L’abilitazione mirata nella preparazione dei giudici d’esposizione di Bergamo Stefano

Apparso sul numero di gennaio/marzo di Avicoltura/Avicultura, il bell’articolo Giudizi diversi in mostre diverse, a firma di Marco Galeazzi, analizza quali possano essere i fattori di rilievo che contribuiscono ad influenzare la formulazione del giudizio finale su un soggetto in esposizione.

Premetto che condivido pienamente la disamina dell’amico Marco, che stimo molto come giudice e con il quale ho avuto modo di lavorare in diverse occasioni, e conseguentemente di imparare, approfondendo così le mie ancora limitate nozioni nel settore dell’avicoltura sportiva e amatoriale.
In questa sede vorrei tuttavia riprendere un passaggio del citato articolo, dal quale emergono alcune problematiche che ho già avuto modo di affrontare diverse volte parlando sia con esponenti della federazione, sia con giudici ed allievi giudici. Il punto cui mi riferisco tratta della preparazione dei giudici e mette in rilievo come sia ben difficile, se non impossibile, ‘conoscere e valutare in modo ugualmente corretto tutte le razze’, considerato che le stesse ammontano a ben 247, colorazioni escluse. Ragionamento ineccepibile ed incontestabile, che mette a nudo il cuore del problema: la difficoltà di memorizzare, elaborare e tradurre in una valutazione coerente una quantità così vasta di dati e nozioni.

Per ovviare all’inconveniente di cui sopra si potrebbe provare a convincere chi è dotato di memoria prodigiosa a diventare giudice federale, cercando i papabili, per esempio, tra i laureati alla Scuola Normale Superiore di Pisa o i ricercatori del CNR. Tali eredi di Pico della Mirandola potrebbero rivelarsi interessati a fare sfoggio delle proprie capacità mnemonico-cognitive anche alle mostre sociali organizzate nei vari angoli della Penisola. Forse.
Tuttavia, le probabilità di successo sembrano alquanto ridotte.
Una soluzione più realistica, quindi, potrebbe essere quella di tentare la strada delle riforme, modificando i criteri di preparazione ed abilitazione attualmente in uso, ed adottando un sistema di preparazione per gradi, che consenta all’allievo giudice di stilare il proprio ‘piano di studi’ sulla base degli interessi personali e con un occhio di riguardo per quelle che l’appassionato considera specie, razze e colorazioni speciali.
A questo punto, l’obiezione che già diverse volte mi è stata sollevata, nel corso delle conversazioni cui accennavo in precedenza, è che ‘l’Italia non ha le specializzazioni’. L’articolo di Marco costituisce già un segnale a mio parere positivo, in quanto precisa che la specializzazione nel nostro Paese ‘per il momento’ non esiste.

A motivo di tale peculiarità si adduce il fatto che la nostra Penisola conta poche e scarsamente popolate associazioni, che possono permettersi di invitare solo un (1) esperto giudice abilitato a giudicare tutte le razze in occasione delle mostre sociali di cui sopra.
Tale figura di esperto giudice è quello che nelle esposizioni canine si chiama un all-rounder, vale a dire un giudice a tutto tondo, completo di nozioni apprese per gradi, di razza in razza, su voluminosi manuali e dotato dell’esperienza derivante da anni di esercizio dell’attività di giudice. Tale figura esiste anche nel settore dell’avicoltura sportiva di molti Paesi europei, come Germania, Paesi Bassi, Belgio, ecc. (per fare un esempio, in Olanda tale qualifica è denominata “di categoria A”, opposto al tipo C che corrisponde al neo-abilitato: l’accostamento alle nostre serie A, B e C viene spontaneo!).
La qualifica di giudice di categoria A si ottiene dopo aver superato un esame di tipo generale (tassonomia, morfologia, genetica, colorazioni, ecc) suddiviso per specie avicola, e successivamente un esame teorico-pratico per ogni singola razza all’interno della specie prescelta.
In alcuni Paesi (tra cui Germania e Paesi Bassi) è previsto un limite al numero massimo di razze per le quali si può richiedere di sostenere l’esame, sia per il primo anno sia per gli anni successivi.
Tale numero massimo consentito va progressivamente aumentando di anno in anno, a volte addirittura in proporzione al numero di razze per le quali si è superato l’esame: è il caso dei Paesi Bassi, in cui un allievo giudice all’inizio della carriera non è autorizzato a studiare per più di tre razze, per un massimo di sei se di queste è presente anche la varietà nana. In seguito, col passare degli anni, il giudice determinato a conseguire la qualifica di all-rounder continuerà a sostenere l’esame su sei razze per anno, per finire con un esame annuale su dieci razze negli ultimi due anni.

Si vede quindi come il conseguimento della qualifica di all-rounder sia il coronamento di una carriera, un percorso di studio che dura una vita, che vede l’appassionato di avicoltura muovere i primi passi da giudice dando l’esame per la razza o il gruppo di razze che più gli stanno a cuore, e sulle quali si farà un punto d’onore di essere preparatissimo. Una volta superata la parte generale ed ottenuta l’abilitazione a giudicare la ‘propria’ razza, il novello giudice ha facoltà di continuare ad ampliare il novero delle razze per le quali farsi abilitare, sostenendo i relativi esami teorico-pratici. Se ne ha voglia, tempo e soprattutto interesse. Altrimenti, rimarrà un giudice preparatissimo su una specifica razza o gruppo di razze, destinato ad approfondire sempre più le proprie conoscenze in materia ed a ridurre al minimo eventuali contestazioni o dubbi sulla propria competenza.

Tornando al caso dell’Italia, il sistema attualmente in uso impone al novello giudice un percorso completamente opposto: per dirla alla siciliana, in Italia il giudice deve “nascere imparato”. Poca meraviglia desterà quindi il fatto che, non appena il giudice federale si cimenta con tutte le razze e colorazioni presenti ad una mostra, ci sia sempre qualche allevatore locale che si sente più preparato sulla propria razza, e che per umana debolezza non resiste alla tentazione di farlo notare. E – come ammette anche l’articolo di Marco – non sempre a torto. Perché non è umano chiedere ad un appassionato dell’elegante e delicata Sebright, per poter giudicare la propria razza, di imparare tutto quel che c’è da sapere sulle anatre, esponendosi a subire il fangoso fascino della Germanata veneta. O di accumulare nozioni sulle faraone, nella speranza che si lasci ammaliare dai loro deliziosi vocalismi, quasi fossero novelle sirene d’Ulisse. O infine, di soffermarsi a studiare nei minimi dettagli le carnose caruncole dei tacchini, salvo poi avere un’improvvida amnesia quando si trova di fronte al nobile ma ahimé non certo avvenente animale in carne ed ossa, che, gonfio d’orgoglio, ostenta le proprie scarlatte escrescenze a reclamare un parere da parte del malcapitato novello giudice, mentre quest’ultimo in realtà non chiedeva altro che di rimanere un fine cultore della leggiadra creatura selezionata oltremanica da Sir John Sebright.

A questo punto mi permetto quindi di sollevare alcune obiezioni:
– raramente il giudice unico invitato a giudicare un’intera mostra riesce a valutare da solo tutti i soggetti iscritti: è frequente infatti che ci sia qualche giudice o allievo giudice locale, o proveniente da associazioni limitrofe, che si offre o si trova costretto a dare una mano. Ecco quindi che la prassi viene a smentire che sia d’obbligo invitare un (1) solo giudice in esposizione;
– non è invece raro il caso di giudici federali o allievi tali che si recano, a proprie spese e per proprio interesse personale, a visitare questa o quell’altra mostra: ecco che una suddivisione delle razze fra i giudici presenti potrebbe avere luogo senza eccessivi esborsi da parte del comitato organizzatore, se solo detti spostamenti fossero coordinati;
– il suddividere l’intero scibile avicolo in una parte generale e – ad esempio – in gruppi di razze da affrontarsi uno per volta permetterebbe all’allievo giudice di farsi abilitare almeno in parte, e quindi di alleggerire in primo luogo la materia d’esame da portare, aumentando così le proprie probabilità di successo, ed in secondo luogo anche il carico di lavoro dei giudici all-rounder già abilitati: sembrerebbe chiaro che abilitare parzialmente alcune persone in più difficilmente ci porterà ad avere giudici in meno;
– si potrebbe infine, come si è fatto in altri Paesi europei, dare al giudice parzialmente abilitato, se invitato a giudicare ad una mostra, la possibilità di richiedere dall’Ordine dei giudici un’estensione temporanea dell’abilitazione anche alle razze sulle quali si trova ancora in corso di preparazione senza avere sostenuto l’esame (ad esempio, tale possibilità è prevista in Olanda per i giudici in possesso dell’abilitazione per almeno la metà delle razze presenti nello standard).

Spero di essere riuscito nell’intenzione di sottolineare i vantaggi di quella che in Italia si definisce specializzazione, ma che a mio parere meglio potrebbe chiamarsi abilitazione parziale o anche mirata. Poche razze ma conosciute in modo approfondito è la formula in uso in Europa per chi inizia l’attività di giudice, con esami dedicati che vertono su materiale circoscritto, a semplificare il compito sia dell’esaminando che dell’esaminatore. Può consolare il fatto che l’articolo di Marco, da cui queste mie osservazioni hanno tratto spunto, conclude dicendo che ‘ogni suggerimento, fattibile, è ben accetto. Parola di esaminatore.