Vol. 2° -  XIII.5.

Esegesi storica delle leggi fondamentali

Cerchiamo di riassumere il pensiero di Federico Di Trocchio, frutto di uno studio critico e appassionato dell’operato di Mendel, un pensiero che si dipana con maestria e stile accattivante in Legge e caso nella genetica mendeliana. Ne raccomando la lettura.

Se si confrontano i diversi manuali di genetica non si può fare a meno di notare una serie di elementi che sembrano contrastare con la volontà abbastanza esplicita di seguire un piano espositivo che sia allo stesso tempo storico, logico e didatticamente efficace. Innanzitutto la formulazione letterale delle leggi varia a seconda dei manuali. Questo fa supporre che nessuna di esse riproduca fedelmente l'enunciato dettato da Mendel. Poi, qualche autore più scrupoloso si premura di precisare che in realtà Mendel non formulò alcuna legge, ma che i suoi risultati sono più agevolmente esprimibili sotto forma di assiomi.

Inoltre, i manuali italiani fanno riferimento a una terza legge, la legge della dominanza, secondo la quale gli ibridi, derivati dall'incrocio di due razze differenti per una coppia di allelomorfi, presentano fenotipicamente uno solo dei due caratteri, definito come dominante, mentre l’altro è detto recessivo. Questa legge tra l’altro è considerata come la prima in molti testi italiani, sicché quelle della segregazione e dell'assortimento indipendente vanno a occupare rispettivamente il secondo e il terzo posto.

Nell’enunciare queste due o tre leggi, tutti i trattati di genetica sono costretti a far uso dei concetti di gene, allele, omozigote ed eterozigote che, come solo alcuni testi precisano, erano totalmente estranei a Mendel. Infatti i termini allelomorfo, omozigote ed eterozigote furono introdotti solo nel 1902 da Bateson, mentre il termine gene fu coniato da Johannsen nel 1909.

Questa circostanza è tanto più singolare in quanto di solito i manuali introducono tali concetti in maniera forzosa e provvisoria, riservandosi di spiegarli meglio dopo aver illustrato le fasi della divisione cellulare e il ruolo e la struttura dei cromosomi. È evidente insomma che i testi sono per lo più costretti a operare forzature storiche e teoriche nel tentativo di far corrispondere lo sviluppo effettivo della genetica alla struttura logica di questa disciplina. E solo in virtù di queste forzature è possibile presentare Mendel come il padre storico, ma anche come il punto di partenza più logico della genetica.

Tutto ciò sarebbe comunque ancora accettabile se, dal punto di vista didattico, si ottenessero risultati pienamente soddisfacenti. Ma, purtroppo, a detta di autorevoli studiosi, questo modo di insegnare la genetica risulta totalmente fuorviante. Secondo il grande zoologo Medawar:

“L'ordine storico in cui avvennero le scoperte della genetica, e l'ordine secondo il quale ci sono state insegnate, ci fanno dimenticare una verità importante: che l'eredità poligenica è la regola generale e che quella segregativa, invece, è rara e talora bizzarra. Ciò che nell'eredità segregativa è fuori del comune è questo: i geni ai quali noi la attribuiamo hanno press'a poco gli stessi effetti senza che il resto della costituzione genetica di un individuo abbia alcuna importanza [...] Come risultato, ci troviamo ora continuamente sotto l’influenza psicologica che ci spinge a considerare l’eredità poligenica come una forma molto complessa della semplice eredità segregativa, come se si trattasse di un mendelismo elementare adattato per una grande orchestra sinfonica.”

Ciò che si può rimproverare alla maggior parte dei trattati di genetica non è il fatto che essi formulano in chiave moderna i risultati di Mendel, dimostrando scarsa sensibilità storica, quanto invece l’eccessiva enfasi che viene posta nell'enunciare le leggi dell'eredità mendeliana, presentate non come casi particolari nel complesso dei fenomeni studiati dalla genetica, bensì come nucleo sia storico che logico di questa disciplina. Ciò costituisce una rilevante distorsione teorica che ha dannose ricadute sulla didattica.

La genetica moderna non è una semplice estensione del mendelismo, come erroneamente apprendiamo dai manuali. E la teoria cromosomica, che è alla base delle attuali concezioni sull’eredità biologica, non si è semplicemente fusa con la teoria di Mendel. I risultati ottenuti nel 1910 su Drosophila non hanno confermato ed esteso quelli ottenuti da Mendel su Pisum, bensì li hanno corretti in un punto importante e decisivo: l’idea che la segregazione sia sempre e totalmente casuale. Quest’ipotesi, posta da Mendel a fondamento della propria teoria, è stata quindi falsificata dalla teoria cromosomica elaborata per spiegare i risultati emersi dalle ricerche con Drosophila. Questi risultati mostravano chiaramente che i caratteri non vengono trasmessi a caso e indipendentemente gli uni dagli altri, bensì in gruppi associati. I moscerini con occhi bianchi allevati da Morgan [1] erano sempre maschi e dimostravano chiaramente che il carattere occhi bianchi e il sesso maschile non venivano distribuiti a caso nella prole: solo chi nasceva maschio poteva avere occhi bianchi. La totale casualità che sembrava dominare in Pisum non valeva in Drosophila e, come si scoprì in seguito, in nessun altro organismo animale o vegetale, Pisum incluso.

Mentre tutte le altre eccezioni alle leggi di Mendel emerse fino al 1910 potevano essere spiegate ed assorbite dalla teoria mendeliana, con lievi correzioni o estensioni, Morgan e le sue Drosofile hanno richiesto una modifica sostanziale del mendelismo. Mendel stesso aveva notato ad esempio che la legge della dominanza non sempre è rispettata, e aveva anche osservato - e correttamente interpretato per primo - le divergenze rispetto ai rapporti statistici attesi, dovute all’interazione genica. I fenomeni epistatici erano stati osservati da Bateson ma ricondotti all’interno dello schema mendeliano; la poliploidia, che pure disturba i rapporti mendeliani, rappresenta un caso di mutazione e quindi non inficia direttamente la validità del mendelismo. Lo stesso vale per l’eredità citoplasmatica, scoperta da Correns nel 1909, che è dovuta all'azione di geni posti fuori dal nucleo, i quali però sono responsabili della trasmissione non mendeliana di un numero relativamente modesto di caratteri.

Ma il linkage - o associazione di geni - scoperto da Bateson e Punnett nel 1906 e correttamente spiegato nel 1910 da Morgan sulla base dell'ipotesi che i geni siano allineati sui cromosomi, costituiva un fenomeno di ben altra portata. Esso metteva in discussione l’idea dell'assoluta indipendenza dei caratteri e della loro trasmissione attraverso un meccanismo puramente e totalmente casuale.

In questo caso, più che di evoluzione ed estensione del mendelismo, sarebbe opportuno parlare di rivoluzione.

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[1] Morgan Thomas Hunt (Lexington, Kentucky 1866 - Pasadena, California 1945), biologo e genetista statunitense, scoprì che i geni sono disposti linearmente sui cromosomi e confermò sperimentalmente l'attendibilità delle leggi di Mendel, che all'inizio della sua carriera aveva criticato. Gettò così le basi della moderna genetica sperimentale. Insegnò zoologia alla Columbia University (1904-1928) e condusse una serie di esperimenti di incrocio sul moscerino della frutta, la Drosophila melanogaster. Assistito da Alfred Sturtevant, Calvin Bridges e Hermann Joseph Muller, Morgan riuscì a dimostrare che cromosomi e geni vengono trasmessi in modo conforme a quanto prescritto dalle leggi di Mendel. Morgan e i suoi collaboratori realizzarono, inoltre, una serie di mappe cromosomiche, in cui a ciascun gene veniva assegnata una posizione precisa su un cromosoma. Per questi studi, nel 1933 gli fu conferito il premio Nobel per la medicina. Tra le sue opere si ricordano The Mechanism of Mendelian Heredity (1915) e The Theory of the Gene (1926).