Le testimonianze fossili dei vertebrati sono incomplete, specialmente nei depositi più antichi, poiché il tempo e gli eventi geologici hanno determinato il ripiegamento, la trasformazione e l’erosione di molte rocce contenenti i resti degli esseri viventi. Di conseguenza, le stime sui tempi dell'evoluzione dei vertebrati si basano su quei gruppi animali la cui documentazione fossile è più completa.
Nonostante la discontinuità delle testimonianze fossili, i dati paleontologici indicano che l’evoluzione di alcuni gruppi di vertebrati è avvenuta a scatti. Secondo alcuni paleontologi l’evoluzione dei vertebrati è un processo dinamico, in cui la speciazione procede a volte lentamente, altre volte più rapidamente. Queste oscillazioni a carico della velocità dell'evoluzione costituiscono il punto centrale della teoria degli equilibri intermittenti.
Pertanto, suscitarono sorpresa le affermazioni di Zuckerkandl e Pauling (1962), secondo i quali esistono sostituzioni nelle sequenze aminoacidiche di certe proteine dei vertebrati che avverrebbero a ritmo costante.
Se quest’ipotesi fosse corretta, essa costituirebbe un importante strumento d’indagine nello studio dell’evoluzione, poiché renderebbe possibile stimare l’epoca in cui è avvenuta la separazione delle linee filogenetiche di due gruppi ricorrendo semplicemente alla misura del numero di sostituzioni nella sequenza aminoacidica delle loro proteine.
Per esempio, se si confronta la composizione in aminoacidi dell'emoglobina di taxa diversi, il numero di differenze aminoacidiche fra due taxa qualunque deve essere proporzionale al tempo della loro divergenza se le differenze si sono accumulate a ritmo costante. Quanto più numerose sono le differenze nelle sequenze aminoacidiche, tanto più lontana nel tempo è l’epoca della separazione dei due taxa.
Inoltre, poiché ovviamente i cambiamenti nelle sequenze aminoacidiche delle proteine riflettono cambiamenti nelle sequenze nucleotidiche del DNA, le prime costituiscono un metodo abbastanza facile per rilevare indirettamente la presenza di mutazioni puntiformi a carico dei geni. Abbiamo così esposto, in sintesi, l’ipotesi dell'orologio molecolare.
L’orologio molecolare si basa sul presupposto che le mutazioni neutrali si accumulano a ritmo costante. A parte il problema della velocità e costanza del ritmo delle mutazioni, il vero importante problema è il seguente: esistono mutazioni neutrali? Se sì, quali sono e come distinguerle dalle mutazioni non neutrali?
Se l’ipotesi dell'orologio molecolare fosse corretta, dovrebbe esistere - come abbiamo visto - una stretta correlazione fra il numero delle sostituzioni aminoacidiche di proteine di vertebrati diversi e il tempo della loro divergenza. Sta di fatto che in alcune specie tale relazione è evidente.