Si potrebbe spiegare la
variabilità fra le diverse famiglie circa la probabilità di avere figli
maschi e femmine ricorrendo all’ipotesi che tale variabilità sia dovuta a
differenze genetiche o non genetiche, oppure a combinazioni di entrambe. Si
può chiarire questo problema se si combinano i dati di fratrie i cui genitori
sono imparentati fra loro.
Questo lavoro è stato effettuato da Nichols, il quale ha
raccolto dati genealogici sul rapporto sessi tra famiglie del New England,
principalmente riferiti al periodo 1600-1800.
Si trattava di 40 gruppi di fratrie, tali che tutte le fratrie di un gruppo
discendessero, per linea maschile, da un progenitore comune, e che fossero
selezionate le fratrie che comprendevano 6 o più figli. Il rapporto sessi nei
diversi gruppi presentava valori, calcolati su numeri di figli da 63 a 428,
che variavano da 177 a 72 maschi per 100 femmine. Sebbene nella maggior parte
dei gruppi il rapporto sessi non differisse in maniera significativa dalla
media, ve ne erano alcuni nei quali la grande prevalenza dei maschi ovvero
delle femmine era statisticamente significativa con elevata probabilità.
Sembra che la tendenza a presentare valori del rapporto sessi piuttosto
lontani dalla media fosse comune a numerose fratrie imparentate fra loro in
generazioni successive.
È oscura la natura delle variazioni delle probabilità di
procreare maschi o femmine. Famiglie diverse possono presentare valori diversi
del rapporto sessi primario, oppure diversi tassi di sopravvivenza prenatale.
Un alto numero di aborti e di casi di natimortalità precoce porterebbe a
spostare il rapporto sessi secondario, ammesso che la mortalità agisca in
maniera differenziale fra i due sessi in misura maggiore contro i maschi in
alcune famiglie rispetto ad altre. Forse è verosimile che sia coinvolto più di un meccanismo nelle variazioni
delle probabilità di procreare un bambino appartenente a un dato sesso.
Una fonte della variabilità del rapporto sessi alla
nascita deriva dai gruppi
sanguigni
AB0. Come è stato dimostrato da Sanghvi, nelle popolazioni
bianche la frequenza relativa dei maschi, tra i bambini di gruppo 0, è
significativamente più elevata di quella che si riscontra tra i bambini di
gruppo A, sia in generale, che tra figli di madri di tipo specifico; la stessa
situazione si verifica per la frequenza relativa di figli maschi di madri di
gruppo sanguigno AB rispetto a tutti gli altri. Se si ammette che questi dati
sono definitivi, sembra verosimile che le interazioni immunologiche madre-feto
per il sistema di gruppi sanguigni AB0 contribuiscano a modificare i valori
del rapporto sessi secondario.
Gli studi sul rapporto sessi nel topo condotti da Weir
forniscono prove sperimentali di una variabilità genetica significativa della
probabilità di nascita di maschi e di femmine. Tra due ceppi diversi, uno
presenta una frequenza relativa di maschi più elevata, mentre un altro ceppo
presenta una frequenza relativa di maschi più modesta. Per mezzo di incroci
reciproci fra i due ceppi è stato dimostrato che è il maschio ad essere
responsabile del rapporto sessi fra i figli.
Esperimenti di fecondazione artificiale attraverso il
prelievo di spermi dai dotti seminiferi di un esemplare di un ceppo,
successivamente sospesi nel liquido seminale privo di cellule spermatiche
prelevato da esemplari dell’altro ceppo, hanno dimostrato che il rapporto
sessi nella progenie è uguale a quello del ceppo dal cui esemplare sono state
prelevate le cellule spermatiche. È probabile che i due differenti valori del
rapporto sessi alla nascita siano dovuti a differenze nel rapporto sessi
primario, tuttavia non è stata tuttora esclusa la possibilità che vi sia una
mortalità differenziale dei sessi nei primissimi stadi dello sviluppo.