La maggior parte delle specie con distribuzione geografica ed ecologica di una certa ampiezza presentano un polimorfismo più o meno rilevante, che ha condotto i naturalisti e gli stessi osservatori empirici al concetto di razza.
In realtà, la suddivisione
razziale delle specie è la conseguenza di un gran numero di fenomeni
biologici diversi, in quanto la variabilità dei caratteri, che serve da base
descrittiva a tale distinzione, può essere di natura genetica, somatica
(influenze ambientali) o anche l’espressione congiunta di interazioni
genetico-ambientali, cioè di norme di
reazione diverse del medesimo patrimonio ereditario ad ambienti distinti.
In molte specie vegetali si trovano numerose razze
ecologiche, o ecotipi, prodotte
dalla selezione naturale, adatte a vivere in ambienti del tutto caratteristici
e assai diversi, come i terreni rocciosi, paludosi, le foreste, etc. In campo
zootecnico si può dire che la razza, questa fondamentale entità
subspecifica, può essere delimitata chiaramente solo abbinando il criterio di
rassomiglianza con quello di ereditarietà dei caratteri distintivi.
Fra le troppe definizioni comparse sui trattati di
zootecnia, la più semplice e comprensiva è senza dubbio quella che considera
la razza come un
complesso di individui della stessa specie che si distinguono per
caratteristiche somatiche e funzionali proprie, trasmissibili ai discendenti
per ereditarietà.
Giuliani ha completato e resa più moderna questa
definizione distinguendo un concetto genetico di razza, secondo il quale si
tratta di un gruppo di individui
della stessa specie omozigoti rispetto a uno o più caratteri,
dal concetto zootecnico, secondo cui essa è una popolazione risultante dalla mescolanza di genotipi diversi, ma
affini per espressione fenotipica, per cui gli individui della
stessa razza presentano un complesso di caratteri morfologici, funzionali e
fisiologici simili e trasmissibili ereditariamente.
A questo punto è utile esporre in modo riassuntivo quanto ha scritto Dobzhansky circa il concetto di razza secondo le odierne conoscenze genetiche. Nell’appellativo di razza si sono compresi tali e tanti aspetti biologici diversi che il termine in se stesso è diventato alquanto ambiguo. Talora si giunge a considerare razza qualunque suddivisione di una specie geneticamente diversa da altre.
La razza geografica ha una fisionomia abbastanza definita: si tratta di un gruppo di individui della stessa specie che abita un certo territorio e che è geneticamente diverso da altri gruppi confinanti, geograficamente delimitati. È questo il significato di razza nell'uso tassonomico, con l’importante riserva che la natura ereditaria delle caratteristiche etniche è più spesso assunta anziché sperimentalmente dimostrata.
L'attenzione
dedicata in genetica al problema delle razze è veramente modesta, e del tutto
inadeguata alla sua grande importanza teorica e pratica; il che spiega gli
abusi che ha sofferto il concetto di razza, specialmente in epoca recente.
In morfologia e in antropologia classica le razze sono
generalmente descritte in termini di medie statistiche dei caratteri
rispetto ai quali le razze stesse differiscono. Con quest’impostazione
biometrica si ha il vantaggio di stabilire uno standard, per mezzo del quale
gli individui del gruppo possono venir paragonati fra loro e nei confronti
degli individui di altre razze. Passando a considerare il lato genetico del
problema, Dobzhansky afferma che
le differenze fra le razze sono dovute ordinariamente a variazioni nelle
frequenze relative dei geni in popolazioni diverse di una specie,
piuttosto che alla mancanza assoluta di certi geni in determinati gruppi di
individui e alla completa omozigosi dei geni stessi in altri gruppi.
La difficoltà di definire tali differenze statistiche
nella composizione genotipica delle razze dipende dalla natura generalmente
molto complessa delle differenze razziali. Le unità fondamentali della
variabilità etnica sono le popolazioni e i geni, non i complessi dei
caratteri che, nell’opinione comune, denotano le differenze fra le razze.
Una discussione senza fine, che circola da tanto tempo nella letteratura
scientifica e filosofica, riguarda il cosiddetto problema
delle razze che può essere posto nella forma seguente: la razza è un’entità concreta esistente in
natura o è una pura astrazione e una definizione verbale?
Al genetista moderno è ormai chiaro che le molte
elucubrazioni su questo problema dimenticano di prendere in considerazione un
punto essenziale, e cioè che la razza non è un’entità statica, bensì un
processo dinamico. La formazione delle razze ha inizio quando la frequenza
di un gene o di un gruppo di geni diventa un poco diversa in una parte di una
popolazione rispetto alle altre parti. Se il gruppo di individui variato nel
suo complesso subisce un processo d’isolamento,
anche parziale, rispetto alla restante popolazione, la differenziazione
genetica prosegue e si accentua progressivamente sino a giungere, talvolta,
alla perdita di certi geni e alla fissazione, per omozigosi, dei loro alleli.
Finalmente possono svilupparsi dei meccanismi che limitano o impediscono la
libera riproduzione fra le razze, il che porta sempre più avanti il processo
di differenziazione genetica, fino a dare origine a specie distinte.
Verosimilmente è quanto accadde per le 4 specie riconosciute del genere Gallus.
Una razza diventa perciò un’entità sempre più
concreta via via che si sviluppa la differenziazione genetica delle
popolazioni, frutto della selezione naturale o artificiale, dell'insorgenza e
della frequenza di mutazioni, delle interazioni genoecotipiche che
stabiliscono in gran parte i caratteri di adattamento all'ambiente. Ciò che
è essenziale per le razze - conclude Dobzhansky - non è il loro stato in
atto, ma il loro divenire.