di Fabrizio Focardi

Come ho già detto svariate volte, la genetica non è il mio forte; cercherò comunque di rendervi chiaro il significato di “Selezione” più sul piano pratico che su quello genetico. Riporto qui di seguito quanto ho scritto su un mio precedente articolo circa le colorazioni orlate della Wyandotte, per una conoscenza genetica di base, indispensabile per consentirci di parlare di “Selezione” :

« Quante volte ho sentito dire: “ma che combinano questi tedeschi? Dal mio gruppo, comprato in Germania, escono soggetti con colori e disegni che nulla hanno a che vedere con quello che ci si sarebbe aspettato”.
Si sceglie un soggetto per il suo aspetto fenotipico, sperando che quelle caratteristiche che mostra, generalmente provenienti da geni dominanti, vengano passate alla prole; ma il bagaglio genetico recessivo non è evidente e ci può riservare delle sorprese, e non solo nella colorazione, ma anche nella crescita, nella resistenza a determinate malattie, nella formazione del piumaggio, nella fertilità o nella produzione di uova, nella mole, ecc.
Se poi alleviamo in consanguineità, si contribuirà a rafforzarle, sia le buone che quelle che proprio non vorremmo.
Come ho già altre volte accennato, allevo, oltre ai polli, anche Agapornis di diverse specie.
Ho un’ottima coppia di Nigrigenis, della colorazione ancestrale (verde), che riproduce senza problemi da molti anni e dalla quale ho sempre avuto discendenti ancestrali; avendo altre coppie – sempre ancestrali e volutamente non consanguinee -, non ho mai tenuto nessuno dei figli, almeno fino allo scorso anno, quando decisi, per non trovarmi con tutti i riproduttori attempati, di cominciare a tenere per me qualche esemplare giovane. Due di questi, fratello e sorella, decisero di metter su famiglia; ebbene, ebbi una piacevolissima sorpresa: due loro figli su quattro erano blu. È evidente che uno solo dei genitori dei giovani riproduttori era portatore, ed ambedue i figli scelti hanno ereditato da quel soggetto il gene portatore del blu.
Esistono dunque geni dominanti e geni recessivi, cioè non tutti hanno lo stesso potere. Un gene dominante agisce da solo. Un gene recessivo può agire solo se presente in doppia dose.
I geni dominanti si identificano con una lettera maiuscola, i geni recessivi con una minuscola.
I geni, portatori di caratteri ereditari, hanno sede nei cromosomi, i quali sono sempre associati per paia.
Su un cromosoma ogni gene occupa sempre lo stesso posto, che viene chiamato “locus” (luogo, al plurale “loci”). Quando una coppia di cromosomi ha, nei punti corrispondenti, due geni identici, si dicono geni “omozigoti”. Quando invece una coppia di cromosomi ha, in due punti corrispondenti, due geni che trasmettono lo stesso carattere, ma con particolarità diverse – e di cui uno (dominante) prevale sull’altro (recessivo) – si dicono geni “eterozigoti”. Una coppia di geni che occupano lo stesso locus è detta allele.
Ogni cromosoma del paio proviene da uno dei genitori, i quali erano in possesso di uno dei due cromosomi di ogni paio, che, a loro volta, lo avevano ricevuto da ciascuno dei propri genitori e così di seguito a ritroso.
L’insieme dei fattori che caratterizzano un individuo sotto il profilo genetico ed ereditario è detto “genotipo”. L’insieme dei caratteri fisici visibili di un individuo, dovuti sia al patrimonio genetico sia all’azione dell’ambiente, è detto “fenotipo”.
La conoscenza dell’origine dei nostri polli è dunque molto importante: mai riprodurre a casaccio inserendo nel gruppo soggetti di origine sconosciuta. Occorre sempre, prima, vedere quello che porteranno. »

Si parla molto di selezione nel nostro hobby; molti però la sottovalutano, credendo che si limiti alla sola scelta dei soggetti migliori, al farli riprodurre e aspettare che escano i “Campioni”.
Non è così semplice: molti fattori legati fra loro possono essere causa di un successo, ma anche, purtroppo molto spesso, di un insuccesso. E’ bene pertanto conoscere più profondamente la materia: questo non eviterà del tutto le delusioni, ma aiuterà ad averne meno o meno grandi.
Senza la selezione non esisterebbero oggi le molteplici razze che alleviamo.
Selezionare significa scegliere gli elementi migliori, o che presentano determinate caratteristiche, o che appaiono più adatti ad un determinato scopo.
Si può effettuare una selezione produttiva ricercando qualità produttive (carne o uova nel nostro caso), o una selezione fenotipica (morfologia, disegno e colorazione).
Esiste una selezione naturale, propria degli animali selvatici, in cui entrano in gioco, oltre alla costituzione genetica di ogni individuo, anche molteplici fattori ambientali – lotta per la sopravvivenza, clima, capacità a reperire alimenti ecc. -; sono quindi gli animali più forti e più prolifici a tramandare le proprie caratteristiche. Esiste poi quella artificiale, che a noi interessa maggiormente: qui è invece l’uomo – l’allevatore – che la dirige, con la scelta, per la riproduzione, degli individui più idonei a tramandare alla prole determinate caratteristiche morfologiche, di disegno e colorazione. Posso aggiungere però che non si deve mai tralasciare le caratteristiche classiche della selezione naturale quali resistenza alle malattie, fertilità, ecc.
Ad esempio, oltre all’estetica, in una Livorno occorre valutare anche impennamento e deposizione precoce, alta produzione di uova, assenza di istinto alla cova.
Purtroppo si assiste molto spesso ad una selezione che viene fatta sulla base di preferenze personali, in alcuni casi anche avallata da giudici, senza tenere conto dello standard; si hanno così risultati che stravolgono la tipologia, determinando in una sola razza tipologie diverse a seconda della colorazione, del piumaggio, ecc.: questo va assolutamente evitato.

Scelta dei riproduttori

La scelta dei riproduttori sta alla base della selezione.
Va fatta in un gruppo di animali di giusta tipologia – sani, forti e con alta fertilità -, che con la loro eterogeneità genetica permetteranno, grazie alla capacità e sensibilità dell’allevatore, di migliorare la qualità e ridurre i difetti.
Pertanto è assolutamente necessario conoscere alla perfezione lo standard della razza che si alleva.

Conviene o non conviene allevare in consanguineità?

Nell’allevamento come noi lo intendiamo la consanguineità, fino ad un certo livello, è considerata un fattore positivo perché ci permette di fissare le caratteristiche fenotipiche desiderate con maggior facilità.
Ma, quando si oltrepassa un certo limite, il rischio che si corre è quello di creare un ceppo, magari meraviglioso e perfetto esteticamente, ma privo di quelle qualità necessarie – rusticità, resistenza alle malattie, fertilità, ecc. – che gli dovrebbero permettere, scongiurando mortalità embrionale e post-natale, di procreare una prole sana e forte, senza la quale il successo sarebbe effimero.
La consanguineità è generata dall’unione di due soggetti appartenenti alla stessa famiglia, e si può tollerare fino al 40%.
Tutti i soggetti hanno anche un bagaglio di geni recessivi indesiderati e, con un’alta consanguineità, si avrà un aumento di coppie geniche omozigoti che potranno essere causa di quanto sopra classificato indesiderabile.
E’ bene pertanto, per avere sempre presente il grado di consanguineità, non fidarsi della nostra memoria, ma tenere una sorta di libro genealogico in cui si appunteranno tutti gli accoppiamenti fatti nel tempo e le relative nascite.

Come agire per riportare nel proprio gruppo le caratteristiche richieste dallo standard?

Se le caratteristiche sono più o meno già presenti, si può effettuare una selezione di miglioramento facendo riprodurre solo quei soggetti che riteniamo preziosi per ciò che si ricerca.
Ma se ciò che vogliamo fissare non è presente nel nostro gruppo, si può ricorrere – pratica più comune di quello che si creda – all’incrocio con un’altra razza affine e che si pensi porti quello che ci manca senza sconvolgere troppo il resto.
Sarà l’esperienza dell’allevatore a decidere in quale modo intervenire.

Comunque, anche questa pratica non è immune da sorprese: una volta raggiunto lo scopo prefissato con ulteriori incroci, prima o poi, si potrà rivelare l’eterogeneità con caratteristiche inaspettate.
Una razza può pertanto definirsi “fissata”, nel vero senso della parola, quando, dopo un lungo lavoro in attenta consanguineità, si è raggiunta una totale omogeneità genetica (non soltanto quella fenotipica).
A noi comunque quello che interessa è fissare solo determinate caratteristiche estetiche, pertanto questa totalità non è necessaria.

La cosa migliore è, quando si è in possesso di un gruppo omogeneo, con giuste caratteristiche morfologiche di razza e di colorazione, lavorare sapientemente con esso; quindi non più promiscuità, ma riproduttori e prole sempre sotto controllo, un po’ come nei cani, e non oltrepassare il limite concesso di consanguineità.
Nel caso sia necessario introdurre nuovo sangue, usare soggetti di altro ceppo con i quali sia stato usato lo stesso sistema di allevamento.

Darwin diceva:

« Accrescere la consanguineità di una popolazione di cattiva qualità non comporta che rovina e devastazione, quando entro certi limiti questa pratica può essere attuata senza danni partendo da animali di prima classe »

Penso vi sia utile quello che scrive il dott. Elio Corti nel suo trattato di genetica “Summagallicana”, che qui riporto:

« Coefficiente o percento di consanguineità:
se un gallo viene accoppiato con le sue figlie, i prodotti saranno consanguinei nella proporzione del 25%.
Se queste figlie sono di nuovo accoppiate col gallo originale, si avrà un altro grado di consanguineità del 12.5 % per un totale del 37,5%.
Se il gallo originale dovesse ancora essere usato per fecondare le ultime figlie, si avrebbe un ulteriore aumento del 6.25% per un totale del 43,75%, ad un così alto livello di consanguineità molto probabilmente andremo incontro a inconvenienti.

Se un gallo viene accoppiato con le nipoti, le figlie avranno un coefficiente del 12,5% se poi queste pronipoti saranno fecondate da un gallo figlio del maschio originale, il coefficiente aumenterà del 3,125%, per cui il valore effettivo raggiungerà il 15,625%.
In generale è consigliabile non raggiungere un alto coefficiente, raramente oltre il 12,5%, e non bisogna fare salti eccessivi ad ogni generazione. »

Ovviamente, se un allevatore dispone di un gruppo di media qualità, potrà far riprodurre soggetti non parenti (outcrossing): si otterrà così una selezione non consanguinea.
Ma, se invece si disporrà di una gallo eccezionale, si potrà usare per la riproduzione il sistema (linebreeding) sopra descritto.

Esiste anche il sistema “closebreeding”: si tratta di un allevamento in stretta consanguineità (fratelli x sorelle o padre/madre x figlie/figli) che si usa quando si dispone di soggetti “Eccellenti” soprattutto per generare galli da usare poi come riproduttori in linee di allevamento diverse.

Sarebbe auspicabile disporre di gruppi separati ben selezionati da poter all’occorrenza scambiare vicendevolmente i riproduttori, ma sempre tenendo un libro genealogico.

E’ bene tener presente che si possono considerare parenti gli individui che hanno antenati in comune nelle prime 4/5 generazioni, dopodiché la parentela viene meno.

Scelta delle uova

La selezione di soggetti da esposizione parte dall’uovo, che deve essere di giusta misura, forma e colore.

Selezione dei pulcini

Già alla schiusa si fa una scelta di quelli privi di difetti strutturali e di quelli con la giusta colorazione del piumino.
Man mano che crescono e si cominciano a vedere nuove caratteristiche, si allontanano dal gruppo quelli con caratteristiche non conformi allo standard.

Scelta dei soggetti per esposizione

Da quello che vedo ad alcune mostre, molti portano quello che gli capita a portata di mano.

La scelta va invece fatta, almeno una settimana prima dell’ingabbio, standard alla mano, fra tutti i soggetti.
Una volta scelti i migliori, isolarli in gabbie separate con un buon fondo di truciolo.

Si abitueranno alla gabbia e alla vicinanza dell’uomo.
Non è male prenderli in mano più di una volta al giorno e, in queste occasioni, approfittare per esaminare quelle parti che non sono in vista e per pulire i tarsi e l’anello.
Ad alcune razze si può fare una leggera toilette, ad esempio al ciuffo delle Olandesi o Padovane.
Il piumaggio deve essere completo ed in buone condizioni.

Conclusioni

In conclusione, quello che a noi interessa è, più che creare una nuova razza, ricercare quelle caratteristiche necessarie per ottenere un “Eccellente”. Al giudice non interessa la strada che si è percorso per ottenere quello che lui ha davanti, pertanto il fine giustifica i mezzi: tutti sono buoni, l’importante è il risultato finale.
E’ dunque giustificato l’incrocio fra razze diverse? Qualcuno può non approvarlo o addirittura scandalizzarsi, ma guardiamoci un po’ alla spalle e chiediamoci come siano state selezionate tutte le razze che oggi conosciamo; è presto detto: con l’incrocio di razze diverse.
Vediamone qualcuna:

Wyandotte

Wyandotte:
Stati Uniti. Si iniziò intorno al 1870 e fu riconosciuta nel 1883.
Si partì incrociando un gallo Sebright (strano ma vero!) con una Cocincina fulva. Altri probabili incroci con Amburgo, Brahma e Breda.

Wyandotte nana

Wyandotte Nana:
riconosciuta nel 1911 in Inghilterra.
La prima fu la colorazione nera ottenuta incrociando Bantam nera con Cocincina nera, poi Wyandotte perniciata e Combattente Indiano Nana. Le colorazioni Perniciate a Maglie furono create con le razze Brahma Nana perniciata e Wyandotte grande sempre perniciata. Per la bianca invece contribuirono la Bantam bianca e la Cocincina Nana bianca.

Orpington

Orpington:
creata in Inghilterra da William Cook intorno al 1886 (Orpington era il villaggio dove Cook abitava).
Hanno contribuito la Minorca, la Plymouth Rock nera e la Langashan a tarso nudo.

Sebright

Sebright:
creata intorno al 1800 da Sir John Sebright usando la Padovana, dorata e argentata a orlo nero, la Bantam nera e la bianca e la Nankino.

Rhode Island

Rhode Island:
intorno al 1890/1905 nello stato di Rhode Island (Stati Uniti).
Frutto dell’incrocio di alcune razze asiatiche con il Malese rosso e la Livorno.

E potrei proseguire oltre.

Allevo da tanti anni e confesso che non sono mai ricorso all’incrocio fra razze diverse.
Questa necessità mi si presentò quando, con una maggiore esperienza, mi accorsi che le mie Wyandotte nane non erano come avrei voluto che fossero, e sulla piazza poco trovavo che potesse aiutarmi.
Riflettei a lungo e venni alla conclusione che l’unico tentativo che potevo fare era, a mio avviso, tentare l’azzardo.
Studiai tutte le razze, ma la risposta mi venne da un allevatore tedesco, diventato poi amico, che mi aveva venduto un ceppo di Wyandotte nane barrate.
Lui usava, in maniera ciclica, inserire sangue di Plymouth Rock Nana per migliorare la barratura.
Sempre in quel periodo fui attratto da un forte patriottismo avicolo e la ricerca e lo studio delle nostre razze mi convinse che forse era meglio che mi dedicassi a loro, quasi sconosciute e quindi molto più bisognose di attenzione rispetto alla Wyandotte Nana.

Presi così la decisone di abbandonare le mie amate Wyandotte nane e dedicarmi anima e corpo alla campagna pro razze italiane: decisione della quale oggi sono orgoglioso.
Persi quindi l’occasione, e non posso pertanto raccontarvi una mia esperienza, ma sarebbe utile per tutti che qualcuno decida di tentare.

Purtroppo gli allevatori italiani sono pigri e preferiscono adattarsi alla tipologia, più o meno giusta, che altri hanno preparato.
Così facendo non avremo mai l’esperienza necessaria a portare avanti un discorso serio per una nuova colorazione o razza o soltanto per migliorare quello che siamo riusciti a trovare.

Ancora una volta ringrazio il dott. Elio Corti per il suo encomiabile lavoro “Summagallicana”

www.summmagallicana.it