In Perù esistono 95 località il cui nome è privo di significato per la lingua locale, ma che hanno significato in cinese; esistono inoltre 130 toponimi che corrispondono a nomi di località cinesi.
Mi permetto di fare un paragone, tanto semplice quanto ridicolo. I film continuano a terrificarci - o forse a prepararci - elargendo a ripetizione imminenti catastrofi mondiali con pochi sopravvissuti. Immaginiamo che il figlio di un Noè del 2000 stia navigando su di un marchingegno ultraveloce e chieda al padre come mai hanno appena superato una città desolata dal nome York, per incontrarne subito un’altra sul cui cartello stradale accartocciato si legge a mala pena New York. Se fosse stato il 1664 avrebbero letto Nieuw Amsterdam, ma adesso stavano leggendo New York. Potremmo riempire pagine e pagine con metastasi di toponimi: stanno a significare null’altro che uno stretto legame fra colonizzatori e patria d’origine.
I nativi della costa della Columbia Britannica - provincia canadese affacciata sul Pacifico - al tempo dei primi contatti con gli Europei possedevano schiavi giapponesi.
L’arachide - la cui specie più nota è l’Arachis hypogaea - è nativa del Brasile ed è stata addomesticata in Sudamerica, ma i Cinesi la possedevano intorno al 3000 aC. L’India probabilmente possedeva il mais già nel 1000 dC. Somiglianze spiccate fra le culture asiatiche e americane si possono scorgere nell’architettura, nell’arte, nella decorazione, negli strumenti, nelle armi, nelle pratiche religiose e negli idiomi. L’elenco è quasi infinito.
Le prove assolute di contatti precolombiani esistono, ma la loro interpretazione continua ad essere evitata da alcuni studiosi.