L’esistenza di aberrazioni
cromosomiche è stata inequivocabilmente messa in evidenza in molti animali e
in molte piante. Tuttavia, anche nel materiale più favorevole, esiste un
limite oltre al quale il riconoscimento ottico di questi mutanti diventa
difficile, se non impossibile, in quanto il segmento cromosomico interessato
è così piccolo da non essere individuabile. Poiché esistono tutti i gradi
di difficoltà di riconoscimento, non vi è ragione di dubitare dell’esistenza
di aberrazioni al di sotto dei limiti dell’osservazione ottica.
Anche aberrazioni
molto piccole potrebbero determinare un effetto fenotipico particolare,
cambiando la posizione di un gene oppure alterando il bilancio dei geni di una
cellula. È possibile che molti fenotipi mutanti, attribuiti a una tipica
mutazione di un allele in un allele diverso, altro non siano che il prodotto
di aberrazioni cromosomiche troppo piccole per essere viste al microscopio.
Spesso le mutazioni possono consistere in cambiamenti
strutturali molto piccoli del cromosoma, capaci però di alterare la quantità
e la posizione dei geni, piuttosto che in vere mutazioni alleliche. Pertanto la distinzione fra mutazioni geniche e aberrazioni
cromosomiche deve spesso rimanere solo teorica.
Questo è probabilmente il caso della leucemia mieloide cronica, per la quale la comparsa di un cromosoma unico e aberrante in alcuni leucociti e in alcune cellule del midollo osseo, in un individuo con genoma in precedenza normale, è stata messa in relazione alla successiva iperproduzione di globuli bianchi. Il cromosoma interessato è il cosiddetto cromosoma Philadelphia, Ph1, osservato per la prima volta in un paziente di Filadelfia e presente nelle cellule leucemiche del 90% dei pazienti.
Il cromosoma Philadelphia deriva da una traslocazione reciproca: una parte del braccio lungo del cromosoma 22, il secondo cromosoma più piccolo dell’uomo, è traslocata sul cromosoma 9, e una piccola parte proveniente dalla punta del cromosoma 9 è traslocata sul 22.
Quindi la leucemia mieloide cronica comporta due cromosomi anomali e la traslocazione reciproca sembra attivare alcuni geni, detti oncogeni , che inducono la trasformazione di una cellula differenziata in cellula tumorale con crescita incontrollata.
Un discorso simile si può fare per il linfoma di Burkitt,
particolarmente frequente in Africa, nel quale i cromosomi interessati dalla
traslocazione sono l’8 e il 14. Il linfoma colpisce le cellule B del sistema
immunitario ed è di origine virale.
La mutazione somatica come origine del cancro non è l’unica ipotesi che potrebbe spiegare il cambiamento permanente delle cellule destinate a diventare cancerose. Il processo di differenziamento durante il normale sviluppo di cellule identiche per costituzione genetica costituisce ancora un mistero. I cambiamenti tipici che riguardano la composizione dei geni non spiegano il differenziamento embrionale.
Ci troviamo solo a stadi molto
preliminari della conoscenza sui dettagli della programmazione dei complessi
schemi di attivazione e inattivazione genica, e finché rimarrà oscura la natura del differenziamento, deve rimanere
ipotetica la definizione del cancro come mutazione somatica.
Tuttavia, se quest’ipotesi risultasse corretta,
condurrebbe a un’interpretazione specifica degli aspetti ereditari del
cancro. Risulterebbe cioè che l’ereditarietà del cancro consiste in una
tendenza ereditaria alle mutazioni somatiche.
Non vi è alcuna prova evidente della validità di questo
sillogismo, ma ogni singolo elemento della sequenza si basa su principi ben
consolidati. Infatti, è stato dimostrato in animali e piante che esiste una tendenza ereditaria alle mutazioni somatiche,
anche se non esiste quella per la produzione di cellule cancerose.
Alcuni tipi di cancro in organismi diversi dall’uomo
sono causati da virus, ed è stata avanzata l’ipotesi che tutte le neoplasie
siano malattie di origine virale. Se la correttezza di quest’ipotesi venisse
dimostrata, allora la
tendenza costituzionale allo sviluppo del cancro,
ipotizzata ormai da tempo, si baserebbe su geni i quali controllano la
suscettibilità della risposta cellulare ai virus, che sfocerebbe poi nella
crescita tumorale.