È evidente che il fenomeno
dell'equilibrio genetico non può trovare esatta rispondenza nella realtà,
perché se ciò avvenisse le specie e le razze sarebbero immutabili o quasi,
il che non è. Molte cause, di ordine naturale o dipendenti dagli interventi
dell'uomo, tendono ad allontanare le popolazioni animali dalla staticità
genetica che conseguirebbe alla panmissia, con la conseguenza che le frequenze
dei geni e dei genotipi tendono a modificarsi progressivamente, per cui le
popolazioni e le razze si evolvono.
Una razza, o anche una
popolazione di dimensioni ristrette, non è mai isolata in modo completo da
altre razze o popolazioni della stessa specie. Il fenomeno naturale e tanto
importante della migrazione, dal quale consegue uno scambio di individui fra
varie popolazioni, nel caso degli animali domestici è sostituito dal
commercio, mediante il quale una popolazione riceve nel suo contesto animali
importati da altre regioni, ed esporta altri animali verso altre popolazioni.
È chiaro che, a meno che gli individui importati ed esportati non siano in
egual numero e abbiano la stessa costituzione genetica, la popolazione viene a
perdere o a guadagnare un certo numero di geni, e quindi a modificarne la
frequenza.
La cosa è evidente se si esportano e si importano
genotipi diversi, ma l’influenza modificatrice si manifesta anche se per
caso l’esportazione e l’importazione si pareggiano e si scambiano animali
fenotipicamente uguali, purché la frequenza dei geni interessati sia
differente nelle due popolazioni.
Le variazioni nella frequenza dei geni dovute a fenomeni
di migrazione, cioè al commercio e all'introduzione di animali anche della
stessa razza da zone diverse di allevamento, rivestono indubbiamente un’importanza
rilevante nei processi evolutivi delle singole popolazioni domestiche, e gli
allevatori sono tanto inclini a questa pratica da venir colti da frenesia
quando si tratta di visitare le mostre avicole d’Oltralpe.