La zebra fece la sua prima
comparsa nei circhi romani come Hippotigris,
è stata uno degli animali più popolari e resta tuttora una delle maggiori
attrazioni dei giardini zoologici. Gli scienziati si sono interessati alla
zebra in quanto sistema-modello per lo studio di uno dei più interessanti
problemi biologici: la barratura.
Per la scienza contemporanea la zebratura rappresenta il
paradigma di come i modelli in via di sviluppo si fissino già nell’embrione
man mano che esso si evolve da uovo informe. Per l’occhio del profano una
zebra non è che una zebra. Di fatto ne esistono tre specie: la Zebra
Imperiale o di Grevy, la Zebra di Montagna e la Zebra Comune o di Burchell.
Una quarta specie, la Zebra Quaggia, cacciata per la sua carne commestibile,
fu ridotta all’estinzione alla fine del 1800.
Fig. XXIX. 1. – La Zebra Quaggia o Couagga – Alois Zötl, 12 maggio 1882.
Le zebre appartengono tutte alla famiglia degli equidi e
si prestano agli incroci; avendo però una dotazione cromosomica diversa, gli
ibridi saranno sterili come i muli. Gli ibridi cavallo-zebra sono striati, ma
il disegno del mantello tende a essere differente da quello del genitore
zebra, sia nel numero che nell’organizzazione delle strisce. Le zebrature
delle diverse specie hanno alcuni tratti in comune, però ciascuna presenta
aspetti esclusivi e facilmente riconoscibili. Esistono anche differenze di minor conto fra zebre di una
stessa specie, e addirittura fra
lato destro e sinistro di uno stesso soggetto. I cacciatori sostengono
che non vi sono due animali uguali e che talora si riscontrano disegni
aberranti in cui le strisce sono convolute o si disgregano in zone bianconere
senz’ordine, o appaiono composte da una serie di macchie.
Il pigmento nero non si trova nella pelle, ma solo nei
follicoli dei peli; è degno di nota il fatto che i membri della famiglia
degli equidi che non siano zebre presentano anch’essi una certa quota di
zebratura, ma poiché cavallo e pony sono spesso marroni o neri, tale
zebratura può riuscire invisibile o quasi. Lo stesso vale per la Pantera
nera, variante melanica del Leopardo,: a luce radente possiamo intravedere sul
mantello nero i caratteristici disegni ocellati posseduti dagli esemplari
pigmentati in modo normale.
Perché la zebra è striata? A questi disegni così
appariscenti sono state attribuite le più svariate funzioni: stabilire
vincoli sociali, disorientare il sistema visivo della mosca tse-tse,
raffreddare l’aria generando correnti convettive. È opinione più generale,
e forse più corretta, che le strisce siano importanti per il mimetismo.
Un mantello dal disegno prepotente di giorno rende l’animale quasi
invisibile di sera e di notte, quando strisce bianche e nere ottengono l’effetto
di spezzarne la sagoma. I cacciatori sanno che durante un luminoso chiar di
luna la zebra è invisibile a 50 passi, e che alla luce delle stelle si può
mancarla a poco più di 4 metri e mezzo. Il mimetismo serve a proteggersi dal
maggior predatore, il Leone - Panthera
leo - , in agguato quando al crepuscolo la zebra va ad abbeverarsi, il
momento di maggior vulnerabilità.
L’esame di embrioni di zebra per carpire il momento e il
meccanismo di formazione delle barre non è di alcuna utilità, poiché il
disegno è nel pelame e non nella pelle, e il pelo non spunta se non circa 6
mesi dopo il concepimento. Sono due i motivi che inducono a pensare che il
disegno sia determinato molto più precocemente rispetto al 6° mese di
gravidanza: le cellule della cresta neurale, da cui prendono origine i
melanoblasti, migrano durante uno stadio di sviluppo molto precoce dell’embrione
(circa 2 settimane per il cavallo) e la loro sorte sembra decisa subito dopo
questa migrazione. Se il disegno dovesse determinarsi al momento in cui le
strisce fanno la loro comparsa, il meccanismo che le produce dovrebbe essere
davvero molto complesso per generare il diverso orientamento e la diversa
larghezza delle strisce nelle diverse specie.
L’ipotesi alternativa più semplice è che tutte le
strisce in tutte le zebre siano delle stesse dimensioni quando vengono
determinate, ma che la differenziazione della crescita embrionale alteri poi i
relativi orientamenti e le relative ampiezze.
Si può pertanto formulare l’ipotesi secondo cui tutte
le strisce del corpo delle zebre sono in origine spaziate regolarmente e
perpendicolari alla potenziale striscia dorsale lungo la groppa. Il momento
della loro formazione dovrebbe coincidere intorno alla quinta settimana di
vita intrauterina e distano tra loro di circa 0,4 mm.
Ma vediamo quale può essere il meccanismo fisicochimico
che presiede alla zebratura. Abbiamo solo scarse nozioni sui meccanismi che
hanno il compito di specificare quando, come e dove la differenziazione
cellulare venga distribuita in un embrione. Nell’embrione possono insorgere
gradienti uniformi e continui, i quali possono venir interpretati in modo che
le soglie di concentrazione agiscano da istruzioni. Può inoltre esservi uno
schema sottostante di concentrazioni molecolari, oppure relativo a qualche
altra proprietà biofisica, tale da rendere questo schema simile al visibile
schema finale di differenziazione spaziale, controllandone al tempo stesso la
produzione. L’esempio più semplice di questo tipo di meccanismo è una
mappa di concentrazioni chimiche discontinue. Questo meccanismo è idoneo a
spiegare i motivi zebrati.
Il problema basilare è come si generino i motivi
reiterati. L’idea che possa esservi una mappa chimica stabile in cui le zone
di alta concentrazione chimica possano restare adiacenti a zone di bassa
concentrazione, senza che la diffusione finisca per livellare completamente la
discontinuità, urta contro l’intuizione immediata. Eppure ciò può
accadere. Nel 1952 Alan Turing dimostrò che reazioni
chimiche autocatalitiche tra due molecole diffondentisi liberamente possono
generare onde chimiche stazionarie lungo una sequenza unidimensionale di
cellule; l’energia atta ad alimentare questa disposizione apparentemente
instabile deriva dalla scissione di un composto ricco di energia. Questo
meccanismo è stato riprodotto in provetta ed è stato dimostrato che è
capace di produrre un ricco assortimento di disegni bidimensionali, tra cui
strisce verticali e orizzontali nonché complessi sistemi di macchie. Dove
la concentrazione è alta si forma il pigmento, dove è bassa non si forma, o
viceversa.
In questi meccanismi alla Turing vi è un forte fattore di
fluttuazione, il che implica che non vi saranno due disegni esattamente
uguali, come dimostrato dal fatto che non vi sono due animali con identico
motivo a strisce. Se il meccanismo periodico collassa, si formano in sua vece
dei sistemi di macchie, come dimostrato dalle zebre maculate.
Vi sono purtroppo aspetti del disegno che il suddetto
meccanismo lascia ancora inspiegati. Tra questi, per esempio, come riesca a
formarsi una striscia triradiale come quella sulla spalla di tutte le zebre, e
come possano le strisce della zampa essere pilotate a girare intorno all’arto
invece di scendere parallele ad esso. Al momento attuale il miglior partito è
forse quello di considerare il meccanismo alla Turing come qualcosa che ci
fornisce una metafora intelligente per l’analisi dei disegni, piuttosto che
costituire una spiegazione esauriente.
Tuttavia siamo in grado di rispondere al quesito infantile
se la zebra sia un animale bianco a strisce nere o l’opposto. La maggior
parte degli Europei preferisce la prima ipotesi, mente la maggior parte degli
Africani Neri opta per il mantello
nero a strisce bianche. L’osservazione più interessante è quella relativa
alle strisce-ombra che si trovano tra le larghe strisce caudali della zebra di
Burchell. L’impressione dell’osservatore è che quando queste strisce
arrivano a essere sufficientemente separate, una nuova striscia nera tenta di
intromettersi. Talora si formano strisce-ombra tra due strisce-ombra. Da
quanto detto si deduce che la pigmentazione si forma dove può, e quindi che le strisce bianche vengono a formarsi per
soppressione della sintesi di pigmento. Perciò una zebra è un
animale nero a strisce bianche.
Le zebre bianche equivalgono agli albini, e la pancia
normalmente bianca delle barrate si spiega col fatto che i melanoblasti provenienti dalla cresta neurale
posta in corrispondenza del dorso non riescono a raggiungere il ventre
quando migrano lateralmente nelle prime fasi di sviluppo embrionale. Anche in
altri mammiferi pigmentati, come la Tigre - Panthera
tigris - e l’antilope,
le zone ventrali sono bianche. Come accade per la zebra, sono noti esemplari
di tigre bianchi o quasi sprovvisti di barratura.
È ovvio che questa carrellata di idee inabituali ha uno
scopo ben preciso: ciascuno di noi può fare i necessari parallelismi con il
ciuffo bianco della Polish. E quali parallelismi si possono fare con la Polish
bianca ciuffo nero? (figura XXI.2) Basterebbe sapere, nel secondo
caso, se i follicoli del mantello sono dotati di melanociti malfunzionanti o
se non sono stati colonizzati dai melanoblasti dalla cresta neurale i quali,
invece di invadere la maggior parte della cute, si sono limitati al ciuffo.
Questo è un esempio di come la letteratura avicola spesso sia carente di
notizie importanti. Basterebbe un semplice riscontro microscopico.