso.

Bibliografia:
  • Standard Italiano delle Razze Avicole
  • dott. Elio Corti – Summagallicana
  • Armin Six – Wyandotte und Zwerg-Wyandotteen (Oertel + Spoerer)
  • Standard A.B.A – American Bantam Association

La Gallina Romagnola

di Fabrizio Focardi

In passato, molti scrittori, nel parlare di una razza di polli preferivano anteporre al nome della razza il termine “Gallina”, ma mai gallo; questo perché il gallo ha il solo compito di fecondare le uova, mentre la gallina di produrle, covarle e curare la prole: quindi un ruolo primario, mentre il gallo veniva perlopiù considerato il solito lussurioso sfaccendato.
Tante erano innalzate a razza anche quando, invece, altro non erano che sparuti ceppi derivati da incroci tentati per migliorare la carne o la produzione di uova.
Alcune di queste “creazioni”, a causa di un allevamento in consanguineità, spesso praticato in larghe zone, avevano caratteristiche comuni ben fissate e, solo per questo – seppur senza uno standard o un riconoscimento ufficiale – venivano considerate razze. Il loro destino, in genere, dopo un breve periodo di gloria, era di finire dimenticate in qualche isolato pollaio di campagna, dove la loro sopravvivenza dipendeva solo dal proprietario.
Riportare in vita una vecchia razza non è un’impresa facile: si dovranno per prima cosa valutare i soggetti superstiti – sempre che si abbia avuto la fortuna di trovarne, perché spesso niente si trova – e confrontarli con la letteratura, a volte scarsissima, di cui disponiamo.
I difetti di forma, ma più spesso di colorazione, dovuti soprattutto alla promiscuità, saranno ostacoli a volte molto duri da superare.
Occorrerà armarsi di speranza, pazienza, costanza e di tante altre qualità non comuni da trovare nella genetica di un solo allevatore. Quindi sarà bene che più allevatori si imbarchino nell’impresa, per compensare, con la buona collaborazione, alle mancanze dell’uno o dell’altro.
Il lavoro che è stato fatto per la Livorno andrebbe fatto anche con le razze “minori”, che non hanno avuto la fortuna di “emigrare” all’estero e che sono state quindi lasciate nelle mani dei nostri allevatori.

In questi ultimi tempi ho avuto occasione di vedere, in foto o dal vero, soggetti della razza Romagnola.
Prima un mio giovane amico, Franco – che, anche se non fa parte di nessuna associazione FIAV, ha comunque passione ed interesse da vendere -, mi ha scritto a proposito di un mio articolo, letto sul sito federale, sulla “Civetta Barbuta Olandese”, nel quale ha trovato interessante il mio riferimento al disegno di questa razza con le sue Romagnole.
Pochi giorni dopo, in occasione della mostra sociale AERAv, un allevatore ha portato in visione un gruppo di galline.
Successivamente, l’amico Santoni – Presidente AMAC -, a seguito delle richieste di alcuni suoi associati, mi ha sollecitato a pubblicare, in vista di un eventuale futuro riconoscimento, notizie su questa gallina italiana.
Prendo sempre in considerazione le richieste degli allevatori, specialmente quando vedo un particolare interesse, e mi sento in dovere di non deluderli.

Romagnola

Gallina Romagnola – Mostra Sociale Aerav

Questo articolo sarà, spero, un primo passo verso una stretta collaborazione Allevatori/CTS volta al tentativo di riportare questa razza italiana nei nostri pollai ed alle nostre mostre.
Ecco la mia risposta, redatta sulla base di una ricerca a largo raggio.
Non è niente di definitivo, ma solo un insieme di notizie che gli allevatori, in base alla loro esperienza, potranno valutare per passarmi poi le loro considerazioni.
Per quanto riguarda la morfologia non ci sono molti dubbi: tipologia di pollo mediterraneo, non troppo pesante e abbastanza snello. Occorrerà quindi decidere i pesi. Propongo pesi simili a quelli della Livorno, magari un po’ più leggeri.
Polli di questo tipo, già a cavallo degli ultimi due secoli, erano presenti in tutta l’Europa. Anche la colorazione, come ho già detto nel mio precedente articolo sulla Civetta Barbuta Olandese, era già simile nelle varie tipologie dei diversi Paesi.
È la famosa colorazione a fiocchi/barre, che tanto mi ha fatto impazzire, in quanto varia, senza una formula genetica precisa, dando fiocchi – come nella Gabbiano della Frisia Orientale – o barre – come nella Braekel.
Tutte queste razze avevano comunque molte caratteristiche comuni: orecchione bianco con leggere tracce bluastre – specialmente nella gallina e nei soggetti giovani -, cresta di media grandezza, bargigli abbastanza sviluppati, occhi un po’ sporgenti e marrone scuro ed i tarsi variavano dal bluastro al blu scuro.
La colorazione del piumaggio, mi sembra di aver capito, presenterà difficoltà maggiori per la decisione da prendere sul disegno.
È mia intenzione lavorare su una sola colorazione, due al massimo, per concentrare così lo sforzo degli allevatori verso un unico obiettivo.

Romagnola

Gallina Romagnola – Mostra Forlì

Vediamo intanto quello che i nostri predecessori dicevano della Romagnola.
Quasi tutti – Trevisani, Pascal, Ghigi e Cortese – concordano sulla tipologia; sulla colorazione ed il disegno invece tutti sono molto vaghi

.

– Dott. Marino Cortese, ” Pollicoltura Familiare e Industriale”, 1949:

« E’ diffusa in molte province dell’Italia centrale.
Testa media. Becco piuttosto corto, forte, quasi sempre giallo. Cresta semplice, dritta nel gallo, piegata da una parte nella gallina, di colore rosso e di tessitura fine senza granulazioni. Orecchioni ovali, piccoli, di color crema chiari. Guance rosse disseminate di corto piumino. Occhi vivacissimi di color arancio, o scuri a pupilla prominente. Collo piuttosto corto con collare che scende fino alle spalle senza coprirle. Corpo un po’ rozzo, ma non pesante. Petto largo e profondo. Dorso corto e piatto. Ali tenute ben serrate al corpo. Coda nel gallo portata alta e di medio sviluppo. Cosce forti. Tarsi medi, sottili, nervosi, lisci, muniti di quattro dita ben divaricate, di colore ora verde ora scuro. Il piumaggio molto vario sia pel disegno che per la tinta, quello del gallo più vivace anche più mutevole di quello della gallina. I soggetti hanno notevole tendenza all’ingrasso. Il gallo pesa kg. 2-2,500, la gallina kg. 2. Il numero di uova deposte è di 150, di g. 60 di peso e col guscio bianco. Essa ha carattere vagabondo e quindi è indicata per grandi fattorie.
I pulcini sono precoci e rustici e la carne assai sapida. »

E più recentemente:
– Giancarla Pozzi, “Le Razze Dei Polli”, 1961:

«Questa razza è stata selezionata dalla Stazione di pollicultura di Rovigo e dall’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura di Ravenna.
Si distinguono due varietà: la dorata e la grigia, per quanto gruppi uniformi delle due varietà si siano potuti ottenere soltanto alla Stazione Sperimentale di Pollicultura. La produzione delle uova si aggira sulle 150 all’anno. »

Come abbiamo detto, nella colorazione c’è discordanza di vedute: chi la vede come la Braekel e chi invece come la Gabbiano della Frisia Orientale.

E’ mia opinione che si debba prendere maggiormente in considerazione le colorazioni argento e oro con disegno a fiocchi.

Se si va indietro negli anni, l’odierna colorazione “Argento a Fiocchi Neri” era comunemente chiamata “Grigia” (in alcune pubblicazioni anche “Stornello”), molto probabilmente sotto l’influenza dei francesi, che così chiamavano – e chiamano tutt’oggi – la loro Bresse, la quale ha un mantello con disegno, anche se non troppo omogeneo, a fiocchi. La colorazione della Braekel, invece, è sempre stata chiamata Argentata, mai Grigia.
Altre colorazioni, delle quali si è solo parlato marginalmente, derivano, molto probabilmente, da un allevamento in promiscuità, seppur con soggetti morfologicamente simili, ma di colorazioni diverse.

Consiglierei, tanto per dare una linea iniziale agli allevatori, gli standard “Argento a Fiocchi Neri” e “Oro a Fiocchi Neri”. Ovviamente, come ho detto inizialmente, tutti i suggerimenti saranno presi in esame e niente ci vieta, in questa razza, di apportare allo standard generale le modifiche che si ritengano opportune per avvicinarsi a quelle che erano le vere colorazioni della Romagnola.

Romagnola

Gallina Romagnola – Mostra Forlì

Mi auguro che questo mio primo articolo serva ad aumentare il numero di allevatori interessati al recupero della gallina Romagnola.
L’impegno dovrà necessariamente essere continuo e la produzione dovrà essere portata, in occasione di mostre, in visione al CTS per controllarne lo sviluppo.
Dovrebbe essere una raccomandazione inutile, ma ricordo agli interessati che i soggetti sottoposti a visione dovranno avere un piumaggio completo e le loro condizioni espositive dovranno essere buone. E’ chiaro che senza questa collaborazione sarà inutile continuare a parlare di recupero.

Nuovi sviluppi nell’allevamento dell’Olandese con ciuffo nana

di Stefano Bergamo
Cenni storici: la pittura olandese quale antesignana degli standard di razza

Tra la metà del Sedicesimo e la fine del Diciassettesimo secolo i Paesi Bassi attraversarono un periodo di grande e rapida crescita economica, che a sua volta permise un fiorire delle scienze e delle arti senza precedenti.
L’impulso dato dalle committenze dei commercianti olandesi alla produzione artistica fu tale che gli storici dell’arte parlano comunemente di Secolo d’oro della pittura olandese.
Le opere di pittori quali Rembrandt (del quale ricorre quest’anno il quarto centenario della nascita), Vermeer, Albert Cuyp e Jan Steen, insieme a scultori ed intagliatori, diedero origine a quella esplosione di forme e colori che caratterizza così profondamente il Secolo d’oro dell’arte olandese, e vennero ad abbellire gli interni degli eleganti palazzi sui canali delle maggiori città, nonché delle residenze di campagna dei più abbienti.
È proprio il lavoro degli artisti nelle residenze di campagna che ci ha lasciato delle opere estremamente preziose per la precisione quasi fotografica con cui hanno ritratto paesaggi, persone ed animali quali protagonisti delle scene di vita in campagna tra il 1650 e la fine del 1700.

L’esempio senza dubbio più significativo è costituito da L’aia di Jan Steen (1660), che ritrae una fanciulla nell’atto di allattare un agnellino. Un Piccolo Levriero Italiano lecca il latte versato, mentre un altro cagnolino di lusso rimane a guardare. Tra le varie specie di animali da cortile, si riconoscono chiaramente alcune Anatre dal ciuffo, dei colombi Cappuccini, un antenato delle odierne razze a zampe corte, un esemplare di Civetta Barbuta o di Breda e soprattutto delle Olandesi con ciuffo in varie colorazioni.
La dovizia di particolari con cui Jan Steen ha ritratto le caratteristiche di razza di molti animali non si deve tanto ad un’iniziativa del pittore, quanto ad una richiesta specifica del committente, che teneva in modo particolare a fare bella mostra di specie e razze rare e costose, delle quali era proprietario nella residenza di campagna.
Non si tratta certo di un esempio isolato: al Museo Reale di Amsterdam abbondano i ritratti di facoltosi commercianti con sullo sfondo un vassoio di costosissime ostriche o aragoste, o di esotici agrumi e caraffe di vino pregiato.
Vediamo quindi che il possesso di avicoli ornamentali, tra cui spiccano i polli ciuffati, viene ad essere una specie di status symbol.

L'aia di Jan Steen Ciuffate di Bogdany

L’aia di Jan Steen

La ricchezza dei colori nelle Ciuffate di Bogdany

Le Olandesi con ciuffo di Steen colpiscono per la varietà delle colorazioni; alcune non smisero mai di essere allevate, come la classica nera a ciuffo bianco, mentre altre, quali la fulva e la bianca a ciuffo nero scomparvero dalla scena avicola, tanto che al giorno d’oggi si discostano notevolmente dall’iconografia tradizionale del pollo a piumaggio nero e ciuffo bianco a noi familiare.
Lo stesso vale per il gallo collo oro a ciuffo bianco e la gallina oro pagliettata nero del pittore Melchior d’Hondecoeter, o il gallo blu a petto orlato e la gallina fulva a ciuffo bianco con barba nera di Jakob Bogdany, la cui mantellina ricorda la colorazione oro a fiocchi neri di altre razze olandesi, come la Civetta barbuta.

L’inversione di tendenza: il recupero della bianca a ciuffo nero

È fuori di dubbio che le colorazioni presenti originariamente nei Paesi Bassi erano diverse, e che l’assenza delle stesse dai primi libri degli standard è considerata in Olanda più un impoverimento del patrimonio avicolo nazionale piuttosto che una forma di rispetto della tradizione.
La tradizione infatti, come si è visto, sembra essere molto più ricca di quanto il panorama attuale lasci supporre. Una tale semplificazione delle colorazioni va probabilmente di pari passo con la crisi economica alla fine del Secolo d’oro, e quindi con il venir meno della disponibilità di liquidi da spendere nella sfera del lusso, quale era quella dell’avicoltura ornamentale.
Si tratta quindi di un impoverimento dovuto alla contingenza economica e non ad una scelta a svantaggio delle colorazioni più ricche. Per tale motivo non stupisce che il Club di razza olandese non sia per principio contrario alla selezione di colorazioni che solo in apparenza sono “nuove”, e nemmeno che proprio tra i più propensi ad attingere alla tavolozza di madre natura ci sia Luuk Hans, il segretario del Club della Ciuffata e del Barbaciuffo olandesi.
A metà degli anni Ottanta del secolo scorso si sono così manifestati i primi segni di un’inversione di tendenza, con il riuscito tentativo da parte di Luuk Hans di riappropriarsi di un ‘pezzo di storia’ selezionando l’Olandese con ciuffo nana nella colorazione bianca a ciuffo nero. Luuk cominciò da uno dei pochi esemplari di bianca a ciuffo nero di taglia standard, che incrociò con degli esemplari di Padovana nana blu. Ben presto si rese conto che l’allevamento della bianca a ciuffo nero dà origine a molteplici combinazioni in cui il compito del selezionatore è quello di trovare un compromesso nella distribuzione del bianco e del nero.
Tale ricerca di disequilibrio cromatico in cui il nero si concentra sul capo dell’animale, ed il bianco si appropria del resto del piumaggio ha comportato necessariamente anche l’immissione di sangue di Padovana nana nera e di Ciuffate olandesi nane nella colorazione unicolore bianca, limitando gli incroci alle razze ciuffate per non alterare la base genetica.
Luuk riuscì ad esporre le sue Ciuffate nane bianche a ciuffo nero diverse volte, la prima delle quali alla mostra organizzata in occasione del centenario del Club di razza nel 1995, ma le sottopose alla procedura di riconoscimento solo nella stagione espositiva 2001/2002. La colorazione è ancora oggi ben lungi dall’essere fissata alla perfezione, ma il riconoscimento contribuisce alla diffusione della stessa tra gli allevatori.
Vale la pena ricordare che la bianca a ciuffo nero è riconosciuta in Svizzera dal 2000 ed in Germania dal 2001.

Dal bianco e nero al colore: la fulva a ciuffo bianco e le selezioni non riconosciute in Europa

L’olandese nana con ciuffo nella colorazione fulva a ciuffo bianco è stata selezionata e riconosciuta già fin dal 1987 in quella che era la Germania Est, cui fece seguito l’ammissione allo standard unico dopo l’unificazione tedesca.
Le notizie in proposito sono scarse: sembra che allo scopo siano state utilizzate delle Leghorn nane, che oltre alla colorazione fulva avrebbero introdotto anche dei bargigli eccessivamente sviluppati ed un portamento troppo alto sulle gambe.
Una certa quantità di pigmento nero sarebbe ammessa su coda e ali, ma non sulla mantellina. Un altro fattore che la rende una colorazione difficile è il colore dei tarsi: lo standard ammette il color carne, ma raccomanda di continuare a ricercare il color ardesia. In Italia la colorazione è riconosciuta da dicembre dello scorso anno.
Il sito del Club di razza olandese accenna anche al recupero della colorazione fulva a ciuffo nero, di cui pubblica una foto (http://www.kuifhoenderclub.nl/default_nl.htm). Non è stato possibile tuttavia acquisire dati precisi riguardo al lavoro che ha permesso di selezionare la gallina della foto, che è di provenienza olandese.
Lo stesso vale per la colorazione collo oro unicolore selezionata in Inghilterra da Terry Beebe, il segretario del Club di razza nazionale, accoppiando il fulvo a ciuffo bianco al nero a ciuffo bianco; se ne possono vedere alcuni pulcini alla pagina 8 della Photo Gallery su http://www.beebepolands.com/. La stessa pagina ospita anche delle foto di un esemplare di bianca a ciuffo nero di 10 settimane.

Le Ciuffate nane a stelle e strisce: cioccolato e kaki

Nella selezione dell’Olandese con ciuffo, gli Stati Uniti sono teatro delle innovazioni più vistose in assoluto.
È d’obbligo, comunque, distinguere tra innovazioni di un certo interesse dal punto di vista genetico e quelli che invece sono ‘esercizi di stile’ fini a se stessi ad opera di allevatori che sembrano avere dato libero sfogo alla fantasia.
A quest’ultima categoria si possono senz’altro attribuire certe “creazioni” esposte alla Ohio National, l’esposizione nazionale tenuta congiuntamente ogni quattro anni dalla American Bantam Association (che riunisce gli allevatori delle razze nane) e dall’American Poultry Association (che raggruppa gli allevatori nella taglia standard). Fra i 10.000 soggetti esposti figuravano anche delle Olandesi ciuffate nella colorazione Redtail Red, vale a dire – per fare un esempio pratico – delle Vorwerk a ciuffo bianco, oppure ancora le Padovane nane nella colorazione rosso orlata bianco, selezionate addirittura tramite incroci con la Cornish!
Eccessi a parte, è meritevole di attenzione il lavoro svolto da Al Westley, l’ottantacinquenne presidente del Polish Breeders Club, il club di razza che riunisce l’Olandese con ciuffo e la Padovana sotto la denominazione comune di Polish (polacca). Egli stesso giudice di esposizione, Westley alleva dal 1985 le Olandesi con ciuffo nane nella colorazioni classica nera a ciuffo bianco.
Nel corso di una conversazione con il genetista Dr. W.F. Hollander, Westley viene a conoscenza della scoperta di quello che Hollander ritiene essere un gene isolato responsabile della diluizione del colore nelle Araucana. Tale gene risultava dominante incompleto nei confronti del nero, per cui dall’accoppiamento di un soggetto nero ed uno portatore del gene della diluizione (fenotipicamente un nero diluito in bruno) tutti i pulcini nascevano di colore bruno.
Westley utilizzò una femmina di Araucana ottenuta da Hollander per selezionare – utilizzando sempre i migliori maschi di Olandese nera a ciuffo bianco – nel giro di tre anni un ceppo di Olandese con ciuffo nana in cui il 90% della prole era omozigote in una colorazione che venne riconosciuta con il nome di “cioccolato” e che si presenta di colore bruno scuro uniforme.
Nel momento in cui ritenne di avere raggiunto con il ceppo cioccolato un livello qualitativo pari a quello della classica nera, Westley si decise al grande passo: accoppiare cioccolato a cioccolato, per avere conferma della teoria nel frattempo maturata, vale a dire che tale colorazione si comporti, geneticamente parlando, come quella blu.
Ed infatti, nel 1990, insieme a nero e cioccolato da tale accoppiamento ottenne esattamente un’ulteriore diluizione del cioccolato: il kaki. La gallina di tale colorazione presenta il piumaggio di colore kaki uniforme; il gallo presenta un colore di fondo anch’esso kaki, il più possibile uniforme, con sella, mantellina e coda più scure.
Il riconoscimento fu relativamente semplice, trattandosi di colorazione omozigote allevabile in purezza.
Dall’accoppiamento di due kaki si ottengono pulcini kaki al 100%.
La cioccolato, invece, si comporta da dominante incompleto in quanto dotata di un gene per il nero ed uno per il cioccolato. Dall’accoppiamento di due cioccolato si osserva valere lo schema fenotipico del blu: 25% di pulcini di colore nero (omozigoti), 50% di colore cioccolato (eterozigoti) e 25% di kaki (omozigoti).
Nel 2002, alla nazionale di Columbus con 124 Olandesi nane a catalogo di cui ben 100 nella colorazione classica nera a ciuffo bianco, l’Olandese con ciuffo nana nella colorazione cioccolato di Al Westley si classificò al secondo posto laureandosi vice-campione di razza.

Cioccolato e Tortora Kaki

Soggetti cioccolato e tortora
(Foto: Geri Glastra per Kleindiermagazine)

Soggetto kaki di Luuk Hans
(Foto: Geri Glastra per Kleindiermagazine)

In seguito all’importazione di alcune uova in Olanda, dalle quali nacquero due pulcini cioccolato e due color kaki, Hans Ringnalda sta approfondendo le ricerche dal punto di vista genetico, mentre Luuk Hans si sta ora occupando dell’ulteriore selezione delle due colorazioni americane, che all’occhio critico di un europeo presentano dei ciuffi ancora troppo grandi e scomposti, mentre l’ala è spesso portata piuttosto bassa.
Molto soddisfacente è la vitalità dei soggetti, mentre la struttura del piumaggio è particolarmente soffice al tatto.

Altri indirizzi della selezione in Olanda:
la colorazione isabella a ciuffo bianco e la varietà a penna riccia

Contemporaneamente all’introduzione dagli Stati Uniti fece la sua comparsa sulla scena della selezione in Olanda anche la versione “autoctona” del kaki, ottenuta spontaneamente da Jan e Fred Gahrmann incrociando un maschio di Olandese con ciuffo nana di colore bianco dominante con una femmina nera a ciuffo bianco.
Caratteristica del bianco dominante è di prevalere anche sul nero: i pulcini erano infatti non neri (cosa che si sarebbe verificata se il bianco fosse stato recessivo) ma erano per la maggior parte bianchi con qualche piuma isolata di colore nero.
Alcuni di essi presentavano una colorazione marrone chiaro molto tenue, come quella classica della tortora domestica, che in avicoltura ritroviamo quale colore di fondo delle Barbute belghe nella colorazione porcellana, e che in Belgio ed Olanda si chiama isabella. Il fenotipo dell’isabella è molto simile a quello della colorazione kaki, mentre geneticamente le differenze sono sostanziali: come abbiamo visto, kaki si comporta da fattore omozigote come lo splash nella colorazione blu.
In base ai risultati ottenuti da Hans Ringnalda con i kaki americani, la diluizione del nero in cioccolato e ulteriormente in kaki non sarebbe dovuta all’azione di un singolo nuovo gene, ma all’introduzione del fattore rosso o dorato al gene che diluisce il nero in blu.
I soggetti isabella di Fred Gahrmann, invece, sono risultati essere eterozigoti: dall’accoppiamento di due isabella, Gahrmann ottenne soggetti completamente bianchi (25%), neri a ciuffo bianco (25%) ed isabella a ciuffo bianco (50%), come i genitori.
Ritorna quindi lo schema classico dell’ereditarietà intermediaria come nella colorazione blu.
Reincrociando con il bianco si ottiene nuovamente un 50% di bianchi unicolore e un 50% di isabella a ciuffo bianco; reincrociando con il nero si ottiene lo stesso schema: 50% di neri e 50% di isabella, sempre a ciuffo bianco; i bianchi unicolore si intendono tutti del tipo bianco dominante (dati trasmessi cortesemente da Fred Gahrmann, Zoeterwoude, Paesi Bassi).
Il bianco dominante si comporta geneticamente allo stesso modo anche in seguito ad incrocio con la colorazione cucula o sparviero: da un maschio sparviero ed una femmina bianca si ottengono pulcini di colore isabella a fattore cuculo, vale a dire con un disegno a fasce di colore beige chiaro e scuro alternate in cui si intuiscono dei riflessi lilla.
Da un maschio bianco dominante ed una femmina sparviero si avranno maschi isabella a disegno sparviero e femmine isabella che invece sono prive di tale disegno a fasce.
Vista la difficoltà di definire un disegno a fasce tra due tinte dalla tonalità così simile, Fred Gahrmann ha deciso di non dare seguito a tali esperimenti.
Nel frattempo, alcuni esemplari isabella a ciuffo bianco sono arrivati anche in Italia, sia nella varietà a penna liscia che a penna riccia. Non è improbabile che tale colorazione, pur comportando le stesse difficoltà della blu e della cioccolato in quanto eterozigote, possa trovare estimatori per la delicatezza ed eleganza che conferisce all’aspetto dell’Olandese con ciuffo nana.

Cioccolato & Tortora Kaki

Incrocio bianco dominante x sparviero
(foto: Fred Gahrmann)

Sparviero a penna riccia
(foto: Club Olandese con ciuffo)

Un’altra novità di cui si stanno occupando i Gahrmann è l’abbinamento di una colorazione ‘difficile’ come la sparviero alla conformazione arricciata del piumaggio.
La colorazione sparviero nell’Olandese con ciuffo nana presenta diverse difficoltà: le femmine hanno la tendenza ad essere troppo scure, non solo a causa dell’eccessiva pigmentazione appunto delle fasce scure ma anche perché le fasce chiare tendono ad assottigliarsi.
È un problema che si nota soprattutto a livello di dorso, ali e coda.
I maschi, se omozigoti per il fattore cuculo, presentano le fasce chiare di larghezza doppia rispetto a quelle scure, ed inoltre la punta della penna terminante con una fascia chiara: l’effetto generale è spesso quello di soggetti troppo chiari.
Si tratta di problemi che riguardano anche i soggetti a penna liscia; a queste difficoltà si aggiunge il grado di arricciatura della penna, che soprattutto su petto, addome e dorso è spesso insufficiente: la punta della penna deve non solo sollevarsi ma anche rientrare nella parte finale a formare un riccio quasi a ferro di cavallo.
La visibilità generalmente non è un problema nella varietà a penna riccia, contrariamente a quanto si verifica per la penna liscia.
Le colorazioni momentaneamente riconosciute in Olanda per l’Olandese nana con ciuffo a penna riccia sono la bianca e la blu a ciuffo bianco; il Club dell’Olandese con ciuffo dovrà tra breve pronunciarsi sull’opportunità o meno di chiedere il riconoscimento della colorazione sparviero a ciuffo bianco già dalla stagione in corso.
Un eventuale riconoscimento ufficiale potrebbe aumentare le possibilità di ‘sopravvivenza’ dell’Olandese con ciuffo a penna riccia, cosa che allo stato attuale della selezione è tutt’altro che certa, considerando che gli allevatori si contano purtroppo sulle dita di una mano.

È giusto tollerare. Ma quando, e in che misura?

di Fabrizio Focardi

Ai giudici si rimprovera spesso di non essere abbastanza tolleranti; ma quando, e in che misura, è ammessa la tolleranza?
Sia i giudici che gli allevatori si dovrebbero porre, a questo proposito, anche altre domande: a quali regole ci si deve attenere?, su quali razze e caratteristiche si può essere tolleranti?, ma soprattutto: è giusto essere tolleranti?, può essere controproducente?
Non è facile rispondere.
Posso comunque affermare, senza ombra di dubbio, che la sensibilità più o meno presente nel patrimonio genetico di ognuno di noi e l’esperienza personale hanno un ruolo primario nel giusto uso della tolleranza.
Questo argomento sta alla base di alcune discussioni che si sono verificate negli ultimi tempi fra giudici ed allevatori; è un argomento importante, da non sottovalutare, ma questo tipo di discussioni non sono un’esclusiva dell’Italia, come tanti possono credere: mi è infatti capitato più volte di imbattermi, leggendo riviste estere – Germania compresa -, in molti casi analoghi.

Credo purtroppo che l’uniformità dei giudizi sia ovunque di difficile soluzione. I giudici non sono macchine, e non è quindi possibile uniformare la loro mente; gli animal, dal canto loro, sono vivi, non imbalsamati: da una mostra all’altra, a causa di tanti fattori a cui sono sottoposti – stress, stanchezza, luce, ecc. -, il loro aspetto e la loro postura possono cambiare; anche voi vi sarete accorti che la mattina è molto più facile “metterli in posizione”, mentre alla sera, quando sono stanchi e frastornati, mal rispondono alle sollecitazioni del giudice.
Si può comunque migliorare la situazione prendendo atto, giudici ed allevatori, di alcune regole già presenti in quasi tutti i Libri Standard, compreso il nostro.
Prima di tutto è bene tenere presente che tollerare non significa ignorare: sul cartellino, quindi, il difetto deve essere sempre segnalato, a prescindere da quanto poi influirà sul giudizio finale.
Non è però giusto tollerare quello che, con solo un po’ di buona volontà da parte dell’allevatore, è facile evitare: sporcizia, presenza di acari sui tarsi o esposizione di soggetti non in condizioni idonee. Per idoneità s’intende un soggetto nella sua forma migliore di salute e di presentazione.
Non si può essere troppo tolleranti quando ad esempio il piumaggio non è completo, perché non è una caratteristica difficile da ottenere: basta far nascere i propri polli prima e curarli nella crescita affinché il piumaggio rimanga bello e pulito.

Presentazione a parte, tutto ciò che manca – per quanto riguarda la forma e la colorazione – ovviamente non è giudicabile né conoscibile: un bel gallo nero, ma senza coda, potrebbe “nascondere” una falciforme bianca (o una coda troppo rilevata), che non gli lascerebbero chance.
Può succedere ad esempio che, per ragioni atmosferiche – un’estate lunga e calda può essere a volte determinante -, il nostro miglior soggetto entri in muta: in questo caso si deve rinunciare a lui e portarne un altro, anche meno bello, perché avrà senz’altro più possibilità di avere un buon predicato.
Non si può assolutamente parlare di tolleranza in tutte le deformazioni scheletriche, in quanto, per queste, è prevista la squalifica. La causa di queste deformazioni è in genere genetica: occorre pertanto eliminare i soggetti in cui questi geni siano presenti; usandoli per la riproduzione, magari in consanguineità, si andrebbe inesorabilmente verso un aumento della percentuale dei soggetti portatori di questi difetti.
La più comune è la deviazione dello sterno: non è in vista e può essere individuata solo tramite la palpazione della carena. Lo sterno è un osso rettilineo, che però può presentare malformazioni come curvature o avvallamenti. La presenza di avvallamenti, più o meno pronunciati, può, secondo alcuni, derivare dall’insufficiente larghezza del posatoio, specialmente se usato in giovane età: in questo caso, personalmente (forse ingiustamente) sono, in presenza di una forma leggera, abbastanza tollerante perché propendo a credere alla causa ambientale; ma se la deformazione assume la forma a “S” è senz’altro frutto di un’influenza genetica, ed in questo caso non può esistere tolleranza.
Così affermava Knize (1983):

«(…) l’ereditarietà dello sterno deforme è di tipo dominante, e i fattori ambientali interagiscono con quello genetico. Il difetto può raggiungere anche, in forma diversa, l’80% della prole.»

Nel recente libro edito dall’E.E. “Standard delle Razze Avicole per l’Europa” così è riportato:

«Sterno: osso mediano del petto; la sua deformità a “S” è da considerarsi difetto da squalifica.»

Val la pena usare questi riproduttori? No! assolutamente. Se l’allevatore non ha fatto una selezione giusta deve essere il giudice, penalizzando con la squalifica il suo soggetto, a fargli capire la gravità del difetto, e mettere in guardia, qualora il soggetto fosse in vendita, l’eventuale acquirente.
Questo difetto può colpire il soggetto migliore – succede sempre così – e questo può contrariare l’allevatore; lo capisco benissimo: capita a tutti! Dispiace però ancora di più, essendo un difetto non visibile ad occhio nuvo, ma ugualmente grave.
Altri difetti che si incontrano più raramente – forse perché, essendo chiaramente visibili, creano uno spiacevole impatto che scoraggia l’esposizione – sono a carico del becco (becco incrociato, parte superiore o inferiore più corta), come pure a carico degli arti (zampa d’anatra, cioè con il dito posteriore che scende fino sotto il piede, e zampe ad “X”), delle dita (dita storte, che possono derivare sia da fattori ambientali – deficienza di riboflavina, affollamento nelle pulcinaie, pavimenti scivolosi – che genetici), della coda (portata storta), delle ali (a forbice) e del piumaggio (con malformazioni legate alla sua conformazione): tutti difetti sempre penalizzabili con la squalifica, anche se presenti purtroppo su un pollo con tutte le altre carte in regola.
Dorso di carpa e assenza della penna assiale, dove non espressamente richiesti, sono pure difetti da squalifica.

Nella colorazione i difetti assumono un’importanza assai minore, ma quando la causa del difetto è genetica la gravità aumenta, proprio per le stesse ragioni sopra esposte.
Spesso si tratta di geni recessivi che riappaiono solo quando presenti in duplice dose; per questo è bene non inserire mai nuovi soggetti nei propri gruppi riproduttori senza aver prima appurato quello che portano: si rischierebbe di rovinare il lavoro di tanti anni di buona selezione.
Proprio a causa di una mia analoga faciloneria selettiva, un allevatore, al quale ho dato in assoluta buona fede i miei riproduttori, ha avuto questo problema.
Senza peccare di presunzione posso dire che se oggi le razze italiane sono tornate alle nostre mostre, nella loro giusta veste morfologica e di colorazione, è anche per merito mio: per la campagna che da tanti anni porto avanti e per avere, in prima persona, fatto ricerche e scelto riproduttori idonei, cercandoli dove essi erano; e molti di voi ne hanno giustamente approfittato.
La prima razza è stata la Valdarno, poi l’Ancona e poi la Livorno.
Per l’Ancona ho incrociato un ceppo Olandese – con forma forse troppo longilinea – con dei miei soggetti sui quali lavoravo già da alcuni anni. Il risultato fu buono, ma, secondo me, mancava il peso e quella forma classica che vedevo nei miei vecchi libri e riviste.
Questa tipologia era invece presente nelle foto del Notiziario che l’amico Michael O’Connor – presidente dell’Ancona Club Australiano, purtroppo da poco scomparso – mi inviava. Era comunque un sogno poter avere i suoi soggetti: troppo lontano anche per l’invio di uova. Mi ero quindi già messo l’animo in pace, quando invece Bernhard Hanskamp, presidente dell’Ancona Club Olandese – che ho fatto conoscere anche ad alcuni di voi – mi informò che sarebbe andato, per il suo anniversario di matrimonio, in Australia e avrebbe portato uova delle Ancona che da tempo ambedue desideravamo: un sogno sarebbe diventato realtà.
Le uova di Ancona australiana arrivarono in Olanda e l’anno successivo, grazie all’estrema gentilezza di Bernhard, mi arrivarono riproduttori australiani: belli, con buona tipologia, un bellissimo colore e disegno; solo la cresta di qualche femmina, molto grande, aveva nella parte anteriore una leggera forma ad “S”: un difetto che con la selezione speravo di correggere. Per il resto erano perfetti.
Riprodussi con loro una sola volta, e il risultato fu molto buono: colore, disegno e forma molto migliorati . Poi, per mancanza di tempo, dovetti rinunciare alla razza, senza prima però cercare di sistemare i miei riproduttori da un buon allevatore, che mi desse fiducia per la sua serietà.
Ho avuto molti contatti con questo allevatore e, in uno dei tanti, dopo aver riprodotto le mie Ancona, mi ha informato che i soggetti australiani erano evidentemente portatori recessivi di rosso nella mantellina e nelle copritrici delle ali. Una cosa di cui non avevo avuto tempo di accorgermi.
Un bel problema! Stava però a lui, con la selezione, scongiurare che questo difetto dilagasse; ma stava anche al giudice, qualora si fosse imbattuto in un soggetto del genere, penalizzarlo senza tolleranza.

Abbiamo definito i casi in cui non è possibile essere tolleranti. Esistono però casi in cui, a seconda di diversi fattori, è giusto esserlo, anche se non sempre in ugual misura.
Il grado di tolleranza non è purtroppo quantificabile con una tabella: varia per ogni razza e per ogni caratteristica di ognuna di esse; non è giusto equiparare, per ovvie ragioni numeriche, una Wyandotte Nana ad una Polverara, ma nemmeno, per ovvie ragioni fenotipiche, una Livorno ad un Combattente.
Questo complica enormemente il lavoro dei giudici, specialmente quando, come in Italia, non esistano giudici di categoria.
Un giudice deve oltretutto capire quando un allevatore non si limiti a far nascere pulcini da riproduttori, magari comprati all’estero, ma esegua invece un lavoro di selezione per migliorare i propri soggetti e ritrovare caratteristiche perdute.
Si può essere indulgenti quando, in una razza rara, la tolleranza di un piccolo difetto aiuti l’allevatore ad ottenere una migliore selezione; o si può esserlo nei confronti di una certa caratteristica che richieda maggiori sforzi per essere ottenuta, come, ad esempio, la cresta a coppa della Siciliana.
Nei riguardi di una nuova selezione, o con la riselezione di una razza estinta, il giudice, oltre che essere tollerante, deve usare la sua esperienza per dare buoni consigli ed incoraggiare l’allevatore a proseguire, specialmente quando deve farlo in proprio, senza la possibilità di reperire altrove riproduttori.
Come ho detto, ogni caso resta comunque un caso a parte. Ad esempio, nella Orpington sono caratteristiche peculiari la forma, il piumaggio e la posizione, mentre minore importanza hanno alcuni punti della testa come la cresta o i bargigli (ma non la testa stessa, che deve avere la classica forma arrotondata con cranio largo): si potrà quindi sorvolare su una cresta con un taglio non perfetto, ma questo, sia ben chiaro, non significa giustificare un doppio dente; ad un gallo adulto si possono perdonare dei bargigli un po’ troppo sviluppati, ma non la presenza di pieghe orizzontali o verticali.
Nelle razze con tipologia mediterranea i punti della testa diventano invece caratteristica peculiare, pertanto assumono un’importanza che non permette molta tolleranza.

La tolleranza, nel nostro hobby, è un’arma a doppio taglio: non deve mai essere esagerata, ma va somministrata sempre nella dose giusta.
Se troppa, va indubbiamente a discapito della futura selezione. Conosco bene i nostri allevatori: ormai sono quasi venti anni che vedo i loro polli; ad alcuni il predicato interessa solo in vista della vendita, e non viene considerato in quanto consiglio per migliorare, se necessario, la selezione. Quando fu fondata la FIAV, le solite “Cassandre” prevedevano una vita di stenti per la nostra avicoltura; io ero invece fra gli ottimisti e credevo che gli allevatori italiani sarebbero cresciuti e maturati, capendo lo scopo del nostro hobby.
Oggi purtroppo ho perso molto del mio ottimismo e non credo che l’avicoltura italiana raggiungerà mai il livello degli altri Paesi.
Manca il senso di responsabilità, la voglia di migliorare: ancora molti non hanno capito il significato di “mostra” e di “Campionati Italiani”.
In tutte le altre categorie (conigli, colombi e uccellini) la situazione è assai migliore della nostra.
Io allevo anche Agapornis e so che se presentassi un soggetto a cui mancasse anche una sola remigante o timoniera, ciò influirebbe assai negativamente sul giudizio: di conseguenza non lo presento. Oltre a questo, alle mostre di uccellini i soggetti a concorso non sono in vendita: chi iscrive i suoi soggetti li iscrive solo perché vengano giudicati, e non crediate che anche lì non ci siano discussioni!
Ce ne sono eccome, ma gli animali vengono comunque esposti e le discussioni possono essere le più svariate, ma non si discute mai sulla presentazione: quella è data per scontata.
Eccedendo in tolleranza si corre il rischio di invogliare, nella nostra situazione attuale, a non migliorare; e questo va senz’altro evitato.

La tolleranza non deve però solo esistere nel giudizio dei nostri polli, ma anche nei rapporti con i propri simili: è spesso invocata nella speranza di riequilibrare le sorti del mondo. Tentiamo anche noi, allora, con un po’ di buona volontà, a dare un equilibrio giusto al nostro hobby.
Proprio oggi, 10/01/2007, ad articolo già finito, ricevo il notiziario dello “Asian Hardfeather Club” di dicembre 2006: si tratta del notiziario del club inglese dei combattenti asiatici che Julia Keeling, segretaria, gentilmente sempre mi invia. Julia è uno dei migliori giudici europei per le razze combattenti, e la nostra amicizia è nata proprio in occasione dei lavori per la divisione in due categorie della razza Shamo.
Sul notiziario leggo un articolo che, guarda un po’, tratta più o meno lo stesso mio argomento e con piacere qui lo riporto tradotto integralmente:

Fabrizio Focardi

Non Biasimate il Giudice
di Julia Keeling

« Quante volte tutti noi abbiamo sentito dire: “Quel giudice non sa riconoscere un bel soggetto”.
Quando esponiamo un animale ad una mostra avicola, tutto ciò che apprendiamo è quale tipologia piace a quel giudice, sia che si tratti di un Kulang che di un piccolo Ko-Shamo.
A qualsiasi mostra quello che riceviamo è l’opinione del giudice.
Gli standard esistono e stanno lì per essere studiati da tutti, ma ognuno può dargli un’interpretazione personale.
Se non siamo d’accordo con il giudizio di un giudice e sulla tipologia da lui preferita, si può non esporre quando lui giudicherà.
Se il giudizio positivo di un giudice è coerente con l’animale che lo riceve tutto è Ok, ma se i buoni giudizi sono riservati solo ai suoi amici allora lasciate lui ai propri amici e i vostri animali a casa.
Nel corso degli anni ho esposto davanti a un gran numero di persone diverse e posso dire che oggi il giudizio è molto più giusto di quanto non lo fosse in passato.
I vecchi espositori professionisti sono scomparsi e adesso, quasi sempre, è l’animale che riesce a piazzarsi e non il suo proprietario.
A ogni mostra noi riceviamo l’opinione del giudice relativa esclusivamente a quel giorno e a quel momento, né più né meno. In effetti un giudice cha ha un’opinione diversa dalla vostra può essere positivo: ciò dà la possibilità ad ognuno di ricevere un buon giudizio. Per il nostro animale non possiamo chiedere nulla di più di una onesta opinione in quel giorno. »

Giudizi diversi in mostre diverse

di Marco Galeazzi

Prescindendo dal fatto che il giudizio possa essere falsato da un errore del giudice (capitolo vasto che richiede una disamina a sé!), vorrei evidenziare tutti i fattori che possono influire sulla valutazione finale di un avicolo.
E’ indubbio che esiste uno Standard di razza e quello detta le regole a cui l’allevatore deve attenersi nella selezione e il giudice nel valutare un animale in mostra. Ma può lo stesso soggetto conseguire giudizi anche piuttosto diversi da esposizione a esposizione?
La risposta è sicuramente si!
Mi sembra cosa piuttosto normale ma credo sia giusto chiarire ed approfondire alcuni aspetti che influenzano la valutazione.

Giudicare un avicolo non è cosa facile, lo Standard di razza è la base, ma questo poi và ‘interpretato’ razza per razza, colorazione per colorazione, ed è proprio la sensibilità e preparazione del giudice che può fare la differenza.
Inoltre molteplici sono le variabili che influiscono sul giudizio finale e che, incidendo in modo diverso in ogni singola mostra, possono far ottenere allo stesso soggetto diversi predicati.

Prendiamone in considerazione alcuni.

Il tipo di mostra e la qualità degli altri soggetti: lo stesso animale presentato ad una sociale, confrontato magari a soggetti di scarso valore, può dare al giudice una buona impressione e quindi può essere valutato in un modo diverso rispetto ad un Campionato Italiano, dove è giusto anche essere più esigenti, e dove magari la qualità generale è molto superiore. In poche parole ad una mostra può risultare il migliore della sua razza e quindi essere anche un po’ ipervalutato, ad una successiva può risultare di qualità nettamente inferiore rispetto alla media presente e ricevere una valutazione inferiore. Ogni mostra fa storia a se!

Le condizioni di salute: è abbastanza ovvio che il soggetto può in una determinata mostra, non essere in buone condizioni fisiche, non dico palesemente sofferente il che comporterebbe un ‘Non Valutato’, ma avere delle lievi patologie: leggero raffreddamento, inizio di rogna alle zampe, stato di malessere generale, ecc. ecc. che sicuramente influisce sul suo aspetto generale nonché sul portamento facendo variare il giudizio rispetto a quando l’animale è in perfette condizioni di salute.

Le condizioni espositive: questo è un capitolo piuttosto vasto, in quanto le condizioni generali dell’animale possono veramente cambiare nel giro di pochi giorni, per non dire di poche ore, ( agli ultimi Campionati di Jesolo ho visto una Cocincina nana che per ogni giorno di permanenza perdeva circa il 20% delle penne, è arrivata vestita e se ne è andata praticamente nuda!). E’ comune esperienza di tutti gli allevatori sapere che un pollo può sporcarsi, prendere riflessi gialli, perdere le falciformi, entrare più o meno in muta, avere un piumaggio scomposto ed opaco, iniziare la deposizione, ridurre le dimensioni e la piega delle cresta, diventare pallido, sciuparsi il piumaggio durante il trasporto, ecc. ecc. in pochissimo tempo malgrado le nostre più scrupolose attenzioni. Capite bene che, come si presenta l’animale al momento del giudizio, influenza non poco la valutazione finale.

La temperatura del locale: ambienti freddi o caldi o umidi influenzano il portamento e di conseguenza tutto l’aspetto generale del soggetto.

L’orario del giudizio: lo stesso animale giudicato la mattina con il giudice riposato, più attento, più paziente a perdere del tempo nel posizionare il soggetto che a sua volta è più pimpante e recettivo; oppure giudicato la sera dove la stanchezza sia del giudice, che dell’animale che vuole solo dormire, si fa sentire, può dare un’impressione molto diversa che si ripercuoterà sul giudizio.

L’illuminazione naturale o artificiale: una colorazione o un riflesso sotto una bella illuminazione naturale, magari con fuori un sole splendente, oppure sotto la luce di scarsi neon può assumere aspetti molto diversi. Il numero di animali da giudicare e il tempo disponibile: a volte il giudice si trova a dover giudicare un numero di animali ben superiore a quello massimo consentito il che riduce di molto il tempo che può dedicare a ciascun animale. Oppure i cartellini giudizio non sono precompilati nella parte di competenza del Comitato Organizzatore e un po’ del tempo del giudizio viene convogliato in questo compito non di sua competenza, tutto questo può far sfuggire al giudice certi particolari come, per fare un esempio, non sentire lo sterno e magari non accorgersi se questo è deviato, o comunque avere molto meno tempo per posizionare nel giusto modo l’animale e anche questo influirà sul giudizio.

Le gabbie da esposizione: gabbie di dimensioni non standard, sia troppo piccole che troppo grandi, gabbie troppo basse per alcune razze dal portamento eretto, per non parlare di fondi scivolosi o peggio ancora non perfettamente in piano o con stecche di plastica, influiscono enormemente sul portamento e sull’aspetto generale degli animali che in una gabbia adatta possono risultare di qualità molto superiore.

La preparazione del giudice: per prima cosa è bene ribadire che non siamo tutti uguali e questo vale anche per i giudici federali.
Secondariamente è bene ricordare che le razze presenti attualmente nello Standard Italiano delle Razze Avicole sono 247 per non parlare delle colorazioni; non esistendo per il momento nel nostro paese la specializzazione, a me sembra ovvio, ma non sembra che lo sia per tutti, che è impossibile conoscere e valutare in modo ugualmente corretto tutte le razze.
Ci sono razze che ogni giudice conosce meglio per simpatia, perché le ha allevate, perchè le ha seguite di più ai corsi, perché le ha giudicate più volte, e razze che conosce meno, oppure addirittura è la prima volta che le vede ad una determinata manifestazione e di conseguenza anche il giudizio, rispetto a quando lo stesso animale è giudicato da un altro giudice che presenta nei riguardi di quella razza una conoscenza diversa, può variare.

Dopo tutta questa lunga disamina sfido chiunque a dire che un soggetto deve prendere lo stesso punteggio a qualsiasi mostra. Lo stesso soggetto, giudicato da me la mattina o la sera può tranquillamente prendere un giudizio diverso, senza per questo sia giustificato gridare allo scandalo, figurarsi se viene valutato dopo un mese, in un contesto completamente diverso e da un altro giudice.
Come ho precisato all’inizio tutto questo nella utopica condizione in cui non si debba aggiungere anche un eventuale errore del giudice, che ci può essere. Una certa percentuale di errore nel giudizio ci sarà sempre, si mettano l’animo in pace chi pretenderebbe il contrario. E’ invece più che giusto, direi un DOVERE per i giudici, cercare con lo studio, l’esperienza, un po’ di attenzione, di ridurre questa percentuale fisiologica di errore al minimo possibile.
Finisco osservando che secondo me, dopo tanti anni di giudizi e mostre, la situazione è la seguente: delle contestazioni che si sentono la domenica alle mostre sui giudizi (la dialettica e lo scambio di opinioni sono il sale di una esposizione, mai prescindendo però da correttezza e buona educazione), il 25% circa sono del tutto campate in aria, pure invenzioni dell’allevatore; il 50% circa sono discutibili, ha ragione il giudice quando ha dato quel determinato giudizio, ha ragione l’allevatore che la vede da un altro punto di vista. Sono quelle differenze di opinione che sono fisiologiche ed importanti e che dovrebbero essere in parte chiarite da una sana discussione fra giudice ed espositore davanti all’animale, il confronto che dovrebbe far crescere la nostra avicoltura. In questa categoria rientrano anche una parte delle variazioni imputabili a tutte quelle variabili che ho elencato nel mio articolo. Purtroppo, e questo come presidente dell’O.d.G. mi rattrista molto, un buon 25% circa delle osservazioni sono veramente da imputare ad errori di giudizio: dalla compilazione errata del ‘cartellino giudizio’, alla mancata individuazione di errori da squalifica, alla mancata conoscenza, o dimenticanza, di indicazioni presenti nello Standard di razza o di direttive approvate dal CTS. Che dire: meno capannelli alla mostre; più corretto dialogo; presenza dei giudici, quando possibile, la domenica; disponibilità degli espositori ad accettare i giudizi e ad aprirsi a giudizi esterni sui propri animali; disponibilità dei giudici a riconoscere eventuali errori, a relazionarsi con gli espositori, a impegnarsi per un continuo aggiornamento.
Ogni suggerimento, fattibile, è ben accetto.

Piccoli Avicoltori crescono… con fatica!

di Paolo Rasoini

A chi ha occasione di viaggiare in treno, non importa su quale tratta, non sarà sfuggito che anche i luoghi più insospettati vengono utilizzati per ricavare un piccolo orto con immancabile pollaio. Non solo campi incolti e piccoli appezzamenti in aperta campagna, ma anche piccole aree periferiche destinate inizialmente ad altro uso e poi abbandonate e fazzoletti di terra inutilizzati di ogni tipo, vengono prontamente colonizzati per piantare un cespo di lattuga ed allevare due conigli e qualche gallina, magari ospitati in un gabbiotto messo su alla buona con delle tavole di recupero e un po’ di rete.
E questo succede anche in mezzo alla città, sul retro di sussiegosi palazzi che, visti “lato facciata principale”, mai lascerebbero trasparire la popolana presenza dei nostri beneamati animali.
Questo la dice lunga sulla reale consistenza dell’allevamento avicolo “privato” in un Paese come il nostro, che vanta tradizioni antiche nel settore dell’allevamento e la cui economia, fino a cinquanta anni fa, era basata in larga parte sull’agricoltura.
Evidentemente, non abbiamo ancora reciso questo cordone ombelicale, e non sembriamo affatto intenzionati a farlo.

Ma allora: perché invece il modo dell’avicoltura amatoriale “organizzata”, per così dire, non è così affollato come ci si potrebbe aspettare? Perchè la maggior parte degli avicoltori, anche quando tiene animali di razza, non partecipa alle esposizioni, non si iscrive alle associazioni di categoria e spesso non partecipa neanche come spettatore alle manifestazioni ed agli eventi sociali?
E ancora: quali difficoltà incontra chi vuole avvicinarsi all’avicoltura amatoriale e cosa possiamo fare per facilitare l’espansione di questo nostro bellissimo hobby?
Dalla mia situazione di allevatore “ibrido”, né del tutto fuori dal mondo avicolo organizzato, né partecipante a pieno titolo dello stesso, vorrei qui tentare una riflessione sul tema dello sviluppo dell’avicoltura e dell’associazionismo.
Premetto che non ho alcuna intenzione polemica, anzi. Vorrei solo far conoscere il punto di vista di un non addetto ai lavori che spera di progredire e si trova a confrontarsi con una serie di problemi.
Sarei contentissimo se si trovasse il modo di risolverne o attenuarne qualcuno, e mi auguro di trovarmi, domani, ad esporre i miei animali nel contesto di manifestazioni sempre più ricche ed affollate.

Chi siamo?

Per cominciare in modo adeguato, bisognerebbe capire che tipo di avicoltori amatoriali sono gli italiani, quanti ce ne sono, e quanti animali allevano.
Già qui sono dolori: l’anagrafe degli allevatori tenuta dal servizio veterinario probabilmente non registra che una piccolissima parte dei pollai esistenti, anche se c’è stato un certo aumento l’anno scorso con i timori causati dall’influenza aviaria.
Il numero di animali dichiarato al momento dell’iscrizione è poco indicativo, perché varia facilmente, ed in ogni caso il registro non ci dice di che genere di avicoltore si tratta.
Sarebbe forse interessante pubblicare un questionario o fare un sondaggio, magari in occasione delle manifestazioni avicole, sul sito FIAV o sul bollettino, anche se risulterebbe necessariamente parziale.
Per sommi capi, diciamo che gli avicoltori italiani appartengono a questi gruppi:
1. Specialisti e tecnici, studenti e studiosi, giudici, membri del CTS, professionisti del settore che sono anche amatori. Più in generale, allevatori amatoriali molto “seri” ed evoluti, che hanno conoscenze abbastanza approfondite su molte razze, di solito fanno selezione, spesso sono impegnati anche nelle associazioni e frequentano mostre ed eventi vari anche come espositori.
2. Avicoltori “medi” che allevano in purezza, eventualmente a rotazione, un numero limitato di razze che si sforzano di conoscere meglio e sulle quali eventualmente cercano di praticare la selezione. Di solito cercano di mantenersi in contatto con l’ambiente avicolo, visitano le mostre e talvolta si aggregano in associazione.
3. Allevatori “generici” che non fanno alcuna selezione, ma magari si sono innamorati di un soggetto visto per caso e se lo sono portato a casa. Non sono troppo interessati allo studio delle caratteristiche dei loro animali, che spesso ibridano senza problemi, ma visitano sempre volentieri una mostra.
4. Allevatori “utilitaristi” che non sono interessati tanto alla selezione né alle caratteristiche razziali dei loro animali in sé, quanto piuttosto a quello che possono ricavare dall’animale (uova, carne). Difficilmente visiteranno una mostra o si iscriveranno ad una associazione avicola.

Le attrezzature e gli spazi di cui possono disporre gli avicoltori amatoriali variano moltissimo ed condizionano pesantemente la pratica di allevamento, non solo in funzione della eventuale selezione, ma anche in termini di numero di razze allevate, condizioni igieniche, profilassi, possibilità di separare i maschi dalle femmine e quindi di avere dei bei soggetti da presentare alle mostre etc.
Un ulteriore elemento di variabilità del comportamento dell’allevatore è l’aspetto “affettivo”, da cui non sono totalmente immuni neppure gli “utilitaristi”. Nella sua forma più radicale, l’allevatore affettivo tratta i suoi animali, indipendentemente dagli altri fattori, come beniamini di casa. Spesso è un animalista convinto e si rifiuta categoricamente di uccidere e mangiare i suoi polli, almeno in prima persona.
In definitiva, ognuno di noi alleva secondo le sue preferenze e le sue possibilità, ognuno è ricettivo a fattori diversi di coinvolgimento e di interesse in quanto ricerca nell’avicoltura un tipo diverso di soddisfazione.
Che si può fare per allargare raggiungere il maggior numero di appartenenti a questo gruppo eterogeneo? Non ho la ricetta giusta, ma indipendentemente da quale sia l’elemento trainante, credo che si debba cercare di facilitare il passaggio del maggior numero possibile di persone dai gruppi più generici e meno coinvolti nell’avicoltura amatoriale organizzata, ma anche ben più numerosi, verso quelli più attivi e specializzati. Riuscire in questo significa essere di aiuto agli avicoltori ed assicurare un buon futuro alle associazioni, alle manifestazioni di settore, ma soprattutto alle specie avicole che cerchiamo di perpetuare e migliorare.

La tendenza.

Per quel poco che posso percepire io, frequentando i forum ed alcuni siti Web, l’interesse verso l’allevamento amatoriale di avicoli è in netto aumento. Mi sembrano chiari segnali in questo senso la quantità di informazioni che si riescono a trovare sulla rete, impensabile solo due anni fa, le molte e-mail di altri appassionati che io stesso ricevo, il numero di visitatori che si fermano agli stands avicoli durante le mostre ‘miste’, il fatto stesso che il numero di manifestazioni avicole aumenta ogni anno.
Neppure la crisi-aviaria del 2005 è riuscita a fermare la ‘voglia di avicoltura’. Eppure, è senz’altro vero che in Italia siamo ancora pochi. Rispetto alla diffusione dell’allevamento amatoriale nei paesi del nord Europa, il nostro Paese è lontano anni luce, dunque abbiamo ancora molta strada da compiere e ci sono gli spazi per una crescita vistosa.
Nel contempo, proprio perché ci sono gli spazi per crescere, è bene essere molto accorti, soprattutto se inesperti, per evitare di cadere preda dei soliti inevitabili furbastri.

Reperire informazione.

Diamo per scontato che il miglioramento, in avicoltura come negli altri campi, segue la strada della conoscenza e che ciò che appare banale per alcuni, può essere sorprendente per altri.
Ma l’informazione, a qualsiasi livello, per essere utile deve essere comprensibile, aggiornata ed attendibile.
Trovandosi nella necessità, l’ideale sarebbe potersi rivolgere a qualche amico esperto o magari studente di agraria o veterinaria, che fornisca in parti uguali conoscenza e buonsenso. In alternativa, sarebbe bello avere a disposizione la più ampia documentazione su ogni aspetto dell’avicoltura, dai più banali, per i neofiti, ai più ostici, per tecnici specializzati.
Per questo è molto importante che sempre di più gli operatori professionali del settore, i membri del CTS, veterinari, agronomi, laureati in produzioni animali etc. mettano a disposizione degli amatori una parte del loro sapere, in forma accessibile, come tanti già fanno sulla carta e sul web.
Parlando di attendibilità, poi, è molto importante da un lato la capacità di giudizio di chi riceve informazione, dall’altro la correttezza e l’attinenza a ciò che si è sperimentato o si conosce bene da parte di chi fornisce informazione, soprattutto sulla rete, in contesti più o meno privi di controllo e di tutela del lettore (forum, siti di privati, siti di produttori di attrezzature etc.).
Da questo punto di vista, il bollettino FIAV e le associazioni stesse, essendo punti di riferimento, possono fare miracoli.
Prendo spunto dalle mie necessità personali e da contatti con altri allevatori per elencare, a mo’ di esempio, alcuni argomenti che mi piacerebbe trovare trattati su Avicoltura/Avicoltura o su www.fiav.info, direttamente sotto forma di articoli oppure come riferimenti a testi o siti dove l’informazione viene trattata, anche se capisco che il bollettino non può trovare spazio per tutto e giustamente non può rinunciare a riportare la vita di club, gli eventi, le manifestazioni e naturalmente le comunicazioni del CTS.
– Qualche recensione periodica dei testi nuovi o vecchi tenuti interessanti ed appropriati dal comitato di redazione, in una bibliografia ragionata, indicante quale è il taglio dato all’argomento di cui si tratta,
– tabelle e/o articoli sull’alimentazione di base ed integrativa (vitamine, sali etc.) degli avicoli, riportanti i nomi commerciali dei prodotti se necessario,
– articoli sull’incubazione e la schiusa, corredati da dettagli tecnici e tabelle,
– articoli sulle attrezzature, i pollai, su come razionalizzare l’allevamento etc.,
– articoli sulle vaccinazioni, quelle necessarie, quelle consigliate, quelle che permettono l’accesso alle mostre, completi di nomi commerciali dei vaccini e indicazione del prezzo,
– articoli sulle malattie completi dei nomi commerciali dei farmaci indicati, anche se devono essere prescritti dal veterinario,
– articoli sui regolamenti, le disposizioni ministeriali e sui vari aspetti burocratici in cui può incorrere l’allevatore espositore,
– calendario mostre ed articoli sulla preparazione degli animali per le mostre, come quello uscito di recente a cura di Stefano Bergamo, sull’inanellamento, come quello di Marco Galeazzi,
– articoli sulle singole razze e sulla loro diffusione,
– articoli sulla genetica degli avicoli,
– informazioni sul percorso formativo necessario per diventare giudice,
– pubblicazione dello standard italiano delle razze avicole, se no, secondo quali principi si fa la selezione?.

Reperire materiale.

Il primo e più importante problema per chi intende cominciare ad allevare polli di razza è reperire dei riproduttori, possibilmente di buona qualità, della razza prescelta.
Abbiamo già detto che nel nostro paese siamo pochi. In questo contesto, riuscire ad acquistare degli animali è spesso un’impresa, perchè questi, semplicemente, non bastano a soddisfare la richiesta.
Per trovare il nome giusto, è evidente l’utilità di avere una lista di “Chi alleva Cosa” oppure anche il catalogo di una mostra. Un enorme punto a favore dell’iscrizione ad una associazione è proprio la possibilità di procurarsi contatti ed eventualmente fare scambi con altri avicoltori. Sarebbe anche molto apprezzabile che la stessa Fiav, in collaborazione con le associazioni, fornisse una ‘Lista degli Allevatori’ nazionale.

Un altro aspetto importante a favore della pubblicazione di una lista di allevatori federati è il fatto che di solito questi sono meno inclini a cedere animali brutti o pesantemente fuori standard rispetto al classico commerciante.
So che questo è un punto molto delicato, quindi cercherò di spiegarmi bene. E’ normale che un allevatore conservi per sé gli animali migliori e ceda soltanto quelli che presentano qualche difetto o qualche aspetto poco conforme allo standard, ma questi, si spera, potranno almeno costituire materiale di lavoro per sviluppi futuri nel pollaio dell’acquirente. Soprattutto, ci si deve aspettare che ad un allevatore che inizia, non vengano venduti soggetti di scarsa qualità, magari a prezzo alto, solo perché non è in grado di valutare correttamente.
Devo dire che a me è capitato di ricevere un rifiuto da un collega allevatore perché: “con la colorazione ancora non ci siamo”; lì per lì ci sono rimasto male, ma adesso capisco che aveva ragione lui, e lo ringrazio.
Non me ne vogliano i commercianti, ma una cosa simile, rivolgendosi ad un allevamento professionale, difficilmente sarebbe successa. Nello stesso tempo, non mi sentirei di affermare che l’iscrizione ad una associazione basti a garantire un comportamento corretto da parte dell’appassionato venditore.
Un punto cruciale, strettamente legato al precedente, è quello del prezzo. Vista la ‘fame’ di animali e la tendenza in crescita del mercato, i prezzi inevitabilmente salgono.
Ancora una volta, non entro nel merito dell’allevamento professionale e commerciale, sarebbe inutile, una ditta è fatta per generare reddito, se no chiude, però sinceramente capita anche di incontrare l’appassionato ingiustificatamente “affarista”.
E’ vero che le spese sono sempre tante e che la possibilità di recuperare qualche euro non sia mai da scartare, però a volte si passa il limite del buonsenso. Mi ricordo, qualche tempo fa, un tam-tam sulla rete tra appassionati alla ricerca di un esemplare particolare che sembrava uno scambio di messaggi tra spacciatori di ‘roba’.
Mi permetto di dire che secondo me nessun esemplare, per raro o bellissimo che sia, vale una ‘corte’ eccessivamente serrata al venditore. Inoltre non apprezzo lo spirito esclusivo di chi trae piacere dall’essere ‘il solo’ ad allevare una razza o ‘il solo’ ad avere esemplari belli e rispondenti allo standard.
Al contrario, credo che questo atteggiamento sia profondamente in contrasto con lo spirito dell’avicoltura amatoriale. Chi ha specie rare ed esemplari belli dovrebbe fare il possibile per diffondere la razza ed il suo ceppo particolarmente apprezzabile. Non dico di regalarli in giro, anche se alcuni lo fanno e sono davvero da ammirare, ma almeno non specularci sopra o, peggio, fare catenaccio perchè nessun altro li abbia.
Altro esempio: perchè non si vendono volentieri le uova, soprattutto non si spediscono mai? Perché quando si trovano costano dei prezzi esorbitanti? Saranno sempre giustificati?
Mah! Difficile rispondere. Il sospetto è che l’ostacolo principale siano i quattrini: ci sarà chi teme di inflazionare il mercato diffondendo troppi avicoli di razza? Ma magari fosse così!
Di fatto, le uova sono un mezzo molto comodo di ‘disseminare’ i nostri avicoli, verrebbe da pensare che siano oggetto di scambi intensi, ma non è così, almeno da noi.
Su Internet, vengono vendute a prezzi decisamente alti ed è possibile riceverle anche in Italia, provenienti dall’estero. Per quanto riguarda la schiudibilità, è vero che la spedizione la riduce, ma ho avuto occasione di incubare uova giunte in aereo ed ho avuto risultati non malvagi, pur essendo le mie attrezzature minime.
Una volta portati a casa gli agognati animali, il grosso del lavoro è fatto, soprattutto finchè va tutto bene. Se qualcosa va storto e gli animali si ammalano, sono dolori.
Trovare un veterinario che si prenda cura dei polli, a meno che non se ne possiedano diecimila, non è cosa comune. Personalmente ho ottimi rapporti con i miei veterinari, con i gatti sono meravigliosi, però non sono mai riuscito a guarire un pollo con le loro cure. Di solito sono più interessati agli aspetti di igiene e profilassi e di vigilanza sul territorio piuttosto che alla salute del singolo animale. D’accordo che la cosa più importante è escludere malattie gravi e infettive, che rischiano di decimare l’allevamento o essere pericolose per l’uomo, però, una volta escluse queste (a mio conforto), ci si riduce sempre ad un antibiotico a largo spettro contro le affezioni respiratorie e intestinali. Senza contare che le confezioni sono spesso di dimensioni esagerate e di conseguenza i prezzi esorbitanti.
Credo che un miglioramento in questo campo possa venire dalla crescita stessa del nostro settore, che non mancherà di essere notata dalle case farmaceutiche né dai veterinari professionisti come opportunità di business. Spero quindi che avremo presto farmaci ad uso veterinario in confezioni più ragionevoli e personale sanitario sempre più preparato e disposto a ‘perdersi’ dietro ai nostri beniamini.

Diamoci una mossa.

Sono consapevole che quelli descritti fin qui sono solo alcuni degli ostacoli più o meno grandi che ognuno di noi deve superare, ma, visto che l’interesse per l’avicoltura amatoriale si sta risvegliando, forse abbiamo oggi la possibilità di far compiere al nostro hobby un salto di qualità, e questo cambiamento passa anche attraverso l’atteggiamento positivo di ciascuno di noi. Non facciamo ostruzionismo, scambiamo materiale, uova, animali, informazioni. Condividiamo successi e sconfitte, coinvolgiamo altri appassionati, visitiamo le mostre, pubblicizziamo quel che facciamo. Cerchiamo di organizzarci per costruire ciò che serve ed ancora non c’è. Cerchiamo di far capire che la strada dell’associazionismo è il migliore antidoto contro la disorganizzazione e l’eccesso di affarismo.
Domani potremo avere una situazione migliore o, almeno, ci saremo divertiti, no?

Sussex: piumino bianco o grigio?

di Focardi Fabrizio

Ho visto a Jesolo alcune Sussex, sia grandi che nane; era da molto tempo che non erano presenti alle nostre mostre – perlomeno a quelle in cui ho giudicato – ed è un vero peccato perché è una razza veramente bella e, considerando la questione anche da un punto di vista produttivo (per molti sempre importante), a duplice attitudine: fornisce pertanto ottima carne – lo dico per assaggio diretto – e un numero discreto di uova.
Senza niente togliere alle altre colorazioni, la Bianca Columbia Nero è per me la colorazione della Sussex – come del resto accade per la Brama – nella quale questa razza è meglio rappresentata.
Se si mettono a confronto soggetti di diverse colorazioni, nella Bianca Columbia Nero le caratteristiche morfologiche tipiche (forma, mole, linea dorsale e testa) sono in genere presenti nella loro forma migliore.
La Sussex, nel suo Paese di origine (l’Inghilterra), ha anche un disegno Columbia un po’ particolare, direi diverso dalle altre razze: le fiamme della mantellina sono più larghe e intense ed hanno una lucentezza particolare; si potrebbe parlare di penne nere leggermente orlate di bianco; questo è molto più evidente nella gallina, che ha le penne più larghe.
Non ho comunque intenzione di addentrarmi in un contesto morfologico o di trattare tutte le colorazioni, mi voglio solo soffermare su quelle a disegno Columbia proprio della Sussex: la Bianca, la Fulva e la Rossa.
Questo disegno è spesso preferito dagli allevatori per il contrasto che crea ma, per ottenerlo, i colori devono essere intensi e brillanti e lo stacco fra loro ben netto; occorre pertanto una carica di colore tale da generare un piumino grigio, così richiesto in quasi tutte le razze; ma proprio qui sta il problema.

Sussex

Fino ad oggi in tutte la razze – eccetto che in alcune nane autentiche come la Bantam, l’Olandese Nana e la Barbuta d’Anversa e forse qualche altra – l’assenza del piumino grigio nelle Columbia era da considerarsi difetto grave. In Germania ho visto più di una Brahma, magari bellissima, valutata con un “Insufficiente”. Spesso mi sono chiesto come mai un soggetto, a prima vista perfetto, avesse quella valutazione, ma uno sguardo al cartellino o un soffio per alzare il piumaggio mi ha fatto capire subito la ragione: la pecca consisteva infatti nella presenza di piumino bianco o fulvo o rosso, ovviamente a seconda della colorazione.

Si arriva spesso a questo spiacevole “effetto collaterale” nel tentativo di eliminare le lanceolate della sella – la cui presenza non è augurabile, fino ad essere difetto grave se troppo intensa – selezionando soggetti sempre più chiari: molti Brahma bianchi sono appunto il risultato finale.
Ho controllato i soggetti di Jesolo, tutti nella colorazione Bianca Columbia Nero, ed ho constatato che in alcuni il piumino era grigio, in altri grigio molto chiaro, e, in una sola femmina nana, era addirittura bianco (non per questo però le fiamme della mantellina erano scarse). Ho avuto la certezza che il soggetto fosse di selezione inglese: chissà se ho ragione! Solo l’allevatore, se vorrà, mi potrà dare questa conferma.
A rigor di logica quel soggetto, con lo standard attuale, avrebbe dovuto essere fortemente penalizzato.
Ma veniamo al problema: la Commissione Standard Europea ha richiesto – nel Libro Standard appena edito, in virtù del fatto che è il Paese di origine che detta legge – il colore del piumino “bianco/grigio chiaro ammesso”, non tenendo conto dello standard tedesco dal quale deriva l’attuale standard europeo, che lo richiede grigio.
Sì, perché in Inghilterra, terra madre della nostra razza, così è richiesto: “bianco/grigio chiaro ammesso”.
Questo sta a significare che, dati due soggetti alla pari in pregi e difetti, sarà preferito quello a piumino bianco.
Questo ha generato disappunto negli allevatori tedeschi e nel relativo “Club Speciale degli Allevatori della Sussex e della Sussex Nana”, tanto che è stata inviata una mozione alla Commissione Standard Europea.
In una sua lettera, il signor Franz Hallermann, responsabile dell’allevamento della Sussex, ne spiega il motivo:

« (…) Questo ricorso è motivato dal fatto che i colori precisati devono sempre essere lo scopo dell’allevamento. La mia lunga esperienza di responsabile dell’allevamento della Sussex grande e nana mi ha permesso di constatare che la colorazione Bianca Columbia Nero potrà corrispondere ad un bianco argento duraturo e ad un disegno Columbia ben marcato solo se il piumino sarà grigio chiaro.
Nella colorazione Fulva Columbia Nero, la stessa constatazione è valida, perché se il piumino grigio chiaro non è presente la maggior parte de soggetti diventano marmorizzati. »

E prosegue:

« (…) Un’altra prova che il piumino grigio è la giusta strada sta nel fatto che alla mostra “Royal Cornwall Show” del 2004 in Inghilterra tutte le Sussex Columbia avevano un piumino grigio chiaro fino a grigio. »

Sussex

Chi legge i miei articoli sa benissimo che sono uno strenuo sostenitore di questa regola: che sia cioè il Paese di origine a dare lo standard delle razze. Ma devo ammettere, in questo caso, di essere contrario a questa decisione: non si potranno mai avere delle belle Columbia con un piumino bianco o fulvo o rosso che sia.
E’ molto importante – basilare direi -, prima di prendere qualsiasi decisione, pensare a quale sarà il risultato di una selezione duratura nella ricerca di un piumino bianco: sporadici bei soggetti a piumino bianco non significano nulla. Personalmente credo che non prometta niente di buono per la nitidezza ed intensità del disegno, il candore del bianco e l’uniformità del fulvo e del rosso.

Non è per mancanza di fiducia negli allevatori inglesi, ma alcuni dei loro standard sono rimasti inalterati per decenni, senza curarsi se erano o meno corrispondenti alla realtà.
Ho recentemente seguito la modifica inglese dello standard della Shamo e della Malese: modifica resa assolutamente necessaria dal fatto che i giudici erano costretti a basarsi su di uno standard virtuale per i loro giudizi, dato che quello esistente non corrispondeva più alla reale tipologia richiesta agli allevatori per queste razze.
Non è una colorazione facile, ne so qualcosa da quando allevavo le Wyandotte Nane.
I problemi maggiori di colorazione erano proprio dovuti al piumino: su molti soggetti, specialmente femmine, sul dorso il colore non era bianco puro a causa dell’affioramento proprio del piumino.
Questo può avvenire a causa del piumaggio non ancora completo, o perché la parte grigia è troppo estesa, tanto da salire troppo in superficie. Anche quando il grigio è troppo intenso, quasi nero, si avrà anche una pepatura sulla penna; personalmente ho anche accertato che questo avveniva spesso nelle femmine non dell’anno in periodo di deposizione.
Siamo tutti d’accordo nell’affermare che un piumino bianco darà più facilmente una superficie più omogenea, senza cioè affioramenti di grigio; ma se questo deve andare a discapito del disegno e del colore di fondo, allora sarà indubbiamente meglio richiedere un piumino grigio e contemporaneamente un colore pulito ed uniforme in superficie, che si può senz’altro ottenere con la selezione – lo abbiamo visto fino ad oggi – relegando la parte grigia solo nella parte bassa della penna.

Da quello che ho letto, anche in libri dell’inizio del secolo scorso, il colore del sottopiuma in queste colorazioni ha sempre avuto un ruolo determinante per la buona riuscita del colore del disegno.
Riporto quello che ha scritto l’inglese Thomas F. McGrew, valente allevatore, disegnatore e conoscitore della materia, nel 1926, nel suo interessante libro: “The Book Of Poultry”:

« Light Sussex (Sussex Bianca Colombia Nero, ndr)
(…) La Sussex e la Plymouth Rock seguono le regole relative al colore della Brahma.
Light Brahma (Brahma Bianca Columbia Nero) (…) Il colore del sottopiuma può essere bianco, bianco bluastro o blu ardesia. »

E su quanto sopra riportato si potrebbe anche essere d’accordo, in quanto non dà una preferenza specifica, ma proseguendo nella lettura la cosa si complica abbastanza:

« Standard Mating (Accoppiamento Standard)
(…) Il colore del sottopiuma è importante ed esso controlla inevitabilmente la sfumatura del colore del piumaggio di superficie. Ardesia o blu nel sottopiuma del dorso e corpo delle femmine è necessario per rafforzare il disegno della superficie nella prole. Ogni volta che la sfumatura del sottopiuma sarà nero fuligginoso, il risultato sarà una superficie scura. Il miglior risultato si ottiene seguendo l’accoppiamento standard con femmine che hanno un sottopiuma blu ardesia, una perfetta superficie del piumaggio bianca ed un disegno ed un colore standard nella mantellina, sella, e coda ed una predominanza di nero nelle remiganti. Femmine di questo colore, incrociate con maschi conformi allo standard, produrranno verosimilmente una bella superficie con un disegno come richiesto dallo standard. Con l’uso di femmine che hanno nero o fuliggine nel sottopiuma il risultato sarà macchie nel dorso delle femmine e sfumature scure nella sella dei galli.
(…) La superficie bianca è verosimilmente il risultato di un sottopiuma scuro, ma le penne del dorso della prole possono essere danneggiate da del nero.
Color crema o sfumature gialle nel piumaggio nella prole possono derivare da genitori che hanno un sottopiuma bianco. La sfumatura blu nel sottopiuma delle femmine rende chiara la superficie della prole nata da esse. »

Passa poi alla “Double Mating” (Doppio Accoppiamento): questo significa formare diversi gruppi di allevamento, ognuno dei quali, per le particolari caratteristiche presenti nei soggetti, darà a seconda dei casi una buona colorazione nei maschi o, viceversa, nelle femmine.
Non sto a riportarlo in quanto, personalmente, non gradisco molto l’esistenza di questa necessità.
Fortunatamente, in questi ultimi anni, alcuni casi in cui questo era necessario sono stati annullati apportando modifiche allo standard; ad esempio nelle colorazioni “Perniciate a Maglie” in cui il petto del maschio era richiesto nero, mentre, per avere un disegno ben netto nelle femmine, era necessario usare galli con una orlatura nel petto (oggi il petto è richiesto nero con fine orlatura ); altro caso nelle “Barrate” quando la barratura di alcune razze era richiesta identica nei due sessi, ben sapendo che ciò non era possibile.
Anche L. Wright (scrittore ed allevatore inglese) nel suo importante libro “Patical Poultry Keeper” del 1867 così riporta:

« (…) La seguente descrizione è stata accuratamente scritta sotto la supervisione di John Pares, Esq. di Postford, vicino Guilford, (Inghilterra, ndr) ben conosciuto come il più eminente allevatore ed espositore di questa varietà per molti anni:
La Light Brahma (Bianca Columbia Nero, ndr) è principalmente bianca nel colore del piumaggio, ma se si aprono le penne si noterà che molto spesso il piumino è grigio bluastro. »

Il 16 Settembre 2006 a Murten (Svizzera) la Commissione Standard Europea si è riunita e ha deciso di rivolgersi direttamente al Club della Sussex inglese per informarsi sulla loro opinione (anche se per adesso non si sa niente in proposito).

In conclusione, la mia opinione è di lasciare il piumino grigio, che non dovrà però trasparire assolutamente sulla superficie del piumaggio. Opterei anche per aggiungere la concessione: “piumino bianco ammesso”.
Del resto, se per la Brahma e la Wyandotte, anche in Inghilterra, si richiede grigio, non capisco perché non resti tale anche per la Sussex.
Tutto il resto complicherebbe solo enormemente la selezione del colore.
Già si assiste ad un deterioramento della colorazione delle remiganti, con troppo bianco nella parte interna: il piumino bianco non farebbe altro che aumentare questo difetto. I nostri allevatori tengono in scarsa considerazione questa caratteristica, visti i soggetti presenti alle nostre mostre: i giudici dovrebbero segnalarla e penalizzarla maggiormente, così da riportarla all’attenzione degli allevatori.
Vi ho detto come io la penso: e voi, come la pensate?
Non esistendo in Italia un Club di Razza mi rivolgo pertanto direttamente agli allevatori: è necessaria la vostra opinione, generata dalla vostra personale esperienza. Soprattutto è importante per voi stessi, in quanto quello che verrà deciso in E.E. forse condizionerà la vostra fonte di nuovi riproduttori: tutto dipenderà da come i Paesi reagiranno.
Anche noi quindi dobbiamo dire la nostra: non è giusto, se non siamo d’accordo, assoggettarsi alle decisioni altrui.
Aspetto le vostre opinioni, preferibilmente al mio indirizzo e-mail: fabrizio.focardi@hotmail.it


Oggi, 02/03/2007, ricevo la copia della lettera di risposta del Club Inglese della Sussex e qui la riporto, tradotta:

Entente Europeenne Divisione Volatili
Commissione Standard ESK-G
Presidente Urs Lochmann
Plattenstrasse 83, CH-505
Ertinsbach SO

15 Novembre 2006 Vostra Ref.: CH5015 ERLINSBACH so 27/09/06

Direttive dello Standard della Sussex

«Gentile Signore,
quanto in oggetto mi fu passato il 14/11/2006.
Con riferimento alla colorazione Bianca Columbia Nero, Fulva e Rossa. Sì, noi seguiamo le direttive.
Gruppi di allevamento contengono animali con piumino scuro per aiutare a mantenere il disegno nero nelle Columbia.
Animali da esposizione devono avere piumino bianco, questa è la nostra preferenza.
Soggetti con piumino di altro colore rispetto a quello stabilito dal nostro standard sono penalizzati, ma ancora presi in considerazione.
Tipo e taglia, insieme, portano più punti del colore.
La razza dovrebbe prima e soprattutto rappresentare un pollo dalle buone qualità per la tavola con carne bianca.
Nel periodo in cui la razza era più popolare, gli animali che portavano piumino scuro erano considerati produttori di soggetti con la carne più bianca.
I cambiamenti proposti dalla Commissione Standard Europea non sarebbero accettabili se i loro volatili dovessero essere esibiti in mostre sotto il nostro patronato.
In conclusione è stato un peccato che sia stata visitata la Royal Cornwall Show per comparare lo standard.
La mostra da visitare per vedere i migliori soggetti prodotti in Gran Bretagna è la “Mostra Nazionale” che si tiene al “Stoneleigh National Agricoltural Center”. La prossima mostra si terrà il 3 e 4 Febbraio 2007. »

Commento di Fabrizio Focardi

Sussex0,1 Sussex – Bianco columbia
EC v97 Allevatore E.Reimers – Mostra Europea Lipsia 2006

In poche parole, gli inglesi convengono nell’affermare che, per avere un buon disegno, occorre usare soggetti con piumino grigio, ma che in mostra sono preferiti soggetti a piumino bianco.
Parlano poi di qualità della carne, e concordo sul fatto che la Sussex sia principalmente una razza da carne; ma chi può affermare che un soggetto a piumino bianco sia più prelibato di uno a piumino scuro? Lo si deve dare per scontato nel giudizio?
Oltretutto – e questo mi sembra un controsenso -, secondo il Club inglese i soggetti migliori, con carne più bianca e quindi più prelibata, derivavano da riproduttori con piumino grigio.
Se la mole e la qualità della carne si devono ritenere due caratteristiche peculiari, il piumino grigio, che determina queste due qualità, dovrebbe ritenersi un pregio e non un difetto. Nella lettera si consiglia di visitare la Nazionale di Stoneleigh, invece della regionale che il Presidente del Club tedesco ha visitato.
Questo mi può trovare d’accordo se si vogliono vedere soggetti migliori, ma i giudizi dovrebbero parlare chiaro.

Anche di fronte ad una maggiore tolleranza, usata in mostre minori, il difetto o la preferenza vanno sempre menzionati sul cartellino, altrimenti come si aiuta l’allevatore nella selezione?
Altre colorazioni avevano problemi analoghi: le perniciate a maglie e quelle orlate, ad esempio. Nelle perniciate il petto dei galli era richiesto nero, ma per avere galline con un buon disegno, chiaro e netto, occorrevano galli con il petto leggermente orlato; da qui la necessità di diversi gruppi riproduttori: uno per avere galline con buon disegno ed un altro per avere galli con petto nero.
Non molti anni fa ci siamo resi conto del controsenso, ed è stata fatta la modifica richiedendo nei galli un petto con leggera orlatura nella punta delle penne del petto.
Rimango pertanto della mia opinione, e voi?