Fig. II. 19 - Le Isole Mascarene
Le Mascarene sono un gruppo di isole dell'Oceano Indiano che si trovano a est del Madagascar. Le più importanti - Réunion, Mauritius e Rodrigues - sono situate intorno al 20° parallelo sud, mentre Agalega e i Cargados Carajos si trovano un po’ più a nord. L’Isola di Tromelin – più o meno alla stessa latitudine dei Cargados Carajos - è una dipendenza della Réunion e con essa appartiene all’Africa Francese.
Le Mascarene prendono il nome dal navigatore portoghese Pedro Mascarenhas che quasi per primo scoprì Réunion nel 1513 quando visitò anche Mauritius.
Infatti il primo portoghese - nonché il primo europeo - a scoprire le Mascarene fu Diogo Fernandes Pereira. Era il 9 febbraio del 1507 quando avvistò un'isola 400 miglia a est del Madagascar e la chiamò Santa Apollonia – forse l'attuale Réunion – e poco dopo avvistò l'attuale Mauritius, vi approdò e le diede il nome della sua nave, Cerné. Così Mauritius ebbe come primo nome quello di Ilha do Cerne, trasformato quasi subito dagli Olandesi giunti a Mauritius in Cigne – Clusius dà Cirne vel Cisne - in quanto pensavano a un refuso, ipotizzando che Pereira credesse che il Dodo fosse un cigno, tant'è che tradussero il toponimo in Zwaaneiland, terra del cigno. Solo nel 1598 gli Olandesi la chiamarono Mauritius in onore del Principe Maurizio di Nassau e l'abbandonarono nel 1710.
Nel 1513 Pedro Mascarenhas lasciò intatto il toponimo Ilha do Cerne, mentre ribattezzò la pereirana Santa Apollonia in Mascarenhas o Mascaregne – l'odierna Réunion – e poi tutto il gruppo di isole assunse il nome di Mascarene quasi a dispetto di Pereira.
L'isola di Rodrigues venne invece scoperta nel 1538 da Diogo Rodrigues, così si afferma, salvo sia stato lo stesso Pereira ad avvistarla più tardi, sempre nel 1507, mentre era diretto in India.
Olandesi e Francesi ebbero successivamente il possesso delle Mascarene, e nel 1810 durante le guerre napoleoniche esse furono conquistate dall'Inghilterra che restituì successivamente Réunion, conservando la sola Mauritius fino alla sua indipendenza, avvenuta il 12 marzo 1968. Rodrigues è una dipendenza di Mauritius, da cui dista 680 km in direzione est, e Mauritius rivendica l’Isola di Tromelin che è francese.
Fino a un’epoca piuttosto recente nelle isole dell’emisfero australe esistevano uccelli i cui antenati furono senz’altro dei volatori e che successivamente persero tale abilità. La persistenza dell’apterismo fino a epoche recenti nelle isole dell’emisfero sud sembra resa possibile o dall’assenza totale o dalla rarità e piccola taglia dei mammiferi, il cui ruolo nelle Mascarene venne assunto dal Dronte o Dodo. Quando l’uomo vi introdusse i mammiferi predatori, quest’uccello incapace di volare scomparve.
Fig. II. 20 - Il Dodo di Mauritius, detto anche Raphus cucullatus o Didus ineptus.
Non voglio dilungarmi sull’interessante peripezia toccata ai nomi delle isole e dell'uccello di cui stiamo parlando. Basti pensare che gli Olandesi chiamarono il Dodo Walghvogel, cioè uccello nauseante, in quanto di gusto sgradevole, e da Walghvogel si passò al tedesco Waldvogel, cioè uccello della foresta. Fantasmagorica è l’etimologia sia di Dodo che di Dronte e vale la pena accennarvi, anche se richiede una diversione da un cammino già troppo tortuoso.
Dodo deriverebbe dal portoghese doido o doudo, che significa sciocco, semplicione. Ma forse è soltanto un appellativo su base onomatopeica, come è possibile riscontrare a proposito di numerosi uccelli. Infatti secondo un'ipotesi riferita da Willy Ley si tratta del verso dell'uccello: do do.
Dronte fu coniato dai navigatori danesi usando il verbo drunte - essere lento – ma forse viene dal verbo del medio-olandese dronten, essere gonfio. Il perché lo capiremo tra poco dalla descrizione di Clusius, alias Charles de L'Écluse, la prima a fare la sua comparsa in un trattato scientifico.
Fig.
II. 20 bis -
Resti di Dodo conservati presso il
museo di Brighton (East Sussex – UK)
foto di Michael Romanov
Fig. II. 20 tris – Scheletro completo di Dodo conservato presso il museo di Brighton (East Sussex – UK)
Caroli Clusii Atrebatis
Exoticorum libri decem (1605) -
Liber V
Gallinaceus Gallus peregrinus -
Cap.
IV
Ex
octo navibus illis quae anno nonagesimo octavo supra millennium et
quingentesimum a Christi nativitate, Aprili mense ex Hollandia
solvebant, ut navigationem in Iavam & Moluccas insulas
instituerent, & mense Iulio magna tempestate, superato iam Bonae
spei promontorio, affligebantur, tres a reliquis dissectae, rectum
cursum Iavam usque tenere non desierunt, & negotiatione feliciter
peracta, insequente anno Amsterdamum redierunt: quinque autem reliquae,
diuturna malacia valde afflictae, tandem, relicta ad laevam Madagascar
insula, xvii. Septembris
montosam quandam insulam in conspectu habuerunt, ad quam laetabundi
cursum converterunt, quia recentem aquam in ea se reperturos
confidebant: postridie igitur aliquot nautas scaphae impositos ad eam
ablegarunt, qui observarent, an commodus aliquis portus istic
reperiretur, in quem naves deducere possent, ut aegros, qui iam
frequentes in omnibus navibus {stomacace} <stomachice>
laborabant, in insula exponerent, quo facilius pristinae sanitati
restituerentur. |
Di
quelle 8 navi che nel mese di aprile del 1598 salpavano dall'Olanda
per navigare fino all'isola di Giava e alle Molucche, e che nel mese
di luglio, quando già avevano superato il capo di Buona Speranza,
venivano investite da una grande tempesta, quelle tre che erano state
tagliate fuori dalle altre cinque non smisero di mantenere la precisa
rotta fino a Giava, e dopo aver concluso in modo favorevole gli scambi
commerciali, l'anno successivo fecero ritorno ad Amsterdam, ma le
rimanenti 5 navi, dopo essere state parecchio tormentate da una
bonaccia continua, finalmente, lasciata alla sinistra l'isola del
Madagascar, il 17 di settembre si trovarono di fronte un'isola
montuosa verso cui deviarono la rotta tutti esultanti, in quanto
speravano di potervi trovare dell'acqua fresca: pertanto il giorno
seguente vi inviarono alcuni marinai a bordo di una scialuppa affinché
esaminassero se fosse possibile trovarvi un qualche porto idoneo in
cui si potesse condurre le navi, per poter sbarcare sull'isola i
malati che ormai in numero elevato soffrivano di stomaco su tutte
quante le navi, affinché potessero tornare con maggior facilità al
precedente stato di benessere. |
Qui
missi fuerant, sub vesperam redeuntes, non modo portum valde commodum,
& ab omni vento tutum, sed multarum navium capacem, & adeo
amplum, ut quinquaginta naves stationem in eo commode habere possent,
se reperisse, praeterea limpidae aquae {vivum} <rivum> e
montibus profluentem observasse, retulerunt. |
Gli
inviati quando verso sera fecero ritorno riferirono di aver scoperto
non solo un porto molto accogliente e al riparo da ogni vento, ma
capace di ospitare parecchie navi, e tanto grande che 50 navi potevano
comodamente rimanervi all'ancora, di avere inoltre scorto un ruscello
di acqua limpida che scendeva dai monti. |
Eam
ob causam postridie naves solutis anchoris eo profectae, portum
ingressae sunt, isticque haeserunt usque {ad} <a. d.> vi.
Nonas Octobris, aegros in terram exponentes, ut curarentur, &
reliqua ad suam navigationem necessaria peragentes. Interea autem, dum
in insula haerent, varii generis aves observabant: atque inter illas
valde peregrinam, cuius iconem rudi arte delineatam in Diario totam
illius navigationis historiam continente, quod reduces cudi curabant,
conspiciebam, ad cuius normam est expressa, quam hoc capite propono. |
Per
tale motivo il giorno seguente le navi, dopo aver salpato le ancore
con quella destinazione, entrarono nel porto e vi rimasero fino al 2
di ottobre, sbarcando a terra i malati per essere curati, e ultimando
le rimanenti mansioni necessarie alla propria navigazione. Ma nel
frattempo, mentre si trattenevano sull'isola, potevano osservare
uccelli di vario tipo: e tra essi uno del tutto insolito, di cui
vedevo una raffigurazione eseguita in modo piuttosto rudimentale nel
diario di bordo contenente tutto il resoconto di quella navigazione
che i reduci si prendevano cura di tenere aggiornato, e ne è la
copia, e la pubblico in questo capitolo. |
|
Walgh-vogel
di Clusius presente del suo Exoticorum
libri decem (1605), riproduzione fedele dell'immagine contenuta
nel diario di bordo dell'ammiraglio olandese Jacob Corneliszoon van
Neck salpato dall'Olanda nell'aprile 1598 alla volta di Giava e delle
Molucche. Come riferisce Willy Ley (Exotic zoology, 1959) il
resoconto di van Neck fece la sua comparsa in olandese nel 1601 e
nello stesso anno ne venne pure pubblicata la traduzione inglese,
francese e latina, nel 1602 quella tedesca. Ma quest'immagine di
Clusius non comparirebbe in nessuna delle edizioni note del diario di
bordo. Quindi, si tratterebbe di una rarità, in quanto pare che
Clusius appartenesse alla non fitta schiera degli scienziati degni di
fede. |
Illa
porro avis peregrina Cygnum quidem magnitudine aequabat aut superabat,
sed eius forma longe diversa: eius etenim caput magnum, tectum veluti
quadam membrana cucullum referente, rostrum praeterea non planum, sed
crassum & oblongum, subflavi coloris parte capiti proxima, cuius
extimus mucro niger, superior quidem eius pars sive prona adunca &
curva, in inferiore vero sive supina, subcaerulea macula mediam partem
inter flavam & nigram occupabat. Raris et brevibus pennis tectam
esse aiebant, & alis carere, sed earum loco quaternas aut quinas
dumtaxat longiusculas nigras pennas habere: posterioris autem corporis
partem praepinguem & valde crassam, in qua pro cauda quaternae aut
quinae crispae convolutaeque pennulae cineracei coloris: crura illi
potius crassa esse quam longa, quorum superna pars genu tenus nigris
pennulis tecta, inferior cum pedibus subflavi coloris: pedes vero in
quatuor digitos fuisse divisos, ternos longiores antrorsum spectantes,
quartum breviorem retrorsum conversum, omnesque nigris unguibus
praeditos. |
Inoltre
quell'uccello esotico davvero uguagliava in grandezza un cigno o lo
superava, ma era molto diverso dalla sua silhouette: infatti la
sua testa era grossa, ricoperta come da una membrana simile a un
cappuccio, inoltre il becco non era piatto, ma tondeggiante e
allungato, di colore giallognolo nella porzione vicina alla testa, con
la parte appuntita terminale nera, e la parte superiore o prona adunca
e bombata, ma sul lato inferiore o supino una macchia azzurrognola
occupava la parte centrale che andava dal giallo al nero. Dicevano che
questo uccello era ricoperto da penne corte e che gli mancavano le
ali, e che al loro posto aveva solo quattro o cinque penne nere
piuttosto lunghe: la parte posteriore del corpo era molto grassa e
parecchio grossa, dove al posto della coda c'erano quattro o cinque
piccole penne arricciate e arrotolate color cenere: le sue
gambe sono più grosse che lunghe, e la loro parte superiore
fino al ginocchio è ricoperta da piume nere, la parte inferiore
unitamente ai piedi è di colore giallognolo: e che i piedi erano
suddivisi in quattro dita, tre più lunghe rivolte in avanti, il
quarto dito più corto e rivolto posteriormente, tutte quante fornite
di unghie nere. |
Verumenimvero,
concinnata & descripta iam qua potui fide huius avis historia,
illius crus genu tenus rescissum, apud Cl. V. Petrum Pawium, primarium
artis Medicae in Academia Lugduno-Batava Professorem videre contigit
recens e Mauritii insula relatum. |
Però,
dopo aver ormai riordinato e descritto nel modo più attendibile
possibile il resoconto relativo a quest'uccello, mi è capitato di
vederne una zampa recisa fino all'altezza del ginocchio presso Pieter
Paaw – 1564-1617,
primo professore di anatomia a Leida - primario e professore di
medicina presso l'Accademia Lionese-Olandese, portata di recente
dall'isola di Mauritius. |
Erat
autem non valde longum, sed a genu usque ad pedis inflexionem paullo
plus quam quatuor uncias dumtaxat superabat; eius vero crassitudo
magna, ut cuius ambitus paene quatuor uncias aequabat, crebrisque
corticibus ceu squamis tectum erat, prona quidem parte latioribus
& flavescentibus, supina vero minoribus & fuscis: pedis etiam
digitorum prona pars singularibus iisque latis squamis praedita,
supina autem tota callosa: digiti satis breves pro tam crasso crure;
nam maximi sive medii ad unguem usque longitudo binas uncias non
admodum superabat, aliorum duorum illi proximorum vix binas uncias
aequabat, posterioris sescunciam: omnium vero ungues crassi, duri,
nigri, minus uncia longi, sed posterioris digiti longior reliquis,
& unciam superans. |
In
realtà non era molto lunga, ma dal ginocchio fino all'articolazione
del piede era appena appena superiore ai 10 cm, ma il suo spessore era
notevole, e la sua circonferenza quasi arrivava a 10 cm, ed era
ricoperta da numerose scaglie o squame che sul davanti erano più
larghe e giallastre, mentre posteriormente erano più piccole e scure:
anche il lato superiore delle dita del piede era dotato di squame
insolitamente larghe, e la parte rivolta al suolo era tutta quanta
callosa: delle dita abbastanza corte per una zampa tanto robusta;
infatti la lunghezza fino all'unghia del dito più lungo, cioè del
medio, superava appena i 5 cm, quella delle altre due dita vicine
raggiungeva a malapena i 5 cm, la lunghezza del dito posteriore era di
circa 3 cm e mezzo: le unghie di tutte le dita erano spesse, dure,
nere, più corte di 2 cm e mezzo, ma l'unghia del dito posteriore era
più lunga delle altre e superava i 2 cm e mezzo. |
Nautae
huic avi nomen indebant suo idiomate Walgh-vogel, hoc est,
nauseam movens avis, partim quod post diuturnam elixationem, eius caro
non fieret tenerior, sed dura permaneret & difficilis concoctionis
(excepto eius pectore et ventriculo, quae non contemnendi saporis esse
comperiebant) partim quod multos turtures nancisci poterant, quos
delicatiores & ori magis gratos reperiebant: nihil igitur mirum si
prae illis hanc avem contemnerent, & ea se facile carere posse
dicerent. |
I
marinai nella loro lingua davano a questo uccello il nome di Walgh-vogel,
cioè, uccello nauseante, in parte in quanto dopo una cottura
protratta la sua carne non diventava più tenera e rimaneva dura e
difficile da digerire (eccetto il petto e lo stomaco che trovavano di
sapore non disprezzabile), in parte perché potevano incappare in
parecchie tortore che trovavano più delicate e più gradite al
palato: quindi nessuna meraviglia se disprezzavano questo uccello
anziché le tortore, e se dicevano che potevano facilmente farne a
meno. |
In
eius porro ventriculo quosdam lapillos inventos aiebant, quorum binos
huc perlatos conspiciebam apud ornatissimum virum Christianum Porretum,
eosque diversae formae, unum planum & orbicularem, alterum
inaequalem & angulosum, illum uncialis magnitudinis, quem iuxta
pedes avis exprimendum curabam, hunc maiorem & graviorem, utrumque
cineracei coloris; eos ab ave in maris litore lectos, deinde devoratos
fuisse verisimile est, non in eius ventriculo natos. |
Inoltre
dicevano che nel suo stomaco erano stati trovati dei sassolini, e
presso l'illustrissimo – nonché farmacista - signor Christian
Porret potevo osservarne due che avevano portato qui da noi e ciascuno
con forma diversa, uno liscio e rotondo, l'altro irregolare e tutto
spigoli, il primo del diametro di 2,5 cm che mi prendevo la briga di
far disegnare presso i piedi dell'uccello, il secondo più grande e più
pesante, ambedue color cenere, ed è verosimile che siano stati
raccolte dall'uccello sulla spiaggia del mare e quindi ingoiati, non
che si siano formati nel suo stomaco. |
Ceterum
ea insula, ut in Diario legebam, uno & viginti gradibus ab
Aequatore versus antarcticum polum distat, in qua neminem habitare,
sed desertam esse opinabantur, quia licet aliquot nautae diverso
tempore emissi fuissent ut observarent, totumque triduum hac, illac,
pervagantes insumpsissent, neminem tamen repererunt; istam etiam
opinionem magis confirmabat omnium avium securitas, quae manu se
apprehendi & fustibus caedi sinebant, tamquam nullum hominem antea
conspexissent. |
Quanto
al resto, quell'isola, come leggevo nel diario di bordo, dista 21
gradi dall'equatore in direzione del polo sud, e ritenevano che
nessuno vi abitasse e che fosse deserta, in quanto, anche se in
diverse occasioni erano stati inviati dei marinai con lo scopo di
compiere delle osservazioni e vi avessero speso tre giorni interi
vagando qua e là, tuttavia non trovarono nessuno, e soprattutto
questo punto di vista lo confermava la tranquillità di tutti gli
uccelli, che si lasciavano prendere con la mano e uccidere coi
bastoni, come se in precedenza non avessero mai visto un essere umano. |
Licet
vero huius insulae ambitum circiter quindecim milliarium dumtaxat
esse, in Diario sit adscriptum; ex alia tamen navigatione paucos post
annos facta ab Hollandis in insulas Moluccas tendentibus, classis
Praefecto sive Admirallio Iacobo van Neck, eius vero Legato sive
Vice-Admirallio N. Garnier, qui ad eam insulam forte appellebat,
maiorem illius ambitum esse compertum est. Is enim totam insulam
circuire iubebat, & triginta milliarium sive leucarum ambitum
habere deprehendebat, ut mihi ipsemet afferebat Amsterdami anno a
Christi nativitate millesimo sexcentesimo tertio, illo ipso anno e
Moluccis & {Taprobana} <Taprobane> redux. |
Ma
nonostante nel diario sia annotato che il perimetro di quest'isola è
di appena circa 15 miglia, tuttavia in base a un'altra navigazione
compiuta pochi anni dopo dagli Olandesi diretti alle isole Molucche,
che avevano come comandante o ammiraglio della flotta Jacob van Neck e
N. Garnier come suo luogotenente o vice ammiraglio, che forse si
avvicinava a tale isola, si è potuto accertare che il suo perimetro
è maggiore. Infatti costui dava ordine di circumnavigare tutta
l'isola e assodava che aveva un perimetro di 30 miglia o leghe, come
lui stesso mi riferiva ad Amsterdam nel 1603, lo stesso anno in cui
rientrava dalle Molucche e dallo Sri Lanka. |
Istam
autem insulam Batavi appellabant Mauritii insulam a Principe Mauritio,
ante a Lusitanis Ilha do Cirne vel Cisne nuncupatam (ut
ante diximus) id est insulam Cygnaeam, forsitan ob conspectam in ipsa
iam commemoratam avem quam cygnum esse existimassent. |
Quest'isola
gli Olandesi la chiamavano isola di Mauritius dal Principe Maurizio,
prima detta dai Portoghesi Ilha do Cirne o Cisne (come
ho detto prima) cioè isola del cigno, forse per avervi visto
l'uccello testé descritto in quanto ritenevano fosse un cigno. |
Praeter
multas porro varii generis arbores in ea nascentes, Ebenum etiam
frequentissimam & nigerrimam reperiri intelligebam. |
Poi,
oltre agli alberi di vario tipo che vi crescevano, venivo a sapere che
c'era ebano in abbondanza e che era particolarmente nero. |
Ammesso che mi sia possibile porre rimedio almeno in parte a tutte le invettive denigratorie che a ogni pie' sospinto ho stilato in questa Summa Gallicana nei confronti di Ulisse Aldrovandi, voglio riportare il testo desunto dal trattato di Carolus Clusius che Bartolomeo Ambrosini (1588-1657) - encomiabilissimo successore di Aldrovandi - ha correttamente sintetizzato nell'appendice alle sue opere zoologiche, i Paralipomena accuratissima historiae omnium animalium (1642), dove a pagina 18 troviamo il capitolo De avibus aquaticis, et primum de Cycno cucullato, cioè il cigno incappucciato, come veniva chiamato il Dodo. Non è necessario tradurre il brano, in quanto rispecchia il testo di Clusius.
Per aves aquatiles non solum eas intelligere debemus quae in undis natantes alimentum quaeritant, sed etiam illas, quae circa aquas fluviales, marinas, & stagnates victum sibi comparant. Miris igitur Natura vastamentis instruit aves quasdam Provinciae Verae pacis, quae victum inveniunt egesto in amnes stercore, ad quam escam pisces emergentes rapiunt.
Quaedam avis Cycnum magnitudine aequans, reperta est in insula, quam Batavi insulam Mauritii a Principe Mauritio cognominarunt, antea tamen Lusitani insulam Cycneam forsitan ab ave, de qua in praesentia sumus acturi, appellabant, quoniam ipsi hanc avem verum Cycnum esse opinabantur: licet Clusius hoc animal gallinaceum gallum peregrinum nominat.
Itaque haec avis magnitudine Cycnum quidem aequat, aut superat, {Forma} <forma> tamen longe diversa: quandoquidem eius caput est magnum, & tectum quadam veluti membrana cucullum referente. Deinde rostrum non planum, sed crassum est, & oblongum subflavi coloris, parte corpori proxima, cuius extimus mucro est niger. Superior rostri pars adunca, & curva, inferior vero subcaerulea, & macula mediam partem inter flavum, & nigrum occupat. Raris, & brevibus pennis avis est tecta, alis caret, quarum loco quaternae, aut quinae tantum pennae admodum longae, & nigrae apparent. Posterior corporis pars praepinguis, & crassa est, in qua pro cauda pennae crispae, & convolutae cinerei coloris conspiciuntur. Crura illi sunt crassa potius quam longa, quorum pars superior genu tenus nigris pennis est vellata, inferior una cum pedibus subflavi est coloris. Pedes in quatuor digitos sunt distributi, quorum terni longiores antrorsum spectant, quartus vero brevior retrorsum, omnesque nigris unguibus sunt praediti. Nautae hanc avem suo idiomate Vvalgh.Vogel vocitant, quasi avem nauseam moventem, quoniam huius caro per diuturnam elixationem non fiat tenera, sed dura remaneat, & difficilis concoctionis. In ventriculo huius avis duo lapilli fuerunt inventi, non quod ibi fuerint geniti, sed potius secus maris litus ab ave deglutiti, cum hiusmodi aves secus litora maris ad victum inveniendum versentur.
Furono tre le isole in cui il Dodo visse: Mauritius, Réunion e Rodrigues. Non può escludersi l’isola di Tromelin, ma si dubita per motivi che tra poco vedremo. I territori del Dodo sono vulcanici, poco adatti a conservare i resti di animali, in quanto non offrono terreni in grado di rinserrarli. George Clark, deluso per la mancanza di resti di quest’uccello, ebbe una geniale intuizione: siccome questi terreni vengono dilavati da violente piogge torrenziali, era logico ricercare le ossa dove le fiumane confluivano. Così, nel 1863, sotto gli occhi increduli e infastiditi dei Creoli di Mauritius - infastiditi per veder affiorare qualcosa che apparteneva loro e di cui erano ignari - Clark portò alla luce diversi resti che finirono nei Musei, permettendo una ricostruzione del Dodo attualmente conservata al Museo di Storia Naturale di New York.
Il Dodo di Mauritius finì per estinguersi tra il 1681 e il 1693. A partire dal 1750 gli abitanti dell’isola non avevano più alcun ricordo di questo uccello, noto ai loro antenati.
Oggi pare classificabile tra i Columbiformi. Era massiccio e grande quasi come un cigno, pesava circa 22 Kg, aveva ali ridotte a moncherini, penne piumose e timoniere atrofizzate, era dotato di un becco forte e adunco fatto apposta per triturare frutti duri e lumache. Nel 1638 un esemplare arrivò a Londra, dove fu esposto. Di questo esemplare furono conservati solo la testa e i piedi, di cui si trovano calchi in gesso che vengono esposti in diversi Musei. Solo pochissimi artisti europei ritrassero o disegnarono il Dronte da modelli vivi. Quasi tutti i disegni dell’epoca sono stati eseguiti in base a descrizioni, salvo forse quello di Clusius, per cui non sempre si tratta di riproduzioni fedeli. Vediamo succintamente i nomi e le caratteristiche dei vari Dodo.
§Dodo di Mauritius - Raphus cucullatus o Didus ineptus - aveva piumaggio grigio.
§Dodo della Réunion o Solitario della Réunion: ebbe svariati nomi scientifici che elenchiamo in sequenza cronologica: Didus borbonicus, Victoriornis imperialis, Ornithaptera solitaria. Si trattava di una forma albina. La sua scomparsa sarebbe databile intorno alla seconda metà del 1700.
§Dodo di Rodrigues - Pezophaps solitaria - dal greco pháps = colombo e pezós = che va a piedi. Il suo piumaggio era bruno, sia nel maschio che nella femmina, e costei poteva anche essere fulva. Fu visto per l’ultima volta nel 1761 da un astronomo francese, l’Abate Pingré, recatosi a Rodrigues per osservare il passaggio del pianeta Venere allineato col Sole.
§Dodo di Nazareth - Didus nazarenus - descritto nel 1848 nel Bollettino dell’Accademia Russa Imperiale delle Scienze dal Professor Hamel, che si era dedicato a una revisione di tutta la letteratura allora disponibile. Nazarenus dovrebbe derivare dalla solita peripezia riservata ai nomi. Ecco la sequenza: walghvogel - oiseau de nausée - oiseau de Nazareth. Questa è l’interpretazione di Hamel. Ma l’isola di Tromelin potrebbe essere l’ex isola di Nazareth. Tuttavia, finché tempo e denaro non lo permetteranno, nulla si saprà dell’effettiva esistenza del Didus nazarenus.
Fig. II.
21 - Il Dodo di Rodrigues, detto anche Pezophaps
solitaria.
Questa femmina è tratta da
Voyages et
aventures de François Leguat et de ses compagnons en deux isles désertes des
Indes orientales,
avec la relation des choses les plus remarquables qu'ils ont observées dans
l'isle Maurice,
à Batavia, au cap de Bonne Espérance, dans l'isle Ste-Hélène et en d'autres
endroits de leur route
di
François Leguat - Amsterdam, 1708.
Maurizio di Nassau, principe d'Orange (Dillenburg 1567-L'Aia 1625). Figlio di Guglielmo il Taciturno, alla sua morte (1584) divenne governatore (statolder) delle Province d'Olanda e Zelanda. Maurizio condusse la rivolta dei Paesi Bassi contro la Spagna liberando le province del Nord (1591-97), mentre la guida politica delle Province Unite veniva affidata al Gran Pensionario d'Olanda – il ministro degli esteri - Johann van Oldenbarneveldt. Dopo aver battuto la Spagna a più riprese, grazie a una nuova, moderna, impostazione dell'arte militare imitata dai tattici dell'epoca, Maurizio dovette fermare le operazioni belliche per la tregua dei dodici anni stipulata con gli Spagnoli nel 1609. Tale tregua, sostenuta da Oldenbarneveldt e osteggiata da Maurizio, fu alla base del contrasto dei due protagonisti. La guerra civile che ne scaturì si risolse a favore di Maurizio (in disaccordo con il rivale anche sul terreno religioso) il quale, appoggiato dall'esercito, poté mandare al patibolo Oldenbarneveldt (1619). L'anno precedente Maurizio era diventato, per la morte del fratello Filippo Guglielmo, principe d'Orange e nel 1621 ricevette la nomina di statolder – luogotenente - di Groninga e di Drenthe.
Charles de L’Ècluse - Carolus Clusius: Medico e botanico francese noto anche come Carolus Clusius (Arras 1526-Leida 1609). Studiò le flore di Austria, Ungheria, Belgio e Spagna e descrisse circa 4000 piante, slegandole da ogni vincolo con la medicina e con l'agricoltura, contrariamente alla consuetudine delle opere botaniche dell'epoca. Nella traduzione in latino fatta da L’Ècluse delle Observationes di Pierre Belon (1589), Carolus Clusius compare con l’aggettivo Atrebas, cioè Atrebate, in quanto la sua città natale, Arras, prima dell'era cristiana con il nome di Nementacum era capoluogo della tribù celtica degli Atrebati. Una delle sue opere più famose – il cui frontespizio reca pure Caroli Clusii Atrebatis - è rappresentata da Exoticorum libri decem (1605). L’Ècluse è il nome francese della città olandese di Sluis (in Zelanda, presso il confine belga) e sluis in olandese significa chiusa, così come dam significa diga.